Ritorna con Evola quella concezione sacrale dell’Impero, che al liceo i professori ammaestrati dalle dottrine mercantiliste e anche chiesastiche ci impartivano “Dante nella sua Divina Commedia” ci dicevano “ ha una visione politica decisamente antica fondata appunto sull’Impero, mentre per trovare un pensiero moderno dobbiamo rifarci a Petrarca che non a caso fu uno dei più entusiasti Umanisti, quelli che ancor prima che tale Movimento prendesse una direzione prevalentemente aristico/rappresentativa, già ponevano il ritorno all’antico come prassi del loro orientamento”: Petrarca difatti fu un precursore dell’idea di Nazione, quindi per la cultura ufficiale, più moderno, non un passatista o peggio reazionario ante litteram come Dante Alighieri che col suo spiccato ghibellinismo era un viscerale sostenitore del Sacro Romano Impero, ovvero di quel confuso tentativo innescato da Carlo Magno di restaurare il grande Impero di Roma, ma che proprio quel “sacrale” contenuto nella sua originaria denominazione, doveva ingenerare la plurisecolare diatriba tra potere politico e potere religioso: Diatriba che ha trovato nell’elemento germanico il difensore dell’idea imperiale contro la Chiesa e il suo punto di summit nella grande figura di Federico II Hoenstaufen, per poi declinare inesorabilmente, quasi a coincidenza con le prime manifestazioni di una sorte di inquietudine che potremmo benissimo individuare nel passaggio di “Età del mondo” con l’esaurirsi di quella “età degli eroi” che Esiodo magari aveva solo posto, ma che Evola può addirittura scandire cronologicamente individuando proprio il periodo a cavallo tra duecento e trecento come passaggio da era dei mercanti a era degli schiavi ovvero dal bronzo al ferro. Federico II sullo sfondo, Dante come voce che grida nel deserto, gli imperatori germanici che desistono oramai dalla loro contrapposizione alla Chiesa, la dichiarazione di Lodovico IV il Bavaro che proclama che la consacrazione Imperiale non è più necessaria (una sorta dell’antico “date a Cesare quel che è di Cesare….” ratificato dalla “ Bolla d’oro” dell’Imperatore Carlo IV che farà di tale titolo addirittura una carica comprabile; tutto questo porta ad un mondo che, da un punto di vista dei nuovi, ma veri detentori di potere, ovvero i mercanti, abbisogna di una forza emergente e assolutamente non identificabile in un “Sacro” che può rimanere punto di riferimento di una Istituzione come la Chiesa, ma neppure in un “Impero” la cui valenza va urgentemente declassata: un qualcosa di nuovo, ma paradossalmente anche di antico, che proprio in virtu’ di una sempre più marcata secolarizzazione, possa fungere da riferimento per un nuovo ordine, per una nuova società, per diversi rapporti di interazioni tra genti. Cosa proporre, venuti meno gli ultimi singulti di quegli “eroi” che non sono riusciti a ripristinare l’argento degli antichi guerrieri? Cosa proporre se non un pronunciato relativismo e la rapida messa in crisi di una società fondata sulla tradizione e la trasmissibilità corale delle esperienze
(come dirà l’arguto artista/architetto Le Corbusier “quand les Cathedrales etaient blanches”), sostituendola con un codice artificiosamente desunto da un pochissimo verificabile patrimonio antico da applicare come una pellicola alle esigenze via via indotte dalla pratica costruttiva e altresì asservirlo ad una modalità di rappresentazione sperimentale che altri non è che la “reductio” di quell’antica pratica corale delle Cattedrali, tipica della Società Medioevale, al normativo di una convezione adducibile ad una invenzione strumentale quale la prospettiva, che è l’aspetto, diciamo così, tecnico della operazione. Politica e tecnica cominciano ad andare a braccetto, ma non è un qualcosa di asettico e neppure di fortuito, tutto va iscritto in una intenzione non scevra di precise intenzioni di prevalenza e dominio di quella classe che aveva eclissato i “guerrieri”(esempio più marcato il Grande Impero di Roma nell’entità del Sovrastato ed era riuscita a rintuzzare le pretese degli “eroi “ ( restaurazione di quell’idea di Impero in pieno Medioevo), ovvero l’affermarsi della classe dei cosidetti “mercanti” che puntavano a rimanere unici padroni della partita: la lotta che più di ogni altra aveva caratterizzato il Medio Evo, e non solo quella di Carlo Magno, ma anche quella dei suoi successori, tutti di estrazione