Sara’ a questo punto opportuno fare un consuntivo di tutta l’avventura della Campagna d’Italia del 1796/97, consuntivo che induce altresì ad un meccanismo proiettivo sulla straordinaria avventura “a-venire” del personaggio, come abbiamo visto piuttosto mediocre (da tutti i punti di vista anche quello specificamente militare) e ben provvisto di tutta una serie di spregevoli difetti, tipo l’opportunismo, la assoluta mancanza di parola, lo scendere a compromessi, la manipolazione della realtà, l’inventare di sana pianta dei copioni e delle parti senza alcuna relazione con la realtà, insomma proiezioni che si fanno identificative rispetto ad una società che sta uscendo non tanto da una sanguinosa rivoluzione sociale, quanto da una ben più informante rivoluzione di mercati e mezzi di produzione, con la introduzione e lo sviluppo dell’invenzione della macchina, da semplice mezzo di aggiustamento del lavoro a vero e proprio nuovo referente dell’essenza stessa della vita umana. Come abbiamo spesso osservato, la macchina che si sostituisce come riferimento all’Uomo e lo espropria con i suoi meccanismi di costruzione, assemblaggio, sostituzione, rinnovo e anche demolizione, delle sue prerogative, impone meccanismi di identificazione proiettiva, ma anche controbilanciati meccanismi di ricerca di un arche’ (una origine) non solo a livello tecnico (archè-techne’), ma “tipico” cioè di decentramento dell’uomo, proprio come tipo di riferimento dell’essere al mondo, per i quali, a dire il vero bisogna andare molto a ritroso del tempo per trovarne un barlume: difatti quello che oramai va conformandosi come macchina, con tutto un bagaglio di cultura ad essa collegato che si definirà tecnologia, ma anche più pomposamente scienza, lo ritroviamo pochi decenni prima nella Religione coi suoi dogmi, il suo dio unico cattivo, geloso e permaloso e soprattutto il suo senso di peccato da appiccicare giustappunto all’uomo (anche qui quindi proiezione con tanto di scissione proiettiva tra l’uomo e in sostanza un’altra sua creazione, che possiamo anche denominare “alienazione” e constatare che Marx non si era inventato un bel niente, perché da sempre l’essere umano ha innescato nel suo cammino un meccanismo di alienazione : la macchina con la sua versione odierna del digitale, dell’informatico e la totale robotizzazione della sua mente, è difatti solo la logica evoluzione del peccato per la Religione, del senso onnisciente di uno Stato per la Roma imperiale, ma anche repubblicana e persino monarchica,della frammentazione di tale principio per la coltissima e raffinata civiltà greca con le sue Città Stato, Atene, Sparta, Tebe, Corinto e persino le sue colonie (Magna Grecia) . Si viaggia a botta di millenni e l’uomo come precipua essenza di essere al mondo non lo troviamo mai! - anche il futuro anteriore quel “sarà stato “ che dovrebbe correlare la somma di tutte le esperienze e tradizioni in vista di un “ad-venire” è sempre demandato, è sempre “al di là” ecco tutt’al più lo possiamo trovare in qualche giochetto di parole tipo il “geo-methrés” della scuola di Atene, l’enantiodromia di Eraclito dove si inserisce quell’inquietante “panta rei” o l’aforisma di Protagora come “misura di tutte le cose” , lo possiamo trovare nel Mito, come nel più suggestivo di tutti i Miti, quello dell’Età dell’Oro, cavallo di battaglia del poeta Esiodo, ma mai nella storia reale. Ci viene in aiuto la teoria delle stringhe, anzi delle Superstringhe con tanto di quella M-Theory, dove si va alla ricerca del senso, classico significato su significante alla De Saussure) di quella “M” che si presta ai più fantasiosi costrutti (Magia, Mistero, Multiuniversi, etc.) , ma neppure un po’ la pretenziosa arroganza di un filosofo che si e’ arrogato l’epiteto di filosofo dello Spirito della storia, che spocchiosamente sosteneva l’identità tra reale e razionale e quello “Spirito” bontà sua, era convinto di aver riconosciuto nel trovarsi casualmente al passaggio proprio di quel personaggio che è oggetto, neppure un po’ ideale né tanto meno paradigmatico, di tutto questo scritto.Abbiamo appurato che l’intera campagna d’Italia era stata studiata a tavolino da un gruppo di giovani generali tutti impregnati della teoria tattico/strategica e soprattutto logistica di un ufficiale francese Guibert morto nel 1790, che un 25 anni prima aveva scritto un manualetto di nuove modalità di fare la guerra, tutto improntato al massimo ardire, addirittura al colpo di mano, velocità, niente carriaggi, niente magazzini, niente salmerie, artiglierie leggere e soprattutto di una alimentazione della guerra con razzie e gabelle imposte ai territori di scontro e di conquista: Tale piano commissionato dal Direttorio, prevedeva che l’Armata d’Italia che fino a quel momento non aveva fatto granchè e se ne stava quasi inoperante sulle Alpi marittime operasse una vera e propria manovra aggirante in soccorso alle due Armate schierate tra Belgio e Germania sulla Mosella e sul Reno, e neppure alla lontana prevedeva che ci si sclerotizzasse sul territorio italiano. Piuttosto rocambolescamente il comando di quell’Armata era andato nel marzo del 1796 ad uno di quei generale guibertiani, non il più bravo, non il più titolato e di certo non il più capace, anche se i suoi 27 anni potevano lasciare intendere chissà quali meriti per una fulminea carriera, che invece era nella norma, dovuta per lui come per molti altri all’eccezionale periodo di cambiamenti di regime che vi erano stati dall’inizio della Rivoluzione . Semmai il merito del giovane generale, che aveva anche l’aggravante di non essere francese, ma corso, era di tutt’altro tipo e cioè quello di avere accondisceso a sposare l’amante del più influente membro del Direttorio, Barras, una amante c’è da dire ingombrantissima e pretenziosa quale la creola Josephine Beauhrneais , vedova di un Generale ghigliottinato dalla Rivoluzione, che a Barras non era sembrato vero di togliersi dai piedi. Un vero e proprio “regalo di nozze “ dunque, questo comando di un’Armata, invero scalcinata e non troppo affidabile che tuttavia annoverava alla guida non uno ma tre Generali, tutti