martedì 30 marzo 2021

FACCIE DI-VERSE


i miei sforzi per porre un distinguo tra sintomo e simbolo, tra io penso come coscienza ed es come inconscio , alla fin fine si sono rilevati sballati: non a caso per tale proposito avevo posto le due facce di una stessa medaglia; ecco in verità sono appunto la stessa entità, non puoi considerare l'una senza tenere a mente la seconda, pena il disconoscimento di una parte di informazione che giustappunto tale oggetto comporta : in genere al volto del sovrano che questa rappresenta, quindi una certa socialità (chessò Cesare, Nerone, Costantino, Napoleone , il Kaiser Gugielmo, Re Umberto ) corrisponde nell'altra faccia il nome del decorato o una incisione rappresentativa e caratteristica, quindi la totalità del messaggio. Così è per il conscio e l'inconscio, ovvero per il sintomo e il simbolo: non può essere che il primo potesse essere peculiarità di un singolo e il secondo di un collettivo... come magari la pressione dell'attuale contingenza poteva spingermi a ritenere : una pandemia non è il passaggio tra l'uno e i molti, ma semplicemente il moltiplicarsi di tanti io e il moltiplicarsi di tanti es: tant'è che il sintomo dell'affezione delle vie aree del corpo (genericamente polmonare) ha un impianto simbolico nel suo riferirsi alla paura e quindi ad un certo foglietto embrionale: l'endoderma che si attiva con un solo determinato organo in relazione ad una sola emozione (quella di perdere il boccone aria, ovvero morire). Avremo quindi un "sun -thomos" (accadere insieme ) nei termini del mantenere un certo stato di adattamento all'ambiente nel significato specifico e condensato(metaforico) di un corpo in relazione al contesto ed avremo in contemporanea o quasi, un "sum-bolon" (ri-mettere insieme) che denota invece un trascinamento di significante (tutto il sentito dire di quel termine) che va a informare il desiderio di quella stessa entità biologica (metonimia) ovvero non stare (parte di sè preposta al mantenimento del suo stato) ma tornare (tornare da dove la stessa entità ha una rappresentazione non di mantenimento, ma di ritorno) ritorno da dove si è venuti, ovvero de-siderio .Come ho già fatto presente questo significa disporsi secondo una modalità che ricalca la Fisica Quantistica, o meglio è proprio Fisica Quantistica: i diavoletti di Maxwell, l'equazione e collasso d'onda di Schrhodinger, il principio di Indeterminazione di Heisenberg, etc.




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lunedì 29 marzo 2021

FINO A CAMPOFORMIO

 

Diciamolo: tutti noi studiando sui libri di storia anche abbastanza specifici, siamo stati soliti non porre questo grande distinguo nel periodo analizzato: in genere dopo la battaglia di Rivoli si ha avuto la tendenza a fare un bel saltino fino al trattato di Campoformio, quasi che i mesi primaverili, estivi ed estivi di quel 1797 siano stati la logica ed anche un tantino scontata continuità dei tanto strombazzati fatti d’armi dei mesi precedenti. Addirittura il film Napoleon di Abel Gance chiude alla prima ventilata notizia delle scaramucce di Dego, Millesimo o allo scontro di Cairo Montenotte (scontro non battaglia e con protagonista Massena non Bonaparte): sono quasi certo che se nella cinematografia non fosse entrato in scena il sonoro e Gance avesse potuto realizzare la sua seconda parte del film, avrebbe enfatizzato solo l’armistizio di Cherasco, sorvolando sulle battute di arresto a Ceva, financo al ponte di Lodi o ad Arcole per riprendere la sua cinepresa sul campo di Rivoli e di volata a Campoformio. La storia ha fatto lo stesso, una storia non approfondita e circostanziata quale invece si evince dal saggio che ha dato ispirazione a questo scritto del più volte citato Guglielmo Ferrero. Al contrario i fatti che si susseguono in quella primavera estate sono molto ma molto più rilevanti delle scaramucce e anche diciamolo delle ruberie operate dallo spregiudicato generale comandante in capo dell’Armata d’Italia che forse l’unica nota di distinguo dal solerte esecutore di piani altrui, va individuata nella particolare abilità nel mettere in atto uno spregiudicato operare in battaglia, o meglio di concerto alle battaglie, secondo le disposizioni di un trattatello di venticinque anni prima di un semisconosciuto ufficiale francese (Guibert) che si rifacevano ad un perfezionamento e ad una accentuazione della particolare strategia e soprattutto logistica delle compagnie di ventura dei secoli XIV e XV incentrate sulla razzia dei territori di volta in volta occupati, senza alcuna distinzione tra stati nemici o neutrali. Ma ecco che all’improvviso quella che è stata tramandata una estate senza apprezzabili novità, né scosse, quasi un automatico scivolare verso il trattatto di Campoformio, nel suo appropinquarsi riservava grossi colpi di scena , difatti sul finire di maggio era insorta Genova domandando a gran voce una costituzione tipo Repubblica francese e anche cispadana e quella in fieri della Cisalpina . Grossa bega per Bonaparte che di certo non aveva nessuna voglia di di prendersi sulla schiena la responsabilità di una nuova repubblica e quindi si limitava ad una generica accettazione di una nuova costituzione analoga a quella delle Repubbliche citate ma sempre presieduta dal Doge in carica . Mentre quindi cercava di svincolarsi da questa nuova magagna e si adoperava per l’organizzazione della Cisalpina, ecco che il 19 giugno arrivò il classico fulmine a ciel sereno : la Corte di Vienna invece di convalidare le pur favorevolissime clausole dei preliminari di Leoben (riva sinistra del Reno, Passau, Salisburgo, Repubblica di Venezia, linea dell’Adige) chiedeva una convocazione a Berna di uno speciale Congresso, cosa che fece non poco infuriare Bonaparte, ma cosa molto più importante accentuò lo scetticismo oramai diffuso del Paese verso il partito Rivoluzionario. Uno scetticismo che certo il tira e molla della situazione in Italia e soprattutto le ultime vicissitudini non più militari, ma diplomatiche , alimentavano spingendo la gente a farsi domande in merito alle avventure vissute in tutto quell’ultimo anno e mezzo che probabilmente non era il classico “tutto oro quel che riluce “ Ho ipotizzato che una persona come Lazare Carnot , uno della sua poliedrica cultura, della sua intelligenza , della sua esperienza, fosse senza dubbio l’ultima persona che poteva essersi fatto trascinare dalla sorta di enfasi collettiva al seguito di dubbissime vittorie campali ed anche dello spregiudicato comportamento del Generale comandante in capo dell’Armata, più simile a quello di un brigante di strada (bhe ammettiamolo di molte strade) o di un bucaniere, che di un Signore della guerra; quindi era chiaro che su Carnot e sulle sue sempre più pronunciate perplessità, che lasciavano intendere dei propositi Realisti di controrivoluzione, facessero corpo in seno al Direttorio, non solo le opposizioni più estreme di Barras e Reubell, ma soprattutto fuori del Direttorio, proprio la voce degli eserciti , o meglio dei loro più o meno improvvisati Generali (anche Hoche era ad esempio un ufficiale coetaneo di Napoleone che come lui aveva fatto una fulminea carriera ) che erano quelli che, dovendo il loro grado proprio alla Rivoluzione, più di tutti avevano da temere da una sollevazione Realista. Era sempre più esigua la parte della popolazione francese, specie quella più colta e intelligente, che continuava a credere nelle farse dei bollettini di guerra, degli infiammati proclami di cui indubbiamente Bonaparte era maestro, e invece cominciava a propendere per una verità molto meno romantica e avventurosa, ma più aderente ad una realtà concreta : c’erano state tante battaglie dal marzo dell’anno precedente, ma queste non avevano certo portato a nessuna vittoria definitiva, né tanto meno l’Austria era stata battuta, anzi a ben vedere e i preliminari di Leoben parlavano chiaro, era di fatto la vera vincitrice: si prendeva la storica, prestigiosissima e ricchissima Repubblica di Venezia, al posto di qualche cessione territoriale in Lombardia per la creazione di razzaffonate Repubbliche popolari che, uno come Carnot ad esempio, sapeva bene che non sarebbero durate più dei giorni tra Santo Stefano e San Silvestro. In quanto poi a questo novello Alessandro, a questo stratega alla Giulio Cesare ? su cosa poggiavano queste sue qualità? : su qualche scontro con retroguardie, tra l’altro neppure ben condotte, che avevano visto un molto più proficuo intervento dei suoi Generali sottoposti, primo fra tutti Massena, e in seconda battuta Augereau, piuttosto che lui (a Cairo Montenotte , a Lodi, sul Mincio, ad Arcole, a Castiglione e perfino a Rivoli; Bravo anzi bravissimo ad applicare alla lettera le strategie di razzie, ruberie e assoluta mancanza di etica morale di condotta di guerra, come teoricamente ipotizzato da un ufficiale della precedente generazione in un suo libello del 1773, un certo Guibert di cui però il più informato cultore era un altro dei suoi generali in immediato sottordine, il parecchio più anziano Serurier classe 1742 che il Guibert lo aveva conosciuto personalmente. Tutto questo Carnot lo sapeva al massimo grado e quindi ne costituiva il polo d’attrazione, ed ecco perché Bonaparte con il classico “io so che tu sai che io so“ doveva essere il generale che più di tutti aveva da perdere in caso di colpo di stato realista e quindi il più propenso ad impegnare tutte le sue forze per scongiurarlo e favorire invece il partito della Rivoluzione. Il 29 giugno glissando sulle contrarietà di Vienna ai preliminari di Leoben, aveva accelerato i tempi per la costituzione della Cisalpina con capitale Milano e quasi un mese dopo vi aveva fatto confluire le Delegazioni Pontificie di Bologna, Ferrara e Ravenna . Si dovra’ comunque aspettare il trattato di Campoformio il 17 ottobre perché l’Austria riconoscesse ufficialmente la nuova Repubblica, permettendone l’annessione dello Stato del Mantovano e i territori veneziani tra l’Oglio e il Benaco e della Valtellina, avendone in cambio la Repubblica di Venezia, il cui trattato sancì il passaggio dalla Francia all’Austria Per l’intanto nel luglio 1797 la situazione interna della Francia si andava incanalando verso lo scontro e andavano prendendo sempre più corpo le avvisaglie di un colpo di Stato realista facente capo a Carnot e al nuovo Presidente del Direttorio De Barthelemy che ne era una emanazione . Il 14 luglio la commemorazione della Presa della Bastiglia di 8 anni prima fu quasi del tutto disertata dalla popolazione di Parigi, di concerto però si moltiplicavano le proteste dell’Esercito che proclamava la propria fedeltà alla Rivoluzione e dichiarava la propria indisponibilità a sostenere qualsivoglia sollevamento in senso Realista e Cattolico. Come abbiamo visto il Comandante dell’Armata d’Italia era il generale che più aveva da perdere da una simile eventualità ed era quello più minaccioso che difatti utilizzava un altro dei suoi indubbi talenti, quello di lanciare infuocati proclami ai soldati perché fossero di monito ai governanti e al popolo tutto : quello stesso giorno dell’anniversario della Bastiglia, quasi a contrappunto della tiepidezza cittadina della commemorazione , difatti ecco che si produceva in uno dei suoi roventi discorsi “la patria non può correre pericoli” tuonava “gli stessi uomini che l’hanno fatta trionfare, ne preparano la rovina….”delle montagne ci separano dalla Francia : le valichereste con rapidità dell’aquila se occorresse di salvaguardare la Costituzione!” Il giorno seguente 15 luglio, Bonaparte traduceva il vago appello alle sue truppe in una precisa missiva al Direttorio dove invitava chiaramente la parte repubblicana a servirsi dell’esercito per eliminare i tentativi di colpo di stato “ distruggete l’opposizione con le nostre baionette!” intimava. Tutto il restante mese di luglio ed agosto si mantenne su questa duplice possibilità e la cosa finì per arrivare alle orecchie dei diplomatici austriaci che cominciarono a utilizzare il pretesto di una revisione dei preliminari di Leoben, puntando sulla parte di una vittoria del partito Realista che senza dubbio sarebbe stato molto meno intransigente in quanto a concessioni . Bonaparte aveva accettato una conferenza a Udine per ridiscutere di alcuni punti, ma nel contempo aveva mandato a Parigi il più roboante e genuino giacobino dei suoi sottoposti, ovvero il Generale, ma ex popolano, ex soldato di ventura, ex sottufficiale, ex disertore, ma anche indomito e audacissimo comandante Pierre Augereau, perché si mettesse a disposizione di Barras, Reubell e Larevellier per appoggiare ogni tentativo controrivoluzionario . Grande grandissima incertezza in quei roventi giorni estivi, altro che la calma quasi piatta e di ratifica delle trattative come una certa storiografia ha voluto farci intendere. Tra l’altro in merito alla conferenza di Udine oramai gli austriaci glissavano in attesa che si verificasse quell’auspicato colpo di stato e quindi il suicidio della Rivoluzione, mentre Bonaparte era sempre più in tensione perché sapeva che non avrebbe potuto riprendere la guerra (impensabile una ripresa della teoria Guibertiana) e nel contempo era preoccupato per la piega che potevano prendere gli avvenimenti. La piega delle trattative era sempre sullo strappare qualche pezzo in più di concessione, sopratutti in Belgio e sulla riva del Reno che in Italia dove i giochi erano oramai fatti, tanto più che sul fronte interno francese, i tre Direttori della Rivoluzione, forti dell’appoggio di Augereau, si decisero finalmente ad agire per un colpo di stato si, ma di tendenza opposta a quello Realista e nella notte tra il 3 e 4 settembre 1797 arrestarono 54 deputati di tale fazione compreso il Presidente per spedirli alla Guayana , mentre Carnot riuscì a fuggire in Svizzera . Napoleone, rassicurato dalla eliminazione della fazione che sempre più era andata mettendo in dubbio le sue vittorie e che aveva contestato le trattative di Leoben tornava ad essere lo spregiudicato giocatore di un tempo, riacquistava quindi la sua sicurezza e diciamo anche la sua arroganza, in parole povere tornava di colpo il novello Alessandro, il conquistatore d’Italia , l’invincibile mentre di converso i plenipotenziari austriaci con la brusca interruzione della soluzione Realista in Francia , convenivano che oramai era il caso di adoperarsi per una pace, ovviamente cercando di prendere i maggiori vantaggi possibili . A questo punto si andava diritti verso lo spirito del Trattato di Campoformio trattato di Campoformio che fu firmato nella Villa Manin di Passariano il 17 ottobre 1797 dal generale Napoleone Bonaparte comandante in capo dell’Armata d’Italia e dal Conte Johan Ludwig Josef von Cobenzl in rappresentanza dell’Austria: non si creda anche nei 10 giorni che portarono alla firma non mancarono le estenuanti discussioni per qualche briciolo di territorio, ma oramai le parti erano più che stabilite: un Napoleone sempre più tracotante e una Austria sempre ben disposta a fargli credere di esserlo e quindi lasciarlo fare, purche ‘ non venissero inficiate le clausole che la portavano ad un aumento di territorio, prestigio e ricchezze senza pari. Non c’era più Carnot che forse era l’unico che potesse smascherare sia questa messa in scena, con tanto di gioco delle parti sia dei preliminari di Leoben che della loro ratifica a Campoformio, così come con tutta probabilità, era l’unico che conoscesse la verità sulla messa in scena delle scaramucce trasformate in grandi battaglie con l’eccezionale gonfiatura di carriera del giovane generale Bonaparte.

