venerdì 16 febbraio 2024

LA COLLA MOSCHICIDA DELLA MASSONERIA ODIERNA

Terra Real Time  e' un gruppo che seguo su FB e che pubblica articoli sempre molto interessanti. ecco questo articolo esordisce sulle diverse terminologie che possono essere appiccicate ai massoni "Puoi chiamarli neoliberisti, monopolisti, privatizzatori, globalisti, neoliberisti, turbocapitalisti, golpisti bianchi..... ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodges, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: le Logge di segno neo-aristocratico, che se ne infischiano della democrazie, del potere politico, si sentono al di sopra di tutto e di tutti e puntano a dirigere loro il potere, secondo i loro piani  rimettendolo nelle mani di una non meglio precisata elite' con organizzazioni al loro servizio tipo le grandi catene economico-finanziarie, le lobbies industriali e anche istituzioni politiche non autorizzate che nessuno ha mai votato  tipo la Ue e le  sue Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza  e geopolitica, citando banche centrali e governi e  si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica.

Guardo sempre con infinita circospezione qualsivoglia associazione che si rifaccia alla massoneria, ma tuttavia in questo caso  voglio concedere una possibilita' di confronto a questo testo che si rifa' ad un personaggio che detesto, ma che in termini di efficacia , bisogna convenirne e' stato fin troppo efficace per il suo Paese: Franklkin Delano Roosvelt il quale a ben vedere si  si rifaceva all'unica voce di plausibilita' in tutto lo scibile di quella pseudo scienza che e' l'economia, ovvero John Maynard Keynes, che ovviamente tutto si definiva tranne che un economista. Continuiamo quindi a prestare attenzione alle parole di questi nostri nemici-amici:   una rivelazione importante : dietro ai principali tornanti della nostra
 storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali. «Se l’obiettivo era il ripristino del potere di classe delle élite, il neoliberismo era senz’altro la risposta giusta», premette il politologo britannico David Harvey nella sua “Breve storia del neoliberismo” (Il Saggiatore). Il neoliberismo come clava: privatizzazioni selvagge, attraverso una martellante propaganda ideologica esplosa negli anni ‘90: libertà d’impresa, Stato minimo, liberalizzazioni, deregulation. 
La “teologia” neoliberale non spiega tutto, se siamo stati globalizzati “a mano armata” lo si deve, anche e soprattutto, al «forte nesso esistente fra massoneria neoaristocratica e neoliberismo da una parte e fra neoliberismo e monopoli privati dall’altra». Un legame nascosto, non facile da individuare. «A prima vista, si direbbe che la libertà del mercato predicata dalla teoria neoliberista sia in contraddizione con i monopoli privati». Ma come si fa a predicare il libero mercato fondato sulla concorrenza, per poi cedere i beni pubblici come le autostrade «regalate agli amici della Casta»? La risposta la fornisce Magaldi nel suo bestseller: la vernice ideologica è servita essenzialmente come cosmesi, per coprire l’immane, brutale restaurazione neoliberista architettata da loro, i signori delle Ur-Lodges oligarchiche. Nulla a che vedere con le massonerie ordinarie, come il Grande Oriente e la Gran Loggia d’Italia, regolarmente registrate. il problema è il mondo, coperto e sovranazionale, delle Ur-Lodges, «un network di super logge che rappresentano l’élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) “iniziate” per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali, e provenienti da ogni angolo del pianeta». Club super-esclusivi, «la cui esistenza è sconosciuta ai più». Come agiscono, questi circuiti-ombra? Attraverso «i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission o il Bilderberg Group, che ne sono solo l’espressione più visibile e aperta». Ma la massoneria settecentesca non era stata il motore della modernità democratica? «La democrazia non l’ha portata in dono la cicogna», ricorda Magaldi: furono proprio le logge massoniche a incubare, cominciando dalla Francia, lo Stato di diritto e il suffragio universale. A qualcuno, poi, l’Ottocento e il Novecento hanno dato alla testa: se sai di essere l’architetto del mondo nuovo, può succedere che tenda a considerarlo di tua proprietà, sentendoti autorizzato a compiere qualsiasi manipolazione, dai golpe alle crisi finanziarie. Se non si capisce questo, sottolinea Magaldi, non si riesce ad afferrare la vera natura – profondamente oligarchica – del potere (prima occidentale, poi globale) che dagli anni ‘80 ha assunto il dominio del pianeta, ricorrendo sistematicamente all’abuso e alla violenza. Mai dimenticare, quindi, il ruolo decisivo delle superlogge, «che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale». Magaldi ne fornisce una mappa completa: ci sono quelle conservatrici (si chiamano “Edmund Burke”, “Joseph De Maistre”, “Compass Star-Rose”, “Pan-Europa”, “Three Eyes”, “White Eagle”, “Hathor Pentalpha”) ma non mancano quelle progressiste, di stampo rooseveltiano e keynesiano, che sostennero i leader progressisti del dopoguerra, fino ai Kennedy e alla stagione dei diritti civili negli Usa, aiutando paesi come l’Italia a non cadere sotto le trame golpiste. Il frutto più palpabile del loro lavoro, in Europa? Il sistema del welfare: ideato dall’inglese William Beveridge. Chi ne effettuò la più spettacolare applicazione? La Svezia di Olof Palme, altro supermassone progressista. Poi, dalla fine degli anni Settanta, le Ur-Lodges democratiche (“Thomas Paine”, “Montesquieu”, “Chistopher