dotati di grandissima esperienza, poco disposti a collaborare tra di loro, ma come vedremo, quasi in attesa, di una mente direttiva di un superiore cui fare riferimento e affidamento. E’ piuttosto noto come sulle prime il nuovo venuto non ebbe questa grande accoglienza e ho citato un pezzo del film Napoleon di Abel Gance, dove i tre all’entrata del superiore nella tenda/comando, gli voltarono le spalle non togliendosi il cappello. Ma ecco qui vale un po’ di psicologia . I tre erano ognuno pel suo verso soldatacci anche loro saliti ai vertici della gerarchia militare grazie alla Rivoluzione: Massena e Augereau che erano due ex sottufficiali, il secondo addirittura un disertore e soldato di ventura in vari eserciti europei, il terzo Serurier un relativamente anziano ufficiale di basso grado dell’Ancien regime che la rivoluzione aveva fatto lievitare fino ai galloni di Generale soprattutto per via della sua straordinaria competenza delle teorie di Guibert che aveva più volte cercato di mettere in opera, al contrario il giovane Bonaparte era un ambiziosissimo giovane militare che non andava tanto per il sottile sul modo di come far carriera e la Rivoluzione gli era subito sembrata una straordinaria occasione per favorire certi suoi disegni Si era distinto a Tolone qualche anno prima nell’autunno del 1793 come ufficiale della sua arma specifica l’artiglieria, ma checché se ne dica il merito principale della cacciata degli Inglesi dal porto francese era stata del Gen. Dugommier non sua, tuttavia nel dicembre si era guadagnato la promozione a Generale di Brigata e cosa ancora più importante la protezione del deputato Barras che aveva intravisto negli occhi e nello spirito del neo generale quel qualcosa in più a livello di ambizione, cui la sua disponibilità ad accettare qualsiasi compromesso era quello che andava ricercando in qualsiasi ambito , specie dopo essere stato lui Barras il principale artefice della caduta di Robespierre e il più influente membro del nuovo organo di Governo. Il giovane Bonaparte aveva avuto una imbarazzante familiarità col fratello di Robespierre e per questo, dopo il luglio del 1794 sembrava che la sua carriera dovesse subire un drammatico arresto, ma Barras aveva intravisto nel giovane quello sguardo “pronto a tutto” soprattutto per i suoi fini e lo aveva dapprima coinvolto nella Commissione per la stesura del Piano per l’Armata d’Italia, e improvvisamente nell’ottobre 1795 essendoci stato un sollevamento Realista che minacciava la Convenzione Nazionale lo nominava Comandante della Piazza di Parigi con l’incarico di scongiurare un colpo di Stato. E’ la famosa strage della Chiesa di san Rocco in cui il generale Bonaparte coi suoi cannoni, coadiuvato dalle cariche di cavalleria del baldanzoso Colonnello Gioacchino Murat, domò spietatamente la rivolta ricevendo in cambio la promozione a Comandante del Corpo d’Armata dell’Interno. La fiducia del suo influente protettore era oramai definitivamente conquistata, aggiungi poi che di lì ad un paio di mesi gli toglieva per sempre anche l’imbarazzo di una ingombrante amante di cui quello desiderava disfarsi…eh bhe la nomina a comandante d’Armata e nella fattispecie l’Armata d’Italia, era assicurata. Si diparte quindi tutta la serie di vicende che abbiamo circostanziato : un Piano sempre condotto dal Direttorio, di cui il giovane Generale eseguirà alla lettera le disposizioni senza alcuna variante personale, i Generali più esperti che vincono al posto suo, la fortuna di determinate circostanze pregresse come il contrasto tra Austria e Piemonte che porteranno ad un provvidenziale Armistizio con una delle parti belligeranti, ancora qualche battaglia, poco più che scaramucce con retroguardie nemiche, pomposamente gonfiate come grandi vittorie (Ceva, Lodi, Arcole), una puntuale applicazione della strategia Guibertiana, di cui ecco in questo si, Napoleone era riuscito a metterci qualcosa in più di esclusivamente suo (la spregiudicatezza nell’imporre gabelle, di razziare non solo beni di sussistenza, ma anche tesori e patrimoni artistici ) ed infine un tira e molla tra il teatro di guerra della Valle del Po e quello di un accenno di invasione in territorio austriaco, per addivenire ad un armistizio con l’Impero Asburgico che potesse essere fatto passare, come le battaglie, per una sorta di grande trionfo per la Francia e la Rivoluzione, ma che in verità aumentava a dismisura il potere e l’influenza austriaca soprattutto per l’annessione della Repubblica di Venezia . In realtà non solo il trattato di Campormio non rappresenta una vittoria per la Rivoluzione e i suoi principi, ma alle lunghe, malgrado l’apparenza, non rappresenta quel grande trionfo neppure per il Generale Bonaparte, perché lo costringerà, anche una volta preso il potere assoluto della Francia e divenuto Imperatore dell’effimero Impero da lui costruito, ad un quasi permanente stato di guerra che non avrà mai fine se non con la sua disfatta senza appello : ci fu un momento più tardo in cui lo stesso Empereur lo confessò ora non ricordo se a Berthier o a Tayllerand o forse a Massena, che a parte Desaix a Marengo, era forse il sottoposto a cui doveva di più in quella costruzione di parte che era stata l’elemento saliente della sua scalata al potere : “L’Imperatore d’Austria, lo Zar di Russia, il Re d’Inghilterra, tutti i Reali del più piccolo statarello europeo “ aveva detto con amarezza ma anche rassegnazione “possono perdere mille battaglie, ma risorgeranno sempre più forti di prima; io al contrario debbo sempre vincere e sono convinto che alla mia prima vera sconfitta non avrò alcun appello” Centrato in pieno il problema che se vogliamo essere lucidi sta un po’ scritto tra le righe di quel famoso trattatello che era stato la Bibbia per il Generali della Rivoluzione e per lui in particolare , ovvero quel Trattato di Tattica di Guibert, che indicava si una modalità di successo immediato, ma assolutamente non precisava alcun termine di continuità a quell’azione e soprattutto "LA PAURA E' IL PECCATO ORIGINALE DELLA VITA." ........ Bella no? riflette in pieno il mio pensiero dominante di questo ultimo anno e non solo, sembrerebbe quindi che l'abbia confezionata sul raccordo appunto tra l'attuale distopia e, diciamo le mie prime esperienze ragionate e riflesse dai tempi del catechismo per la prima comunione, da cui fui allontanato proprio perchè ragazzino di 8 anni chiedevo spiegazioni sul peccato originale. "blasfemo suo figlio è blasfemo" disse il pretazzo a mia madre motivando tale allontanamento proprio su quelle mie perplessità su cosa consistesse questo "peccato originale" . Sette anni dopo , nel marzo 1963 ebbi finalmente una esplicazione più che ragionata di quella mia insistente domanda ed era una risposta non parlata , ma scritta, con tanto però di carisma perchè portava la firma di Sigmund Freud (il "me cojoni" ci sta tutto anche in quel me quindicenne, che di certo ero alquanto disvezzato in tema di linguaggio spinto) il libro era Totem e tabu', il tema la cosidetta "teoria dell'orda paterna " che l'aveva già affrontata Darwin, ma certo Freud fornì una spiegazione più che convincente di cosa davvero ci fosse dietro quelle due parole : peccato originale dove in genere c'era il sequel di un albero , una mela , un divieto, un serpente tentatore, una bella fanciulla ritratta nuda, il che anche a 8 anni poteva avere quel certo precoce impatto nel desiderio e una infrazione, un quadretto che non mi aveva proprio convinto "ma via.... tutto per una mela, ma siamo seri!!! manco fosse stato un barattolo di marmellata fatto con 100 di quelle mele, un barattolo che sta nella "credenza" in cucina, dove in genere stanno tutte le credenze e tutti i barattoli di marmellata " Il signor Freud ci andava molto più seriamente : un padre , maschio dominante tiranno, che teneva per se' tutte le femmine e condannava i figli maschi all'esogamia, ovvero a vagare fuori dal gruppo, magari finchè uno più fortunato rimediava anche lui di straforo una qualche femmina e faceva un nuovo gruppo. Ma tutti i non fortunati???? Ecco il principio della comunanza anche se non ancora della convivenza : tanti piccoli gruppi tutti con maschi dominanti tirannici e uno stuolo di femmine a disposizione , ma i meno fortunati dicevamo ? ebbene ecco il meccanismo ancora istintuale, ma protointenzionale di tale schema di comportamento : i maschi in esogamia un bel giorno si radunano tutti insieme, attendono il passaggio del padre tiranno, lo assalgono, lo uccidono se lo mangiano e si spartiscono le femmine del gruppo originario del padre , andando ognuno a ricostituire un proprio più piccolo gruppo Questo lo schema comportamentale degli animali : leoni, bufali, cavalli e niente lascia pensare che non lo fosse anche per l’uomo primitivo , solo che ad un certo punto, scrive Freud, avviene qualcosa di nuovo, di unico, qualcosa peculiare solo della specie umana : il senso di colpa. Ognuno dei maschi artefici di quel primordiale omicidio, non dimentichiamo omicidio del padre: parricidio, comincia a sentire nostalgia di quell’antico padre tanto potente , che dominava vasti territori tenendo per se’ tutte le femmine e che idealmente ognuno degli uccisori ha divorato per incamerare una parte di quell’antica prestanza; nostalgia sempre più acuta fino a stravolgere la stessa sostanza di quel parricidio che si fa rituale, si frammenta in manifestazioni sacrificali , ovvero fondate sull’uccisione di un animale che il più possibile suggerisce una associazione con l’antico padre, un orso, un bufalo, ove tutti i maschi del gruppo si radunano, “sacrificano” l’animale in maniera violenta con spargimento di sangue e squartamento del corpo, di cui ognuno dei partecipanti ne mangia una parte. Un sacrificio rituale dal quale sono rigorosamente escluse le donne, osserva Freud, alla base del principio originario della convivenza tra gruppi, una sorta di fratellanza dei maschi che si sono spartiti il corpo del padre e quindi una parte di colpa, in nome di un nuovo patto di non aggressione tra i membri del gruppo che si fonda su precisi tabù, il più importante quello di prendere ciascuno una propria femmina e non insidiare quella di altri. Ecco quindi che in linea con la sua teoria della Libido (il libro è di prima della Grande Guerra e quindi di parecchio antecedente al saggio Al di là del principio del piacere (1921) che inaugura la seconda fase della costruzione freudiana, quella non della libido, ma della “pulsione di morte” ) Freud inaugura nel parricidio e nella sua elaborazione in sacrificio rituale il meccanismo originario del principio del peccato originale: non un albero con mele, serpenti tentatori e donnine disubbidienti, rivisitati in termini di favoletta con la scusa del metaforico, ma precisi meccanismi di biologia animale, rivisitati alla luce di una conoscenza approfondita e circostanziata , ben inseriti in uno schema di evidente rappresentabilità, sia pure nella ritualita’ del sacrificio. Eppure non e’ da Freud che ho ripreso la frase “LA PAURA E’ IL PECCATO ORIGINALE DELLA VITA” e non è neppure dalle mie esperienze di infanzia, né da quelle dal confronto con la evidente distopia di questo primo ventennio del terzo millennio. E’ da uno studio che una serie di fortuite circostanze mi hanno fatto iniziare, proprio di questo periodo distopico di cattività forzato, su di un lontano periodo storico dove ho un po’ ipotizzato che prenda inizio l’attuale tendenza a costruire parti immaginarie rispetto ad una realtà da modificare per i propri intendimenti, facendo incetta in tal senso di tutti quei meccanismi di manipolazione, inganno, bugie, forzature che possano costituire un vero e proprio nuovo copione da sfruttare per modificare la realtà. Galeotto , anche in questo caso fu il libro, ma Lancillotto non c’entra , o meglio a forzarne vicende e personaggio, potremmo benissimo farcelo rientrare: non un cavaliere ma un artigliere con un migliaio d’anni di stacco, e in quanto a pregnanza storica, bhe! pur trattandosi il primo di leggenda e il secondo invece di storia con tanto di cronaca e documentazione circostanziata , siamo a livello di pregnanza e rilevanza decisamente a favore del secondo , che tutti , dico tutti conoscono e della cui fama e nomea