Per carità tutto il male del mondo della guerra: le armi, il cruento di una battaglia, antica o moderna, però bisogna ammettere che a volte succede che alla guerra vengano spesso associate emozioni, suggestioni e quindi atmosfere di una certa estasi. La guerra è bella, ma è scomoda” sosteneva un notevole libro sulla Grande Guerra di Paolo Monelli con illustrazioni davvero graziose del pittore Pietro Novello, e sui ricordi, sulla paradossale nostalgia di una grossa fetta di reduci (per non dire la totalità) riposa una sorta di mitologema che tali persone sono andate a costruire su di un evento che la ragione dovrebbe rigettare senza titubanze. Il primo ad accorgersi di tale assunto e anche a costruirci sopra una onnicomprensiva teoria di interpretazione della psicologia umana, fu , manco a dirlo, Sigmund Freud: il famoso “shock di granata”che i reduci presentavano con monotona puntualità, aveva però delle caratteristiche che contraddicevano la precedente impostazione teorica dello psicoanalista viennese, la celeberrima teoria della Libido, dove il principio informatore di massima era “l’essere umano rifugge il dispiacere e persegue invece il piacere” Orbene, ma quale piacere vi può essere in pericolo, bombe, ferite anche strazianti e morte diffusa? Eppure i sintomi di tale tipo di persone, erano inequivocabili: abbondanza di tali ricordi, ma accompagnata da un ossessiva riproposizione, proprio come il “fort – da” del nipotino di Freud e il suo gioco di occultamento e disvelamento di un rocchetto di lana. E non solo riproposizione, ma anche come aveva osservato Freud con un “effetto di giubilo” Ce ne era abbastanza per rivedere tutta la sua precedente costruzione teorica e costruirne una nuova, fondata non sul principio del piacere, ma come informa il titolo del saggio che Freud diede a queste constatazioni “al di là del principio del piacere”: ovvero non è affatto vero che l’uomo persegue il piacere e rifugge il dispiacere, ma anzi, l’indizio dello shock di granata e tutta una serie di manifestazioni correlate al riproporre esperienze fortemente negative, addirittura traumatiche, manifesta, senza ombra di dubbio, che la psiche umana e’ fortemente orientata al ritorno, ritorno un po’ di tutto (Nietzsche lo aveva postulato e il grande filosofo rumeno Mircea Eliade, ci imposterà il suo libro più famoso “il Mito dell’eterno ritorno”) e qual è il ritorno più totale, davvero “assoluto”? Se la vita in genere va addotta ad un turbamento di uno stato precedente di quiete , è piuttosto sequenziale che il più profondo desiderio dell’umanità è quello di fare ritorno a tale stato di quiete. Freud trova un correlato di tale stato nel 2° principio della termodinamica, ovvero nella perfetta assenza di qualsiasi tensione, la cosiddetta “morte termica” che non sarà solo un mero principio scientifico, ma una vera e propria tendenza universale, ovvero una pulsione, un istinto di morte. I nostri nonni raccontavano dei loro nonni che non facevano altro che raccontare loro, fino alla noia, fino al farsesco dell’epopea garibaldina (è rimasto perlomeno a Roma, ancora in auge il detto “nonno garibaldino in cariola” ma a loro volta a noi loro hanno trasmesso un resoconto davvero ossessivo, sul Carso, il Piave, il “firmato Cadorna” il pugnale tra i denti dei reparti d’assalto e un bagaglio di inni, canti che non ha eguali, dal miticissimo “il Piave mormorò” che fa fremere di passione anche il comunistissimo Peppone, quando Don Camillo fa risuonare le sue note nella piazza del Paese (mitica scena magistralmente interpretata da Gino Cervi e Fernadel nel film su Don Camillo dal romanzo di Guareschi), al Monte Grappa tu sei la mia patria, Soldato ignoto, Era una notte che pioveva, il testamento del Capitano e una caterva di strofette sul farsesco/canzonatorio dette “bomba c’è” tipo “sul monte san Michele ci sta la Cima uno, vi salgono su tutti non torna più nessuno…bom bom bom son tre colpi di cannon” diffusissime e precisate dagli arditi “se non ci conoscete guardateci dall'alto, noi siam le fiamme nere dei battaglion d’assalto… con un diverso ritornello “bombe a man e carezze col pugnal” e istituzionalizzate dal fascismo anche con risvolti decisamente irrispettosi dell’avversario “fascisti e comunisti giocavano a scopone, la vinsero i fascisti con l’asso di bastone “ e spesso e volentieri cafoni e volgari “il Negus chiese al Duce se poteva venì a Roma, er Duce je rispose, se c’hai la moglie bona!” Ecco, oggi, forse, v’è la tendenza a fare un maggiore distinguo su questa impostazione che ha molte caratteristiche del “mito” di un qualcosa che il ricordo ha messo su quel tanto di tempo per cui i sacrifici, il disagio venivano messi in ombra a favore di una sorta di leggendario, dove si faceva leva, malgrado tutto sulla gioventù, su una spavalderia di fondo, sull’essere in fortissima attinenza col periodo in questione (più attenente, più in sintonia sociale con tutta una nazione coinvolta in un’unica impresa?), anche rilevantissimo in questa apoteosi di uno spirito del reducismo, l’impianto di attrattiva verso le donne, il femminile, che equivaleva ad un tratto di trincea da conquistare, la cima di un monte da raggiungere “l’ardito è bello, l’ardito è forte, ama le donne e beve il buon vin” si cantava e finché