domenica 21 marzo 2021

Aggiornamento RECITA DI UNA PARTE (3^)

 

La risposta dell’Arciduca non si fa attendere ed è un rifiuto. Si fa sempre più forte in Napoleone la smania di sapere cosa fanno le 2 Armate di Moreau e Hoche, ma oramai è come obbligato dal suo gioco ed avanza ancora fino a Judenburg; la situazione era tale per la quale, se voleva conservare un minimo di credibilità nel bluff, doveva continuare ad avanzare, sperando in uno scontro vittorioso che gli desse un po’ di linfa, ma Carlo glissa e finisce per ritirarsi, lasciandogli terreno aperto fino a Neutmark. Come nella migliore tradizione della scuola militare austriaca si tratta di una perfetta ritirata strategica che rende vane le conquiste, specie in un campo che non è piu’ quello italiano, mentre di converso per il Guibertismo dell’Armata francese rimane solo l’impianto psicologico di spaventare la corte austriaca con l’avvicinarsi a Vienna, ma il 5 di aprile c’è il colpo di scena della richiesta di una tregua che due Generali dell’Arciduca vengono a chiedergli. Ovviamente non gli sembra vero di concedere tale tregua fino al 13 aprile e riprende la litania delle lettere al Direttorio dove oltre alla solita tiritera del perché le due armate in Germania non si muovono, torna sulla necessità di pervenire ad un armistizio arrivando anche a proporre i territori da concedere all’Impero facendo cenno all’intero Ducato di Milano “se la negoziazione non andasse a buon fine” dice chiaramente “sarei imbarazzato sul partito da prendere, certamente cercherei di attirare il nemico in battaglia per batterlo, ma questo potrà essere possibile solo se le Armate del Reno venissero in mio soccorso, ma se resteranno ferme e inattive, là dove sono tutt’ora, dovrei ritornare in Italia ”In questi febbrili giornate, datata 18 germinale anno V, ovvero quella stessa giornata del 7 aprile 1797, c’è una importantissima risposta del Direttorio, una lettera molto lunga e articolata nel solito stile possibilista, dove però per la prima volta si fa cenno alla prospettiva di fondare una nuova Repubblica ad integrazione della Cispadana, che raggruppi tutti i territori di qua e di là del Po “ecco cittadino generale il piano che dovete seguire, ne deriva che se qualche circostanza obbligasse il governo francese ad abbandonare le terre di Milano e Mantova all’Austria, per fare la pace, non ne avremmo disdoro….” Vi e’ quindi la solita sviolinata finale alla grandezza del suo operato, con quel tono possibilista e un po’ scarica responsabilità che ha sempre caratterizzato l’intera politica del Direttorio “Il Direttorio esecutivo si rimette interamente a voi per la perfetta esecuzione di questo piano: esso è convinto che qualunque sia la soluzione, che voi sarete sempre guidato dal vostro attaccamento sincero alla Repubblica che servite e ai principi di libertà, non può diffatti dubitare dello zelo di cui avete dato prove così chiare e in così gran copia” Qui mi rimetto integralmente ad un passo del libro di Ferrero che addirittura lo storico ebbe modo di esaminare di persona questa lettera la cui minuta si trova negli Archivi Nazionali nel Registro particolare dei decreti e deliberazioni segrete, pag.97 n.306 .”lo sapevano cosa facevano…” scrive Ferrero “….i 5 Direttori firmando tale lettera??? Me lo sono chiesto guardando, non senza una certa commozione la ingiallita carta della minuta…. di certo no, perché l’importanza di questo documento è enorme e si riverbera ancora nella storia del mondo .” Necessario a questo punto fare un breve inciso per vedere chi erano questi “Direttori” che subito dopo il sollevamento contro Robespierre, Saint Just e Couthon, erano ascesi alla guida del Paese e che ora si rendevano i reali protagonisti, anzi i veri artefici di quello che sarà uno degli elementi di maggiore novità del mondo moderno: il primo dei cinque quello che più di tutti aveva contribuito alla caduta di Robespierre, era Paul Barras quarantenne, proveniente dalla piccola aristocrazia, ex ufficiale dell’esercito, dimessosi per un alterco con il Ministro della Marina, un gaudente crapulone, in nomea di frequentare bordelli e case da gioco, pieno di amanti, avido e intrigante, fu grazie a lui che la carriera dell’oscuro Generale di Divisione Napoleone Bonaparte prese il volo, dato che come regalo di nozze del giovane generale con la sua più ingombrante e pretenziosa delle amanti la creola Josephine Beauharnais vedova di un Generale ghigliottinato dalla Rivoluzione, offrì appunto il Comando dell’Armata d’Italia. Molto legato a Barras e altro membro del Direttorio, che nel 1796 ne divenne Presidente era Jean Francois Reubell un avvocato alsaziano cinquantenne, che aveva fatto parte sia dei Giacobini che del Club dei Foglianti, persona molto ambigua e calcolatore: con tutta probabilità fu lui il principale artefice di quel far recitare la parte del grande condottiero al giovane e inesperto generale,specie in considerazione delle enormi entrate che lui uomo molto versato negli affari economici, aveva visto affluire nelle Casse dello Stato grazie alla politica guibertiana di conquiste e razzie operata dal suo nuovo pupillo. La corrente filo repubblicana di estrazione più giacobina costituiva la maggioranza e comprendeva anche il molto meno rilevante Larevellier , mentre la destra in odore di “realismo” che faceva capo a Lazare Carnot, comprendeva un Generale del Genio Retourneur, firmatario della lettera del 7 aprile, ma il mese successivo sostituito dal De Barthelemy, onesto legislatore autore della Pace di Basilea, ma del tutto sprovvisto di esperienza e acume politico .Veniamo quindi a Lazare Carnot classe 1753 senza dubbio il membro più rappresentativo del Direttorio e non solo, ma probabilmente uno degli uomini più insigni della Rivoluzione e dell’intero Paese : insigne matematico, fisico, Generale, aveva svolto un ruolo di primissimo piano in tutta la Rivoluzione, membro del Comitato di Salute Pubblica , era anche stato il grande organizzatore dell’Esercito repubblicano rivestendo un ruolo decisivo nella costituzione delle armate rivoluzionarie e financo nella direzione delle operazioni belliche con il suo grado di Generale , tant’è che Napoleone si rivolgeva spesso e volentieri direttamente a lui in merito a questioni di strategia politica e militare : In merito a tutta la tesi di questo scritto, nessuno mi toglie dalla testa che un uomo del calibro di Carnot non ce lo vedo a farsi troppo partecipe della montatura sul nuovo generale e quindi costituire per questi una sorta di continua minaccia per quella fama acquisita in circostanze così eccezionali e anche manipolate. Non è quindi un caso che il sempre più gonfiato Generale che nell’autunno del ’97 si stava avviando alla conclusione della sua controversa avventura italiana, pensò bene, nella sorta di pronunciamento ordito da Barras e Reubell proprio contro Carnot accusato di Realismo, di prendere la parte dei primi due e addirittura inviare il proprio Generale Augereau a farsi braccio armato del colpo di stato e quindi a imprigionare De Bethlemy, mentre Carnot fuggì in Svizzera, furono inoltre arrestati un gran numeri di Deputati e i tre Direttori rimasti Barras, Reubel, Ralevellier pubblicarono un Manifesto nel quale dissero che era stato ordito un complotto realista sventato grazie alla vigilanza del Governo e la fedeltà dell’Esercito. Facciamo quindi ritorno, dopo questo inciso anche un tantino proiettivo sui membri del Direttorio, che come abbiamo fatto cenno concepirono la sistemazione del territorio di tutti i territori al di qua e al di la’ della valle del Po italiana, ovvero una chiara nettissima formulazione della repubblica cisalpina, certo non andando troppo per il sottile sulla composizione di tale nuova espressione politica e demandando al generale Cte dell’Armata la decisività in merito ai territori che dovevano costituirla e quelli che dovevano invece essere oggetto di baratto per ottenere la pace con l’Austria. Una lettera che sfata un altro dei miti più consolidati dell’aura napoleonica, e cioè che, lui e solo lui sia stato l’ideatore e il realizzatore, prima della repubblica cispadana, poi della repubblica cisalpina, in altre parole i prodromi della futura unità d’Italia, dalle cui suggestioni e quindi spirito e’ rimasto a tutt’oggi il simbolo più celebrato: quello della bandiera tricolore, bianco, rosso e verde, a somiglianza dei colori della Repubblica francese e della Rivoluzione; la novità estrema della lettera del 7 aprile 1797 risiedeva nel fatto che il Direttorio in un melange di consiglio/ordine sollecitava Napoleone di creare in italia uno stato