ben pochi sarebbero disposti ad ammetterne la relatività, anzi la colossale montatura : stiamo parlando di Napoleone Bonaparte. Il libro che ha innescato questa mia riesamina storica è di un autore poco conosciuto, specie in Italia per via del fatto che ne è stato per venti anni lontano, per contrasti politici col regime fascista, Guglielmo Ferrero classe 1871, che tuttavia ha pubblicato soprattutto all’estero una serie di saggi molto interessati che tuttavia non hanno mai fatto né breccia nel grande pubblico, né hanno fatto scuola negli addetti ai lavori, forse anche per certe adesioni personali di tale studioso a idee tipo la teoria Lombrosiana, che l’intellettualità affermatasi nel dopoguerra in Italia, in forza di una precisa strategia politico culturale del Segretario del PCI Palmiro Togliatti , non ha mai accettato: e’ notorio difatti che Il PCI e la sinistra in genere, devocando al potere sociale effettivo nel 1947, ha fatto leva proprio sulla classe intellettuale e artistica, sempre alla ricerca di un mecenate da ossequiare, per costituire una propria immagine alternativa di pregio…..una macchinazione anche questa, che solo oggi con la distopia in corso di questo potere di esasperato neo liberismo e monopolio assoluto delle lobbies farmaceutiche e informatico/digitali , ha messo chiaramente in evidenza, ma solo per pochi, quei pochi che ancora non hanno fatto addormentare la loro ragione, evitando di rimanere irretiti dallo spaventoso potere mediatico di un terrorismo sanitario e quindi della paura. Il libro “Avventura” di Guglielmo Ferrero da me ritrovato in un antico cassetta ove erano conservati libri di mio nonno Mario Nardulli quasi in attesa di essere disvelato, tratta appunto dell’ascesa di Napoleone Bonaparte tramite la campagna d’Italia del 1796/97 , ascesa tutta manipolata e letteralmente costruita a tavolino con tanto di copione dove le varie parti sono assegnate in anticipo, come ogni rappresentazione di messa in scena comporta; direi proprio come teatrino o anche come film, dove però la dicitura che chiosa la rappresentazione “ogni riferimento a persone vive o morte, realmente esistite sono puramente casuali” andrebbe ribaltata in “ fatti e persone descritte come reali sono del tutto inventate “
Così approssimandomi alla fine del libro deI Ferrero e anche alla conclusione del mio saggetto , ti ritrovo proprio in tale libro che attenzione è di una edizione del 1948 l’anno in cui sono nato io, la frase che titola il volume in oggetto ed anche una sua esplicazione che sembra scritta oggi, non per descrivere la Rivoluzione Francese e Napoleone, ma per descrivere questo oggi tanto irretito dalla “paura”, di cui ecco !... ho il sospetto che evento e personaggio possano essere gli ideali ispiratori. La Rivoluzione e Napoleone hanno abusato della forza perché ad un certo momento hanno avuto paura…la paura è la forza sovrana che domina il mondo…fra gli esseri viventi l’uomo è il piu’ pauroso e il più terribile ad un tempo, trema davanti a se’ stesso e ai pericoli immaginari creati dalla sua mente , inventa e perfeziona i mezzi per fare paura, per creare, regolare e manovrare la fisica della forza. E’ proprio perché ha paura e sa far paura , crede di mettersi al riparo dalla paura, facendo paura , ma più ha paura , più ne provoca , sicuro che niente può resistere alla fisica della forza e quindi ne vuole sempre più abusare : Il Direttorio e Napoleone ieri, i vari magnati con interessi nel farmaceutico e nel digitale oggi più tutte le masse irretite dalla paura che sono succubi di tale abuso con l’avallo di un ipocrita buonismo manierato, appannaggio della cosidetta mentalità di sinistra che si è fatta volenterosa carnefice di quella Libertà che potrebbe rappresentare con il coraggio l’alternativa alla paura. La civiltà in una accezione di Libertà e di Coraggio dovrebbe rappresentare la lotta contro la paura e perciò contro gli abusi della forza e dell’arbitrio e non può e non deve lasciarsi manipolare da espedienti distopici quali quelli messi in atto in questo terzo millennio, sempre imperniati sul denaro e su una sua diffusione informatizzata, che avranno sì rinunciato al dio geloso e ingiusto dei secoli passati, ma lo hanno sostituito con quello ancora più subdolo e ipocrita di un salutismo mercificato. Facendo ritorno a quella Campoformio del 1797 troviamo un generale universalmente considerato vincitore e trionfatore, novello Alessandro del nuovo mondo affermatosi con la Rivoluzione e lo Stato rappresentante per antonomasia dell’Ancien Regime sconfitto e costretto a subire la legge del più forte contraddistinta da una serie di battaglie/scaramucce che forse una sola Rivoli, poteva davvero addursi ad una vittoria; battaglie tutte condotte apparentemente da lui il novello Alessandro, che se non fosse stato per i suoi più esperti generali subordinati, con tutta probabilità non sarebbe pervenuto neppure ad un qualche risultato di parità. Una strana legge, comunque questa portata dalla Rivoluzione, di una forza che in verità consegna alla parte sconfitta territori di gran lunga più ricchi e importanti assicurando altresì un dominio pressocchè totale sull’intero scacchiere europeo. Tra l’altro la Francia terrà Milano e Bruxelles, finchè ci sarà Napoleone , l’Austria si riprenderà Milano e tutta la Lombardia per altri 44 anni dopo la caduta di napoleone (1815 – 1859) e terrà Venezia e il Veneto per un totale di 69 anni (1797-1866) .
