domenica 30 agosto 2020

RECITARE UNA PARTE (Seconda Parte)


E' difatti  proprio da questa battaglia svoltasi sul Ponte di Lodi, non di rilevante importanza militare, ma di enorme  importanza psicologica, in quanto punto di origine del mito Napoleone così come si è andato costruendo nell'immaginario collettivo della storia, che si diparte tutto il nostro  ragionamento di "recitare una parte"  che come detto fa seguito ed è in correlazione  con quello dello storico Guglielmo Ferrero.   
Di fondamentale importanza il fatto che proprio l'interessato ovvero il non ancora ventisettenne generale Napoleone Bonaparte, contribuì non poco alla formazione di questo vero e proprio mito, asserendo nelle sue memorie  che in  lui la visione della futura grandezza gli derivò appunto da quella battaglia " Fu solo nella serata di Lodi "raccontò nelle sue memorie "che cominciai a ritenermi un uomo superiore e che nutrii l'ambizione di realizzare grandi cose...." il fatto degno di nota è che la stessa cosa scaturì non in una, ma in tutte le menti del Direttorio ivi compreso nelle menti dei Generali che all'unisono con lui compreso, avevano fissate le disposizioni del piano di cui, non dimentichiamolo mai, fino allora, lui che si era ritrovato per una somma di fortuite circostanze ad assumerne l'onere/onore di realizzarlo, vi si era attenuto in maniera  esemplare.  Difatti il Direttorio, preso atto con  gradita sorpresa  che le notizie del fronte italiano avevano un favorevolissimo impatto in tutta la Francia, pensò bene di enfatizzare quella scelta, che a parte i sottesi favori, le regalie, ed anche i  compromessi,  risultava esclusivamente propria, pensò bene di enfatizzare la figura del giovane fino ad un paio di mesi prima completamente sconosciuto Generale,  quasi costituendo un eco a quelle impressioni del tutto soggettive del protagonista. Poco importanza aveva il fatto che in verità la battaglia di Lodi era stata in realtà uno scontro  vinto contro una retroguardia nemica, lasciata di presidio a Lodi,  su disposizione di  Beaulieu,  di fermare l’avanzata francese giusto il tempo  da consentire al grosso dell’esercito austriaco  di ritirarsi oltre l’Adda, questo dopo che  Napoleone aveva violato la sovranità  del Ducato di Parma per attraversare il Po a Piacenza impossibilitato a farlo nel tratto di confine con la Lombardia,  dato che in ossequio alla sua esemplare  ritirata strategica Beaulieu  aveva distrutto tutti i ponti di tale tratto e requisito tutte le barche.  L’agiografia storica e non solo quella napoleonica  si è sempre compiaciuta di mostrare la differenza tra i due Generali  Beaulieu e Bonaparte,  il primo  quasi un vecchio trombone ancorato a regole e condotte di guerra sorpassate  mentre il secondo portatore delle idee nuove dei tempi che di tali regole si facevano beffe, con differenti strategie:   prendendo a motivo   proprio questa occasione in cui il Bonaparte aveva ovviato alla distruzione dei ponti e  alla requisizione di tutte le barche  del tratto di confine con la Lombardia che Beaulieu aveva effettuato,  invadendo  il neutrale Ducato di Parma per attraversare il fiume a Piacenza  e trovarsi di fronte quindi a fronte dell’esercito nemico. Ma anche questa è più leggenda che storia, o perlomeno una gonfiatura:  difatti   Beaulieu dopo l’armistizio di Cherasco e la defezione del Piemonte, non aveva nessuna intenzione di accettare una battaglia campale con l’Armata  Francese, anche perché questa proprio in virtù della “messa in scena” che stava cominciando ad ordirsi del generale invincibile,  questi aveva  ricevuti notevoli rinforzi di uomini e materiali ed era in netta superiorità numerica: la verità è che Bealieu stava effettuando una perfetta ritirata strategica e per farla, ponendo il grosso del suo esercito al sicuro oltre l’Adda, aveva anche usato lo stesso stratagemma utilizzato dal suo più giovane antagonista: invadere uno Stato neutrale, nella fattispecie la Repubblica di Venezia. Quindi neppure quella di un nuovo modo di fare  le guerra secondo lo spirito della Rivoluzione,  che se ne irrideva di tutte le regole della guerra del XVIII secolo,  era una verità, tant’è che proprio un Generale di quella vecchia scuola l’aveva utilizzata senza problemi. La verità è che Napoleone fece mostra di una sorta di abbaglio, che tendera’ spesso a ripetere  e che già di per sé inficia quella nomea