Per la serie suggestioni nuove e antiche, cui sono saturi i miei articoli su questi miei blog e quindi continui rimandi tra passato, presente e possibili proiezioni “ad venire “ (non dico futuro perche’ e’ un tempo che nella sua semplice scansione mi appare troppo banalmente immediato e quindi sempre aleatorio, magari ecco, adottiamo la dizione di “futuro anteriore”) sono andato ad inciampare in un saggio di 80 anni fa Terra e Mare (1942) di Carl Schmitt un filosofo/giurista tedesco, tenuto alquanto in penombra dalla cultura occidentale del dopoguerra per essere stato un fiancheggiatore del Regime Nazista. Inciampato e’ proprio il caso di dirlo, in quanto stimolato da un saggio di uno dei pensatori che stimo di piu’ Alain De Benoist che ha scritto in collaborazione con Julien Freund, un altro libero pensatore, un libro ove i due studiosi rileggono giustappunto il pensiero del grande giurista e politologo Carl Smith partendo da quel famoso saggio in cui tutta la storia del mondo, nella particolare accezione della conflittualita’ storica era interpretata nella prospettiva di una opposizione fondamentale tra nazioni di terra e nazioni di mare. Sottotitolato “una considerazione sulla storia del mondo raccontata a mia figlia Anna” il saggio racconta e riassume in uno stile narrativo agevole e gustoso, l’evoluzione geo-storico-giuridica a partire dalla scoperta dell’America, quindi la fine del XV secolo, con gia’ in corso tutta la serie di sconvolgimenti epocali (viaggi, nuovi continenti, invenzioni, commerci, diversi stili artistici, modalita’ differenti di guerre e assedi, financo una grande pandemia ricorrente che induce alla domanda “cui prodest” ieri come oggi) che rimandano ad una ulteriore analisi, quella delle eta’ del mondo di Esiodo che inducono alla considerazione che ci troviamo in piena eta’ dei mercanti o del bronzo, subentrata a quella dell’eta’ dei guerrieri ovvero l’eta’ dell’argento. L'originalità dell'opera risiede nell'individuazione, da parte dell'autore, della dicotomia Terra-Mare come motore della storia umana ed e’ ovviamente questa la tematica che interessa ai due piu’ recenti pensatori, difatti nel loro breve ed intenso saggio, scritto a quattro mani, affiora l’importanza degli «elementi», quasi mai tenuti in considerazione dai metodi di Oswald Spengler e di Arnold Toynbee, che sono invece impressi categorialmente all’intero pianeta, ossia i quattro elementi: acqua, terra, aria e fuoco, ma soprattutto, riuscendo ad individuare il vero rappresentante dell’eta’ dei mercanti, ovvero dei commerci, del valore di scambio , del denaro , in una parola quella che io definisco, non lo nego con un tantino di disprezzo, “l’eta’ dei bottegai e dei garzoni” ovvero le potenze del mare, vale a dire quelle insulari, l’Inghilterra del Seicento e della Rivoluzione inglese, dalle forti spinte espansioniste e coloniali sino agli Stati Uniti che ne presero il posto; raffigurate, dalla forma liquida oceanica del non limite, in moto contro le potenze di terra, interpreti piu’ ossequiose della tradizione; sospinte tali forze di mare dal Capitalismo che ha ridotto gli Stati ad essere un surrogato delle regole della società di mercato e degli assunti dell’universalismo, contro i limiti naturali formati dall’elemento tellurico: la Terra, abitata dai «figli della Terra» Ed è proprio Alain de Benoist a metterci in guardia, dalle interpretazioni errate su ciò che intendeva dire il giurista tedesco. Partendo col dire che «l’uomo è figlio della Terra» per la motivazione che «abita la Terra da terrestre: Humus e Homo hanno la stessa origine» ma tutto questo, nulla ha a che vedere con una sorta di «Heimat, al paese di origine». Spiegandolo in maniera più semplice: «l’elemento nativo dell’uomo è la terra». E ciò significa che non possiamo escludere dai nostri ragionamenti, il quadro geografico della terra, indubbiamente «fatta di territori e paesi» ma soprattutto di «territori distinti dagli altri, separati da frontiere» da particolari condizioni geologiche, geofisiche e morfologiche, cose solo apparentemente ovvie e facenti parte della tradizione ovvie, messe completamente in discussione dall’avvento della mondializzazione e dalla globalizzazione. Discorrendo poi, di quella pianificazione del «management globale» cui abbiamo assistito e delle sue preoccupazioni sulla «possibile creazione o l’emersione di una coalizione eurasiana» che, «potrebbe cercare di sfidare la supremazia americana». È cosa nota che lo stesso Heidegger, pensava alla terra dandogli un senso ancor più profondo. Molto calzante la citazione inserita da Alain de Benoist sullo scritto del filosofo di Meßkirch, intitolato L’origine dell’opera d’arte, redatto nel 1935 e pubblicato solo negli anni ‘50.
