venerdì 28 agosto 2020

RECITARE UNA PARTE (Prima parte)

Napoleon - Abel Gance

La storia è stata sempre falsificata e falsificabile. Questa domanda mi è stata solleticata dal ritrovamento di un vecchio libro di uno storico italiano Guglielmo Ferrero, non troppo conosciuto in quanto essendo antifascista e esule in vari Paesi, non è stato in Italia oggetto di capillare diffusione e attenzione;  diciamo “peccato” perché siamo in presenza di uno storico vero e molto originale, oggetto di grandi riscontri,  ma giustappunto non in territorio nazionale, ma nei numerosi Paesi in cui è stato esule ed ospite (Svizzera, Francia, Gran Bretagna , Stati Uniti) ;  il libro in questione  è del 1936 pubblicato in Svizzera,  si chiama "Avventura" e  tratta del prepotente ingresso nella storia, del giovane generale Napoleone Bonaparte con la campagna d’Italia del 1796/97, dove è avanzata la tesi che tale folgorante  ascesa non sia stata affatto dovuta a quel genio militare universalmente attribuito al personaggio e neppure a quella sorta di “hoc erat in votis”che trascende i dettami della storia, ma a tutta una serie di circostanze tra il fortuito e il fortunoso, ma anche un tantino al programmato, che fa si di individuare  un contesto preordinato e ben incanalato nei dettami di una precisa strategia sociale.  Le verità storiche  come quelle scientifiche  sono sempre relative e la campagna d’Italia del 1796/97 è stata universalmente considerata dagli storici come innesto della più straordinaria avventura del personaggio che l’aveva condotta, quel personaggio che 10 anni dopo, all'indomani della battaglia di Jena,  farà  scomodare  un  filosofo come Hegel  per  veder passare “lo spirito della storia “ :  e’ da due secoli e passa, appunto  che si racconta che la Campagna d’Italia fu il parto del solo cervello geniale di Bonaparte,  e che solo lui avrebbe potuto avviare un simile sconvolgimento, ma analizzando spassionatamente i fatti l’autore perviene alla constatazione che non è affatto così:  in effetti, specie nella prima parte della campagna non si ravvede alcuna variazione rispetto al piano studiato dal Direttorio per i compiti dell’Armata: va notato difatti,  che all'incirca  dalla meta’ dell’anno precedente all'assunzione del comando dell’armata di Bonaparte il Direttorio in collaborazione con il Comitato Topografico Militare e una serie di giovani Generali, di cui faceva parte anche lui il ventiseienne  Generale di Divisione Napoleone Bonaparte, aveva elaborato un piano d’azione sia tattico che strategico  per la non troppo considerata Armata d’Italia. Sotto il profilo tattico il primo obiettivo doveva essere la città e fortezza di Ceva che doveva essere attaccata  da due lati delle forze d’Armata , la prima lungo il Tanaro, la seconda  da Savona, per poi proseguire nella direttiva di separare le forze austriache da quelle piemontesi e procedere verso la Lombardia . Le linee strategiche per l’Armata del Piano del Direttorio, però non riposavano in Italia, ma prevedevano l’invasione della Germania  attraverso l’Italia,  e Napoleone come si e’ detto, faceva parte del gruppo di Generali che aveva ideato tale piano in un periodo in cui non aveva ancora alcuna idea che sarebbe stato proprio lui quello che sarebbe stato incaricato di  dargli  fattualità.  Questo punto è di capitale importanza nel ragionamento che stiamo seguendo :  dove è che finisce la la storia e dove è che comincia il mito???? perché in effetti  siamo in presenza della nascita di un  mito, anzi a tutti gli effetti il più inossidabile mito dell’era moderna, un’era nata appunto nata come Rivoluzione delle macchine che aveva avuto in precedenza  qualche prodromo di personalizzazione ( Federico II di Prussia, l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, qualche musicista, tipo Mozart e  Beethoven o magari filosofi o studiosi d’eccezione tipo Liebniz, Newton, Kant) , ma che troverà in questo piccolo insignificante uomo, che in altri periodi, se non avesse incappato in una serie di sconvolgimenti sociali del calibro della Rivoluzione Francese, sarebbe rimasto un oscuro ufficialetto gratificato al massimo del grado di Maggiore. E’ notorio come praticamente tutti,  anche coloro che non lo avevano particolarmente amato (il manzoniano “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”) finissero per esaltarlo, appuntandosi anche su particolari non troppo dissimili dal conformarsi delle nuvole ad una apparente madonna in cielo, per uno stuolo di fanatici e suggestionabilissimi religiosi : nel 1840 quando in una giornata invernale nuvolosa e uggiosa fu traslata la salma dell’Imperatore da sant’Elena per essere tumulata nella Chiesa des Invalides, ecco che all'improvviso uno splendente sole sbucò dalle