Columbus”, “Ioannes”, “Hiram Rhodes Revels”, “Ghedullah”) hanno perso terreno, di fronte allo storico attacco delle superlogge rivali, con le quali – a nostra insaputa – stiamo tuttora facendo i conti, ogni giorno. L’obiettivo dei neo-aristocratici? «Invertire il corso della storia , trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti». Lo stesso Magaldi ricorda che i supermassoni oligarchici hanno voluto «aumentare a dismisura il proprio potere materiale, mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni». Il loro piano: «Assurgere essi stessi, nell’incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell’era globalizzata». Dopo gli anni del boom economico e l’affermazione dei diritti sociali, ricorda Patrizia Scanu, la micidiale riscossa neoaristocratica è stata meticolosamente programmata negli anni ‘70. Le prove? «Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges “Three Eyes” ed “Edmund Burke”, e dal 1978 anche alla “White Eagle”». Fu proprio grazie all’impulso di queste superlogge, che Von Hayek e Friedman ottennero, rispettivamente nel 1974 e nel 1976, il Premio Nobel per l'Economia («che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi»). Il progetto era semplice: «Far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia». Ostacoli politici, all’avanzata dei restauratori? «Il nemico apparente era il socialismo, ma l’obiettivo vero era il keynesismo», ovvero la teoria del massone progressista inglese John Maynard Keynes, “cervello” del New Deal di Roosevelt che risollevò l’America dalla Grande Depressione, fino a creare – di riflesso – il boom economico anche in Europa. Come? Espandendo in modo formidabile il deficit, il debito pubblico strategico, per creare lavoro, fino a realizzare la piena occupazione. Di qui la reazione dell’élite, spaventata da tutto quel benessere piovuto sulle masse: «Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l’intervento regolatore dello Stato in economia  e la diffusione del welfare», scrive Patrizia Scanu. «Fu l’ideologia neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu programmata a tavolino dalle superlogge reazionarie».  Economia  e geopolitica:  Sempre “loro”, in azione. Ovunque: «Erano massoni neoaristocratici i leader politici che applicarono le ricette neoliberiste in economia nei loro paesi». Per esempio Augusto Pinochet in Cile: «Il colpo di Stato del 1973 fu promosso dalle Ur-Lodges “Three Eyes, di cui era membro Henry Kissinger, fra le menti dell’operazione Condor, e “Geburah”. E che dire di Margaret Thatcher (in quota alla “Edmund Burke”), spietata madrina del neoliberismo nel Regno Unito? Ma la contro-rivoluzione non coinvolse il solo occidente: Deng Xiao Ping, che introdusse l’economia  di mercato in Cina, era affiliato alla “Three Eyes”. Ronald Reagan? A sua volta membro della Ur-Lodge “White Eagle”, «di cui facevano parte due presidenti della Federal Reserve, Paul Volcker e Alan Greenspan, artefici delle politiche monetarie neoliberiste». Nella “White Eagle” anche William Casey e Antony Fisher, i fondatori del Centre for Economic Policy Studies, importante think-tank neoliberista. «Fra i consiglieri economici di Reagan vi erano numerosi economisti neoliberisti provenienti dalla paramassonica Mont Pelerin Society», fondata dall’austriaco Von Hayek e poi retta, a lungo, dal futuro ministro berlusconiano Antonio Martino. Riletta così, la nostra storia  recente risulta più comprensibile: fu un’iniziativa neoaristocratica anche la pubblicazione del celebre volume “The Crisis of Democracy”, avvenuta nel 1975 a cura di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki («massoni reazionari tutti e tre, affiliati alla “Edmund Burke” e alla “Three Eyes”»,  Il volume «concluse un lungo periodo di attività e di elaborazione di strategie da parte di numerose Ur-Lodges neoaristocratiche», iniziato negli anni 1967-68 con la fondazione della potente “Three Eyes”. «Fu il manifesto pubblico e propagandistico con il quale si voleva attirare il consenso dei massoni moderati», raccontando che la “crisi ” era dovuta – tu guarda – a un “eccesso di democrazia . Troppi diritti, troppa uguaglianza, troppa partecipazione da parte dei cittadini. Il saggio «sosteneva l’importanza dell’apatia delle masse verso la politica , da raggiungere mediante il consumismo e il disgusto verso la corruzione». Al tempo stesso, «proponeva la ricetta per riportare il governo saldamente nelle mani di un’élite, trasformando la democrazia  in oligarchia». Questo era il progetto: svuotare di contenuto la democrazia, usando – come strumento – la diffusione del “credo” neoliberista. Un’epidemia diffusasi a macchia d’olio sulle due sponde dell’Atlantico: nel 1978 fu creata la super-segreta “White Eagle” «per portare Margaret Thatcher al governo nel Regno Unito e Ronald Reagan negli Usa