Trattasi del testo di una prima conferenza sul tema dell’opera d’arte, dove si trovano degli spunti interessanti. L’acume filosofico e metafisico di Heidegger, osserva la nozione di popolo e del suo «abitare storico», solo quando riconosce l’immanenza ed «il primato dell’arte, l’opera d’arte». Dunque, l’analisi di Alain de Benoist non poteva non rifarsi a «l’essenza della terra», alle tre accezioni che rimandano al concetto originario di nomos; suggerendoci di contemplarla, lasciandola «dispiegarsi in quanto tale». In pratica, quello che Heidegger voleva intendere, quando scrisse che «l’armonia di questa insuperabile pienezza noi la chiamiamo la terra», scoprendo così, quanto sia importante, toccare le corde più profonde della sensibilità heideggeriana, mettendo «in rapporto l’opera d’arte con la terra» per il fatto che «l’arte conduce a una riappropriazione dell’abitare storico e destinale» come diceva Freud la parola abito viene dal verbo latino habitare che significa non solamente abitare nel senso di stare a casa, ma anche sentirsi a casa, provare sensazioni di identita’, di riconoscimento, di tradizione, quindi portare l’abito e’ un po’ equivalente del de-sein heideggeriano : un esser-ci dove l’abito e’ quello che portiamo sempre quel “ci = noi” che ci caratterizza come specie : ed è proprio qui che il senso di Immanens, gioca un ruolo importante: giustappunto designando con esso un sentire il cui fine risiede in se’ stesso ma che e’ riconoscibile anche per l’altro (vogliamo ricordare come definiva Lacan l’inconscio? ... Il luogo dell’altro giustappunto). Questo pero’ come abbiamo visto riguarda la Terra, ma di converso bisogna dire che le potenze di mare, incanalano l’esatto contrario di questi pensieri e sono già passate dal «succedersi rapido delle novità», all’astrazione di una mobilità permanente, dalle merci all’uomo, dai nuovi desideri da rimpiazzare a quelli vecchi, alla gratuità offerta dal nomadismo. Un mondo dei flussi senza frontiere, delle «correnti mutevoli» e dei «flussi e riflussi» delineati da Carl Schmitt, lasciano il posto allo spazio siderale senza fine, all’infinito per antonomasia. Basti pensare alla componente tecnica della «talassopolitica» che era ritenuta essere, erroneamente, il “Rinascimento moderno”. Senza tenere conto in passato, di quanto «la tecnica appartiene all’ordine degli artifici» impiegati per gli spostamenti in mare, assolutamente non necessari per ciò che riguardava lo spostarsi e il muoversi sulla terraferma.
Per questo l' antinomia tra potenze di terra e potenze di mare mi ha sempre suggerito una metafora militare fino a pensarle ad entrambi come Armate, grandi Armate, l'Armata di Terra, l'Armata di Mare La prima con tanto di soldati, cannoni, carriaggi e varie suddivisioni in Corpi d'armata, Divisioni, Brigate, tipiche del comando del relativo Generale, la seconda piu' che a flotte con ammiragli mi ha invece piu' sollecitato una immagine commerciale tipo uno slogan per vendere maglietti, gadget, orologi in piena linea col suo sottofondo culturale di bottega con padroni e garzoni. Forse oggi però si dovrebbe considerare le nuove frontiere siderali, ovvero una prossima colonizzazione dello spazio, interrottasi nel 1969 con una quanto mai dubbia supremazia statunintense, che ora coi mutati termini geo-politici verificatesi in questo ultimo cinquantennio potrebbe acquisire un ruolo centrale. In termini di pura dialettica, una dialettica non pero’ della spocchia arroganza sistemica di quella di un Hegel o di un Marx, ho sempre considerato il saggio di Schmitt uno studio estremamente stimolante e rispondente alla vicenda storica, arbitrariamente tenuto sotto un certo silenzio dalla dominante mentalita’ bottegaia proprio in quanto spaventata dalle implicazioni di rispondenza storica contenute da una matrice non allineata al suo carro, ecco perche’ mi ha cosi intrigato la rilettura anche contando sull’accompagnamento di altri due studiosi non allineati come De Benoist e Freund, che denunciano tramite Schmitt il pericolo di una fine dell’elemento terra, ma anche che la