nubi per illuminare il feretro e le ali di folla che l’accompagnavano lungo les Champs Elysees, e simultaneamente si levò dalle folla un grido che squarciò il silenzio …“LE SOLEIL D’AUSTERLITZ !!!!!” e come d’incanto ritornare la magia dell’Impero, dei bollettini delle battaglie, i gagliardetti, le insegne, le fiammanti uniformi della Vecchia Guardia. Per spiegare tutto questo, cogliendolo proprio dal suo inizio, l’autore del libro “Avventura” Ferrero, parla appunto di un non meglio precisato “spirito di avventura” una sorta di smania che fa da correlato nel genere umano specie da quando il suo baricentro si è spostato dall'interno di sé stesso  ad un qualcosa di esterno:  la macchina il prodotto della cosiddetta rivoluzione industriale ;  e’ un smania che sostituisce la ripetitività, la routine, cui lo spostamento di indice referenziale appunto dall'interno all'esterno di sé, in una protesi di tutte le sue capacità , della sua stessa essenza,  spinge l’umanità, da una parte con impazienza, ma dall'altra con riluttanza, a uscire dal momento presente, per andare a cercare qualcos'altro in un altro tempo,  in un altro spazio, appartenente non più alla realtà, ma all'immaginazione; non è un tempo presente, ma non è neppure un tempo passato, ne’ tanto meno un tempo futuro in una semplice modalità desiderante: è un altro tempo, non semplice, ma composto e molto più complesso, un tempo che può trovare applicazione in un mondo matematico di perlomeno cent’anni antecedente alla Rivoluzione Industriale, che due grandi studiosi avocarono a loro ideazione  Leibniz e Newton : il calcolo infinitesimale!  Di cosa si occupa il calcolo infinitesimale di tanto importante e di  tanto inerente ai tempi che verranno fino ad essere ancor oggi uno dei calcoli più largamente impiegati per addivenire a risultati della massima utilità non solo teorica, ma anche pratica? di  andare a definire quel particolare “punto/momento/emozione” in cui uno stato si trasforma in flusso, un cambiamento che compatibilmente al suo far parte di tutto l’insieme dei numeri complessi, ne comporta anche l’impiego del sottoinsieme dei numeri immaginari, ovvero proiezioni di numeri negativi. Lo spazio/tempo e flusso, farsi cioè quel “sarà stato “ che rappresenta una modalità trascorsa e nel contempo “ri-assunta”, per dar luogo ad un avvenire, che fa leva sugli immaginari, tutti gli immaginari possibili, dove la realtà si piega alla fantasia e anche alla manipolazione, abbisognando non solo del calcolo infinitesimale e di tutto l’insieme dei numeri complessi, ma altresì della capacità di persuasione della nuova grande arma della Rivoluzione Industriale : la stampa, i mezzi di informazione, tutto quello che più tardi verrà denominato “Mass media”
La tesi del libro di Ferrero che assume un che di inquietante nella correlazione con quanto sta accadendo oggi, non nomina il calcolo infinitesimale, né le derivate complesse che impiegano anche numeri immaginari, ovvero proiezioni di negativi -1, -2, -3, -n, con i quali si intende quella mancanza, debito, carenza , etc, che proprio grazie alla proiezione assolve ad una funzione di compensazione più che verosimile, così come non nomina la fondamentale differenza tra Leibniz e Newton proprio su tale calcolo infinitesimale, laddove per il primo i fenomeni e la stessa essenza umana erano ascrivibili ad una una sorta di “forza viva” (vis viva ) che ha più a che fare con la reazione e in qualche modo il tentativo di padroneggiare il cambiamento epocale dell’introduzione della macchina, da parte dell’uomo e ingenererà quella reazione alla massificazione rappresentata dall'Illuminismo, mentre il secondo, che era più fisico e meno filosofo, tendeva a stabilire relazioni di grandezza e velocità tra uno o più punti, che lui chiamava flussioni, e dal cui calcolo, di tali “flussioni” che poi vennero chiamate “derivate” si può prendere l’antefatto della piena riuscita di quel cambiamento di soggetto referenziale di essenza del mondo, che la Rivoluzione Industriale realizzerà tra uomo e macchina. Si tratta a ben vedere per entrambi di maneggiare un infinito potenziale, ma per ognuno dei due ecco che si prestava a individuare un potenziale infinito interno o un potenziale infinito esterno, ognuno con una sua particolare inclinazione e che in correlazione coi grossi cambiamenti che la Rivoluzione Industriale stava ingenerando, produrrà immediatamente degli effetti di significazione : da una parte quella di Leibniz, che è come si è fatto cenno, può ascriversi tutto il movimento filosofico dell’Illuminismo (il secolo dei lumi) dall'altra quella di Newton che rappresenta invece quel meccanicismo che riuscirà compiutamente a trasferire l’indice di riferimento generale di essere al mondo dall'uomo alla macchina, ovvero dall'interno di sé, all'esterno di se’ Ora come è noto, la storia scientifica ha deciso a favore del secondo , superando con relativa facilità la stimolante idea dell’Illuminismo, eppure