cuscinetto della Rivoluzione con la particolare clausola che non il popolo si dichiarasse sovrano, ma la sovranità doveva essere una sorta di imprimatur della Francia e quindi della Rivoluzione. Era questo il senso della ulteriore “avventura” che l’evoluzione della Rivoluzione stava per realizzare in Italia , e questo bisogna ammetterlo era di una novità sconvolgente : fino ad allora nella storia del mondo il principio di legittimità che giustificava il potere era sacro, ma ecco che all’improvviso tale principio era messo in dubbio da una forza anomala che pretendeva di sostituirlo con un altro principio: la sovranità del popolo , non disdegnando che tale principio fosse portato sulle punte delle baionette di un esercito comandato da un più o meno improvvisato condottiero. Ancora una volta assistiamo alla forzatura di un mito che riguarda appunto questo condottiero, la storiografia e anche quel tanto di immaginario storico/collettivo, che non risparmierà quasi nessuno (abbiamo citato l’episodio di Hegel il filosofo dello Spirito che vuole dopo la battaglia di jena , cioè una decina di anni dopo gli eventi che stiamo affrontando, andare di persona a veder passare lo Spirito della Storia e cioè lui” le petite Caporal “ come lo avevano soprannominato i soldati ) attribuiscono ancora oggi, l’iniziativa della formazione di questo nuovo Stato al genio di Bonaparte ammirandola come una quasi inconscia confutazione del principio di legittimità e una spassionata adesione a quello della sovranità dei popoli, si sono sbagliati . Bonaparte non fu che un esecutore degli ordini di Parigi . In termini pratici, diciamo che le cose andavano mettendosi bene, o meglio bene, dato che l’Austria aveva chiesto una proroga della tregua e quindi il bluff sembrava riuscire, il punto però è un altro : gli accorti statisti austriaci, politici ma anche militari, si erano convinti che le proposte di pace avanzate dal generale potevano essere addirittura più convenienti di una vittoria sul campo, difatti scartata la eventualità di cedere territori in Germania e la città di Magonza assolutamente incedibili, perdere il Milanese come la proposta che perorava la costruzione di una nuova Repubblica richiedeva, per un ulteriore esperimento di plastica rivoluzionaria poteva essere più che accolta se l’Austria avesse potuto rifarsi coi territori della Ex Repubblica di Venezia oramai in mano francese, che tra l’altro erano in uno stato di grande agitazione e quindi molto propensi a sottrarsi al giogo rivoluzionario ; in verità anche questo fatto delle agitazioni addirittura rivolte aveva spinto sia Napoleone che il Direttorio a prendere in serissima considerazione la cessione all’Austria del Veneto in cambio di territori in Germania o in Lombardia. Una delle due proposte di pace difatti offriva indennità italiane e le offriva proprio dove l’Austria le voleva nella ex Repubblica di Venezia . Il 15 aprile diciamo che le trattative andavano prendendo corpo,nella città di Leoben , con piena soddisfazione austriaca che attirata dal miraggio di annettersi tutto il Veneto, con confine il Tagliamento, il Friuli, la Dalmazia e l’Istria era disposta a cedere territori anche in Belgio, mentre per Napoleone e il Direttorio si apriva la possibilità di fondare quel secondo stato cuscinetto come ipotizzato dalla lettera di neppure 10 giorni prima . Militarmente si addiveniva, sempre lì a Leoben ad una proroga della tregua purchè le negoziazioni fossero portate a termine in 5 giorni. Finalmente anche Napoleone sembrava essersi scaricato di tutte le sue tensioni e apprensioni, difatti , per Guibertiano che fosse non aveva in realtà pensato mai di attaccare Vienna, ben sapendo che senza il congiungimento con le Armate in Germania , le sue forze erano del tutto insufficienti ed anzi esposte ad un contrattacco in un territorio sconosciuto. Il 18 aprile a Leoben venivano firmati i preliminari di pace, in una febbrile impazienza da ambo le parti: quella di Bonaparte e della Francia per quella spasmodica ricerca di una conclusione del conflitto che non inficiasse la recente gloria acquisita dalle sue truppe della Rivoluzione e la fama del suo giovane Comandante in capo e nel contempo desse una continuità a quel concetto di rivoluzione permanente, faro del nuovo principio di sovranità popolare di cui doveva essere emanazione il nuovo Stato della Repubblica Cisalpina, palesemente delineato nella Lettera dei Direttori del 7 aprile, che veniva appunto creato dall’acquisizione del Ducato di Milano che finiva per annettere anche la precedente entità della Repubblica Cispadana; da parte austriaca al fatto di ottenere tutto il territorio della ex Serenissima che rappresentava senza dubbio uno strepitoso successo della sua diplomazia, anche se no apparentemente della sua Manu militari, difatti il Belgio e il Ducato di Milano erano ben poca cosa rispetto ad un territorio di 4 milioni di abitanti, appartenente alla più splendida e civile regione d’Europa, quale era la Sereneissima Repubblica di venezia . Con tale annessione l’Impero avrebbe acquistato un’imponente unità geografica dal Danubio al Po, ergendosi a faro dell’intera Europa. Incredibili quei preliminari di Leoben, davvero una sfaccettatura di una delle più colossali mistificazioni della storia, una mistificazione in verità che assicurava però due principi per alcuni versi antitetici, ma per altri complementari: Napoleone e la Francia rivoluzionaria si erano , per così dire “calati le braghe” purche’ fosse conservata quell’aura di invincibilità delle Armate della Rivoluzione, l’altisonante retorica dei suoi bollettini di guerra, il Generale giovane e fulmine di guerra e vieppiù quel senso di faro dei popoli e del principio di libertà che metteva in ombra il principio di legittimità dell’Ancien regime, ecco un po’ quello spirito d’avventura quale il titolo dato da Ferrero al suo saggio, che aveva trovato il suo manuale d’istruzione e d’uso in un libello di venticinque anni prima di un ufficiale francese Guibert che era stato di guida a Napoleone e non solo a lui ma a tutta la classe militare francese, salvo però, a consuntivo a dover venire a patti coi vecchi tromboni dell’antico ordinamento, che potrà apparentemente perdere tutte le battaglie, ma finisce per vincere la guerra. Cosa importava se nessuno dei Generali Austriaci poteva vantare una serie impressionante di vittorie come quelle strombazzate e enormemente gonfiate di Bonaparte: sulle infiammate righe dei bollettini non si stava a sottilizzare se Ceva, il ponte di Lodi, Arcole o addirittura Rivoli non erano poi state quelle folgoranti vittorie, ma spesso e volentieri solo scontri con retroguardie tra l’altro sempre accompagnate da perfette ritirate strategiche del nemico, quel nemico che ora però otteneva territori quale mai appena qualche mese prima , nessuno, imperatore, arciduca, feldmaresciallo avrebbe avuto l’ardire financo di immaginare: La repubblica di Venezia non era difatti un piccolo principato, ma era in Europa il diadema piu’ rappresentativo della tradizione ed ora con una cessione di cui lo stesso Bonaparte assicurava di occuparsi dei termini formali della concessione, addirittura dichiarandosi pronto ad occupare militarmente la stessa città, per poi cederla all’austria . Insomma diciamo che se il Direttorio era stato responsabile dell’invasione in Italia, come prodromo per un più vasto piano di aggiramento del fronte germanico e Bonaparte non era stato che l’esecutore dei suoi ordini, ora il ventottenne generale è il maggiore responsabile della distruzione della Serenissima, qui difatti fa mostra del suo talento più manifesto, che no! non è la valenzia nelle armi, nè un particolare acume tattico o meno che mai strategico, bensì una propensione per la macchinazione, l’inganno, la manipolazione di idee e di fatti, uniti ad uno spirito accumulatore e truffaldino da venditore di fiera: Venezia è solo l’ultimo tassello di una mentalità accaparratrice che magari, ecco non si può dire di bassa lega, ma anzi di proporzioni fino ad allora inusitate, mentalità e prassi operativa, cominciata come correlato alle prime battaglie specie dopo l’armistizio di Cherasco, che aveva visto il Piemonte uscire dalla guerra, coinvolgendo con la massima disinvoltura non solo il nemico in armi ma soprattutto paesi neutrali e inermi imponendo gabelle, indennità in denaro e in beni di consumo e artistici. Guibertismo, senza dubbio, ma portato alle estreme conseguenze, pronto a sacrificare qualsiasi principio di eticità, di correttezza, anche di onore, pur di conseguire un risultato utile e non solo utile, ma che potesse