destrutturazione ad opera della religione delle reti globali e dalla «mobilitazione totale» nel firmamento, può essere fermata, purché si riesca a comprendere la natura di un «processo di imposizione», ripetiamolo, capitalistico e della «messa a regime della ragione» che vuole obbligatoriamente sopprimere i limiti che permettono le distinzioni e soppiantato dalla tradizione il dominio del denaro, dell’omogeneizzazione, dell’intercambiabilità generalizzata degli uomini e delle cose, caldeggiato dalle potenze del mare che Carl Schmitt, individuò minuziosamente. Oggi che siamo pervenuti all'ultimo capitolo di questa offensiva marina contro la terra (lo abbiamo visto con questi recenti mesi di pseudo pandemia , ovvero un qualcosa di totalmente inventato con il supporto dei Media praticamente da sempre al servizio della bottega e del suo mezzo di scambio, il denaro) , bisogna noi gente della tradizione, noi gente di terra che ancora non hanno perso il bene della ragione e non si sono fatti irretire dal mostro piu' terrificante esorcizzato dagli abissi dell'ignoranza-la Paura, dobbiamo re-agire, recuperare il RE-AZIONARIO, il che comporta di riuscire a comprendere la natura di un «processo di imposizione», ripetiamolo, capitalistico e della «messa a regime della ragione» che vuole obbligatoriamente «sopprime i limiti che permettono le distinzioni». Il dominio del denaro, dell’omogeneizzazione, dell’intercambiabilità generalizzata degli uomini e delle cose, caldeggiato dalle potenze del mare che Carl Schmitt, individuò minuziosamente. Carl Schmitt inizia il suo saggio ricordando le fondamenta esistenziali dell'uomo: esso è un essere di terra che calca il suolo, che dal terreno ricava la sua visione, il suo punto di vista. L'uomo, dunque, nomina Terra l'astro sul quale vive, per quanto la superficie del pianeta sia perlopiù coperto d'acqua. Dei tradizionali quattro elementi (acqua, terra, fuoco, aria), è la terra l'elemento destinato a determinare l'esistenza dell'uomo. Tuttavia, nelle più profonde memorie, l'uomo riconosce nel mare la causa prima di ogni vita. Basti pensare a Afrodite dea della bellezza, nata dalle onde del mare; oppure al filosofo Talete , che identifica il principio di tutte le cose ) l'archè)nell'acqua. . Va notato pero' che l'uomo non si esaurisce nel proprio ambiente: esso, a differenza dell'animale e della pianta (la cui esistenza è determinata dall'ambiente), può salvarsi e elevarsi a una nuova vita; può, addirittura, scegliere l'elemento al quale dedicare la nuova forma complessiva della sua esistenza storica, nel quale si organizza (può, ad esempio, passare da un'esistenza terranea a una marittima). "La storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare". Dai tempi più remoti questa opposizione elementare è osservabile e, ancora nel XIX si usava caratterizzare le tensioni dell'epoca tra Russia e Inghilterra come lo scontro tra un orso e una balena. ICabalisti medioevali parlavano della storia del mondo come di una lotta tra Leviatano e Behemoth, dove questi ostruisce le vie di respirazione: ed è questa la rappresentazione del Blocco Navale con cui una potenza marinara taglia i rifornimenti al paese avversario per affamarlo.La storia umana è lotta tra terra e mare. A partire dagli antichi greci, passando per Roma , civiltà di terra in lotta con la potenza marinara di Cartagine, fino a pervenire a Venezia, che per cinquecento anni dominò il mare. Tuttavia, con il dispiegarsi del Nuovo Mondo, ci si rende conto della limitatezza di un potere che, come quello di Venezia, si estende soltanto sul Mediterranei . Il filosofo tedesco Ernst Kapp ha stabilito la sequenza degli imperi dal punto di vista dell'acqua. Egli distingue tre stadi di sviluppo cronologico: Potamia, età talattica, cultura oceanica.
· Potamia: cultura fluviale d'oriente (Tigri e Eufrate, Nilo - assiri, babilonesi, egiziani);
· Età talattica: cultura dei mari interni e del bacino del Mediterraneo (antichità greca e medioevo mediterraneo);
· Cultura oceanica: scoperta dell'america e circumnavigazione del globo terracqueo.