Poi, a ruota, sempre alla “White Eagle” furono affiliati gli italiani Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta, «che nel 1981 furono gli artefici del primo clamoroso passo verso la liquidazione dell’Italia come potenza economica, attraverso la mai abbastanza vituperata separazione fra Banca d’Italia e Tesoro, che privò il nostro paese della sovranità monetaria, rendendoci schiavi delle banche private». Una svolta sciagurata, «che avviò la perversa spirale del debito». Lo documenta in modo perfetto l’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: «Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico». Ciampi, Andreatta e De Mita avevano un obiettivo preciso: «Cedere la sovranità nazionale, pur di sottrarre potere a quella che consideravano la classe politica più corrotta d’Europa». Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese si trovò in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipitò: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esplose, letteralmente, fino a superare il Pil. Non era un “problema”, un infortunio. Al contrario: era esattamente l’obiettivo voluto. Cioè: «Mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione». Degli investimenti pubblici da colpir «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Tutti d’accordo, ai vertici dell’élite neoliberale: al piano anti-italiano partecipò anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smise di investire nella produzione delle auto e preferì comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquistava più, i tassi erano saliti alle stelle. Amputando lo Stato, la finanza pubblica si era trasformata in un ghiottissimo business privato.
Fu così che, di colpo, l’industria passò in secondo piano: da lì in poi, sarebbe dovuta “costare” il meno possibile. 
«In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta ancora Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo. E quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari, invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione». Avevano fatto un ottimo “lavoro”, i nostri Ciampi e Andreatta, manovrati dalla “White Eagle” reaganiana e thatchriana, avanguardia dell’élite occulta che, in capo a undecennio, avrebbe poi licenziato – usando Mani Pulite – i “ladri” della Prima Repubblica, per prendersi l’Italia in blocco, lasciando lo Stato in bolletta e i cittadini in mutande. E’ abbastanza deprimente, scrive Patrizia Scanu, scoprire – oggi – che i campioni delle storiche privatizzazioni degli anni ‘90 erano, tutti, massoni neoaristocratici. Le famigerate e scandalose dismissioni e privatizzazioni all’italiana furono supervisionate dalla regia del massone neoaristocratico Mario Draghi, «affiliato alle Ur-Lodges “Pan-Europa”, “Edmund Burke” e in seguito anche alla “Three Eyes”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “White Eagle”». Draghi agiva in qualità di direttore generale del ministero del Tesoro, carica-chiave che rivestì dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001. Quelle privatizzazioni selvagge furono quindi inaugurate «per conto terzi» sotto il primo governo di Giuliano Amato (1992-93), poi proseguite dal governo Ciampi (1993-94), dal primo governo Berlusconi (1994-95), quindi dal governo di Lamberto Dini (1995-96), dal primo esecutivo guidato da Romano Prodi (1996-98), infine dal governo D’Alema (1998-2000) e poi dal secondo governo Amato (2000-2001). «L’immarcescibile e granitico Mario Draghi – scrive Magaldi – diresse le operazioni ininterrottamente per un decennio, mentre a Palazzo Chigi si avvicendavano ministri e premier del tutto compiacenti (da destra, centro e sinistra) al piano di doloso smembramento e immotivata (sul piano dell’interesse pubblico) svendita a potentati privati di beni e aziende di proprietà del popolo sovrano». Tutto cominciò nel 1992. Vogliamo ricordare che cosa fu privatizzato? Lo illustra Francesco Amodeo su “Scenari Economici”. Il ‘92, scrive Amodeo, «è l’anno in cui in soli 7 giorni cambia il sistema monetario italiano, che viene sottratto dal controllo del governo e messo nelle mani della finanza speculativa». Per farlo «vengono privatizzati gli istituti di credito e gli enti pubblici, compresi quelli azionisti della Banca d’Italia». Sempre il ‘92, è l’anno in cui «viene impedito al ministero del Tesoro di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (il costo del denaro alla sua emissione), che viene quindi ceduto a privati». Non solo: «È l’anno della firma del Trattato di Maastricht e dell’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità». A continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato «ci penserà Massimo D’Alema, che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno». Se invece di “cartello finanziario internazionale” leggiamo “massoneria aristocratica sovranazionale” capiamo di colpo il nesso chiarissimo che tiene insieme privatizzazioni, neoliberismo e cessione di sovranità monetaria: prima con la separazione fra Tesoro e banca centrale e poi con il sistema dell’euro. Non manca il legante politico: il Trattato di Maastricht è un capolavoro neoliberista.. Cervello dell’operazione? Loro, le Ur-Lodges neoaristocratiche. «Soprattutto, appare chiaro che l’Europadei tecnocrati e dell’euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall’Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall’immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potereun’élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee». Il neoliberismo, sottolinea Patrizia Scanu, era un’ideologia costruita appositamente per questo fine, «cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, dei vincoli europei, del rapporto deficit-Pil, dell’austerity e infine dello spread». Micidiale, la “teologia” neoliberista: basata su dogmi di cartapesta, ma perfettamente funzionale al piano di restaurazione oligarchica. «Fu diffusa capillarmente finanziando università, centri di ricerche, think-tank, per soppiantare il “capitalismo dal volto umano” e dei diritti sociali che era stato delineato da Keynes e che vedeva come scopo delle politiche economiche la piena occupazione e il sostegno alla domanda interna». Mentre esalta a parole il libero mercato e lo “Stato minimo”, l’ideologia neoliberista «lavora per costruire monopoli, rendite