essere spacciato per tale. Certo anche la Corte di Vienna è come se si fosse trovata commensale più che entusiasta al festino dell’accaparramento, specie con la posta altissima della Repubblica di Venezia, come detto lo Stato più prestigioso dell’intera Europa - riprendedo la nostra metafora del gioco del poker :” piatto ricco mi ci ficco” l’Austria fa mostra, o meglio “non mostra” del più raffinato spirito del giocatore. Si racconta di un Napoleone più tardo, ai tempi delle famose sfolgoranti vittorie Austerliz, Jena o fatte passare tali tipo Eylau o Wagram dicesse che i regnanti dell’Austria o degli altri grandi Stati dell’Ancien Regime, Russia, Prussia, Inghilterra, potessero perdere mille battaglie, ma non per questo il loro potere sarebbe andato in crisi, mentre per lui sarebbe bastata una sola sconfitta per essere sbalzato via dalla storia . La monarchia austriaca era uno dei più antichi poteri legittimi e quindi poteva permettersi il lusso di qualsiasi disfatta. Che le importava di uno, mille , come diceva Napoleone insuccessi apparenti, tipo Ceva, Lodi, Arcole o anche ora in quella primavera del 1797 , a Leoben con quei famosi preliminari, di livello diplomatico più che militare? La disfatta apparente le portava territori che nessuna grande battaglia vinta le avrebbe assicurato e c’era anche il vantaggio aggiunto di offrire una più che plausibile giustificazione della pace separata rispetto alle nazioni alleate, sia quelle continentali sia anche l’altro grande Impero oltre manica, ovvero l’Inghilterra. Come chiosa Ferrero “ Il gioco era fatto la Rivoluzione tramite il suo giovane Generale e la Corte di Vienna erano d’intesa per sopprimere la Serenissima Repubblica di Venezia e per far credere al mondo intero che la pace fatta a spese di questa era dettata dalla monarchia asburgica che doveva sopperire alle sconfitte riportate sul campo ad opera delle armate della rivoluzione : la più antica ed illustre dinastia d’Europa regalava alla Rivoluzione e anche al suo costruito condottiero, che ne avevano bisogno, questi falsi trofei” A riprova del fatto che tutto questo grande apparente successo non fosse poi una ennesima conferma del detto “non è tutto oro quel che riluce” si annoverano una serie di dettagliate lettere di giustificazione dei Preliminari di Leoben che Napoleone cominciò ad inviare al Direttorio a cominciare dal 19 aprile incentrate soprattutto sulla creazione di una Repubblica Lombarda accresciuta del Bergamasco ed anche del Comasco e di parte del Mantovano e che avrebbe dovuto inglobare tutti i territori della Repubblica Cispadana andando così a costituire la nuova entità della Repubblica cisalpina, così come la famosa lettera del 7 aprile a firma di tutti e 5 i Direttori, aveva caldeggiato. Ovviamente dopo lo zuccherino, l’indubbiamente scaltro e manipolatore Generale non poteva non menzionare il punto più scabroso delle trattativa : “ il governo di Venezia è il più assurdo e tirannico dei governi” diceva “è fuor di dubbio che esso voleva profittare del momento in cui eravamo nel cuore della Germania per assassinarci : la nostra repubblica non ha nemici più accaniti, e Luigi XVIII non ha amici più devoti, la sua influenza ne sarà molto diminuita con la cessione all’Austria e ciò è a tutto nostro vantaggio: così si legherà l’imperatore d’Austria alla Francia e lo si si obbligherà a fare quanto ci farà comodo”di spiegazione in spiegazioneaparte finisce per confessare che ha firmato i preliminari di Leoben per salvare l’Armata d’Italia spintasi troppo nel cuore del territorio nemico , non mancando di addossarne la colpa al Direttorio e tornando a lamentarsi che le Armate di Hoche e di Moreau non si erano mosse per dargli man forte. Insomma il canonico tirare il sasso e nascondere la mano, questa risulta essere un’altra grande prerogativa dell’ambizioso e permaloso generale. Però ecco che il Generale Clarke, quello i cui tentativi di trattative con l’Austria erano stati stornati, proprio dall’iniziativa di Bonaparte, arrivò a Leoben nella notte del 20 aprile trentadue ore dopo la firma del trattato giudicandolo subito “un disastro” e lo stesso fecero nei giorni seguenti i membri del Direttorio la cui cessione di Venezia parve inaccettabile. Purtuttavia in ispecie nell’area più rivoluzionaria capeggiata da Barras e Reubell si fece strada l’idea dell’accettazione . Per un attimo solo per una attimo il Direttorio aveva intravisto l’inganno, ma poi si decideva di avallare i preliminari in nome di una ragion di stato con sottesa la speranza che la costituenda Repubblica Cisalpina potesse essere il baluardo di uno stato cuscinetto tra Francia ed Austria e addirittura potesse essere il prodromo di una Italia libera ed unita, un ulteriore grande Stato Nazionale secondogenito della Grande Rivoluzione. Va notato che in questo stesso periodo (aprile 1797) c’erano state elezioni nel Paese che avevano portato ad un rafforzamento dell’area moderata, quella in odore anche di Realismo e che faceva capo a Carnot, il quale nel maggio era riuscito a far nominare a Presidente del Direttorio il nuovo membro De Barthelemy; cio’ aveva quindi portato l’area più di sinistra degli altri tre membri Barras, Reubell e Larevallier ad accentuare la propensione verso l’area militare ed in particolare verso Bonaparte e quindi anche ai preliminari di Leoben e all’idea di costituzione di una nuova grande Repubblica nel nord Italia. Di tal guisa dalla negazione e il quasi interdetto, l’area di sinistra era passata in pochi giorni alla più entusiastica delle conferme ed anzi in più di una missiva si sollecitava Bonaparte perché organizzasse immediatamente la nuova repubblica senza neppure aspettare la conclusione del trattato definitivo. Tale portamento doveva accentuare a dismisura la incrinatura interna del Direttorio, ma intanto, dopo la firma del trattato tra Bonaparte e Venezia il 19 maggio che di fatto sanciva il passaggio all’Austria, proprio secondo le modalità che questa desiderava, sempre lui il grande condottiero ora si trasformava in un moderno Cincinnato, che dopo cotanto agire ricercava solo una pausa delle sue fatiche e quindi accettava l’offerta della potente famiglia Crivelli di ritirarsi a Mombello nella loro sontuosa villa per passarvi l’estate. Anche questo rientrava a tutto tondo di quel “costruire una parte” : dopo la fatica il riposo, si da confermare l’opinione generale che il trattato di pace con l’Austria spacciato per un grande successo era in realtà un trionfo di proporzione colossali per la Casa Imperiale. Ora abbiamo visto perché Barras Reubell e anche Revallier potessero essere indotti a cavalcare la tigre ed anzi a continuare a tessere le lodi del loro pupillo, ma Carnot e in parte anche il nuovo De Barthelemy che pure era il nuovo Presidente del Direttorio no. Carnot era troppo intelligente, troppo colto e troppo smaliziato ed esperto per cadere in una simile trappola proto mediatica; ho ipotizzato che probabilmente mai uno come lui possa essere stato coinvolto nella spregiudicata costruzione di un personaggio fittizio, diciamo pure teatrale, avendo preso il reale per una sorta di palcoscenico dove far muovere il burattino di turno. Se ci adesione ci fu, essa era stata dettata dall’ingente afflusso di beni nelle casse del Direttorio che in qualche modo compensavano l’andamento disastroso delle politiche economiche e finanziarie dello stesso Direttorio , anche se questo comportava, e di certo Lazare Carnot insigne matematico e per di più Generale lui stesso, addirittura il costruttore, l’organizzatore della macchina militare della Rivoluzione, lo sapeva meglio di qualsiasi altro. Però ora dopo il disastroso, anche se ben mascherato, esito di tutta la campagna d’Italia che consegnava all’Austria la regione più ricca e splendida d’Europa, in cambio di una repubblichetta gemella della Francia della cui influenza ancora non era dato ipotizzare alcunché e con una sorta di concessione Imperiale di non sbugiardare tutto l’andamento di quella stessa campagna, e far finta di passare per sconfitta, forse era il caso di non stare più zitto. Era ovvio e naturale che questo non stare più zitto si sarebbe appuntato in prima battuta proprio sulla più roboante delle mistificazioni : del fare di uno sconosciuto e anche inesperto generale un novello Cesare, di aver fatto passare delle scaramucce con retroguardie delle grandi vittorie , di cercare di far passare un cocente smacco diplomatico per un trionfale successo, ecco era questo, proprio questo che un parvenu come il generale Napoleone Bonaparte, l’attore di tutte queste recite, non avrebbe mai tollerato