Dove sta la vittoria, dove la sconfitta, dove sta la forza , dove la debolezza e quale parte ha la Fortuna in tutto questo grande processo? Rivediamo con lo storico Gugliemo Ferrero tutto questo fondamentale e rivediamolo con il titolo di questo suo straordinario saggetto, casualmente ritrovato, saggetto il cui titolo, e’ proprio il caso di dirlo, è tutto un programma : AVVENTURA. Risaliamo alla origine di tutto a quell’incarico che il Direttorio aveva dato al Comitato Topografico Militare di cui facevano parte una serie di bellicosi generali tutti giovanissimi che dovevano le loro spalline unicamente alla Rivoluzione, di studiare un piano di aggiramento del fronte germanico dove erano impegnate due armate ( Genn. Hoche – Moreau) , da parte di una terza amata quella d’Italia , che oramai da troppo tempo si era incancrenita in azioni frammentarie e non risolutive contro un contingente dell’esercito austriaco e quello alleato del Regno di Savoia. Di quella combriccola di generali di sfrenata ma fumosa ambizione, faceva anche parte un corso di 26 anni proveniente dall’esercito regolare, che sfruttando un meccanismo di facili concessioni di lunghe licenze si era impantanato in squinternate azioni nella sua isola natia dove da Tenente dell’Esercito di Sua Maestà Luigi XVI era stato nominato Tenente Colonnello del locale esercito corso. Una avventura dalla quale si era sottratto con una veloce fuga rientrando nei ranghi dell’esercito regolare dove era riuscito con qualche conoscenza opportuna (in particolare il fratello del Capo Supremo del Comitato di Salute Pubblica Maximilien Robespierre: Augustin) a salire qualche grado e soprattutto a mettersi in mostra come comandante dell’artiglieria alla presa di Tolone, nel settembre –dicembre 1793, meritando la promozione a Colonnello per aver catturato assieme al suo superiore Dugommier, il generale britannico O’Hara e successivamente conquistato la strategica punta dell’Eguillette che gli valse a fine anno le spalline di Generale . Li’ a Tolone però aveva fatto la conoscenza di un personaggio che si rivelerà fondamentale per la sua carriera e addirittura per la sua gloria: Paul Barras che era il Deputato che aveva la responsabilità della conquista di Tolone e che lo aveva preso sotto la sua protezione nominandolo ufficiale superiore e poi dopo l’Eguillet Generale. Barras che, nel luglio successivo, fu il principale artefice della caduta di Robespierre e il nuovo più influente membro politico della Rivoluzione, lo proteggerà per la sua pericolosa amicizia con Augustin Robespierre e sarà sempre più portato ad avvalersi dei suoi servigi per la sua incondizionata ubbidienza ad ogni sua richiesta, fosse quella di bombardare la folla alla chiesa di S.Rocco (ottobre 1795) per scongiurare una insurrezione Realista o quella ancora più densa di futuro di avergli tolto dai piedi per sempre, l’ingombrantissima amante Josephine de Beauhrneais una creola vedova di un Generale ghigliottinato , addirittura sposandola e quindi avergli dato come regalo di nozze il comando dell’Armata d’Italia che doveva mettere in atto quel piano di cui anche lui si era occupato e che ora si trovava a eseguire, come comandante supremo. Abbiamo dettagliato battaglia dopo battaglia, scoprendone grazie al nostro pigmalione storico Ferrero, le sconvolgenti verità : di un generale in capo contrabbandato come novello Alessandro , fulmine di guerra, invincibile stratega, in realtà indeciso e costantemente salvato dai suoi molti più esperti sottoposti, però favorito dalla fortuna di cui la prima fu indubbiamente la inaspettata debolezza dell’esercito piemontese, che avrebbe portato all’armistizio separato appunto con la corte di Torino che in verità nascondeva ben altro; la seconda fortuna come sottolinea Ferrero fu l’apatia ed anche la paura, che tutti i vari stati d’italia ostentarono a fronte del suo incalzare nel territorio italiano e il cedere a tutte le sue pretese (di gabelle, razzie, indennità in denaro e anche in beni artistici), che in questo si !!! ….il giovane Generale superò in prepotenza qualsivoglia predecessore e anche la teoria di un libello di 25 anni prima di un ufficiale francese certo Guibert che aveva proposto per una guerra di rapida conquista non affidarsi a magazzini, salmerie e neppure parchi di artiglieria pesante, ma improntare tutto nella rapidità di azione offensiva, prendendo ad esempio le compagnie di ventura di tre quattro secoli prima che in quanto ad approvvigionamenti vivevano di razzie , ovvero il concetto che “la guerra alimenta la guerra “ Il fatto che quando il Direttorio oramai sazio di essere rimpinzato di gabelle e trofei artistici, chiede al generale, che attenzione oramai in pochi mesi è divenuto un mito, di proseguire nell’esecuzione del Piano del ’95, si fermi dopo aver appena valicato la valle del Po e cominci ad accampare tutta una serie di scuse per far ritorno in Italia e avviare i preliminari per le trattative di quello che sarà l’armistizio di Campoformio, va inteso non come una debolezza di Napoleone, ma anzi probabilmente come una sua indubbia e pragmatica lucidità: questo perché il Piano del ’95 era un piano impossibile, una avventura dell’immaginazione più che un piano strategico, che però ha assunto nella storia una rilevanza preponderante e ciò è stato dovuto proprio al fatto che il suo effetto è stato differito non tanto nello spazio (la saldatura con le Armate del Reno e della Mosa e la marcia su Vienna) quanto nel tempo . Non riconoscendo l’insuccesso strategico Bonaparte ed anche il Direttorio (una volta eliminato, con il colpo di Stato contro i Realisti del settembre 1797 Carnot, che era l’unico che aveva intravisto la verità ) rinunciano a tutto il fronte del Reno , si contentano del Belgio, di Milano e della Repubblica Cisalpina, ma rinunciano al Reno e sopratutto consegnano la antica Repubblica di venezia all’Austria . Campoformio riuscirà a mascherare per la massa, lo smacco del Piano del ’95 e l’effimero delle vittorie conseguite in Italia e un paio di scaramuccie in Austria; insiste Ferrero “Campoformio non fu una pace , ma il principio di una immensa guerra generale che non finirà che a Waterloo e la cui causa prima non sarà il Belgio, l’opposizione inglese, poi quella Russa e di tutti i principi dell’Anciene Regime, ma Milano, la Cispadana, la Cisalpina e Venezia all’Austria. L’italia è stata il trabocchetto teso dal destino e dal principio di legittimità alla Rivoluzione in cerca di avventura e di predominio in Europa . La storia di un generale con poca esperienza, grande boria, una buona dose di fortuna e pochissimi scrupoli, che ha ingannato tutti persino uno che è stato definito il Filosofo della Storia del cui spirito si e’ compiaciuto di veder incarnato al passaggio sul suo cavallo bianco dopo la battaglia