di posizione, consorterie di privati che si arricchiscono a spese della collettività e assurdi vincoli all’espansione economica, come il pareggio di bilancio». Una sua caratteristica? «La continua confusione di pubblico e privato, con le “sliding doors” fra cariche istituzionali e incarichi privati e con i complessi conflitti di interesse». Ogni paese applica la ricetta a modo suo, ma con lo stesso risultato: «Disuguaglianze, povertà, disoccupazione, compressione dei diritti e insicurezza». Non sono “effetti collaterali” del neoliberismo, applicato alle politiche degli Stati: sono il loro vero obiettivo. «Per conseguirlo, occorre comunque la complicità dei governanti locali, che restano quindi i veri responsabili di questo scempio criminale». Una controrivoluzione inesorabile, catastrofica: il progetto è continuato anno dopo anno, con lo smantellamento pezzo a pezzo del welfare e delle tutele del lavoro, del settore pubblico, della scuola, della classe media, «per culminare con il governo Monti nel 2011 e con quel terribile tradimento bipartisan del popolo italiano (votato dal Pd di Bersani e dal centrodestra di Berlusconi, sotto lo sguardo
vigile di Giorgio Napolitano, massone neoaristocratico affiliato alla “Three Eyes”), che fu l’introduzione dell’equilibrio di bilancio (supremo dogma neoliberista) nella Costituzione, che ci condanna per sempre al dissanguamento economico, almeno finché non verrà rimosso». Fu allora che Monti (anche lui, dice Magaldi, massone affiliato a una Ur-Lodge, la “Babel Tower”) si disse soddisfatto per aver distrutto la domanda interna. L’eterno supervisore, Mario Draghi – ormai seduto sulla poltronissima della Bce – osservò che tutto stava andando per il meglio: l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procedeva a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l'europa
 del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il Fiscal Compact, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile». L’unica soluzione? Privatizzazione quel che ancora c’èra da razziare. Il declassamento dello Stato, secondo l’uomo che la Germania ha voluto alla guida della Bce, avrebbe assicurato più «equità» al sistema, aprendo spazi meno precari ai giovani attualmente privi di garanzie: per Draghi, la causa della disoccupazione non è stata la crisi mondiale della crescita, ma l’eccesso di tranquillità di chi invece il posto fisso ce l’ha (e se lo tiene stretto). Tutto da rifare: «Il modello sociale europeo è oggi superato», disse il super-banchiere di Francoforte. In una intervista al “Wall Street Journal”, l’ex dirigente strategico della Goldman Sachs gettò alle ortiche oltre mezzo secolo di “pax europea”, cresciuta al riparo del miglior sistema mondiale di welfare. D’ora in poi, ciascuno avrebbe dovuto lottare duramente, per sopravvivere, perché gli Stati – in via di smantellamento, neutralizzati con l’adozione della moneta unica da prendere in prestito a caro prezzo dalla Bce – non avrebbero più potuto garantire protezioni sociali: attraverso il Fiscal Compact, i bilanci sarebbero stati prima validati a Bruxelles e, dal 2013 in poi, nessuno Stato europeo avrebbe più potuto investire un euro per i propri cittadini, al di là della copertura del gettito fiscale. «Occorre dunque andare a fondo e guardare dietro la superficie per comprendere chi ci ha derubati della nostra ricchezza, chi ha tradito la Costituzione e ha svenduto la nostra vita e il nostro paese per arricchire un’élite spietata e immeritevole», conclude Patrizia Scanu. «Sarà la storia a giudicare questa sciagurata operazione di rapina ai danni di tutti noi, perpetrata sotto il nostro naso e sotto tutte le bandiere politiche, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d’altro». Ora è il momento di aprire gli occhi: «La tragedia di Genova è un terribile monito per tutti noi», scrive la segretaria del Movimento Roosevelt: «O ci riprendiamo diritti, le sovranità, oppure saremo schiavi per sempre». Non ci credete? Seguite i soldi: «Le incredibili concentrazioni di ricchezza che esistono adesso, ai livelli più alti del capitalismo, non si vedevano dagli anni Venti. Il flusso dei tributi verso i maggiori centri finanziari del mondo è stato stupefacente». Quello che però è ancora più stupefacente, aggiunge Scanu, è l’abitudine a trattare tutto questo come un semplice – e magari in qualche caso deprecabile – “effetto collaterale” della neoliberalizzazione. «La sola idea che questo aspetto possa invece costituire proprio l’elemento sostanziale a cui puntava la neoliberalizzazione fin dall’inizio – la sola idea che esista questa possibilità – appare inaccettabile». Certo, il neoliberismo «ha dato prova di molto talento presentandosi con una maschera di benevolenza, con parole altisonanti come libertà, indipendenza, scelte e diritti, nascondendo le amare realtà della restaurazione del puro e semplice potere di classe, a livello locale oltre che transnazionale, ma in particolare nei principali centri finanziari del capitalismo globale», afferma David Harvey. Ma, appunto, dire “neoliberismo” non basta, così come non bastano le espressioni élite, oligarchia- Qui ci sono anche nomi e cognomi: quelli del   supermassonico reazionario. «Leggendo il libro di Magaldi, si possono trovare i nomi di tutti i politici italiani e stranieri coinvolti nella distruzione dell'Europa. Così, chiosa Patrizia Scanu, «può esserci più chiaro quali responsabilità abbiano i rappresentanti del popolo (di destra, di centro e di sinistra) che abbiamo votato, ignari e in buona fede, per tanti anni». 

