sabato 25 novembre 2023

MEZZO MITO DIMENTICATO

 

Una pausa di riflessione molto importante  alle considerazioni sulla miserevole attualita' odierna viene offerta dal libro  di Bernard Stiegler  "La colpa di Epimeteo " che e' il primo dei tre volumi dell'imponente suo studio "Il tempo e la tecnica" uscito in Francia trent'anni fa e che solo ora  grazie alla iniziativa della  Luiss University Press, e la ottima prefazione di Paolo Vignola che riporto in questo mio articolo su blog chiosandola leggermente, consente anche a noi lettori italiani  di avvicinarci ad una delle imprese filosofiche  di maggiore spessore e originalita' degli ultimi periodi. La quasi dialettica temporale  "Epimeteo - Prometeo" ci introduce difatti nel cuore di uno dei piu' famosi, anche se non interamente riportato, "Mito delle Origini", quello di Prometeo che ruba la scintilla del fuoco divino donandola agli uomini, quello che pero' sfugge ed e' sempre sfuggito ai piu', e' che cosi' riportato il Mito e' monco, impreciso ed anche fuorviante, un po' come... chessò il finale del film di Ernest Lubitsch "Il cielo puo' attendere" così come  riportato in Italia,nel 1947 avendo operato la bacchettona censura democristiana il taglio degli ultimi fotogrammi del film  che erano proprio quelli che davano senso al titolo del film
(il protagonista Dana Ameche che invece dell'ascensore diretto verso l'alto in  paradiso dove un simpaticissimo Diavolo lo aveva destinato,  sceglie invece  l'ascensore diretto giu' all'inferno caratterizzato dalla presenza di una esplosiva biondona e  pronuncia infatti la ben nota frase "il cielo  puo' attendere=Haven  can wait!"). Nel Mito al contrario del film, quello che viene eliso non e' la fine, ma l'inizio che funge da logica  premessa, e' il  tentativo fallito del fratello maggiore Epimeteo  che incaricato da Zeus di dare ordine a tutte le cose da lui create, dopo aver assolto alla perfezione  a tal compito  per tutte le specie viventi con l'assegnazione di determinati istinti per ognuno : il cibo, la tana, la procreazione, si dimentica degli uomini (l'etimologia del nome denota tale peculiarita' della dimenticanza in quanto Epi-Metheo e ' letteralmente "colui che pensa (verbo metheo = penso) dopo, in ritardo (particella epi')"   e li lascia quindi nudi, privi di qualsiasi qualita' e talento, indispensabili per sopravvivere. Sta qui La colpa di Epimeteo  ed e' a questa originaria colpa che deve rimediare Prometeo (lett. colui che pensa prima, in anticipo "pro-. metheo"), sempre su incarico di Zeus, visto il fallimento del fratello. Opera niente affatto facile perche' l'uomo e' del tutto privo, come abbiamo detto,  di talenti e qualita' e non ha neppure alcune caratteristiche, tipo la forza, le ali per volare, le pinne per nuotare, grandi denti, zampe poderose, veloci gambe,  che invece avevano gli altri animali, cui era quindi bastato fornire di istinti innati. Quello quindi che non si  poteva trovare all'interno dell'animale uomo, doveva giocoforza trovarsi all'esterno  ed e' proprio all'esterno che si rivolgera' Prometeo, piu'  particolarmente la scintilla del fuoco custodita da Efesto che unita al sapere tecnico di Atena produrra' appunto la "techne" che e' giustappunto lo specifico umano, uno specifico che non riposa in nessun organo del corpo, a rigore neppure nel cervello, ma e' sempre frutto di un  impegno, di una applicazione e abbisogna di un "kairos" che gli antichi greci interpretavano come "tempo opportuno" per riuscire nell'impresa di volta in volta rinnovatesi di vivere nel mondo. E' palese che l
’uomo l'essere senza qualita',  non è predestinato: deve inventare, realizzare, produrre qualità che, una volta prodotte, nulla indica che diventeranno sue, anziché di quella "Techne' ».«Gli uomini sarebbero, dunque, i dimenticati - ammonisce Stiegler -. Arriverebbero solo attraverso il loro oblio: apparirebbero solo scomparendo». E apparirebbero solo insieme alla tecnica, che, pertanto, non può intendersi alla stregua di un semplice strumento da usare, perché permetterebbe agli uomini di essere nel mondo. Lo sforzo intrapreso dal pensatore francese è imponente. Egli prova a porre al centro della sua attenzione quanto rimosso dalla tradizione del pensiero europeo fin dalle sue origini, vale a dire la tecnica. Questa rimozione non deriverebbe da una distrazione o da negligenza ma da una scelta . Se la tecnica è l’impensato della filosofia  è perché la filosofia, fin dal suo principio platonico e per combattere la strumentazione del logos da parte dei sofisti, ha separato la téchne dall’episteme e ha relegato la tecnica a mero mezzo in vista di fini prestabiliti». A fronte della tradizione filosofica, Stiegler tenta di porre rimedio a questa situazione intraprendendo un percorso che parte da una inedita storia dell’ominazione, elaborata a partire dalle riflessione di uno dei grandi paleoantropologi del Novecento, André Leroi-Gourhan, e alternativa sia ai determinismi biologici e tecnologici sia al culturalismo rampante. 