di Jena, e’ tutta racchiusa in quei pochi mesi che vanno dall’affidamento di esecuzione di un piano “impossibile” di aggiramento strategico al suo sostanziale fallimento, ma contemporaneo mascheramento a beneficio di quell’immaginario collettivo che proprio con Napoleone Bonaparte ha il suo abbaglio più macroscopico. Quello che verrà dopo sarà una conseguenza di questi controversi 18 mesi che imprimeranno tutto un altro corso alla storia umana con buona pace di quello stesso filosofo che a lui Napoleone Bonaparte lo aveva identificato come spirito della storia, quel filosofo che a parte notevoli forzature nello scibile umano, identificava il reale con il razionale e che parlava anche di astuzia della ragione . Non si ravvede nessuna identificazione tra reale e razionale nella vicenda sia della Rivoluzione francese sia del suo logico continuatore, anzi semmai uno stridere acutissimo e in quanto all’astuzia della ragione è un assioma mal posto: non c’è nessuna astuzia in una ragione che allestisce una recita di parti cercando di seguire un copione, ma semmai mala fede e volontà di …..ecco semmai non Hegel, ma piuttosto il Nietzsche della ….volontà di potenza; in quanto poi a quello che si intende per potenza, può benissimo essere scambiato con manipolazione e quindi volontà di aver ragione e se questa non si piega ai propri intenti, adattarla, proprio come impone il nuovo ordine inaugurato appena pochi decenni prima della rivoluzione francese, l’ordine della rivoluzione industriale che pone a suo referente generale, non l’uomo , ma la macchina, con la sua possibilità di essere costruita, assemblata, anche per singoli pezzi, e quando oramai troppo deteriorata, sostituita con una altra. Così la macchina Napoleone Bonaparte rivelatasi tanto proficua, una volta pervenuta alla conclusione della sua possibilità viene posta per così dire in stand-bay mandandolo a combattere in Egitto con la scusa di colpire gli interessi della nazione che si stava rivelando la più ostica ad accettare il nuovo principio della rivoluzione, antitetico al principio di legittimità dell’Ancien Regime: un campo d’azione facile e scevro di riscontri che potessero mettere in crisi tutto quel merito così facilmente, ma anche platealmente, conseguito: insomma proprio come si fa nel mondo del pugilato dove i grandi organizzatori e gli interessi che stanno dietro gli incontri, non vogliono rovinare la fama e anche l’integrità del giovane campione , magari un po’ fortunosamente pervenuto al titolo mondiale e gli si allestiscono incontri, non proprio truccati, ma insomma addomesticati, con avversari non di grosso calibro, per gonfiare un curriculum non ancora precisato. Scontri militari di esito scontato e in più una serie di operazioni di tutt’altro tenore per una Campagna quella d’Egitto che lo stesso oramai smaliziato Generale Bonaparte aveva proposto subito dopo la fine della campagna d’Italia, come alternativa ad una invasione dell’Inghilterra: difatti un aspetto che fu considerato come correlato alle conquiste militari fu l’aggregamento di un gruppo di insigni studiosi della Commission des Scienze et des Arts, oltre 150 guidati da Joseph Fourier per occuparsi di esplorazioni archeologiche, geografiche e storiche dell’Egitto, per avallare il principio che le forze della rivoluzione non operavano solo per sconfiggere la tirannide, ma anche per disvelare le forze della ragione, cosa che un oramai consumato attore come il Generale Napoleone Bonaparte non si lasciò certo scappare di enfatizzare. Difatti il gruppo di scienziati comprendeva anche una serie di chimici, fisici, matematici che diversificarono in maniera esemplare i dati raccolti e composero oltre 7000 pagine di approfonditi studi, di cui come è noto quello più eclatante fu la scoperta della Stele di Rosetta, che permise allo studioso Champollion di decifrare i geroglifici egizi. Una cosa è però certa: né la campagna d’Egitto, ne quella successiva di Siria, con le loro scontate vittorie militari influirono minimamente nel colpire gli interessi inglesi, però ecco proprio come nell’esempio del boxeur da aumentarne il prestigio con incontri di comodo, servirono ulteriormente ad aumentare la fama del giovane generale come la più fulgida emanazione dello spirito, non della Storia come avrebbe voluto Hegel, ma della Rivoluzione , si! Alla fine di tale esotica campagna difatti sembra quasi che Napoleone sia tornato in Francia come spinto da un impulso irresistibile e sovrastorico di rimettere le cose a posto con il famoso colpo di stato del 18 brumaio 1799. Ma anche in questa occasione come tutte le precedenti, la verità è di tutt’altro segno. Il 18 brumaio non è stato né concepito, né preparato da Napoleone, ma dal Direttorio raggruppassi attorno a Seyez, che aveva allestito ogni cosa e Napoleone fu ammesso a partecipare al complotto in virtù del suo prestigio (come abbiamo visto gonfiato) acquisito in Italia e anche nell’inutile ma suggestiva campagna d’Egitto: va notato che il Direttorio aveva pensato di servirsi di un altro Generale, magari meno gonfiato, ma molto più concreto e con truppe a disposizione come ad esempio Moreau, o Augereau o Bernadotte, ma ecco, proprio quel particolare di avere truppe a disposizione era si un elemento di sicurezza per il piano, ma era un qualcosa che avrebbe potuto incanalare il colpo di stato in una dittatura militare; ancora una volta il fortunoso Generale aveva un elemento a suo favore: quello di avere tutto il suo esercito in Egitto e a Parigi non avere nessuno che lo conosceva, nessun soldato, che fosse tenuto ad ubbidirgli. E difatti quanto successe a Saint-Cloud quel famoso 18 brumaio, sulle prime sembrò confermare le riserve che Seyes e il suo gruppo di complottisti avevano osservato scegliendo Napoleone: al momento di invadere il Parlamento i Granatieri che non conoscevano personalmente Napoleone non si sentirono legati ad alcun obbligo di marciare, e sembrò che tutto stesse lì lì per fallire ; il colpo di Stato riuscì perché Luciano Bonaparte si presentò non come fratello del Generale ma come Presidente del Consiglio dei Cinquecento, solo allora