lunedì 15 marzo 2021

AGGIORNAMENTO CAMPAGNA 1796/97 (2^ parte)

 

In termini pratici, ai primi di giugno di quel 1796, Bonaparte ormai padrone del Milanese, aveva continuato a fare quello che il Direttorio gli avallava oramai con fervente entusiasmo e anche la popolazione di tutta la Francia gli tributava quel plauso che oramai rasentava l’adorazione. Era lui il Generale che più di ogni altro incarnava la Rivoluzione e l’Italia stava mostrandosi una sorta di luogo di elezione delle idee dell’89: nessuno però andava a sottilizzare come otteneva tali risultati, ovvero imponendo sempre nuove tasse e gabelle ai territori degli Stati che proditoriamente invadeva e spogliandoli delle ricchezze artistiche, spaventandone a bella posta i governanti e minacciando con particolare enfasi le ribellioni che qua e là si verificavano, soprattutto nel Milanese dove l’unica fortezza ancora in mano all’Austria era rimasta Mantova. Le aspirazioni a continuare le direttive del piano del Direttorio ovvero di invasione “sur le derriere” della Germania erano oramai decisamente rientrate e così anche quelle di invadere l’Italia Centrale, soprattutto perché oramai bastava semplicemente minacciare i pavidi Stati Italiani per ottenere tutto quello che desiderava, così era successo con il Ducato di Parma , così con la Repubblica di Venezia ed ora anche con il Re di Napoli che un suo contingente di appoggio all’Austria era stato battuto a Borghetto sul Mincio e persino con il Papa e lo Stato Pontificio che si erano piegati alla sua volontà quasi senza neppure vederla una giubba di un soldato francese. Sotto il profilo squisitamente militare, come abbiamo cercato di dettagliare, il generale Bonaparte aveva eseguito un piano preconfezionato a Parigi un anno prima della sua esecuzione, di cui eccettuato il rintuzzato attacco austriaco di Cairo Montenotte, successo dovuto più al suo sottoposto Massena che a lui, non c’erano state successivamente che scontri contro retroguardie, anche qui dove erano emerse doti di comando e azione dei sottoposti, sempre di Massena che sempre più si mostrava meritevole di quell’epiteto di “invincibile” ma anche di Berthier, che era il Capo di Stato Maggiore dell’Armata, degli altri due Augereau e Serurier comandanti in seconda ovvero quello che di li’ a poco sarebbe stato etichettato come “comandante di Corpo d’Armata” e anche una serie di generali a livello di Divisionari : Cervoni, Dallemagne, Ordener. Ma più che altro quello che davvero aveva infuso le ali ai piedi della fortuna del Bonaparte era stata la defezione, per motivi del tutto estranei alla strategia militare, dell’Esercito Piemontese, culminata con l’improvviso armistizio di Cherasco. E’ qui e non sul Ponte di Lodi che può addursi l’inizio di quella particolare considerazione che non fa più riferimento a fatti reali, concreti, ma piuttosto considera gli eventi come una sorta di recita da abbellire, colorare e su diciamolo, anche da inventare di sana pianta, fino pervenire ad una composizione per così dire ineccepibile. Composizione non scevra di alcune suggestioni che in un’epoca di nascente romanticismo quale quel “fin de siecle” in cui ci si trovava nella piana d’Italia, non potevano che polarizzare l’attenzione e accendere gli entusiasmi di larghi strati delle popolazioni, anche di quella stessa Italia le cui porte si erano come magicamente dischiuse a fronte di uno scalcinato esercito comandato da un Generale poco più che un ragazzo: e’ la ragion di stato di un Regno come quello dei Savoia, famoso per il suo opportunismo, per il suo cambiare bandiera, per le sue appunto molteplici “ragion di stato” che era da perlomeno tre anni che tramava per sganciarsi da una alleanza con l’Austria, che doveva provocare il collasso della potenza offensiva del contingente austriaco e quindi indurre ad una strategia peraltro perfettamente eseguita, di ritirata strategica, impegnando nelle battaglie di contenimento sia a Ceva che a Mondovi che a Lodi ed infine anche a Borghetto sul Mincio, solo forze di retroguardia: tutte pieces però che la oramai collaudata macchina propagandista del Direttorio era in grado di trasformare in sfolgoranti vittorie, a beneficio di se’ stesso certamente, del suo potere, della sua oculatezza e anche a grande incremento delle sue finanze stante i cospicui beni che continuamente riceveva dalle provincie occupate, grazie a quel nuovo modo di intendere la guerra da parte del giovane generale. Ma ecco il punto : proprio sicuri che quel Generale di 27 anni sia solo una sorta di bella statuina capace di impersonare la parte che per ora si è convenuto di fargli interpretare? Napoleone Bonaparte non si discostava granchè dal clichet del Generale della Rivoluzione, lo abbiamo visto impegnato nella stesura del piano per la Armata d’Italia, piano che poi per una serie di circostanze di cui ne abbiamo esaminato quella più trainante, ovvero avere sposato l’ingombrantissima amante di uno dei più influenti membri del Direttorio Barras, si era ritrovato ad esserne il realizzatore; non era né migliore, ne’ peggiore di altri suoi coetanei, ma decisamente non godeva del prestigio di Generali un po’ più anziani, magari provenienti dalle strade più disparate come Massena, Augereau, Serurier, Moreau, Kellerman padre, che però sarebbero stati meno manovrabili dal Direttorio: un’altra cosa da prendere nella debita considerazione è che c’era inoltre un impianto teorico alla base della formazione comune di tutti i quadri militari dell’esercito della Rivoluzione, quel“ saggio generale di tattica” attenzione di tattica, non strategia e neppure logistica fatto da un ufficiale trentenne nel 1773, di media nobilta’ il conte di Guibert (1743-1790) Come abbiamo già fatto cenno, in questo libello veniva affrontato un nuovo modo di far la guerra, che da una parte si rifaceva alle antiche compagnie di ventura dei primi secoli del millennio, che facevano la guerra giustappunto vivendo di essa e cioè di razzie, di saccheggi, dall’altra rigettava tutta la concezione di rigorosa organizzazione degli eserciti, che era stata coeva alla formazione dei grandi Regni e Imperi, e che probabilmente aveva avuto la realizzazione più congrua con il grande condottiero Principe Eugenio di Savoia (XVII secolo e inizio del XVIII) e del suo amico Duca di Malborough, ed era ancora rappresentata da Federico il Grande, che pure aveva avuto modo di conoscere il “saggio” di Guibert e ne era rimasto molto colpito. Il punto è che tutto il senso del “saggio” di Guibert era volto a demolire la stessa concezione dell’arte militare così come era stata interpretata negli ultimi due secoli ed in particolare proprio in quella prima parte del secolo XVIII, ovvero troppi soldati, troppi cannoni, carriaggi, salmerie, enormi parchi di artiglierie, e quindi una massa elefantiaca, lentissima, quasi totalmente incapace di manovrare; per Guibert bisognava preferenziare l’agilità di truppe scelte, mobili, agili, svincolate da appendici di ogni genere, ovvero bisognava affidare l’azione alla velocità: “se la massa è il corpo di un esercito…”diceva “…la velocità ne è l’anima” Facendo quindi ritorno al giovane generale Bonaparte impegnato in quel del territorio italiano a scorazzare in lungo e largo alla ricerca di sempre nuovi proventi da estorcere ai vari deboli e pavidi Stati, che ovviamente anche lui aveva la sua copia del “Saggio” di Guibert e trovavava nel suo immediato sottoposto Serurier il suo più documentato ed esperto seguace sempre con sé, possiamo senz’altro affermare che tutta la seconda parte della campagna quella che si diparte dallo scontro di Borghetto sul Mincio fino a Rivolì è totalmente improntata alla teoria della velocità di Guibert. In quella piena estate del luglio 1796 l’esercito francese era composto da coscritti dai 20 ai 25 anni, mentre l’esercito professionista che si apprestava a ridiscendere le Alpi per riconquistare l’italia aveva un organico di 15/20 anni più vecchio. Il primo sembrava una emanzione delle teorie di Guibert : vivace , mobilissimo, del tutto estraneo alla vita di caserma, quasi non conosceva l’esistenza dei magazzini,delle salmerie, ma si muoveva agilmente per il territorio prendendo quel che gli occorreva dove capitava, il netto contrario dell’Esercito che l’Impero Austriaco aveva approntato per riconquistare il terreno perduto, affidandolo ad un Comandante della vecchia scuola, il settantaduenne Feldmaresciallo Dagobert Sigmund Von Wurmster, che si era messo in marcia con un contingente di 50.000 uomini diviso in tre tronconi : sulla destra il generale Quasdanovitch doveva aggirare l’estremità settentrionale del Lago di Garda puntando su Salò e Brescia, il Corpo centrale era al comando dello steso Wurmster e puntava a impadronirsi di tutto il corso sinistro dell’Adige fino a portarsi sulle posizioni di Montebaldo, il terzo agli ordine del Generale Davidovich doveva scendere lungo la destra dell’Adige e sboccare su Verona che per l’intanto era stata occupata da Massena. L’esercito francese era schierato in pianura da Peschiera a Mantova lungo il Mincio fino a Legnago sull’Adige. Tradizionalmente i due eserciti, che numericamente si equivalevano avrebbero manovrato a lungo l’un contro l’altro, ingaggiando sporadici combattimenti, ma anche pragmaticamente questo non conveniva ai francesi e ciò Napoleone, indipendentemente dal suo fervore per le teorie del Guibert, lo avevo capito fin troppo bene: difatti quel vivere di razzie e