intorno all'inizio del XX secolo cioè più di trecento anni dopo, la teoria della relatività di Einstein afferma che in ogni oggetto materiale c'è una energia intrinseca che dipende dalla sua massa e dal quadrato della velocità della luce, la celeberrima formula E = mc2. sembrerebbe quindi che Leibniz abbia intuito e prefigurato la teoria della relatività , con la sua "vis viva" alla quale aveva dato un indice mv2, ovvero massa per il quadrato della velocità identificandola appunto come energia vitale comune a tutti i corpi materiali e spirituali ; e non è solo Einstein che Leibniz con questa sua intuizione di forza univoca di spirito e materia, appunto questa vis viva, ha anticipato, ma tutte le formulazione della Fisica Quantistica, da Maxwell a Bohr a Heisenberg , Scrhodinger , Bell, Dirac , Feynman etc. introducendo quindi nella fisica teoretica un qualcosa che mai e poi mai sarebbe stato concepibile con Newton, ovvero che la psiche umana, non solo la coscienza ma anche un inconscio, si proprio quello scoperto per indizi di significazione da Freud, abbiano una parte fondamentale nella comprensione delle problematiche relative all'osservazione dei fenomeni quantistici stabilendo una interazione tra chi osserva e ciò che viene osservato. Qual è la tesi del presente scritto, dedotta dal saggio citato ? Che gli storici, o meglio i cronachisti francesi di quel biennio 1796/97 abbiano di proposito utilizzato il calcolo infinitesimale di Leibniz, con tanto di derivate costituite da numeri immaginari (nel senso di proiezioni di numeri negativi ) integrando quella leibniziana “Vis viva” con il generico “spirito di avventura” che l’autore del saggio poneva a generico e irrazionale motore del movimento e cambiamento dei concreti eventi e fatti reali. Quasi casualmente o perlomeno sul concorso di varie circostanze fortuite, questo tipo di calcolo tra il reale e l’immaginario, si sarebbe andato appuntando su di un singolo personaggio, neppure troppo dissimile da altri: un giovane generale, quando la giovane età era più una norma che un’eccezione tra i quadri militari venuti  a formarsi con la rivoluzione, con al suo attivo un’efficace operazione di polizia (la repressione di una insurrezione realista alla Chiesa di san Rocco), e la fama di essere abbastanza esperto di movimenti di artiglieria (4 anni prima nella presa di
Tolone e del forte dell’Eguilette), ma soprattutto la riconoscenza di uno dei più influenti membri del Direttorio Paul Barras del quale sposandone la ingombrante amante Josephine De Beauharnais gli aveva tolto una enorme preoccupazione e ne aveva avuto, da questi proprio il giorno del matrimonio 2 marzo 1796, un eccezionale regalo di nozze: il comando dell’Armée d’Italie. Ora francamente non ce li vedo i compilatori delle cronache nelle vesti di “piccoli Leibniz”, ma il punto è che determinate scoperte finiscono per entrare nelle menti delle persone, così del tutto impercettibilmente, e anche i più astrusi ragionamenti matematici finiscono per entrare a far parte delle sensibilità delle genti; così quella generica sostituzione di paradigma referenziale tra l’uomo e la macchina che aveva già prodotto la reazione intellettuale dell’illuminismo e quella della violenza sanguinaria della rivoluzione francese, andava sempre più abbisognando di una razionalizzazione che chiedeva urgentemente un salto di fantasia, non più per un intero collettivo ma per un singolo che potesse rappresentare l’esigenza di novità forzando i dettami di una realtà che abbisognava che si conformasse a parametri di eccezionalità, di quasi totale contrasto tra reale e immaginario. Proprio come una macchina, i cui pezzi si possono cambiare, sostituire, riassemblare , anche l’uomo, questo Homo Novus non più rappresentante della sua essenza ma con di volta in volta espropriato a favore di una sua continua riproposizione  deve conformarsi alle stesse esigenze ed è parimenti importantissimo, anzi fondamentale che tali peculiarità vengano rese ben evidenti, palesate continuamente, ostentate: nasce dall'immaginario, la pubblicità dell’uomo e della sua azione, del tutto simile a quella di un qualsiasi altro prodotto. L’uomo diventa equiparabile non solo ad una macchina, ma anche ad una merce . Tutto si costruisce, tutto si cambia, tutto si vende e tutto si compra Napoleone Bonaparte è in tal senso una sorta di prototipo: le sue peculiarità sono da manuale: piuttosto oscuro, venuto dal nulla, poca distinzione, persino un fisico non aitante, di bassa statura, e caratterialità introversa, ombrosa;  di converso però una fortissima  disponibilità al compromesso, ambizione sfrenata, pochi scrupoli, nessuna preoccupazione del futuro, ma tutto orientato al successo immediato, ecco la quintessenza di quel che serviva in tempi come quello di post rivoluzione per porre una fine costruita, diremmo