nordica, da Enrico IV, al Barbarossa ad Ottocaro II di Boemia, agli Asburgo e culminante con Federico II di Svevia”, era stata quella del principio tradizionale e virile contro il pietismo della Chiesa. Grazie anche a quel codice dedotto dall’antico e al nuovo termine introdottosi nella storia del mondo con il Trecento, l’uomo occidentale non si emancipa dalla Chiesa e dall’Impero, attraverso un processo di normale transizione, ma in virtù di un qualcosa di forzato, di artefatto che fa leva su di un supposto individualismo, su cui si appuntano più di una perplessità (la qualità e soprattutto l’effettiva rispondenza del codice adottato ad un passato di effettiva grandezza e non solo a suoi elementi esteriori, secondari o già in odore di decadenza) In verità sottolinea Evola “è una parola d’ordine convenuta nella storiografia moderna l’esaltazione indiscussa della civiltà dell’umanesimo e del Rinascimento contro quella medioevale…e semmai dopo la fine del mondo antico se vi è una civiltà che merita l’epiteto di Rinascenza , questa fu proprio il Medioevo…nella sua struttura, nella sua superba antiumanistica elementarietà così compenetrata nella coralità del sociale e nella sua stessa sacralità, il Medioevo fu un ritorno alle origini”…da Carlo Magno a Federico II, al Ghibellenismo di ritorno all’Impero, alla istituzione e struttura della Cavalleria col suo ideale sovramondano, al consuntivo del grande Poema di Dante Alighieri, si possono percorrere le ultime tracce di quella “età degli eroi” che si colloca a cavallo tra il bronzo e il ferro, tra l’era dei mercanti e quella dei servi, cui il puro interesse mercantile, il mondo come bottega, finisce per relegare la sua gente. Anche Jung nei suoi numerosi accenni agli archetipi dell’inconscio collettivo pone un distinguo tra guerrieri ed eroi, i primi depositari di uno stato d’essere, identificabile nella tradizione, nello Stato come sovramondano, nel sacrale che ha forse nella cultura orientale il suo esempio più informante (il lungo dialogo tra il guerriero Aryuna e il dio Krisna nella Baghvadad Gita), i secondi nel loro disperato tentativo di invertire i termini del quel divenire non potendo più far conto su quel rapporto ravvicinato tra umano e divino e quindi costretti a qualcosa di stra-ordinario, l’eroico appunto e non il normale agire del guerriero che assolve semplicemente alla sua funzione.. Ho avvertito più volte che nella ri-assunzione temporale di un qualsiasi paradigma culturale, quale spesso e volentieri quello rappresentato da un testo di spessore, tipo “Rivolta contro il mondo moderno” va aggiunto tutto il cammino fatto dall’individuo nel frattempo intercorso, tra una prima e l’ultima percezione, e difatti ho parlato di un calcolo infinitesimale che si fa narcisista proprio per l’inclusione riflessiva per calcolare appunto le diverse esperienze e assunzioni che possono essere espresse da numeri reali , ma anche numeri immaginari (proiezioni di negativi) a comporre limiti, derivate e soprattutto integrali, integrali su tutti i diversi cammini che vanno a comporre il nuovo stato di appercezione, anche del tipo di quelle poche formulazioni del sapere moderno svincolate dall’appartenenza all’età del ferro, ovvero dei servi, come si evince dalla modalità espressa dalla fisica quantistica, nel quanto mai inerente al presente ragionamento, dell’integrale sui cammini di Richard Feynman, dove ognuno di tali cammini configura una rosa praticamente infinita di possibilità, tra le quali quella dove il sistema “testo-individuo” ancora non sa in anticipo dove sta andando, ma il calcolo dell’ampiezza di probabilità del processo ed anche i punti stazionari dell’azione segnano i bordi di spazio per storie nelle quali l’interferenza quanto-meccanica originerà quelle grandi probabilità che la ri-flessione persegue. Tra questi “bordi” di spazio riflesso, a forte interferenza, ho gia’ fatto cenno, c’è la profonda revisione sull’Umanesimo e una ulteriore revisione della già sconvolgente teoria aristico/architettonica di Manfredo Tafuri (Umanesimo e tutto il fenomeno del classicismo conseguenza della Grande Pandemia del 1348) , ma c’è anche quella di tornare molto più indietro a quella mitica età dell’oro i cui riferimenti storiografici ci dicono troppo poco: quando collocarla? (Cronos, ovvero un tempo pre olimpico, di altri dei? ), dove collocarla? (Atlantide, Lemuria, Thule, Teoria delle Quattro lune di Horbiger?) come collocarla? (supporre visite di civiltà aliene? I cosidetti Elohim delle teorie di Biglino?). I miei tentativi di stabilire una sorta di sinergia tra storia e fisica quantistica hanno più di una manifestazione, lo abbiamo visto con l’integrale sui cammini di Feynman,