LE SCHIFEZZE SOSTENIBILI

 

Non cessano le polemiche sull'uso alimentare di insetti, sia apparecchiati direttamente in tavola a mo' della tradizione cinese, sia sotto forma di farine, polveri essiccate e quant'altro: le riprovazioni specie da noi in Italia sono numerose e anche accorate, ma non manca qualche adesione, non a caso sempre da parte dei soliti noti/idioti pseudo buonisti e iper democratici, che si riempiono la bocca con parole coniate a bella posta dal vocabolario della ipocrita sinistra, molte prese a prestito dall’idioma made in English/USA, ma qualcuna anche autoctona tipo quel termine “sostenibile” che gia’ uno degli antesignani servi della mentalita’ neoliberista dei bottegai al potere, Enrico Berlinguer l’uomo dei reiterati fallimenti, quello che non ne ha azzeccata una,  assurto a modello carismatico del sinistrismo democratico, molto poco comunista , ma tantissimo consumista e neo liberista,  aveva utilizzato  per caratterizzare uno sviluppo che doveva rivelarsi una ennesima sua “toppata”. Sono stati  visti degli spot pubblicitari di fabbriche dedite appunto a questa "sostenibile" attivita' e  come 

fatto cenno precedentemente cio' ha ulteriormente acuito la polemica tra chi continua a sostenere la tesi secondo cui mangiare insetti aiuterebbe a combattere l'inquinamento ambientale e a sfamare più persone in modo "sostenibile" appunto (eh si gli insegnamenti degli incompetenti e falliti sono duri a morire) e chi ritiene che si tratti di un vero e proprio orrore alimentare, anzi diciamola tutta : una vera e propria schifezza. Ma proprio questa secondo tipo di reazione , che specie in un paese come il nostro (e comunque stante la tradizione culinaria io ci metterei anche la Francia, la Spagna, la Grecia e perche’ no anche le ottime tradizioni in tal senso dell’Ungheria, della Boemia, un po’ di tutta l’area balcanica ) induce a nutrire qualche dubbio. Possibile che le multinazionali della UE  si dispongano ad una commercializzazione di prodotti così  controversi, con obiettivamente poco riscontro negli usi e nelle abitudini alimentari  di una buona maggioranza delle popolazioni europee? C’e’ un filmato che viene  diffuso in questi giorni sui social  che mostra una fabbrica di questi pseudo imprenditori che gia’ sono avviati  in una simile operazione, ma la cosa da piu’ di falso di “un bollettino di guerra napoleonico”, si diceva un tempo, oggi diremmo meglio:  di un articolo di Repubblica, o della Stampa o anche del Corriere della Sera, di un Tg della Tv pubblica o privata che sia, di una dichiarazione di tragica emergenza da parte di un politico o ancora peggio di un pseudo esperto  virologo,
che appare a mo’ di spot pubblicitario. Ed anche le varie fabbriche che richiamano appunto quel vocabolo alla Berlinguer "sostenibile"  anche loro sembrano piuttosto farlocche.   Perche’ i miei appunti e assai spesso degli articoli di altri personaggi ovviamente di valore, non vadino perduti o comunque non finiscano nel dimenticatoio di qualche vecchio notes o di un social che accavalla i cosidetti post con velocita’ quasi galattica, ho preso l’abitudine di trasferirli su uno dei miei blog, magari non il principale, sicche’ per quanto possa essere prolifica tale abitudine, ci sara’ sempre un ordine e una notevole facilita’ di reperimento.
Così nel presente caso, ho riportato larghi tratti di un articolo dell’ottimo giornalista e opinionista Giorgio Bianchi, che e’ molto piu’ esperto e piu’ addetto ai lavori di me 
 di me in numerose faccende, specie quelle agro-alimentari. Ebbene Giorgio Bianchi in merito a questa faccenda della commercializzazione di insetti e schifezze varie si chiede  “Davvero pensate che le grandi multinazionali alimentari “alleveranno insetti” e li venderanno, congelate, in pasta o essiccate?  Non avete idea dei costi di un simile processo; io SI ... e anche LORO!”  Tutta questa manfrina e can can sulla commercializzazione di insetti, serve a ben altro e l’ottimo Giorgio Bianchi ce lo spiega al dettaglio :  “Per lavoro ho avuto a che fare con diversi produttori di pasta, i quali mi hanno spiegato come funzionano i meccanismi di approvvigionamento.Se una partita di grano proveniente dal Canada mostra muffe e funghi
quel grano DOVREBBE essere distrutto e non utilizzato per impieghi alimentari. Un doppio costo: perdita della materia prima e smaltimento del rifiuto. Ed allora cosa fanno? Mischiano il grano con altro, fino a raggiungere una “soglia” di “accettabilità”; chiaramente, diversi enti oscuri si impegnano a “ritoccare” i limiti di legge, così da facilitare l’operazione. CHIARO? 
Ora, per favore, vogliate comprendere che qui siamo di fronte allo stesso meccanismo: grandi partite di farina per uso alimentare SVILUPPA I VERMI (che poi divengono farfalle); a chi non è successo di vederlo in casa propria? Invece di scartare la farina come “prodotto non idoneo all’uso alimentare umano”, s’inventano l’arricchimento proteico! In buona sostanza, vogliono rifilarvi un prodotto marcio, compromesso e inutilizzabile, che le leggi fino a ieri  imponevano di non impiegare e smaltire come rifiuto. Come lo fanno? Decidendo, PER LEGGE, che quella merda è “arricchimento proteico”!!! E voi … giù a discutere di grilli e cavallette! Poi, quando fra qualche mese si vedrà che … niente cavallette e grilli negli scaffali, qualche tonto esulterà pure, dicendo “abbiamo vinto noi”. In verità, vi starete già MANGIANDO QUELLA MERDA, ma nelle merendine, nel pane, nella pasta e in ogni altro prodotto che includa le farine”