oggi virtuale e non reale,  ad un qualcosa che deve essere ricondotta nei dettami della normale quotidianità. Nasce la pubblicità e nasce altresì la spettacolarizzazione di un evento che l’uomo deve interpretare come un attore interpreta una parte, ed ecco difatti che con la Rivoluzione industriale cominciano a delinearsi oltre questa figura, diciamo così incanalante, anche tutta una serie di altre figure che lo sostengano : scrittori, giornalisti, biografi, estimatori, ma anche oppositori e critici, e vere e proprie entità, che diverranno  i cosidetti mass media. Benvenuti quindi  nella nostra era moderna e benvenuti anche in quest’era contemporanea che però con l’esasperazione di alcuni suoi meccanismi ha portato al parossismo il meccanismo del calcolo infinitesimale di Liebniz , dove non possiamo più parlare di “vis viva” ma di totale controllo da parte delle  classi dominanti  e quindi un reiterato attacco alla Libertà individuale, attacco che avrà di volta in volta le peculiarità di maggiore controllo delle masse attraverso  il meccanismo  della falsificazione e della mistificazione e vieppiù quello di un continuo stato di paura, cui la stragrande maggioranza delle masse va mantenuta : paura che un tempo poteva essere mantenuta con un impianto di punizione divina, ma che ora abbisogna di un qualcosa di più riscontrabile anche se con i medesimi meccanismi di astrazione e di in-definizione : uno stato di salute continuamente compromesso dall'emergere di quel fantasma della malattia e del contagio, cui solo l’affidamento ad un qualcuno che si avoca la responsabilità di gestirlo ne potrà assicurare la cura e la guarigione Ne sono manifestazioni : l’eccessivo scollo tra realtà e immaginazione, un consumismo sfrenato con mercimonio dilagante, personaggi sempre più mediocri che cercano di avocarsi le caratteristiche che un tempo erano peculiarità di uno solo o pochissimi, democratizzazione delle derivate immaginarie, tentativi di superamento del confine tra reale e immaginario con fini di asservimento della maggioranza della popolazione ai dettami di pochissimi, come stiamo in questo preciso momento subendo (2020) e i cui tratti ispiratori non riposano nella realtà, ma nella letteratura fantascientifica di tipo apocalittico alla Orwell, alla Huxley, alla Breadbury. 
Sul principio del “recitare una parte” è  importante realizzare la ricostruzione tutta virtuale di un personaggio fuori le righe, costruito a bella posta con tratti  quasi sovrumani,  ma opportunamente scelto  dalla compagine meno rappresentativa della Società, sicché ognuno nel suo uniformarsi a questi ne avrà per così dire quasi un ritorno in termini di possibilità : una democratizzazione  dell’eccezione : i 5 minuti di celebrità di cui tutti secondo Andy Wharol hanno diritto, in questa nostra era di ipercapitalismo di sfrenato  consumismo, dove all'era delle macchine è subentrata l’era delle apparecchiature informatiche e cibernetiche;  non più il braccio, le mani,  il corpo, la fatica fisica, ma lo stesso pensiero umano, la mente, divengono l’oggetto dell’espropriazione. L’operazione  ha una origine, una prima volta e seguiamo lo storico Guglielmo Ferrero  che ci fa appropinquare a quel marzo 1796 in cui il Generale Napoleone Bonaparte con quel po’ po’ di regalo di nozze  del comando dell’Armata di Italia  giunge  alla tenda del comando  a Nizza , ricevuto dai tre generali che fino a quel momento si erano divisi il comando delle operazioni , tre generali di molta più esperienza della sua : il savoiardo André Massena 43 anni ex sottufficiale dell’esercito savoiardo , alto aitante, volitivo, salito velocemente di ruolo e di grado con a rivoluzione e all'attivo parecchi fatti d’arme che lo gratificavano già allora dell’epiteto di “Invincible”,  il Gen Charles Pierre Augereaux 39 anni di Parigi nato nella popolare strada di rue Mouffetard ex soldato ed ex disertore per aver ucciso in duello un ufficiale, soldato di ventura di vari Regni, tra cui anche quello dei Borboni napoletani,  era ritornato a Parigi durante a Rivoluzione e si era arruolato come Sergente nella Guardia Nazionale per poi salire velocemente i gradi di ufficiale dell’esercito nella repressione della rivolta della Vandea e venir nominato Generale a 36 anni, il Gen. Jean Mathieu Philibert Serurier  54 anni , l’unico proveniente da una regolare carriera militare di ufficiale,  essendo di  provenienza dalla piccola nobiltà:  aveva partecipato alla guerra dei 7 anni e a campagne in Hannover e Portogallo, oltre ad aver preso parte ad operazioni contro Pasquale Poli in Corsica , l’idolo di gioventù di Napoleone; all'inizio della Rivoluzione aveva il grado di Maggiore e nel ‘93 veniva promosso Generale . Tutti e tre come si vede, avevano molti più titoli ed esperienza  del giovane Generale Corso e difatti lo avevano accolto non propriamente con rispetto, voltandogli  sprezzantemente le spalle,  o perlomeno questo è quel che è passato alla storia e che  viene riportato in un film che per molti versi rappresenta una specie di inverazione filmica del processo di creazione del personaggio:  NAPOLEON.  