Leroy-Gouran e lo schema di catena operativa litica
Oggi più che mai l’esercizio di pensiero dovrebbe prendere le mosse dal lavoro di Stiegler.  Al tempo degli smartphone, dell’intelligenza artificiale, dell’estendersi della digitalizzazione a tutti i processi in atto non vale abbandonarsi a facili entusiasmi o ad altrettante facili paure. È il momento di compiere uno sforzo che si faccia carico, senza infingimenti romantici, del ruolo ricoperto dalla tecnica per l’uomo nel corso dei millenni, o  detto in maniera più marcata, il ruolo che essa ha recitato nel processo di ominazione. Senza affrontare questo nodo «la crisi del tempo - sottolinea Stiegler - diventerà tanto più paradossale quanto l’imminenza di un’impossibilità futura che non è mai parsa così grande». Portare la tecnica al centro del pensiero equivale a riconoscere che, nei confronti dell’uomo, essa può svolgere un ruolo “costituente” per farlo diventare tale, come è avvenuto ai tempi dell’ominazione, o “destituente” privandolo di se stesso, come minaccia di farlo al tempo della “società automatica”. Stiegler cerca di chiarire il modo in cui la storia dell’uomo sia legata alla storia delle sue protesi tecniche, interrogandosi sulla misura in cui questi organi esteriori, dal primo frammento di selce intagliata fino agli attuali sistemi di produzione iperindustriale, siano distinguibili da ciò che chiamiamo “umano”. Nel corso della sua riflessione giunge al punto di identificare un movimento biunivoco tra l’uomo e la protesi tecnica, che rende complicato distinguere se faccia la sua comparsa prima uno e poi l’altra. Quanto accade da questa stretta dipendenza dell’uomo e della tecnica, e quindi dalla organizzazione umana della materia inorganica, è un processo di esteriorizzazione di sé che proietta l’uomo in una nuova dimensione, e in particolare in una dimensione storica, con un suo passato e un suo futuro. Attraverso l’esteriorizzazione di sé tramite le protesi tecniche l’uomo non si estranea dalla natura ma da un lato vi si immerge ancora più profondamente e dall’altro, avvalendosi della “materia inorganica organizzata”, si dissocia dal programma genetico che condiziona l’evoluzione della nostra specie. Infatti la selce lavorata diventa un supporto di memoria, una registrazione dell’esperienza passata che può essere trasmessa di generazione in generazione, aprendo alla possibilità di “biforcare” rispetto ai determinismi genetici e a quelli tecnici oggi tanto pregnanti.

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