In buona sostanza quello che sostiene Bianchi e’ che si tratta solamente di una questione di gradualita’ : prima c’erano delle leggi che in qualche modo ci salvaguardavano, imponendo standard  di tolleranza, con il via libera della UE, ci sara’ piena  liberta’ di commercializzare farine,  prodotti marci, deteriorati e quant’altro,  spacciandoli per arricchimento proteico. Questa è la storia di grilli,  cavallette e vermi che e’ una ulteriore conferma di come i “soliti noti” che eccellono sempre per quel furbastro della mentalita’ bottegaia , manipolano con grandissima facilità le masse ovvero “i soliti idioti” che al contrario, in settecento anni di subordinazione al principio economico della bottega e dei suoi prodotti buoni, ma anche cattivi, addirittura guasti, non hanno mai mostrato particolare capacità intellettiva e di discernimento. Oggi come ieri, niente di nuovo sotto il sole : bottegai furbastri con i loro garzoni, masse di creduloni irretite da menzogna e tenute a bada con la paura, come e’ successo nel 1348 , nel 1528, nel 1630, nel 1919 ed appena ieri nel 2020 : false grandi pandemie utilizzate come volano per far passare le peggiori malefatte  del sistema detto “economia di mercato “

 

domenica 11 febbraio 2024

DI PARA PATTA DA CARL SCHMIT

La parola greca che designa la prima misurazione, da cui derivano tutti gli altri criteri di misura; la prima occupazione di terra, con relativa divisione e ripartizione dello spazio,  la suddivisione e distribuzione originaria, è nomos. Questa parola, intesa nel suo significato originario, legato allo spazio, è quella che meglio si presta a rendere l’idea del processo fondamentale di unificazione di ordinamento e localizzazione. La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto. Ciò allude a una triplice radice dei concetti di diritto e di giustizia. In primo luogo la terra fertile serba dentro di sé, nel proprio grembo fecondo, una misura interna. Infatti la fatica e il lavoro, la semina e la coltivazione che l’uomo dedica alla terra fertile vengono ricompensati con giustizia dalla terra mediante la crescita e il raccolto. Ogni contadino conosce l’intima proporzione di questa giustizia. In secondo luogo il terreno dissodato e coltivato dall’uomo mostra delle linee nette nelle quali si rendono evidenti determinate suddivisioni. Queste linee sono tracciate e scavate attraverso le delimitazioni dei campi, dei prati e dei boschi. Nella varietà dei campi e dei terreni, nella rotazione delle colture e nei terreni a maggese, esse sono addirittura impiantate e seminate. E' in queste linee che si riconoscono le misure e le regole della coltivazione, in base alle quali si svolge il lavoro dell’uomo sulla terra. In terzo luogo, infine, la terra reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Famiglia, stirpe, ceppo e ceto, tipi di proprietà e di vicinato, ma anche forme di potere e di dominio, si fanno qui pubblicamente visibili. Così la terra risulta legata al diritto in un triplice modo. Essa lo serba dentro di sé, come ricompensa del lavoro; lo mostra in sé, come confine netto; infine lo reca su di sé, quale contrassegno pubblico dell’ordina-mento. Il diritto è terraneo e riferito alla terra. E' quanto intende il poeta quando, parlando della terra universalmente giusta, la definisce justissima tellus. Il mare invece non conosce un’unità così evidente di spazio e diritto, di ordinamento e localizzazione. E' vero che anche le ricchezze del mare, pesci, perle e altro, vengono ricavate dall’uomo con un duro lavoro, ma non — come accade per i frutti della terra — secondo un’intima proporzione di semina e raccolto. Nel mare non è possibile seminare e neanche scavare linee nette. Le navi che solcano il mare non lasciano dietro di sé alcuna traccia. « Sulle onde tutto è onda ». Il mare non ha carattere, nel significato originario del termine, che deriva dal greco charassein, scavare, incidere, imprimere. Il mare è libero. Questo significa, secondo il recente diritto internazionale, che il mare non costituisce un territorio statale e che esso deve restare aperto a tutti in modo. Una modalita’ preferenziata di comunicazione potrebbe essere quella di rivolgersi “a chi di ….” no, no!  non  “…di competenza” , ma piuttosto  “a chi di eguale” per tre ambiti tra loro molto diversi dell’attività umana, e cioè la pesca, la navigazione pacifica e la belligeranza. Così almeno si legge nei manuali di diritto internazionale. E' facile immaginare cosa diventi in pratica questo eguale diritto alla libera utilizzazione del mare nel momento in cui si crea una collisione nello spazio, quando ad esempio il diritto alla libera pesca o il diritto di un neutrale alla navigazione pacifica si scontra con il diritto di una forte potenza marittima alla libera belligeranza. La medesima superficie di mare, egualmente libera per queste tre attività, dovrebbe allora diventare allo stesso tempo lo scenario e il campo d’azione sia di un lavoro pacifico, sia dell’attività bellica propria di una moderna guerra marittima. Allora