saccheggi senza né magazzini né carriaggi ne salmerie, lo esponeva ora che il nemico vero era tornato a farsi vedere, ai contraccolpi delle rivolte delle popolazioni che potevano essere pericolosissime, alle spalle di un esercito impegnato in guerra: ed ecco che qui viene fuori quel certo barlume di genialità del personaggio che si era ritrovato al centro di tutto quello sconvolgimento e che in parte, solo in parte, giustificherebbe la fama di eccezionalità che gli si stava cucendo addosso : il 31 luglio difatti tolse l’assedio a Mantova gettando i cannoni nel lag e si slanciò contro il lato destro del contingente austriaco sorprendendolo e battendolo a Lonato per ricacciarlo verso Riva del Garda. Un’azione davvero fulminea, che riusciì a bissare sempre verso Lonato volgendosi verso il contingente centrale comandato dallo stesso Wurmster, mentre il gen. Augereau otteneva un ulteriore successo a Castiglione. Diciamo che mai e poi ai la teoria Guibert aveva avuto una conferma così plateale, Napoleone suffragato magnificamente dai suoi Generali in seconda Massena e Augereau era riuscito a sfruttare la mobilità di manovra delle sue truppe, riuscendo a concentrale nel punto più favorevole e sferrare improvvisi e rapidi attacchi che avevano scompigliato i contingenti nemici. E' vero che la valle del Po rappresentava un campo esperimentale ideale per tutta la dottrina Guibertiana, ma bisogna per la prima volta anche ammettere che il Generale comandante dell'armata, stava cominciando a dimostrare i suoi numeri e come fatto cenno, anche in parte mostrare di essere entrato a pieno titolo nella parte che la Fortuna e gli eventi precedenti , più un interessato organo di potere, ne avevano fatto il protagonista. Riorganizzate le sue forze Wurmster provò nuovamente nel settembre a riconquistare la Valle del Po cercando di saldare la sua discesa lungo la valle del Brenta fino al caposaldo della Fortezza di Mantova che restava sempre l’unico punto fermo della presenza austiaca e questo mentre il suo Generale in seconda Davidovich tornava a scendere dalla valle dell’Adige, ma ancora una volta la tattica Guibertiana imperniata sulla velocità ebbe la meglio degli elefantiaci contingenti austriaci cui ogni allungamento delle linee di marcia e di comunicazioni dovevano essere accompagnati da spostamento di depositi, carriaggi e salmerie. Manovrando agilmente tra le le due ali nemiche, Bonaparte operò prima contro Davidovich facendolo riarretrare verso il Tirolo e quindi si era rivolto verso Wurmster sorprendendolo e battendolo a Bassano. Giusto alla metà di settembre quindi anche questo secondo tentativo di riprendere i territori perduti era miseramente fallito e a Wurmster non restava che asserragliarsi a Mantova. Di converso Bonaparte scongiurato il secondo attacco di riconquista austriaca cominciò a modificare il suo comportamento e anche pensiero: se fino ad allora era stato un solerte esecutore delle disposizioni del Direttorio, ora in quei primi di ottobre cominciò a fare un po’ di testa sua, comportandosi come un sovrano in terra di occupazione, difatti non contento di spaventare tutte le popolazioni italiane fino addirittura a comprendere il Papato, denunciò l’armistizio col Duca di Modena deponendolo e ponendo i popoli di Modena e Reggio sotto la protezione dell’esercito francese. Fatto questo cominciò ad accarezzare l’idea di favorire le aspirazioni indipendentistiche che si erano avuti in vari Stati e proclamare una Repubblica federativa composta dai Ducati di Modena di Reggio con l’aggiunta degli Stati di Ferrara e di Bologna, dandole il nome di Cispadana. Si è discusso a lungo tra gli storici se fu proprio Napoleone l’ispiratore della idea di una Italia unita, così come se la Rivoluzione abbia o no inventato le guerre di propaganda per la libertà o piuttosto non abbia invece continuato le guerre di espansione dell’Ancien Regime. Il punto è sempre l’istanza utilitaristica che guidava sia il Direttorio che Bonaparte che vedeva ogni giorno accrescersi la sua influenza e anche il suo potere e ora che era decisamente tramontata la originaria idea di utilizzare l’Italia come corridoio per colpire alle spalle il fronte germanico, ovviamente era alla ricerca di espedienti che gli assicurassero un contesto più favorevole di popolazioni in rivolta, e cosa poteva esservi di meglio che ergersi a paladino della libertà dei popoli, e fomentare le aspirazioni di indipendenza ed anche di una proto unità nazionale dei territori italiani? D’altronde c’è da rilevare come nello spazio di pochi giorni l’intera mentalità di tutta la popolazione italiana, si era staccata dall’Ancien Regime e aveva abbracciato quella della Rivoluzione, portata però dalle baionette dei soldati di un generale di 27 anni, che era riuscito a mettere in riga tutti gli antichi sovrani e persino il Sovrano meno terreno : il Papato. Bonaparte insomma propose al Direttorio di aiutare il partito pro Rivoluzione nell’Italia centrale non certo per favorire le fumose e indistinte aspirazioni di qualche gruppo di exagitati imbevuti di romanticismo , ma solo per ottenere un po’ di tranquillità nei territori conquistati e costruirsi una base di appoggio, specie sul finire di ottobre quando fu oramai assodato che l’Austria preparava un’altra spedizione di riconquista dell’Italia affidandone il comando al generale Joseph Alvinczy von Berberek che il 1 novembre partendo da Gorizia avanzò contro Massena che aveva il suo quartier Generale a Bassano, mentre il Gen Davidovitch scendeva da Bolzano lungo la Valle dell’Adige per attaccare i Francesi a Trento. I due eserciti contavano quindi di riunirsi e marciare su Mantova dove era asserragliato Wurmster : sulle prime le operazioni furono favorevoli agli Imperiali, tanto da indurre Napoleone ad inviare una disperata lettera di aiuto al Direttorio, ma poi per uno di quegli strani casi della sorte, che come abbiamo più volte visto, aveva preso a benvolere il giovane generale, questi radunando tutte le sue forze in un supremo sforzo a “la và o la spacca” attaccò frontalmente Alvinczy; in verità aveva fatto un po’ un ragionamento alla teoria di Guibert, questa volta però di segno contrario : si era difatti reso conto che per marciare lungo la pianura veneta Alvinczy aveva molto allungato le sue vie di comunicazione e soprattutto perso contatto coi suoi depositi e rifornimenti, il che non disponendo di un esercito mobile e agile come quello francese lo poneva senz’altro in condizione di vulnerabilità qualora si fosse individuato un punto, diciamo così di rottura, secondo un concetto di sfinimento strategico e logistico del pesante esercito austriaco. Questo punto gli parve di individuare nel ponte sul fiume Alpone a ridosso del Villaggio di Arcole e qui difatti concentro’ tutti i suoi sforzi, sapendo bene che doveva battere Alvinczy prima che si congiungesse con Davidovitch; addirittura nel fervore dell’azione, preso un tricolore, si slanciò in prima persona nell’attacco, che per poco non finì tragicamente, dato che lui, non avvezzo a queste esternazioni di coraggio, cadde malamente in un fosso a ridosso del Ponte di Arcole e sarebbe stato certamente fatto prigioniero, se non si fosse lanciato in suo aiuto l’aiutante di campo Gen. Berthier. La verità e’ che la battaglia di Arcole, dopo tre giorni di accaniti combattimenti, che vedevano tutti e Bonaparte e i suoi due generali in sottordine Massena e Augereau bloccati sul Ponte, ancora una volta fu decisa da un magistrale intervento di Massena, che riuscì ad ingannare gli austriaci piazzando una sola Brigata delle sue truppe fuori l’abitato di Arcole, nascondendone il resto nella vegetazione e quindi attirandoli fuori la cittadina e sbaragliarli. Visto il successo di tale azione anche Napoleone fece qualcosa di simile, difatti radunato un piccolo contingente della sua Guardia del Corpo, lo spinse a guadare il fiume in un punto nascosto per poi lanciarsi con tanto di squilli di trombe sul retro delle posizioni austriache di Arcole, facendo loro credere di trovarsi attaccati alle spalle da un grande reparto che subito si ritirarono verso nord convinti di un imminente attacco in forze francese. Grazie a questo stratagemma i reparti che bloccavano Augereau sbandarono dando l'occasione al generale francese di riunirsi con Masséna nell'ormai libera Arcole, da dove, assieme ai soldati provenienti da Legnago, dilagarono nelle zone circostanti. Alvinczy, di fronte a quella che gli sembrò una grave minaccia alle sue retrovie, ordinò la ritirata su Vicenza. Con un prezzo di 4500 perdite in tre giorni di furiosi combattimenti, Napoleone aveva definitivamente stroncato il tentativo di Alvinczy di riunirsi con Davidovich e liberare l’Italia centrale. Con 7.000 uomini in meno, morti, feriti o presi prigionieri ad Arcole, Alvinczy riuscì a malapena a ritornare a Trento abbandonando del tutto il progetto di liberare Mantova Arcole però non era stata una vittoria definitiva e anzi aveva accentuato quel senso di incompiuto,di provvisorio, che sembrava come pascersi del fondo limaccioso della valle del Po; a parte l’episodio della goffaggine del Generale in capo che era stato salvato per un capello dal suo tentativo di spronare con tanto di tricolore alla mano, i soldati per rompere gli indugi di una resistenza nemica sempre solida, la verità è che anche questa battaglia non aveva lasciato né vincitori, né vinti, ma solo una situazione incancrenita dall’agonia della fortezza