lunedì 25 agosto 2025

I BAFFONI DI UMBERTO

UMBERTO I  RE 1878 - 1900
Sentimentalmente  e sottolineo sentimentalmente io sono monarchico. E’ forse un sentimento che mi ha trasmesso la mia maestra delle elementari Lilia Marinelli  che sembrava  un po’ l’incarnazione della Maestrina dalla penna rossa del Cuore e un po’ quella della finzione cinematografia, di mi pare il primo film di Don Camillo e Peppone, che voleva essere sepolta con il tricolore si, ma  con al centro lo stemma e corona sabauda. La Marinelli era monarchica e aveva un debole per me  fin dal primo giorno di scuola quando facendo l’elenco  scopri’ che ero nato il 9 giugno 1948 , ovvero lo stesso giorno che lei bimbetta  omaggio’ di un mazzetto di fiori il Sottotenente che entro’ per primo a Monfalcone la sua citta’ giustappunto il 9 giugno 1915 e di cui  ricordava ancora perfettamente il numero sul fregio del berretto della Brigata Ferrara che, guarda un po’ era lo stesso del mio anno di nascita, debole che ando’
la classe della Marinelli. il compagno Ferro e' il secondo 
 da sinistra, io l'ultimo 
ulteriormente accrescendosi quando seppe che i miei nonni erano Colonnelli, il padre di mio padre degli alpini di cui io ragazzetto piuttosto sveglio capii subito l’antifona che la passione della maestra mi sarebbe tornata utile e cominciai a portarle  i cimeli di cui era ancora disseminata la mia casa a via Nicolo’ V , la medaglia della guerra 15-18 fusa nel bronzo dei cannoni catturati al nemico con le fascette che indicavano tutti gli anni, il distintivo in argento di mutilato, la medaglia pure d’argento con il nastrino azzurro sfilacciato e ovviamente qualche foto , dell’altro nonno , il padre di mia madre colonnello di fanteria  che era ancora in servizio e comandava un reggimento mi pare a Bari, non avevo nulla, ma lei la Marinelli gli citava sempre il padre quando la invitava a partecipare  delle riunioni monarchiche presieduto dal Grande Invalido DelCroix, cui ovviamente mi toccava di partecipare anche a me e fingermi interessato. Nell’ora di musica si andava in una grande aula al piano terreno dove si cantavano tutte le canzoni patriottiche, le ragazze di san Giusto, Addio mia bella addio, monte Grappa tu sei la mia patria e ovviamente il Piave mormoro’, a proposito del quale ci fu il piccolo grande incidente del compagno di classe ripetente Ferro che aveva qualche cosa come dodici tredici anni e abitava nelle baracche che stavano a ridosso di Monte del gallo, che chiosò a modo suo con un poderoso “zom zom” quel finale della canzone con “non  passa lo straniero” Apriti cielo, la Marinelli che difficilmente perdeva le staffe quella volta fu una furia  e si produsse in una ramanzina da sturbo cacciando il povero Ferro dall’aula “tu hai osato fare zom zom  in una canzone scara della patria, per la quale molti hanno fato la vita, vergogna!!!” Morale della favola astenersi dall’enfatizzare la qualsiasi canzone anche se il ritornello specie sul finale lo stimolava. Di segno opposto l’incazzatura di mio padre, che si definiva socialista di Nenni, ma era fortemente simpatizzante per il PCI,  quando venne a sapere che sempre lei ci faceva pregare per i bambini dell’Ungheria  (eravamo quindi nell’autunno del 1956) Ma ne’ mio padre,  ne’ le canzoni che canticchiava lui  che parlavano di bandiere rosse e di soli dell’avvenire mi entusiasmavano, anzi ad essere proprio sincero, mi davano un senso di fastidio perche erano cantate anche da persone avvinazzate, vestite male, con la barba lunga che mangiavano pane e porchetta e fumavano le cicche delle sigarette li’ nel comizio/manifestazione a ridosso del cinema Giulio Cesare in Prati, vuoi mettere le marziali marce militari, le canzoni patriottiche   e si anche quella fasciste che un signore di via Nicolo’ che aveva fatto parte della Milizia Fascista, mi fece ascoltare, suscitando subito la mia approvazione e favore. Sulla mia preferenza monarchica si stagliava maestosa e piena di fascino  l’apparecchiatura di rappresentanza, le belle uniformi, i pennacchi, le sciabole, e peculiarita’ che, l’avrei scoperto dopo,  erano di riferimento alla figura di mio nonno e mio omonimo, tipo i baffi che così del tutto, diremmo sempre con un senno un po’ di poi, inconsciamente ed emozionalmente senza alcuna traccia di razionalita’ mi affascinavano. Ora qual’era il re che piu’ di tutti aveva baffi da primato? Non Carlo Albero,che i baffi addirittura non li aveva  ne’ Vittorio Emanuele III che era troppo goffo e con pizzo e neppure i sovrani stranieri , i baffi a spillo di Napoleone III o i favoriti di Francesco giusepppe…. Eh si! i piu’ bei baffi di tutti, i piu’ belli di tutti, che si diceva che misurassero da una punta all’altra  23 centimetri erano quelli di re Umberto, i “baffoni di Umberto” appunto. Umberto e i suoi baffoni , ma non solo quelli, anche tutto il periodo del suo regno, la cosidetta
"era Umbertina" si andavano colorando di un fascino incommensurabile, il fascino di ieri come sublimato in mille particolari: lo stile Liberty, dei palazzi,  degli arredi, la   linea curva , il vitraggio seppia delle fotografie e ancora i fili di perle della moglie, la regina Margherita che aveva dato anche il nome alla pizza che andavo a mangiare da Brandi a Napoli, ed ancora l'atmosfera dei cafe' Chantant, le uniformi degli ufficiali coi gradi a fiore sulle maniche, baffi , baffetti e e baffoni dappertutto, persino l'esotico delle campagne d'africa  con imperatori e imperatrici e feroci ras abissini, insomma una monarchia coincidente col fascino unico  di una intera epoca che solo verso il finale andava appannandosi (la battaglia di Adua, le cannonate di Bave Beccaris con l'epilogo dell'uccisione  del Re a Monza nel 1900 che a rigore secondo anche la copertina di Beltrame  e' un anno che appartiene ancora al XIX  secolo. Ebbene questo re  rappresenta la quintessenza della mia fascinazione per la monarchia, ma proprio dalla lettura di un saggio del mio pigmalione culturale Guglielmo Ferrero  vado a dedurre alcune note che mi inducono ad ulteriori riflessioni sull'arcano di questo mio trasporto. In un mio precedente  articolo di commento al libro Potere - i geni invisibili della citta', avevo molto apprezzato questa
deduzione  sul principio di legittimita' che funziona come collante  nella tenuta di un consesso sociale, quale uno Stato, che Ferrero chiama appunto i geni invisibili della citta', intendendosi appunto per citta' una entita sociale  tipo lo Stato e che suddivide in due grosse categorie un  principio di legittimita' monarchico , che io tenderei a denominare aristocratico,  e un principio di legittimita' popolare che sarei propenso a chiamare democratico 

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