In tale film difatti molte delle scene paradigmatiche che avevano costruito il mito del generale Nessuno divenuto il generale Meraviglia, sono riportate fedelmente; fedelmente si, ma non alla realtà, bensì a quell'immaginario con il quale si sarebbe dato inizio al mito, non ultima questa scena  appunto dell’ingresso del giovane generale nella tenda comando  con i tre sopracitati generali ripresi appunto di spalle . Cosa succede ? ecco che si vede Bonaparte  scaraventare la sciabola sul tavolo costringendo i sottoposti a voltarsi e quindi fissarli , uno alla volta diritto negli occhi,  fino a imporgli di levarsi il cappello. Siamo nella quintessenza di quando un film che dovrebbe interpretare la storia si fa esso stesso storia: Napoleon  di Abel Gance che doveva consegnare alla Settima Arte la ratifica di un mito così come era pervenuto  da quel meccanismo di esaltazione  messo in evidenza dallo storico Guglielmo Ferrero, è forse il  film  più mancato della storia del cinema,  difatti, essendo tale film del 1927, la diffusione del sonoro ne bruciò  il colossale potenziale di successo e diffusione  :  forse proprio a causa di questo mancato, in questa sua riproposizione  dopo oltre mezzo secolo lo scenario di ambientazione era quanto mai  caricato:  da un triplo schermo a  Massenzio, in piena atmosfera di quell'Estate Romana voluta dal sindaco Argan e dell’Assessore, nonché amico personale di chi sta scrivendo queste note,  Renato Nicolini che mi aveva convocato, conoscendo la mia passione e discreta competenza di cinema, per chiedere un parere su cosa ne pensassi di quel film;  io capirai con la mia sempiterna cultura per il “mancato” mi ero prodotto in un vero e proprio

panegirico, tanto più che c’era la concretissima possibilità che venisse a presenziare lo stesso regista Abel Gance, oramai novantenne, che per come erano andate le cose su quel capolavoro per differita, si collocava in pieno in tale spirito. In effetti quel film, Napoleon aveva tutte le peculiarità di quel grande mancato di cui spesso, opere, persone, eventi, addirittura città e civiltà, sembrano venire intessuti. Realizzato con grandissimi mezzi intorno al 1927, doveva oscurare tutti i grandi colossal usciti fino ad allora, era però apparso, come e’ stato accennato,  sugli schermi proprio quando la provocante voce di Al Johnson disse la famosa frase “Signori non avete ancora sentito nulla!”.  Lo disse Groucho Marx “un film è assai meglio della realtà” , così era anche quel film, per concezione, ampiezza di vedute, tecnica cinematografia con dissolvenze incrociate, carrellate fantasmagoriche, effetti di fotografia, uso di viraggi in relazione alle scene.. “pensa” avevo detto a Renato Nicolini “ non è affatto vero che Estasi con Hedy Lamarr è stato il primo film dove si vede un seno nudo di donna, nella grande festa del ballo per la fine del “terrore” di Robespierre e Sain-Just, c’è una scena di ballerine che danzano tutte allegramente a busto scoperto. Ora Abel Gance novantenne era lì in prima fila, nelle poltrone di Massenzio, omaggiato da tutte le autorità e anche dal sottoscritto, che era in fibrillazione nello stringere la mano ad un simile “campione” del mancato, questa volta non tanto alla storia, quanto allo spettacolo, ma, che questa volta, la realtà gli aveva dato la sua rivincita. L’entusiasmo del pubblico alla rappresentazione, i tre schermi con i riflettori che sul finale dividevano la luce nei colori della bandiera francese, manco a dirlo con la musica della “Marseillese”, furono qualcosa di epocale, in quella splendida notte romana.
Lo vedi che strano, la realtà a volte concede qualche rivincita, ho detto sempre che forse noi sulle generali viviamo un po’ troppo e che per lo più siamo destinati ad essere superati dalle cose del mondo, ma di certo il vecchio Abel Gance quella sera non sarebbe stato del mio stesso avviso, glielo si leggeva negli occhi di vegliardo, dove si intravedeva il lampo dell’orgoglio di aver fatto un qualcosa che, d’accordo , il botteghino e quindi lo spettacolo in genere, aveva condannato come fallimento, ma non all'oblio. Lo ripeto fino a pochissimo tempo fa nessuno mi avrebbe convinto del contrario, il film che in quel fantasmagorico scenario ci  incollò tutti a fronte di quel triplice schermo, ove come un fantasma aleggiava  in una sorta di dissolvenza tra realtà e immaginario  la veneranda figura del suo autore, in poltrona d’onore lì nella rappresentazione,  ma anche  ben dentro l’immagine filmica  nella accattivante parte che si era scelto del  terribile “angelo della morte” Saint Just.  