di grande stratega e generale invincibile che contemporanei e posteri gli hanno attribuita : non valutare con esattezza l’entità delle forze nemiche:  qui a Lodi si tratto’ di una sopravvalutazione,  ovvero scambiò una retroguardia per l’intero esercito nemico, a Marengo quattro anni dopo, si ebbe il netto contrario:  scambio’ l’intero esercito austriaco per una retroguardia. Ora, se nel primo caso lo sbaglio fu facilmente riparato ed anzi si potè, anche da parte del Direttorio,  gonfiare la cosa e farla passare per una grande vittoria, a Marengo se non ci fosse stata la disubbidienza di un suo  sottoposto il Generale Desaix che contrariamente agli ordini che gli erano stati impartiti, fece marcia indietro con le sue  due Divisioni, e le scaglio’ contro l’esercito nemico che già si era impadronito del campo di battaglia, sarebbe stata certamente la disfatta e non quella straordinaria vittoria, di gran lunga la preferita da Napoleone, caratterizzata da quella mitica frase non sua , ma proprio di quel generale Desaix che aveva disubbidito ai suoi ordini :   “una battaglia è perduta? c’è il tempo di vincerne un’altra!” frase che non si è neppure sicuri della sua effettiva pronuncia da parte del giovane Generale (era coetaneo di Bonaparte)   prima di perdere la vita colpito in pieno petto da una palla nemica appena slanciatosi alla testa delle sue Divisioni contro gli austriaci, frase   che  ovviamente fu fatta passare per vera, destinata a rimanere per sempre nell’immaginario dell’epopea napoleonica, anche se a ben vedere avrebbe dovuto rappresentarne la relatività. Torniamo quindi al cospetto di quella quasi magica entità che cominciava a seguire il Generale Bonaparte, la Fortuna e di certo una sua ancora più fortuita circostanza che metteva in correlazione le vicende belliche  del generale con le aspettative che il popolo francese si aspettava da lui e il  Direttorio che si premurava di confezionargliele  adeguatamente. Che questa ulteriore manifestazione della Fortuna non fosse, militarmente parlando, niente di così straordinario lo deduciamo dalla semplice cronologia degli episodi salienti della battaglia di Lodi : le avanguardie francesi arrivarono diffatti in vista di Lodi nelle prime ore della mattina del 10 maggio, quando ormai l'intero esercito austriaco era in salvo oltre l'Adda, mentre alla difesa della cittadina era, come abbiamo fatto cenno, rimasta  una retroguardia di 10.000 uomini agli ordini del generale Karl Philipp Sebottendorf. Questo aveva piazzato tre battaglioni e sei cannoni in posizioni che dominavano il ponte di Lodi e la strada d'accesso e altre due sezioni di tre pezzi l'una erano appostate in ogni lato della strada. Napoleone attaccò frontalmente  sul ponte con i Granatieri, mentre con un contingente di cavalleria cercava  di guadagnare un guado per aggirare gli austriaci: l’assalto  dei granatieri fu però fermato  proprio a meta’ del ponte, sicché il Generale Massena si vide costretto ad intervenire e con il concorso di altri generali Berthier, Dallemagne e Cervoni  riuscì a guadagnare la sponda opposta. Un contrattacco di Sebottendorf fece quasi riprendere agli austriaci il ponte, ma sempre il solito  Masséna cui si aggiunse l’apporto di un altro dei Generali in seconda di Bonaparte, Augereau, riuscì a stroncare  l'azione irrompendo nelle linee nemiche, favoriti i due comandanti in seconda dell’Armata nel pieno successo,  dal provvidenziale arrivo dei cavalieri del Gen. Ordener che nel frattempo avevano trovato un guado. Sebottendorf si disimpegnò subito e si ritirò verso il grosso delle forze di Beaulieu, lasciandosi dietro 153 morti, 1.700 prigionieri e 16 cannoni. I francesi ebbero in totale 350 perdite,  pertanto possiamo concludere  che  la  vittoria di  Lodi fu ben lungi dall'essere un grande successo così come fu subito rappresentata ed anche così come  è stata tramandata, difatti fu  conseguita su di una semplice retroguardia dell’esercito principale, il cui Generale subordinato Sebottendorf riuscì a disimpegnarsi con quasi tutte  le sue truppe per confluire nella perfetta ritirata strategica del comandante in capo Beaulieu, che a conti fatti non fu affatto quel pigmeo rispetto al gigante  cui la storia ha voluto tramandarlo. Da una parte Napoleone non fu esattamente quell’interprete straordinario di novello genio militare, cui proprio da quei tempi è stato cominciato