i soldati intervennero: Fu qui, in questa occasione che il generale senza esercito, ma con crescente spregiudicatezza riuscì a fare quello che gli riusciva meglio : il bluff ! …e con consumata abilità tornare a giocare la partita a cui lui doveva tutto e cioè l’avventura italiana e a rimettere nel piatto la posta di quell’apparente trionfo ed enorme prestigio cui la Francia intera nata giusto 10 anni prima dalla Rivoluzione dell’89, doveva il suo lustro. La presunta necessità di ristabilire l’ordine del trattato di Campoformio cui l’Austria nel periodo della sua assenza era tornata a rimetterne in discussione le clausole, era il pass partout che consentì a Napoleone di prevalere nel triumvirato con Seyez e Ducos, farsi nominare Primo Console e indire una seconda campagna d’Italia che cominciava nella maniera più appariscente e suggestiva possibile, con il rifarsi alla celeberrima traversata di Annibale delle Alpi. Qui siamo in un quadro assai differente di quello della prima campagna d’Italia, ora Napoleone in quanto Primo Console non deve più sottostare a piani precostituiti e fa di testa sua. La seconda coalizione antifrancese che si era costituita coi primi mesi del 1799 , questa volta ispirata soprattutto dalla Gran Bretagna e sempre imperniata sull’Austria con la preziosa alleanza della Russia, che aveva gettato nella bilancia tutto il suo numerosissimo esercito e che sulle prime era riuscita per merito del suo Maresciallo Suvorov a riconquistare gran parte dell’Italia settentrionale e abolire le varie Repubbliche ispirate alla Francese: la Cisalpina, ma anche quelle tipo la Napoletana e la Romana che si erano andate costituendo tra numerose potenze europee: Il 1799 era stato un anno turbo lentissimo da un punto di vista militare con alti e bassi da ambo le parti, bisogna dire però che già prima del ritorno sulla scena di Napoleone, le armate rivoluzionarie francesi in quel turbolento ultimo anno del secolo , avevano effettuato una serie di controffensive vittoriose come quella del Gen. Guillame Brune in Belgio che aveva respinto un esercito britannico sbarcato per aiutare gli alleati della coalizione e soprattutto quella del Generale Andrea Massena che aveva sbaragliato russi e austriaci a Zurigo, costringendo il Maresciallo Suvorov ad una disastrosa ritirata attraverso le montagne. Quindi anche il fatto che l’arrivo di Napoleone con la sua nuova Armata che aveva denominata “Armata di Riserva” sia coinciso con un radicale cambiamento di musica è vero solo in parte. Con l’inizio del nuovo anno lo Zar Paolo ritirava il contingente russo e l’Austria si ritrovò praticamente sola contro la Francia Anche il Generale Moreau d’altronde aveva ricominciato a muoversi sul Reno e con notevole successo, mentre Massena il grande, l’invincibile Massena ritiratosi per opportunità strategiche dalla Svizzera si era trincerato in Genova e l’aveva difesa strenuamente, tenendo impegnato il grosso dell’esercito e consentendo pertanto a Napoleone di effettuare il suo fantasioso e roboante piano di attraversamento delle Alpi .L'Armata di Riserva attraversò il Gran San Bernardo dal 14 al 23 maggio; le truppe, ostacolate dal forte di Bard e quasi prive di artiglieria, sbucarono con difficoltà nella pianura ad Ivrea e Bonaparte prese l'audace decisione di marciare subito su Milano per interporsi alla linea di comunicazioni dell'armata austriaca impegnata a Genova e ricercare una battaglia immediata e decisiva. Il 2 giugno l'armata entrò a Milano e quindi il Primo console avanzò verso sud, attraversò il Po, deviò verso ovest e raggiunse Stradella . Il 4 giugno però il generale Masséna aveva dovuto cessare la resistenza a Genova ed evacuare la città con le sue truppe ed il generale von Melas poté dirigere una parte delle sue forze contro Bonaparte. A questo punto il Cte Austriaco Melas pensò bene di radunare il grosso del suo esercito e attaccare battaglia, nella pioana di Marengo, cosa però che non fu affatto capita dal grande genio militare Napoleone Bonaparte che fece il netto contrario di quanto aveva fatto a Lodi: in quella battaglia cui lui stesso adduceva l’inizio del suo straordinario successo come stratega, aveva difatti scambiato una retroguardia per il grosso dell’esercito, qui a Marengo aveva fatto di molto peggio, aveva scambiato il grosso dell’esercito per una retroguardia e quindi aveva frammentato le sue forze nel territorio tra Stradella e Marengo , ivi compreso le due divisioni del valentissimo generale Dexais che lo aveva appena raggiunto dall’Egitto unendosi all’ultimo momento all’Armata di Riserva. Fatto a pezzi dalla disparità di forze in campo l’esercito francese sembrava irreparabilmente battuto e difatti il Generale austriaco Melas era smontato da cavallo per inviare dispacci a tutte le corti d’Europa che l’Armata di Napoleone era annientata. A Marengo il vincitore quindi non era stato Bonaparte, ma Dexais che disubbidendo agli ordini del suo superiore aveva rinunciato a raggiungere gli obiettivi da quello assegnategli, insospettito dal rumore delle artiglierie che non era quello di uno scontro con una retroguardia e era sopraggiunto alla piana di Marengo per lanciare le sue fresche divisioni contro un nemico convinto di avere vinto unitamente a quella frase che ancora oggi viene utlizzata per indicare una vittoria improvvisa e insperata “una battaglia è perduta!?” pare rispondesse a Napoleone che gli dettagliava la situazione “c’è il tempo di vincerne un’altra!” Grande Generale Dexais, pessimo Bonaparte che era caduto in una trappola come un principiante o comunque come di uno che di tattica e strategia ne masticava pochino; e vieppiù molto molto opportuno, il giovane subalterno che nello slancio dell’attacco aveva avuto il buon gusto (per Napoleone) di farsi attraversare il cuore da una palla nemica, che non gli aveva dato il tempo neppure di dire “ah” e di certo non quella litania che il solito teatralismo di Bonaparte, oramai non solo attore protagonista , ma egli stesso regista, anzi proprio come si dirà in seguito nella lingua francese per indicare lo specifico mestiere di chi è preposto a inventare