Venezia, anche dopo la scoperta del nuovo mondo, è rimasta arroccata sullo stadio talattico. La pratica festiva dello "Sposalizio col mare" dimostra come questa repubblica marinara non si sentisse identica all'elemento acqua ma, anzi, dovesse rabbonire un elemento a lei estraneo. La tecnica navale della repubblica di Venezia rimase inalterata fino al suo declino (1797): conobbe solo la navigazione a remi, mentre la navigazione a vela permetteva di solcare gli Oceani Nella battaglia navale di stile antico, le navi cozzano l'una contro l'altra e si cerca di andare all'arrembaggio : si tratta, dunque, di una battaglia terrestre sull'elemento acqua, una battaglia corpo corpo (fu cosi' con l'invenzione dei rostri che Roma riusci' a vincere anche sull'elemento mare i Cartaginesi, trasformando la guerra navale in guerra terrestre). La lotta marina vera e propria si avrà con l'introduzione dell'artiglieria, ovvero i cannoni sulle navi. Nel suo suggestivo e esaltante saggio/racconto, (non dimentichiamo che che lo stile era quello didascalico rivolto alla figlia) Schmitt esamina anche i protagonisti dell'una e dell'altra fazione, ed ecco infatti apparire la balena (Leviatano), e i suoi cacciatori, che ingaggiano una lotta mortale, all'ultimo sangue Il più grande e più potente animale d'acqua del mondo, è un mammifero e respira con i polmoni; tuttavia, per l'elemento in cui vive, la balena deve essere considerata un pesce E i suoi cacciatori non erano semplici pescatori ma proprio cacciatori in grande stile; perlomeno al principio. Con lo sviluppo delle navi a motore, dei cannoni con arpioni, la battaglia si fece impari, la pesca pelagica divenne uno sterminio fatto di granate, macchine elettriche, cannoni. Prima di cio' la lotta tra balena e balenieri era una lotta mortalmente pericolosa tra due esseri viventi che, senza essere propriamente pesci, si muovevano nell'elemento mare. Ogni strumento di cui si serviva l'uomo era mosso dalla semplice forza muscolare: i remi, òa scialuppa, la fiocina, la vela. L'uomo cercava di sconfiggere la balena, che poteva distruggerne l'imbarcazione in un istante, con l'astuzia. Senza il pesce-balena i pescatori sarebbero rimasti lungo le coste; grazie alla balena vennero scoperte le correnti e il passaggio a nord. La balena e il cacciatore di balena hanno disvelato il globo terrestre, indipendentemente da Colombo e gli altri grandi viaggiatori e dagli altri cercatori d'oro.Terra e mare di Carl Schmitt rappresenta uno dei più rilevanti tentativi contemporanei di trovare una chiave di lettura alternativa per la storia del mondo. In questo caso, la dialettica tra terra e mare, interna alla strutturazione geopolitica del globo terrestre e simboleggiata dalla lotta tra le figure antagoniste del Behemot (allegoria della Terra) e del Leviatano (allegoria del Mare), due mitici mostri presenti nell’Antico Testamento, che qui individuano la differenza reale e concreta di civiltà statali radicate nella terra o tese alla conquista del mare. Schmitt delinea una concezione dualistica per spiegare l’assetto politico mondiale, strutturata in base ad una bipartizione tra civiltà di terra, o continentali, protese verso l’interno e quasi del tutto prive di tradizioni marinare, come per es. il Sacro Romano Impero Germanico, e civiltà di mare, che hanno visto nel mare più una risorsa e una possibilità di sviluppo che un rischio, come l’antica Atene o l’Inghilterra elisabettiana.
La tensione dinamica tra Terra e Mare è comunque soltanto il punto d’avvio di una riflessione che si definisce e si precisa sul ruolo della conquista del mare sulla storia universale, mediante lo sviluppo dell’arte nautica e la scoperta di nuovi mari e nuove terre, scoperta che ha avuto sempre notevoli ripercussioni sulla struttura morfologica del Nomos della Terra, ovvero il tipo di assetto giuridico e politico generale dell’intero pianeta. Terra e mare rivela la tentazione schmittiana di concepire la geopolitica al di fuori della tradizionale dialettica tra gli Stati, contemplata nella sua teoria dei Grandi Spazi, che vanno intesi come raggruppamenti territoriali più vasti delle singole entità statuali. Infatti, per Schmitt lo schema dello stato-nazione è insufficiente a spiegare fenomeni che solo nella loro correlazione con la storia del conflitto tra civiltà acquistano un significato pieno e profondo. L’opera esemplifica con rigore divulgativo gli episodi più significativi in cui la scoperta di nuove terre e nuovi mari ha influito sulla vita dei popoli e delle istituzioni, soprattutto in merito alle potenze coloniali dell’Età Moderna, come Portogallo, Olanda, e soprattutto la Gran Bretagna, prototipo di ogni talassocrazia (dominio del mare) che presenta caratteri peculiari, come una concezione politica aperta a istanze liberali ed una economia basata sul libero mercato (liberismo).