il pacifico pescatore può pescare pacificamente proprio nel punto in cui la potenza marittima belligerante è libera di piazzare le sue mine, mentre il neutrale può navigare liberamente proprio là dove i belligeranti possono annientarsi reciprocamente con mine, sommergibili e aerei. Tutto ciò però riguarda già problemi tipici di una situazione moderna complessa. Originariamente, prima della fondazione di grandi imperi marittimi, il principio della libertà del mare sanciva qualcosa di molto semplice: cioè che il mare costituisce una zona libera, di libera preda. Qui il corsaro, il pirata, poteva svolgere il suo malvagio mestiere in buona coscienza. Se aveva fortuna, trovava in una ricca preda la ricompensa per la rischiosa impresa di essersi avventurato nel mare libero. Il termine pirata deriva dal greco peiran, che significa provare, tentare, osare. Nessuno degli eroi di Omero si sarebbe vergognato di essere figlio di un simile pirata che sfida con audacia la propria fortuna. In mare aperto non vi erano infatti né recinzioni né confini, né luoghi consacrati né localizzazione sacrale [sakrale Ortung], né diritto né proprietà. Molti popoli rimanevano sulle montagne, lontano dalle coste, senza perdere mai l’antico pio timore del mare. Virgilio profetizzò nella quarta egloga che nell’età felice che stava per giungere la navigazione non sarebbe più esistita. Anzi, in un testo sacro della nostra fede cristiana, l’Apocalisse di san Giovanni, leggiamo della nuova terra, purificata dal peccato, che su di essa non ci sarà più mare: ή θάλασσα ούκ έστιν ετι. Anche molti giuristi appartenenti a popoli di terra conoscono questo timore del mare. Esso si ritrova ancora in certi autori spagnoli e persino portoghesi del XVI secolo. Un famoso giurista e umanista italiano di questo periodo, Alciato, sostiene che la pirateria è un crimine con circostanze attenuanti. « Pirata minus delinquit, quia in mari delinquit». In mare non vale alcuna legge. Solo con la nascita di grandi imperi marittimi o, secondo l’espressione greca, talassocrazie, anche in mare si stabilirono sicurezza e ordine. Coloro che turbavano l’ordine così stabilito decaddero allora al rango di comuni delinquenti. Il pirata venne dichiarato nemico del genere umano, hostis generis humani. Ciò significa che fu espulso e bandito dai sovrani degli imperi marittimi, privato di ogni diritto e proscritto senza tregua. Simili estensioni del diritto nello spazio del mare libero sono avvenimenti della storia universale di portata rivoluzionaria. Le definiremo occupazioni di mare. Gli Assiri, i Cretesi, i Greci, i Cartaginesi e i Romani nel Mediterraneo, gli Anseatici nel Mar Baltico, gli Inglesi su tutti i mari, hanno « occupato il mare » in questo modo. «The sea must be kept», il mare deve essere occupato, così si esprime un autore inglese. Ma le occupazioni di mare diventeranno possibili solo in uno stadio successivo dello sviluppo dei mezzi di potere a disposizione dell’uomo e della coscienza umana dello spazio.I grandi atti primordiali del diritto restano invece localizzazioni legate alla terra. Vale a dire: occupazioni di terra, fondazioni di città e fondazioni di colonie. In una definizione medioevale delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, ripresa nella prima parte del famoso Decre-tum Gratiani (attorno al 1150), è indicata con estrema concretezza l’essenza del diritto internazionale: «Jus gentium est sedium occupatio, aedificatio, munitio, bella, captivitates, servitutes, postliminia, foedera pacis, induciae, legatorum non violandorum religio, connubia inter alienigenas prohibita». Ciò significa letteralmente: il diritto internazionale è occupazione di terra, fondazione di città, fortificazione, guerre, prigionie, servitù, illibertà, ritorni dalla prigionia, alleanze e trattati di pace, armistizi, inviolabilità degli ambasciatori e divieti di contrarre matrimonio con stranieri. L’occupazione di terra compare al primo posto. Del mare non si fa menzione. Nel Corpus Juris Justiniani (ad esempio Dig., De verborum significatione, 118) si trovano definizioni simili, nelle quali si parla di guerre, di diversità tra popoli, di imperi e di confini, e soprattutto del commercio e del traffico (commercium) quale essenza del diritto internazionale. Varrebbe la pena di confrontare e di considerare su un piano storico le singole componenti di tali definizioni. Sarebbe comunque più sensato che non richiamarsi alle astratte definizioni concettuali, conformate a cosiddette norme, che si trovano nei moderni manuali. Quella sommaria elencazione medioevale è tuttora istruttiva, ed è la definizione più concreta di ciò che chiamiamo diritto internazionale. Alle occupazioni di terra e alle fondazioni di città è infatti sempre legata una prima misurazione e ripartizione del suolo utilizzabile. Nasce così un primo criterio di misura che contiene in sé tutti i criteri successivi. Esso resterà riconoscibile fìntanto che la costituzione rimarrà riconoscibilmente la stessa. Ogni successiva relazione