storie “metteur en scene” , aveva imbastito a bella posta…. “muoio per la gloria del Nuovo Console e la grandezza della Francia” o balle del genere. Dexais a Marengo nel giugno e Moreau in Germania a Hoehnliden nel dicembre, consentirono al Primo Console Napoleone Bonaparte di ristabilire ed anzi rafforzare l’ordine di Campoformio, con due successivi trattati quello di Luneville con l’Austria (1801) e quello di Amiens con l’Inghilterra (1802) ed ergersi davvero come l’unico continuatore della Rivoluzione nonche’ arbitro della delicata situazione europea.Tra i fattori più rilevanti di tale nuova situazione la Repubblica Cisalpina si trasformava nella Repubblica Italiana con capitale Milano e Bonaparte Presidente, e alla Francia andava anche tutta la riva sinistra del Reno: sembra il trionfo dopo 13 anni dalla Presa della Bastiglia, ma è un equilbrio molto fragile perché fondato solo sulla forza delle Armate francesi e sulla capacità di bluffeur del suo Generale/Primo Console, che all’indomani di Amiens, già nel 1803 ne forzava le clausole, annettendosi il Piemonte la cui sorte non era stata regolata dal trattato. Comincia così quel “gioco al massacro” della guerra come unica possibilità, che avevamo già indicato come maledizione di un personaggio che non può far altro se vuole conservare il potere : guerra e….vincere, sempre vincere, quasi senza appello, come lui stesso in più di una occasione aveva rimarcato. A protestare per l’annessione del Piemonte è l’Inghilterra , ma ben presto anche Austria e Russia e poi anche Prussia saranno trascinate nel vortice. Se a questo punto ci fosse stato il generaluccio del ’96, molto probabilmente le cose non si sarebbero così prolungate, ma è doveroso ammettere che a questo punto il personaggio proclamatesi Imperatore aveva cominciato ad imparare anche il mestiere di Generale; la fortuna poi continuava a tenerlo sotto la sua protezione ed ecco la serie di battaglie che hanno enfatizzato la sua fama: Austerliz ! ecco questa si: sfolgorante vittoria che coronava tutta una serie di scontri vittoriosi minori attribuibili però più a singoli suoi sottoposti che a lui, Austerliz è comunque una grande vittoria, è una Rivoli ancora più magnifica che toglie dall’agone l’Austria costringendola al duro armistizio di Presburgo e l’Imperatore all’abdicazione, e almeno momentaneamente induce lo Zar Alessandro al ritiro del suo contingente dalla guerra. L’entrata in campo della Prussia riaccende la guerra, ma oramai non c’è che dire l’uomo delle gonfiature, delle vittorie di comodo enfatizzate da un potere opportunista e manipolatore, è diventato un esperto miltare e va osservato dispone di sottoposti di prim’ordine: il solito Massena, ancora Augereau, Bernadotte, Murat e nuovi nomi, Davout, Soult, Lannes, Brune, Ney tutti Grandi Signori della guerra : A Jena Napoleone sbaragliava i Prussiani , mentre nella stessa giornata il suo Maresciallo Davout travolgeva ad Austadt un secondo contingente prussiano . La battaglia successiva di Eylau contro Russi e Prussiani avrebbe dovuto rappresentare un campanello di allarme perché dopo oltre un anno di successi fu una vera e propria battuta d’arresto e la vittoria fu accreditata ai francesi solo perché con una abile manovra del proprio comandante Benningsen l’esercito russo effettuò una perfetta ritirata strategica e i Francesi rimasero padroni del ghiacciato e desolato campo di battaglia stracolmo di cadaveri. Qualche mese dopo oramai in estate, una netta e bella vittoria a Friedland fecero dimenticare la carneficina di Eylau e portarono all’armistizio di Tilsit , ma di lì a poco altre nubi cominciarono ad adombrare l’apparentemente fulgore dell’Impero: la campagna di Spagna e una seconda terribile battaglia-carneficina a Wagram, anche questa una sorta di vittoria di Pirro E’ sempre quella maledizione alla guerra continua di cui abbiamo parlato, ma è una maledizione che ha una struttura precisa, che risiede sempre nello spazio/tempo in cui tutto era cominciato, ovvero quella valle del Po in Italia dove un giovane inesperto generale era stato fatto passare per un novello Cesare con vittorie gonfiate, inesistenti e seguite da un meccanismo di accumulo di ruberie e gabelle cui il giovane generale aveva prestato un suo volenteroso talento. Wagram fu l’ultima vittoria di Napoleone di poi il destino cominciò a volgere il suo lato più oscuro e non ci fu più la fortuna a proteggerlo a dimostrargli il suo favore: Bisogna ammettere che come Generale era diventato bravino , in Russia a Lipsia, nella difesa dei confini francesi nel 1814 ed anche nella stessa Waterloo, più volte mostrò un oramai consumato talento militare “manovra l’artiglieria come una pistola” pare disse di lui Wellington, ma questa bravura non lo salvò dal disastro, dalla rovina senza più appello e a concludere tristemente la vita in un isolotto sperduto in un quotidiano struggente rimpianto. Una amarissima conclusione che in qualche modo faceva parte di quella ardimentosa teoria dell’azione scritta da un ufficialetto francese Guibert ai tempi degli scontri di Federico II e Maria Teresa, e che durante quella prima campagna d’Italia fu il breviario operativo del giovane generale Napoleone Buonaparte, cui restano affidate molte delle controverse azioni militari e civili in territorio italiano . La tesi del presente scritto è che a consuntivo l’intera vicenda dell’uomo Napoleone Bonaparte, può essere addotta proprio a quella prima campagna d’Italia del 1797/97: l’essere preso quasi casualmente e comunque con molti lati oscuri, ad attore protagonista di tutta una serie di manipolazioni abilmente condotte e propagandate da un potere corrotto e spregiudicato, la recita di una parte nella quale poi finì per identificarsi fino a dirigere lui stesso le scene successive, doveva per forza di cose consegnare il soggetto ad una totale dipendenza da tutte le varie maschere indossate. Chi ha sempre usato maschere non riesce più a disidentificarsi dalle varie rappresentazioni e finisce per non ritrovare più se’ stesso frammentandolo in tali rappresentazioni. Avrebbe detto Pirandello “uno, nessuno, centomila”