ma se ne possono trovare altri : nel cosidetto “entenglement” nel principio di indeterminazione di Heisenberg (particella e onda) e nel correlato principio di complementarietà di Bohr, ovviamente nella teoria della relatività ristretta di Einstein sia quella “ristretta” che quella “generale”, nell’equazione d’onda di Schrodinger su scia De Broglie-Dirac con relativo collasso, nel “gatto” sempre di Schrodinger che ci dà una sorta di doppia interpretazione vero/falso ed anche nell’esperimento della doppia fenditura, dove quello che appare al senso comune risulta altro, così sempre a proposito della determinazione spazio temporale e anche percettiva dell’età dell’oro, ritengo opportuno cambiare punto di osservazione (un melange di tutti gli effetti sopracitati), un po’ il banalissimo, convenzionale, quanto mai abituale “cambiare disco, cambiare la musica” che è un po’ il leit-motive di questo articoletto. Cambiamo il disco del medioevo tempo di decadenza e dell’Umanesimo e Rinascimento come tempi di risveglio e di inusitata grandezza, ma cambiamo anche il disco di tutte e quattro le Ere , specie della prima quella dell’Oro, la più fumosa e la meno verificata, per la cui comprensione cercheremo di attenerci a qualcosa di veramente imponderabile: un diverso funzionamento dell’apparato cerebro conoscitivo e comportamentale dell’essere umano, che di colpo ci fa saltare a piè pari tutte le argomentazioni più o meno fantasiose di civiltà aliene in visita sulla terra, di lune che scandiscono la loro apparizione in relazione al grado di attrazione dell’atmosfera terrestre. E’ la teoria contenuta nello straordinario libro di Julian Jaynes “il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” dove viene appunto ipotizzato un diverso funzionamento del cervello umano in relazione ai compiti dell’adattamento all’ambiente della sua presenza.
Anticipo qui che tale adattamento ha una diversa modalità cronologica di rapportarsi alla storia e quindi potrebbero gioco forza saltare tutti quei riferimenti storiografici di tipo evolutivo che giustappunto Evola pone alla base del suo pensiero. Ipotizzando, Jaynes, due cronologicamente diversi funzionamenti del cervello, uno dato da una formazione cerebrale originaria cosidetta bicamerale, ovvero una specie di amalgama dei due emisferi in relazione all’agire, un altro attraverso una più pronunciata settorializzazione in uno dei due emisferi, quello sinistro deputato al linguaggio articolato, che attraverso pressioni selettive sempre di tipo ambientale, da’ luogo a tutta una serie di analogie metaforiche, di cui quella fondamentale di “analogo io” che costituisce la coscienza, si perviene davvero ad una diversa concezione di rapportare la vicenda umana in relazione alla temporalità, e quindi di ri-pensare la storia in relazione al tempo che in verità non è ne’ quello dell’evoluzione, né quello dell’involuzione, e’ semplicemente il tempo (CRONOS), il tempo dell’adattamento di un essere che ha scelto di applicare tutto il suo corpo (mente e corpo) al superamento delle difficoltà che l’esterno gli pone continuamente. In questo superamento non c’è né una questione di valore, né di qualità, ma semplicemente un dato di fatto che preferenzia un certo cammino invece di un altro e questo più di un darwinismo a senso unico, ci dà il senso di un costrutto di probabilità ben degno di raccordarsi a quel famoso integrale di Feynman che torna a fare capolino. Una coscienza derivata dal linguaggio e quindi a questo posteriore!? La portata di tale assunto è sconvolgente e richiede la riscrittura di tutta una serie di idee, opinioni e convinzioni, spazzando via non tanto lo spazio quanto giustappunto il tempo che non può più essere interpretato linearmente e con la direzione di una freccia, ma in una sorta di multi cammino fatto di passi avanti e passi indietro, zig e zag e percorsi curvi, obliqui, sotterranei e persino mascherati. Come faceva dire Virgilio alla sua Giunone nell'Eneide "Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo"
Nessun commento:
Posta un commento