di Mantova, ma anche da una serie di rivolte, pronunciamenti di questo o quello statarello, costringendo Napoleone a recarsi di presidio a Bergamo, a Brescia, a Tortona. Riprendeva piede il tentativo di trascinare tali riottosi popoli nella costituzione di repubbliche che avessero una continuità di ideali e di intenti con la grande madre della Rivoluzione: una questione di opportunità per togliersi dall’impasse di una situazione sempre più aleatoria , tant’è che il Direttorio era addivenuto alla risoluzione di inviare un altro di quei numerosi Generali che avevano fatto parte del comitato per il Piano del ’95, il più attempato coi suoi 31 anni, il Generale Clarke, per concordare una pace con l’Austria.Ovviamente Bonaparte non vide di buon occhio tale operazione, che però non ebbe il coraggio di contrastare apertamente. Noi siamo abituati a ritenere che la prima Campagna d’Italia di Napoleone sia stata un susseguirsi di fulgide vittorie, una sorta di progressione verso la gloria, dove il fattore tempo resta ingoiato dall’azione, ma non vi può essere nulla di più errato: come abbiamo visto le battaglie erano state tutte mezze battaglie, scontri con retroguardie, che solo la maggiore velocità delle truppe francesi magistralmente guidate da espertissimi generali come Massena, Augereau e Serurier avevano consentito di assegnare a loro la vittoria. La situazione in quel lunghissimo estenuante periodo di tregua da Arcole a Rivoli, si era quanto mai impantanata senza possibilità di soluzione. In verità furono solo due mesi ma incredibilmente estenuanti, dove ancora una volta nella mente di Napoleone riprese corpo la idea di realizzare l’idea originaria del piano ovvero valicare la Alpi e prendere alle spalle l’Austria, questo anche perché la Cispadana non rappresentava quell’aiuto che avrebbe potuto aspettarsi e le rivolte, piccole rivolte degli stati italiani, sempre più diffuse e insidiose; si era diffatti ribellata parte della Garfagnana, la cittadina di Carrara, ancora una volta Tortona e tutto sembrava tramare tranelli, minacce, insicurezza…. dal Regno di Napoli allo Stato Pontificio, alla Repubblica di Venezia. Inficiando i tentativi di armistizio del Gen.Carke e anche le velleità di attacco di Napoleone attraverso l’esecuzione del grande Piano del ’95, l’Austria all’improvviso rompeva gli indugi e tornava ad attaccare nella prima decade di gennaio del 1797. Lo ripeto, lo studio e la riesamina dei fatti porta a ribaltare completamente l’assunto che era sempre stato Napoleone ad attaccare difatti e’ semmai sempre vero il contrario: fin dalle prime scaramucce dell’aprile e la battaglia un po’ più seria di Cairo Montenotte, l’iniziativa dell’attacco era sempre stata solo dell’Austria e anche questa volta non si doveva assistere ad una eccezione. Il piano sempre affidato al Gen Alvinczi prevedeva un attacco per le gole del Brenta passando poi per le valle dell’Adige, mentre un suo Generale in sottordine Provera aveva il compito di marciare su Mantova passando per Padova e Legnano: Il tranello di Alvinczi era quello che vedendo Mantova minacciata, i Francesi fossero indotti a alleggerire la posizione di Rivoli per bloccare Provera e consentissero a lui di batterli appunto a ridosso del Lago di Garda, ma Bonaparte che proveniva da Bologna si calò subito nell’emergenza e sfruttando la maggiore agilità e mobilità delle sue truppe, concentrò a se tutte le sue forze e tutti i suoi eccezionali Generali tra cui come al solito rifulse Massena, che fu uno degli artefici della Grande Vittoria; in effetti Rivoli fu la prima grande e indiscussa vittoria di tutta la campagna d’Italia, quella che probabilmente consentì a Napoleone non più di recitare una parte, ma di entrarvi in tale parte. La storia sembra finalmente aver trovato il suo eroe indiscusso, poca importanza ha il fatto che probabilmente Massena aveva più meriti di lui (succederà lo stesso tre anni dopo a Marengo con Desaix) ma e’ lui il comandante in capo e la leggenda che vuole nel piccolo Generale il nuovo Alessandro sembra confermata a gran voce. Mai l’esercito francese aveva riportato una vittoria così categorica. Pochi giorni dopo difatti la Fortezza di Mantova veniva espugnata e Bonaparte diventava sul serio padrone di tutta l’alta Italia. Siccome però la situazione era sempre di estrema aleatorietà ecco che cominciava a riaffiorare la strategia originaria del piano del ’95 che il Generale comandante dell’Armata vedeva soprattutto come una sorta di via d’uscita dalla situazione venutasi a creare: padrone del campo si, ma possiamo azzardare, con poche ferriere , e molto molto insicure e pericolose: difatti gli innegabili successi che anche lui aveva cominciato a collezionare lo avevano, per così dire, fatto entrare nella parte del condottiero vittorioso, si da ritenersi l’unico generale in grado di realizzare fino alle estreme conseguenze le disposizioni originarie del piano dei Generali del ’95: in effetti a questo punto, non si trattava più di recitare una parte, parte che altri avevano fissato e sviluppato per lui : si trattava a questo punto di entrare nel modello, come in un esperimento di ristrutturazione in psicologia alla Milton Erickson, alla Bandler e Grinder della Programmazione Neurolinguistica, non più come in un film di cui si vedono le varie sequenze, ma sentendo quello che il protagonista sente, le sensazioni, il profumo dell’aria, il terreno su cui si poggiano gli stivaloni. Possiamo dire che Napoleone Bonaparte con l’entrata nel 1797 e il suo ventottesimo anno di età, soprattutto dopo una battaglia vittoriosa a Rivoli dove lui non era stato da meno dei suoi esperti generali in seconda, era entrato nella parte (in gergo popolare potremmo dire “aveva cominciato a provarci gusto”). Questo non significava che da Rivoli in poi aveva cominciato a fare di testa sua, come una certa storiografia, anzi la pressocchè totale storiografia su di lui ha sempre insistito ad asserire; in sostanza restava sempre ligio alle direttive del Direttorio che subito dopo la battaglia d Rivoli e la conquista di Mantova gli aveva ordinato di fare incetta di tesori e fondi nelle Chiese, nei Monti di Pietà dello Stato Pontificio ed anzi risolvere una volta per tutte la questione con papa Pio VI: poche scarmucce a Bologna ad Imola, l’occupazione di Ancona, portavano il papa a chiedere la pace e a firmare il trattato di Tolentino il 19 febbraio, nel quale il Papato cedeva Avignone, il contado di Venasque, Bologna, Ferrara e tutta la Romagna. Ottenuto quindi quest’altro grande successo che ancora di più faceva entrare nella parte del Conquistatore il giovane Generale, il Direttorio non solo aveva ratificato appieno il Trattato, ma finalmente si era deciso a dare avvio al Grande Piano del ’95, quello di cui l’allora sconosciuto Generale aveva dato la sua modesta collaborazione e che ora in prima persona, anzi da protagonista assoluto, veniva incaricato di mettere in atto. L’istruzione è del 3 febbraio 1797 e oramai si ordinava finalmente al Generale e alla sua Armata di invadere il Friuli e conquistare Trieste in parallelo all’invasione del Tirolo, e quindi procedere appieno con l’esecuzione famoso Piano, ovvero invadere gli Stati d’Austria e effettuare il congiungimento con le truppe francesi in Germania: l’ Armata del Reno, comandata da Moreau e quella della Sambra e Mosa da Hoche, per effettuare quindi congiuntamente una pressione a distanza su Vienna e costringerla alla pace. Palesemente come per incanto in tutta Italia settentrionale e centrale, il partito che puntava sulla presenza dei Francesi per rovesciare l’Ancien Regime e proclamare libere Repubbliche somiglianza di quella francese, cresceva a dismisura “La Rivoluzione ha conquistato tutti i cervelli d’Italia” scriverà Bonaparte al Direttorio, ma intanto non è che la faccenda lo rassicurasse granchè, anzi…a questo punto era molto più concentrato sulla prospettiva di lasciarla quell’Italia nella quale si sentiva sempre più impantanato e dedicarsi anima e corpo alla realizzazione integrale del Piano per il quale si sentiva oramai pienamente pronto. Numerose missive di Bonaparte, dei primi giorni di marzo ai suoi generali, Joubert, Augereau, Clarke,soprattutto Massena, denotavano questo pensiero fisso : varcare le Alpi e portare l’Armata dalla Valle del Po alla Valle della Drava, ed ora che il Direttorio aveva dato il suo benestare al piano, l’unica preoccupazione era quella che Moreau e Hoche si muovessero e varcassero il Reno per consentire il congiungimento delle Armate e quindi non lo lasciassero isolato. Cade così un altro pilastro della leggenda di Napoleone che lo vuole indefesso assertore del suo genio militare, unico e solo artefice di un piano arditissimo di penetrazione in territorio germanico senza chiedere consigli o collaborazione ai suoi sottoposti, proprio le missive a Joubert a Massena i frenetici colloqui con Clarke sono lì a dimostrare il netto contrario. Vediamo difatti un comandante in capo titubante quasi implorante che i generali sottoposti assolvano al loro compito e c’è sempre quel chiodo fisso del superamentodel Reno da parte degli altri due comandanti d’Armata Moreau e Hoche. “conto di essere per il 20 marzo sulla Pontrebbana per la strada che porta da Udine a Klagenfurt, ma voi dovete spingervi fino a Pontebba e se possibile anche a Tarvisio “ scrive a Massena, mentre da Joubert pretende che occupi Bolzano e Bressanone “solo allora potremo procedere e riunire