giuridica con il suolo del territorio ripartito dalla tribù o dal popolo occupante, ogni istituzione di una città protetta da mura o di una nuova colonia sono determinati da questo criterio originario di misura, e ogni giudizio ontonomo, ontologicamente giusto, procede dal suolo. Limitiamoci quindi dapprima ad un esame dell’occupazione di terra in quanto atto primordiale che istituisce diritto. All’inizio della storia dell’insediamento di ogni popolo, di ogni comunità e di ogni impero sta sempre in una qualche forma il processo costitutivo di un’occupazione di terra. Ciò vale anche per ogni inizio di un’epoca storica. L’occupazione di terra precede l’ordinamento che deriva da essa non solo logicamente, ma anche storicamente. Essa contiene in sé l’ordinamento iniziale dello spazio, l’origine di ogni ulteriore ordinamento concreto e di ogni ulteriore diritto. Essa è il « mettere radici » nel regno di senso della storia. Da questo radicai title derivano tutti gli altri rapporti di possesso e di proprietà: proprietà comune o individuale, forme di possesso e di godimento pubbliche o private, di diritto sociale e internazionale. Da questa origine trae nutrimento — per usare le parole di Eraclito — tutto il diritto seguente e tutto ciò che in seguito sarà ancora emanato mediante atti di posizione e comandi. Anche la storia del diritto internazionale fino ad oggi conosciuta è una storia di occupazioni di terra. Ad esse si sono aggiunte in determinate epoche le occupazioni di mare. Il nomos della terra si fonda così su un rapporto determinato tra terraferma e mare libero. Oggi i concetti di terraferma e di mare libero sono stati entrambi profondamente trasformati, tanto nel loro significato intrinseco, quanto nel loro rapporto reciproco, da un nuovo avvenimento spaziale: la possibilità di un dominio sullo spazio aereo. Cambiano non solo le dimensioni della sovranità territoriale, non solo l’efficacia e la rapidità dei mezzi umani di potere, di comunicazione e di informazione, ma anche i contenuti dell’effettività. Quest’ultima possiede sempre un aspetto spaziale e rimane sempre, tanto nel caso delle occupazioni di terra e delle conquiste, quanto nel caso delle barriere e dei blocchi, un importante concetto di diritto internazionale. Muta inoltre, in seguito a ciò, anche la relazione tra protezione e obbedienza, e quindi la struttura del potere politico e sociale stesso, e il rapporto tra questi e altri poteri. Ha inizio così un nuovo stadio della coscienza umana dello spazio e dell’ordinamento globale.Tutti gli ordinamenti preglobali erano essenzialmente terranei, anche se comprendevano domini marittimi e talassocrazie. Il mondo originariamente terraneo venne trasformato nell’epoca delle scoperte geografiche, quando la terra fu per la prima volta compresa e misurata dalla coscienza globale dei popoli europei. Nacque con ciò il primo nomos della terra. Esso si fondava su un determinato rapporto tra l’ordinamento spaziale della terraferma e l’ordinamento spaziale del mare libero, e fu portatore, per quattro-cento anni, di un diritto internazionale eurocentrico, lo jus publicum Europaeum. A quel tempo, nel XVI secolo, fu l’Inghilterra che osò muovere il primo passo da un’esistenza terranea a un’esistenza marittima. Un passo ulteriore venne compiuto con la Rivoluzione industriale, nel corso della quale la terra fu nuovamente compresa e misurata. E' essenziale il fatto che la Rivoluzione industriale fosse partita dal paese che aveva portato a termine il passaggio a un’esistenza di tipo marittimo. È questo il punto che permette di avvicinarci al segreto del nuovo nomos della terra. Fino ad oggi un solo autore, Hegel, si era approssimato a questo arcanum; citiamo pertanto le sue parole al termine di questo corollario: « Come per il principio della vita familiare è condizione la terra e la salda proprietà fondiaria, così per l’industria è il mare l’elemento naturale che la vivifica e le dà impulso verso l’esterno ». Questa citazione è estremamente significativa al fine di prognosi ulteriori. Ma prima di tutto dobbiamo prendere atto di una differenza elementare. Non è infatti la stessa cosa se la struttura di un mondo industrializzato e tecnicizzato, che l’uomo costruisce sulla terra con l’aiuto della tecnica, assuma quale propria base un’esistenza terranea o invece un’esistenza marittima. Oggi sembra d’altra parte già possibile pensare che l’aria divori il mare e forse persino la terra, e che gli uomini stiano trasformando il loro pianeta in una combinazione di depositi di materie prime e di portaerei. Vengono quindi tracciate nuove linee di amicizia al di là delle quali cadono bombe atomiche e all’idrogeno. Malgrado ciò noi continuiamo a nutrire la speranza di riuscire a penetrare il regno di senso della terra, e che siano gli spiriti pacifici a possedere il regno della terra.

 

 

 

 

TERRA-MARE : SCHMITT CON JAYNES

  Terra e Mare , proprio oggi che la tensione tra l'ultima vera potenza di terra la Russia e la naturale  erede della tradizione di mare...