L’attore che impersonava Napoleone nel film Albert Dieudonné era perfetto nella parte, si ma quale parte? quella che la storia ha voluto tramandarci, ma non certo quella della  realtà dove  un ubbidientissimo  giovane generale  praticamente con un quasi nullo curriculum,   si accingeva goffo ed impacciato a recitare appunto la parte di esecutore di un piano che aveva ben altri ideatori e di certo  del tutto inconsapevole di quello che un mélange di caso,fortuna, necessità, e anche fortuna gli stava apparecchiando, e che magari qualcuno avrebbe chiamato storia ;
 a pensarci bene è sempre un pò così! non è forse vero che siamo sempre costantemente superati dagli eventi che dobbiamo vivere?, la nostra stessa struttura anatomica è congegnata di tal fatta, abbiamo gambe per camminare e alla bisogna, correre, verso dove? verso qualcosa, braccia per cogliere…mani per afferrare e un cervello per pensare…prima: pro-tendersi, pro-gettare, pro-porre…. tutto quel benedetto “pro” che guarda un pò è giusto il prefisso del nome di quello che ci ha fatto questo regalino: il mitico Prometeo, dove quel “pro” è unito alla forma “methes” del verbo “mantano” = io penso: e quindi Prometeo è “colui che pensa prima” in anticipo, proprio come cerchiamo di fare noi. Eh già, ma su cosa è fondato tutto questo “pro”? su di un furto! un furto agli dei, che permalosi come sono non l’hanno presa per niente bene, e a parte i risvolti più o meno truculenti verso l’autore di quel furto (roccia del Caucaso, catene, aquila che rode il fegato) e anche verso di noi (il taglio che separa l’essere umano, prima “amphiteroi in due parti distinte (dia-boliche) blandamente spinte dal dio Eros alla ricongiunzione (simbolica), hanno fatto in maniera che noi fossimo appunto costantemente superati dalle cose che desideriamo; per questo forse i latini hanno coniato la parola desiderio (de sidera) ovvero essere intorno, dalle parti, nei pressi, nei paraggi di dove dimorano le stelle che non sono affatto fisse, anzi per il solo dato di presentarsi alla nostra vista, esse debbono essere già estinte da milioni di anni. Paradossale dunque che il vecchio Abel Gance abbia avuto il suo “successo” cinquanta  e passa anni dopo, ma anche paradossale che noi comuni mortali siamo sempre lì a combattere con le cose del mondo e l’unico modo per impadronircene veramente è forse quello del ri-assumerle, non nella realtà , ma in una sorta di immaginario, dove, come la riedizione di Napoleon a Massenzio, quello che conta, non è come siano andate veramente le cose, ma come le reinterpretiamo noi, come ri-mettiamo il tutto insieme , ovvero con una operazione “simbolica”. Ordunque a parte le scene della tenda con la sciabola sbattuta sul tavolo e probabilmente anche il famoso discorso, ben illustrato nel film,  che il nuovo Generale tenne alle truppe “ Soldati siete laceri e malnutriti. Il governo vi deve molto, e non può darvi niente. La vostra pazienza, il coraggio che mostrate in mezzo a queste rocce, sono ammirevoli, ma non vi daranno la gloria …. Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Ricche province, grandi città saranno in vostro potere. Vi troverete onore, gloria e ricchezze. Soldati d’Italia, mancherete dunque di coraggio e determinazione?». Cosa fa il nuovo Generale  appena arrivato? Esegue alla lettera il Piano che il Direttorio aveva  ricalcato sulle Mémoire de l’Armée D’Italie, redatto l’anno precedente, da un gruppo di giovani generali di cui anche lui aveva fatto parte, uno dei tanti, non certamente il più importante , soprattutto non quello che sarebbe stato destinato a eseguirlo. Si è fatto cenno a questo Piano ora è il momento di approfondirlo un tantino :  sotto il profilo tattico, il primo obiettivo doveva essere la città e fortezza di Ceva che doveva essere attaccata  da due lati delle forze d’Armata, la prima lungo il Tanaro, la seconda  da Savona, per poi proseguire nella direttiva di separare le forze austriache da quelle piemontesi e procedere verso la Lombardia . Le linee strategiche per l’Armata del Piano del Direttorio, però non riposavano in Italia, ma prevedevano l’invasione della Germania  attraverso l’Italia,  e Napoleone esegue alla lettera le disposizioni :  fissa il suo Quartier Generale d Albenga ed comincia col volgere la sua attenzione a Ceva, primo obiettivo posto appunto dal Piano e la riprova è data dal suo recarsi  il 9 aprile 1796 nella Valle del Tanaro per parlare con Serurier che comandava quel settore, neppure prendendo  in considerazione una offensiva dalla parte di Montenotte, dove si badi bene sarà trascinato a reagire non operando da attaccante, ma da attaccato: attaccato  dall'ala sinistra dell’esercito austriaco che riusciva a sorprendere i francesi conseguendo alcuni vantaggi territoriali in direzione  del colle di Cadibona e Savona: così