ad additarsi; dall’altra Beaulieu, come abbiamo appena visto, fu tutto tranne che un incauto e sfortunato generale che ebbe a cimentarsi contro il “genio” per antonomasia , venendo battuto a ripetizione, ma un oculato stratega, magari non di fase offensiva, ma di certo un vero maestro di ritirate strategiche. Abbiamo visto che a creare, specie la prima di “leggenda” fu proprio il Direttorio per motivi di opportunità e convenienza: conveniva difatti ad un Organo di Governo, asceso così rocambolescamente al potere, senza alcuna leggittimizzazione legale e popolare, sfruttare le occasioni della Fortuna, quale si presentassero, per oscure e contraddittorie che fossero, ecco! proprio del tipo di un generale venuto dal niente, praticamente senza una carriera a sostegno, con un incarico avuto piu’ che altro per camarille “di letto” e che potesse essere investito di una gloria tutta da gonfiarsi, appunto fargli “recitare quella parte” che abbiamo ripreso dalle tesi di un vecchio e dimenticato storico e che oggi in una fase della storia del mondo, che questo “recitare una parte” sembra diventata una caratteristica non solo episodica o accessoria di “esser-ci”, dovrà essere argomento di approfondimento e dovrà essere sviscerata fino all’esaurimento. In effetti conveniva al Direttorio, conveniva a quel po’ di Rivoluzione che ancora accompagnava il Popolo francese, conveniva alla guerra in corso contro le coalizioni europee, conveniva anche alle finanze dello Stato, sempre in cerca di soldi, che un Esercito sul campo provvedesse a emettere tributi, fissare indennita’ di guerra, fare razzie e incetta di opere artistiche dei territori che via via occupava, il tutto da inviare sollecitamente alla madre patria: un qualcosa quindi, questa supposta grandezza che alla fin fine, come abbiamo visto dalle memorie dello stesso Napoleone della notte successiva allo scontro di Lodi, stava cominciando a far breccia, innanzi tutto su se stesso sulla sua particolare personalità che per la prima volta si sentiva come investito di un potere straordinario e che di lì a poco, possiamo stare tranquilli, tutti, ma proprio tutti, amici e nemici, popolino e grandi uomini, contemporanei e posteri, gli riconosceranno tutti, all’unisono. C’era uno dei punti elencati che dobbiamo esaminare con maggior dettaglio, strettamente correlato alla questione del recitare una parte e del gonfiarne i connotati : la questione del chiedere denaro come indennità ai vari Stati cui l’esercito si trovava a passare e operare razzie, un po’ a mo’ di vecchio esercito di ventura, in stretta associazione col suo impatto di minaccia e terrore verso le popolazioni: in questo Napoleone si cimenta alla vigilia della battaglia di Lodi invadendo la neutralità del Ducato di Parma, ma non solo limitandosi ad occuparne i territori e requisendo tutte le imbarcazioni per il passaggio del fiume, ma altresì fissando una indennità e operando ruberie. Ecco precisamente fa subito dopo, lo stesso, indentrandosi nel Milanese e anzi rincarando la dose, andandoci giu’ con mano molto più pesante: chiede al Ducato di Milano 20.000 franchi una cima enorme per il cui pagamento indubbiamente il Ducato non si sarebbe potuto esimere senza imporre una tassazione a tappeto di tutti gli abitanti, e non solo ma alquanto contrariato che il Direttorio gli ha imposto di cedere metà del comando della sua Armata al Gen. Kellerman, figlio del famosissimo generale della cannonata di Valmy del ’92, si lascia andare a lanciare proclami con minacce di saccheggi, plotoni di esecuzioni se non verra’ esaudito : In merito allo sdoppiamento dell’Armata come al solito ubbidisce anche se controbatte con una amara lettera ove più che alla divisione dell’Armata, si cruccia del fatto che non si pensi più a quella “manoeuvre sur le derriere” che era stata fissata dal famoso piano dei Generali del Direttorio di invasione della Germania nel 1795 (tra cui lui stesso) , ma unicamente a ricacciare in Tirolo gli Austriaci, cosa appunto che il Direttorio lasciava intendere di voler incaricare Kellerman e di converso, per lui, stabilire una sorta di raid per l’Italia centrale fino all’occupazione di Livorno che solo molto genericamente avrebbe dovuto fiaccare la resistenza dell’intero Paese ed anche di forze inglesi che lo presidiavano: la verità e’ che il Direttorio abbagliato dai proventi che gli arrivavano dalle