tutta l’Armata nella Valle della Drava il che obbligherà il nemico a ritirarsi per coprire la strada per Vienna” Piu’ che un vero piano si tratta di una serie di ipotesi su cio’ che l’Armata d’Italia avrebbe potuto fare, sempre nella eventualità che le Armate del Reno e della Mosella “potevano spingersi un po’ più in avanti” Insomma a me non pare il portamento e neppure la olimpica sicurezza di un Generale vincitore alla Alessandro, alla Scipione, alla Mario , alla Cesare, ma piuttosto di una persona molto insicura che si raccorda coi suoi sottoposti con continue missive in cui molto fumosamente da’ delle disposizioni molto di massima , io ci vedo chessò più un Baratieri che in Africa nel marzo del 1896 prima di attaccare battaglia con l’Esercito abissino convoca tutti i suoi comandanti di Brigata per avere conferme sulla correttezza del suo piano, o magari il duo Diaz /Badoglio che nel 1918 aspetta un ordine scritto prima di procedere alla offensiva che deciderà della Grande Guerra, ordine tra l’altro non di una figura militare bensì civile come il Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando che vergò quel suo non lusinghiero telegramma (non lusinghiero ovviamente per i 2 Generali ) “tra l’inazione e la sconfitta preferisco la sconfitta. MUOVETEVI!” Per difendersi dal piano di invasione, l’Austria aveva spostato in Italia il suo più valente stratega l’arciduca Carlo reduce di importanti vittorie su Moreau, che subito si era posto sulla riva sinistra del Tagliamento per impedire ai francesi di dirigersi verso Tarvisio. La battaglia venne ingaggiata il 16 marzo, ma l’arciduca non vi si profuse più di tanto, per effettuare anche lui come d’altronde tutti i generali che l’avevano preceduto, una ineccepibile ritirata strategica, laddove divise il suo esercito una parte a difesa ravvicinata di Tarvisio, mentre quella da lui diretta si ritirò verso Gradisca e Gorizia, inseguito da Bonaparte in persona, mentre Massena avanzava da Osoppo verso le gole di Pontebba. Puntualmente il giorno seguente il 17 marzo Bonaparte scriveva al Direttorio per rendere edotto il potere costituito dei suoi effimeri successi e sollecitare il suo oramai ossessivo chiodo fisso che le Armate in Germania si muovessero “ordinate, vi prego, il passaggio del Reno” implora “poiché è impossibile che io con 50.000 uomini possa far fronte a tutto. L’Armata d’Italia ha cominciato , ma è necessario che le Armate del Reno passi questo fiume senza perdere un giorno” Il 21 marzo veniva occupata Gorizia praticamente senza battaglie, il giorno seguente Massena occupava Pontebba; la situazione sembrava esaltante, ma non è così anzi, Bonaparte non è affatto tranquillo e teme più di ogni cosa l’isolamento, trovarsi nel bel mezzo di territori sconosciuti alla mercè di una controffensiva austriaca, condotta da un generale che conosce per la sua valenzia; Ad accentuare tale paura c’era stata la notizia che Brescia e Bergamo erano insorte, due città irrilevanti ai fini della guerra, tant’è che lo stesso giorno l’esercito francese era entrato a Trieste, ciò nonostante Bonaparte continua a tempestare di lettere il Direttorio, il 24 e 25 marzo, scrivendo anche personalmente a Carnot “è stato passato il Reno? ” chiede a quest’ultimo ribadendo questa sua enorme preoccupazione, una sorta oramai di leit motive che chiedeva a chicchessia perché le due Armate in Germania non attraversavano il Reno, sì da poter cominciare ad operare la congiunzione con la sua Armata, e quindi lui possa definitivamente abbandonare l’insidioso campo di battaglia italiano. Sono conservate diverse missive di Napoleone Bonaparte relative a questi giorni di metà e seconda metà di marzo, tutte riportate a nota del libro di Guglielmo Ferrero e al quale si rimanda, e ai soggetti più disparati: membri del Direttorio come abbiamo visto, Generali in sottordine, Massena in primis , ma anche Joubert, Bernadotte, Delmas, Baraguay d’ Hilliers, Chabot, ai quali dava febbrili disposizioni, di occupare questa o quella città, di farsi trovare pronto ad un ricongiungimento con l’Armata, sempre con il fine di abbandonare al più presto la Valle del Po e raggiungere la Valle della Drava con obiettivo Klagenfurth e quindi minacciare a meno di 15 stazioni di posta Vienna si da terrorizzare l’Imperatore. Rimane però quella ossessione alle due armate di Germania che si muovano all’unisono con lui “altrimenti” sottolinea “tutto il mio movimento sarà smascherato e l’Arciduca Carlo lascerà il Reno per piombare contro di me” Oramai è chiaro che non si occupa più di quello che lascia alle spalle, cioè l’infidissimo teatro di battaglia italiano, oramai guarda solo avanti alla realizzazione del famoso Piano del ’95, anche se è consapevole che Vienna potra’ essere solo minacciata, ma non certo attaccata direttamente, però come in una mossa da bluffeur di giocatore di Poker ritiene che Klagenfurth potra’ essere sufficiente per indurre l’Austria ad avviare trattative di pace. Spinge i suoi generali ad occupare Klagenfurth (manco a dirlo al solito Massena) il 29 marzo e il 30 lo raggiunge, ma a questo punto “Colpo di scena” : il 31 marzo scrive una lettera all’Arciduca Carlo pregandolo di intercedere presso l’Imperatore per avviare trattative di pace . E’ un giocatore di poker, ma non ha retto alla tensione del bluff e cosa degna di nota, per la prima volta non ha seguito le disposizioni del Direttorio; non quindi il troppo ardire, la piena certezza delle sue capacità, una volontà superiore, hanno deciso la disubbidienza, bensi’ il dubbio, l’indecisione e diciamolo francamente, la paura : paura di andare incontro all’isolamento ed anche al disastro, riportare una sconfitta decisiva, non del tipo delle scaramucce (con la parziale eccezione di Rivoli) che fino ad allora lo avevano visto vittorioso. C’è anche da rilevare come la teoria di Guibert che fino a quel momento lo aveva sempre favorito, a questo punto della situazione rivela i suoi limiti : se Napoleone fosse stato un Generale dell’Ancien Regime, un Federico II, anche un Princeps Eugen, non avrebbe mai pensato che una mossa di puro bluff, ovvero una azione fondata solo sulla audacia, sulla rapidità e sulla sorpresa avrebbe potuto decidere, non di una singola battaglia, ma di una intera guerra dove erano in giochi interessi enormi. Avrebbe certamente commisurato che con battaglie vittoriose si può pervenire tregue al massimo armistizi di compromesso, ma mai e poi mai ad una pace duratura. Bonaparte in quanto generale della Rivoluzione, imbevuto di teorie Guibertiane e con al suo attivo più di una dimostrazione della loro validità, credeva di aver trovato una formula magica per vincere la guerra, insomma stava cominciando a scambiare la realtà per quello che proclamavano i suoi bollettini e per di più con l’avallo, anzi l’enfatizzazione, di di un potere che per la modalità di come era assurto alla guida del Paese, per la provvisorietà del suo mantenimento, era, diciamo così, costretto a far leva proprio su quelle peculiarità che si rifacevano all’immaginazione, a quello spirito di avventura, che costituisce non a caso il titolo del libro cui ci stiamo ispirando, di cui lui modesto genera luccio si era trovato a recitarne la parte, spacciato per un novello Alessandro o un novello Cesare, in una sorta di recita teatrale che non aveva mancato di infatuare le masse. Insomma il “facciamo finta che….” aveva funzionato fino allora, ma ora nel momento di scoprire le carte ecco che all’improvviso il primo a venire meno era stato proprio lui, l’attore principale. No, non c’è niente di reale se ci atteniamo al Mito del Generale invincibile e arditissimo, così come era stato confezionato in quell’ultimo anno,o meglio forse all’improvviso la situazione si fa troppo reale, e il giovane generale si rivela per quello che è, un passabile tattico ma un modesto stratega, asceso senza merito e soprattutto senza la necessaria competenza, al comando di una grande Armata. Tant’è che il giorno seguente alla richiesta di trattative all’’Arciduca Carlo, la sua preoccupazione maggiore e’ di scrivere al Direttorio per spiegare le ragioni del suo gesto. Come abbiamo detto fino ad allora Bonaparte era stato un solerte esecutore delle disposizioni del Direttorio e solo a questo doveva la sua inusitata e gonfiatissima fama, quindi ovvio e naturale che ora cercasse di, come si dice in gergo , “metterci una pezza” Il 1 aprile difatti spedisce la lettera che tutto ha tranne che il tono del generale determinato e sicuro di se' “voi troverete qui acclusa la lettera che per mezzo del mio aiutante di campo ho mandato al principe Carlo. Se riceverò risposta negativa farò stampare la mia lettera e la sua, se invece la risposta fosse favorevole e la corte di Vienna volesse pensare alla pace, assumerò la responsabilità di firmare una convenzione segreta che potrebbe essere un preliminare di trattato di pace…voi intuite certo che le condizioni che firmerò io sarebbero assai più vantaggiose di quelle che a suo tempo voi deste al generale Clarke” Ecco torna lo spirito del giocatore di Poker, ma non più al buio, bensì con qualche assicurazione che altri cooperino al suo bluff, torna uno sprazzo di Guibertismo, ma protetto dalla posta in gioco che chiede, anzi impone che ci sia una sorta di copertura.

TERRA-MARE : SCHMITT CON JAYNES

  Terra e Mare , proprio oggi che la tensione tra l'ultima vera potenza di terra la Russia e la naturale  erede della tradizione di mare...