crolla uno dei miti più inossidabili della aurea napoleonica : che lui sia arrivato e paffete come d’incanto successi a ripetizione : Dego, Millesimo, Cairo Montenotte. In verità furono gli Austriaci a dare inizio alla Campagna d’Italia in quell’aprile 1796  e le controffensive che  portarono alla vittoria di Cairo Montenotte il 12 di aprile,  furono merito non tanto di Bonaparte quanto  dei Generali Massena e Leharpe che erano accorsi prontamente. Altro particolare spesso sorvolato dagli storici, specie quelli meno approfonditi e anche il nostro famoso film Napoleon, (che su queste prima battaglie della campagna d’Italia, chiude  la sua visione, facendo aleggiare sullo schermo tricolore, lì a Massenzio, un’aquila volteggiante a simbolo della gloria , lasciando intendere di voler continuare la narrazione in una parte successiva) , fu che  subito dopo la vittoria di Cairo Montenotte, Napoleone ritornò al piano originario del Direttorio, ovvero l’attacco di Ceva e quindi lasciò  lo scontro cogli austriaci per preferenziare quello coi Piemontesi;  fu addirittura ipotizzato che Bonaparte disubbidì al Direttorio  nel non continuare lo scontro verso gli austriaci, ma è una di quelle, diremmo oggi fake news da manuale : il Direttorio  non aveva mai ordinato a Bonaparte di inseguire gli Austriaci  ed anzi aveva tassativamente ordinato di non fare alcun movimento se non prima di aver occupato Ceva. Nei giorni seguenti Napoleone  operò contro i due eserciti,  quello austriaco che era stato sconfitto a Cairo Montenotte e quello piemontese che presidiava Ceva e la valle del Tanaro, su più direzioni,  nei combattimenti un po’ altalenanti di Dego, Millesimo, dove alla fine i francesi finirono  per avere la meglio e solo quando fu  tranquillo rispetto agli austriaci, il 16 aprile  si girò  verso Ceva prendendola d’assalto, ma venendo sanguinosamente respinto . Ora va sottolineato come tale ultima operazione, appunto l’occupazione della fortezza  di Ceva, ha sempre fatto storcere il naso agli storici, specie quelli agiografici di Napoleone:  difatti attaccare di petto un campo trincerato, anche se era espressamente e tassativamente stabilito dal Piano del Direttorio, non è propriamente una di quelle azioni che un buon generale, figuriamoci uno che diventerà Napoleone, farebbe mai, per cui tutti si sono chiesti  come sarebbero andate le cose, se il giorno seguente Colli il comandante in capo dell’esercito piemontese  avesse difeso la città? Cosa aveva portato Colli ad abbandonare il campo trincerato ed evacuare la cittadina  lasciandovi solo una piccola guarnigione che sarebbe capitolata pochi giorni dopo, facendo di fatto i francesi padroni del campo senza ferire??? Ecco qui si entra in un campo appunto dove storia e fortuna si confondono, ma anche lasciano uno spiraglio di “altra” necessità che forse risente di fattori che nessun piano precostituito può prevedere. Fortunissima ovviamente per il giovane Generale che si trova questo inaspettato regalo e per la prima volta va parzialmente  contro le direttive di Parigi non rimanendo a Ceva, ma inseguendo il nemico. Il punto è che alcuni documenti ritrovati anni dopo, mostrano che le direttive del Piano del Direttorio non erano poi così assolute, si legge difatti in una di queste “Istruttorie” : “ il Direttorio  lascia al Generale in capo la libertà  di dirigere le operazioni sia che ottenga vittoria completa , sia che il nemico si ritiri verso Torino e l’autorizza a dar ancora battaglia, fino a bombardare la capitale,   se le circostanze rendessero questa azione necessaria “. Come dice giustamente Ferrero si ravvede il linguaggio ovattato del Direttorio,ovvero non ordinare mai, non imporre alcunché, ma sempre proporre, suggerire, consigliare, spingere cioè il generale ad ardire, ma senza forzarlo si dal non rimanere coinvolto in una sconfitta, sconfitta che 2 giorni dopo il 19 aprile doveva puntualmente arrivare in una forte posizione che proteggeva la ritirata delle truppe di Colli, quella di San Michele; nessuno, o quasi,  ha mai sentito nominare questa battuta d’arresto nella trionfale marcia dell’Armée d’Italie e del suo giovane generale, che pure fu  addirittura più grave di quella di Ceva,  tanto da costringere il Bonaparte a convocare il Consiglio di guerra. Però a questo punto, la riesamina dei fatti puramente militari:  vittorie, sconfitte, assalti, inseguimenti , battute d’arresto, deve caricarsi di qualche altra valenza ed  andare un po’ più a fondo di quella  generica indicazione di fortuna che starebbe lì a fare da rimpiattino tra caso e necessità. Come mai Colli comandante dell’esercito piemontese si comportò in maniera così contraddittoria:  respinge il nemico, lo vince addirittura, ma non ne approfitta, anzi si ritira abbandona campi trincerati e però si assicura la ritirata sempre rintuzzando