incursioni del suo Generale, nei vari Stati italiani, non aveva altre raccomandazioni se non quelle di insistere in questa pratica di non solo “finanziare la guerra con la guerra” , ma fare assai di più : finanziare l’intera Francia di moneta sonante e altresì foraggiarla di opere d’arte, di magnificenze, di tesori. Così anche di quella suddivisione del comando d’armata, dopo la equilibrata ma ferma risposta di Bonaparte, che come si vede comincia a essere uno che sa il fatto suo, non se ne fa più nulla (ha troppo paura il Direttorio di perdere la sua gallina dalle uova d’oro) e anzi Kellerman è inviato in Italia con 10.000 uomini di rinforzo ma in sottordine a Bonaparte. Diciamo che dopo Lodi e con la presa di Milano, la Fortuna gioca sempre alla grande, però, e’ doveroso notare che il suo massimo beneficiario ci mette ogni volta qualcosa in più di suo : si d’accordo era stato un abile spauracchio per i vari per lo più imbelli Stati Italiani, ivi compresa la Repubblica di Venezia che il Direttorio si raccomandava di considerare potenza non amica e pertanto invadere con tutta tranquillità i suoi territori e richiedere le solite indennità e fare le solite requisizioni di tesori e opere d’arte, ma ora si slancia con foga contro la linea del Mincio verso Borghetto dove costringe Beaulieu alla sua solita ritirata strategica oramai nella valle dell’Adige tranquillamente verso il Tirolo, ma disimpegnando suoi 20 battaglioni alla difesa della estrema fortezza di Mantova che a questo punto, in quella seconda parte di maggio 1796 era l’ultima fortificazione austriaca di tutta la Lombardia. Neppure Borghetto era stata una grande vittoria, però come al solito aveva lasciato Napoleone padrone del campo e questo tradotto nel linguaggio per il Direttorio, significava altre cospique entrate, mentre da parte dello stesso Direttorio significava profferire ulteriori allori, sempre per quella parte da gonfiare e da fare recitare al più che volenteroso comandante in capo. Insomma parliamoci chiaro: il Direttorio diventa davvero quel punto di coagulo di tutte le operazioni che in qualche modo finiscono nelle sue casse e in qualche modo all’intera cittadinanza e quindi si fa anche cassa di risonanza in merito alle imprese di quel, fino a ieri sconosciuto Generale. Un destino fatto di alcune secondarie battaglie, parecchie scaramucce, una grande dose di fortuna, che si è compiaciuta di fissare la sua mano su di un paio di località e vere e proprie sequenze, magari prefissate di eventi, come la defezione Savoiarda all’Austria e l’armistizio di Cherasco, l’abbandono quasi senza colpo ferire di Ceva e poi del Ponte di Lodi presidiato solo da una retroguardia, mentre il grosso dell’Esercito era oramai al sicuro, Generali avversari, sia quello savoiardo Colli, che quello austriaco Beaulieiu, per nulla dominati dalla genialità del giovane comandante francese, ma che anzi erano stati più che altro degli abili tessitori di ritirate strategiche ed infine neppure messi in scacco dai tempi nuovi della Rivoluzione, con la leggenda che imponevano metodi e strategie diverse di guerra, senza rispetto di regole, osservanza di patti, rispetto di neutralità di Paesi non ostili, perché se questa fu una delle peculiarità di Bonaparte di certo il comandante austriaco non fu da meno, tant’è che, per ritirarsi oltre il Mincio non si curò minimamente di infrangere la neutralità della Repubblica di Venezia. Semmai, ecco si può dire che Napoleone lo fece molto di più, ma non ci illudiamo, in questo costantemente istigato dal Direttorio, che raccomandava di non considerare più alcun Paese neutrale, ma tutti alla stregua di possibili alleati del nemico e pertanto utilizzare la forza delle armi per indurre i pavidi, ma ricchi e floridi Paesi italiani a pagare tributi e a consentire il sistematico spoglio dei loro tesori e opere d’arte. La verità è che non è Napoleone, né nessuno dei suoi Generali e soldati, il responsabile dell’avventura italiana e delle sue immense conseguenze, dice ancora Ferrero, nel sistematico ragguaglio che la sua opera “Avventura” ha con il presente scritto: il responsabile è il Direttorio, il Direttorio, come abbiamo già osservato, organo direttivo e di governo illegittimo, il quale non potendo trovare alcun principio di diritto nel suo operare, ecco che all’improvviso lo aveva trovato in alcune secondarie imprese militari su di un fronte secondario, in merito ad una sua sorta di scommessa su di un generale sconosciuto che grazie anche a indubbi colpi di fortuna aveva colpito l’immaginazione delle folle. Bhe! superfluo dire che se quel Generale era frastornato, tutto il Direttorio quasi non credeva a quanto si stava compiendo sotto ai suoi occhi: la creazione di un Mito, in linea coi tempi di infatuazione romantica, dell’uomo solo e sconosciuto che in forza del suo talento, del suo genio, della sua grandezza degna di essere accostata ai più grandi condottieri, che trionfa su tutto e su tutti e non solo; ma a parte questa fama che difatti da Parigi comincerà a caldeggiare, a gonfiare ogni oltre limite, si profila questa straordinaria occasione di trarre, grazie al ricco e sguarnito serbatoio italiano, profitti immensi in una guerra che stava facendo ben più di quella medioevale delle compagnie di ventura, che come abbiamo osservato si finanziava da sola: questa è una guerra che per la prima volta nella storia, finanzia e arricchisce la Nazione che l’ha ingenerata. Possiamo a contrapasso di tal ragionamento, dire che la figura del giovane generale Bonaparte stava emergendo dalle brume della storia con caratteristiche invero uniche e inusitate: anche ai tempi di Roma c’era l’Homo Novus, Caio Mario, Agrippa, Seiano, Vespasiano, ma era sempre inserito in un contesto preordinato senza possibilità di essere troppo innalzato sulle masse se non con il meccanismo dell’adozione o di quello estremo della deificazione; per tutta la storia dell’umanità fino alla Rivoluzione Industriale, nessuno, se non eccezionalmente Capitani di Ventura, Banchieri, Magistrati che riuscivano ad ascendere alla guida di una Signoria, ma mai comunque a livello di Regno o di Impero, erano riusciti ad emergere in modo così netto: è con la Rivoluzione Industriale che ora per la prima volta si diparte questa nuova possibilità essendovi tutta un’altra serie di parametri in gioco : anzitutto quello fondamentale che non è più l’uomo il riferimento principale dell’essere al mondo, bensì la macchina: equiparato ad una macchina anche l’essere umano può essere oggetto di costruzione, di assemblaggio, di sostituzione, di demolizione, e questo attribuendogli anche una serie di qualità accessorie, tipo una bella coloritura, la lucidatura di condotti, materiali più pregiati etc. L’uomo viene espropriato della sua essenza ma assume il senso del suo apparire, ed ecco che, per favorire questo apparire, possono essere messi in campo tutta una serie di espedienti, la pubblicizzazione, l’esaltazione, la gonfiatura, spesso e volentieri del tutto arbitrarie delle sue gesta, o meglio quelle che si vuole che siano passate per gesta, quindi fargli “recitare una parte” e fare in modo che questo recitare una parte sia del tutto indistinguibile dal farla per davvero. Ferrero parla di strano destino che Napoleone Bonaparte sia stato nel contempo il più celebre e il piu’ sconosciuto degli uomini: un uomo che il mondo non doveva mai conoscere tale quale è stato, un uomo di cui si sarebbe visto un doppione creato dall’immaginazione credula delle folle: Io non credo che possiamo parlare di “strano destino” : è il destino dell’uomo moderno venuto fuori dalla Rivoluzione Industriale, venuto dalla sua identificazione con la macchina, il meccanismo, l’ingranaggio, che ha fatto si che oramai la sua identità non sia recuperabile se non nella molteplicità dei suoi apparire, nella proliferazione di sempre nuove “parti” che una società sempre più atomizzata e spersonalizzata non ha fatto altro che assegnargli in questi ultimi due secoli e mezzo. Siamo, da una parte con “l’uomo ad una dimensione” di Marcuse, ravvediamo l’insetto di Kafka, da lontano la Balena bianca di Melville, quindi l’eterno Dottor Faust alle prese con il Mefistofele di Goethe, che si fa la malattia commista però all’arte nel Doctor Faust di Thomas Mann, ma si ritorce in se stesso rispetto al potere costituito nel libro del figlio di Thomas, Klaus Mann: Mephisto . E’ l’uomo che non ha mai più ritrovato se’ stesso, perdendolo nella frammentarietà delle sue rappresentazioni e delle sue identificazioni, tutti quei “recitare una parte” hanno seppellito l’unica vera parte di se stesso, sicchè alla fine proprio come i personaggi di Pirandello, si ritrova anch’egli in cerca di autore.


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