gli attacchi, come successe ancora il 21 aprile a Mondovì vicinissimo Torino;  d’accordo questa volta le cose andarono un po’ meglio per i Francesi, ma non impedì comunque a Colli e l’esercito di raggiungere Cherasco il 24, giusto ove dopo velocissimi preliminari, il 28 aprile la corte sabauda di Torino  richiedeva  un armistizio per negoziare una pace separata con la Francia, il tutto con  l’esercito austriaco appena  a due giorni di marcia da tale cittadina. Cosa c’ è dietro questo contraddittorio comportamento  dei Piemontesi, del suo esercito e generale in capo, e del suo Re? Ripetiamo che gli storici specie quelli di marca napoleonica, quelli che come il nostro regista Gance, hanno contribuito a diffondere il mito del generale infallibile, vero grande genio sia tattico che strategico, l’unico dell’era moderna paragonabile ad un  Cesare, ad un Mario, ad uno Scipione, ad un Alessandro, sono sempre stati particolarmente imbarazzati nel descrivere le fasi di questa improvvisa richiesta di armistizio da parte del Regno di Sardegna ad una Francia la cui Armata non ne aveva mai seriamente impegnato le sue truppe:, Colli non era mai stato battuto in campo aperto,  il suo esercito non era affatto disfatto e neppure  era stanchissimo come i manuali di storia oramai riportano con quasi monotona  litania;  anzi se vogliamo essere franchi, erano i francesi ad essere molto più stanchi . Si deduce quindi che la Corte di Torino non chiese la pace perché non poteva, ma semplicemente perché non  voleva più, combattere. Politica non strategia.In verità se si va un po’ più sul profondo si evince che quell'alleanza con l’Austria, al Regno di Sardegna non era andata mai giù, fin dalla sua stipulazione nel dicembre 1795: i motivi che l’avevano  indotta erano sul proseguo della coalizione contro la Francia rivoluzionaria che giustappunto in quel periodo  era in procinto di attaccare in Italia con la sua Armata apposita, anche se in verità con un compito di solo passaggio per prendere alle spalle la Germania e congiungersi colle truppe impegnate sul grande fronte austro-tedesco, che erano sotto il comando del Gen. Moreau un Generale di grande esperienza e con un notevole curriculum di battaglie e vittorie , non certo uno sconosciuto novellino come Bonaparte. L’arrivo in Piemonte di un contingente austriaco di 10.000 uomini comandate dal Gen Beaulieu era stato quindi visto a Torino  come un protezione dalle mire francesi , ma quando questi aveva attaccato appena pochi giorni dopo l’arrivo del nuovo comandante appunto il Gen.Bonaparte, (ecco una cosa che troppo spesso non viene sottolineata adeguatamente : non fu Napoleone a iniziare la campagna d’Italia, sul proseguo, magari del famoso discorso alle truppe  del “siete laceri e mal nutriti” ma furono gli Austriaci) Austriaci che dopo una serie di scaramucce di poca importanza, furono duramente battuti  “a Cairo Montenotte, come abbiamo visto,  più dal Gen. Massena e dal suo diretto sottoposto gen Leharpe che da Bonaparte in persona. Ebbene dopo questa battaglia, la fiducia  nell’alleato era decisamente crollata alla Corte di Torino, tanto da dare disposizioni a Colli il comandante dell’esercito savoiardo  di non difendere Ceva e intraprendere piuttosto una ritirata strategica per riportare le truppe verso Cherasco dove la diplomazia stava già  ordendo un armistizio separato con la Francia. Una sola battaglia di una certa entità persa dall'alleato e una ritirata strategica effettuata peraltro magistralmente dal Gen.Colli, tanto erano bastati al Piemonte per chiedere un armistizio e di fatto ritirarsi dalla guerra . Detto per inciso va a anche rilevato che il Bonaparte  per inseguire l’esercito nemico aveva allungato enormemente le sue potenzialità logistiche (riserve, magazzini, salmerie, vettovagliamento, etc)  e quindi l’Armata era davvero in condizioni miserevoli, molto molto di più dei Piemontesi;  ma qui ecco,  siamo in presenza di quell'ineffabile della storia che è la Fortuna:  Fortuna che Colli non contrattaccasse e fortuna anche che Beaulieu non approfittasse dello stato dell’Armata francese  per scagliarvisi contro con tutto il suo esercito. La Fortuna a volte arriva nella congerie degli eventi umani e si può più o meno afferrarla e coglierla , i greci antichi parlavano in tal senso di “Kairòs”, che tradotto suona un po’ come “il tempo opportuno “ correlandovi la figura del tiro con l’arco e il raggiungimento del bersaglio da parte della freccia;  ecco diciamo che il Generale Bonaparte mostrò finalmente una delle sue innegabili doti:  saper cogliere il momento più opportuno, schierarsi dalla parte della Fortuna, che nell'immaginario collettivo, ma anche storico e persino avallato da lui stesso,  ha un “ “topòs”  preciso : il ponte di Lodi.




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