hanno avuto il fiato i reduci tutti i reduci l’hanno cantato e non dimentichiamo il famoso detto che mia nonna da buona napoletana ripeteva in stretto dialetto ” cu nnun è bbbuono pe’ o Re, nunn’è bbbuono neppure per la Regina” D’accordo chi si sognerebbe di dire o tantomeno cantare cose simili, ma ho sempre pensato che ciò possa essere dovuto al fatto che i reduci non ci sono più! non c’è più il soggetto, manca il coinvolgimento personale e quindi emotivo, l’emozione appunto quella che come a Peppone nel film, è risvegliata dall’incipit del “Piave mormorò” Ci sono, si obietterà, ancora reduci della seconda guerra mondiale, ma la seconda guerra mondiale almeno per noi italiani ha avuto troppi riscontri non dico solo negativi, ma anche infamanti per poter assurgere al Mito, la “pugnalata alla schiena alla Francia” la tragicommedia dello “spezzeremo le reni alla Grecia” “l’Africa e l’aiuto di Rommel” il discorso del bagnasciuga” …. troppe buffonate e cialtroneria per potervi costruire qualcosa, di si sempre deprecabile, ma con un minimo di dignità, un qualcosa che ha avuto poi la sua ciliegina sulla torta nella plateale vergogna dell’8 settembre con il Re e il suo Governo che fuggono a gambe levate, lasciando nel caos l’esercito e tutto il Paese; e comunque se si ha avuto modo, come il sottoscritto, di frequentare reduci di teatri di guerra dove tale poca dignità era in qualche modo occultata, il Ponte di Perati in Grecia, El Alamein, la ritirata di Russia e la battaglia di Nikolajwecka, col comandante della divisione Tridentina, il generale Reverberi che salta su di un automezzo e armato di un bastone, incita i suoi alpini a sfondare l’accerchiamento sovietico, ecco, state pur certi che in questi casi, quello spirito fa ritorno. La guerra informa anche altre sensazioni ed emozioni, spesso non proprio la guerra tutta, ma una singola battaglia: c’è un caso emblematico ed anche curioso in tal senso: una sola battaglia che ha caricato su di se una ridda di sensazioni si, ma anche informazioni di diversa natura: il periglioso, il cruento, la morte, è ovvio, ma anche la fortuna più sfacciata, il paradosso, l’inverazione del proverbio “non dire quattro se non l’hai nel sacco”…sto parlando di MARENGO, la battaglia di Marengo 14 giugno 1800: lupus in fabula…. eh beh !? chi se non lui, il Generale per antonomasia : Napoleone Bonaparte, si proprio quel Generale che nei due precedenti articoli di questo blog, abbiamo cominciato a rivedere nei suoi esordi di stratega durante la campagna d’Italia del 1796/97, soprattutto in merito a quel “recitare una parte” che potrebbe essere anche una interpretazione “diversa” di tutta la sua tanta strombazzata gloria? Si è, nel corso dell’analisi di questo “Recitare una parte”, resa possibile dalla riesamina di un vecchio storico Guglielmo Ferrero la cui opera non è troppo conosciuta, già fatto un accenno in proiezione della battaglia di Marengo, paragonandola a quella di Lodi dove vi è per entrambe una forte entrata in scena della “Fortuna”, ma anche se esaminate con un tantino di approfondimento in più, di una palese carenza del supposto grandissimo genio militare del nostro campione, ovvero nell'uno e nell'altro caso una errata valutazione delle forze avversarie: sopravvalutazione a Lodi, sottovalutazione a Marengo. Sulla prima abbiamo già trattato del suo essere posta a suggello di tutta la futura grandezza, e questo per sua stessa ammissione nelle famose Memorie, sulla secondo è notorio come fosse rimasta sempre la sua preferita proprio per la parte avuta dalla Fortuna (ma anche, diciamo noi della sua relativa perizia strategica). Di Lodi abbiamo comunque già parlato, di Marengo andiamo ad approfondirne quei veloci accenni del precedente articolo : Folgorante vittoria, una di quelle che cambiano la storia e i più impensati riferimenti storici , tipo la vicenda della Tosca, dove Mario Cavaradossi si uccide, quando arriva la notizia della sconfitta di Bonaparte appunto a Marengo; e qui la prima delle particolarità di Marengo, il fatto che così a posteriori a noi non può far altro che sorridere, ma che all'epoca dovette ingenerare non poche illusioni, disillusioni e quant'altro: il comandante austriaco Melas che oramai tranquillo, a battaglia per lui finita con la piena vittoria in tasca, smonta da cavallo e manda dispacci a tutta Europa, che Napoleone è vinto, battuto! “non dire quattro…. eh già ! quel quattro aveva un incarnato : il giovane Generale, coetaneo e amico personale di Napoleone con il quale aveva combattuto insieme in Egitto, Louis Charles Antoine Desaix. Desaix in quella battaglia aveva il grado di comandante di corpo d’armata, con ai suoi ordini due divisioni (generali Boudet e Monnier) : Napoleone gli aveva data la consegna di raggiungere e attestarsi verso Rivalta, dato che lui intendeva attaccare nella piana di Marengo gli austriaci di Melas e quindi tagliargli la ritirata giustappunto con le forze di Desaix. Napoleone aveva già battuto in scontri però non decisivi il nemico, ed era convinto di poter ripetere la cosa, ma quello che non si aspettava è che fossero gli austriaci ad attaccare, e non come aveva pensato agli inizi, un attacco di una semplice avanguardia, che non l’aveva indotto a cambiare la consegna di Desaix, ma l’intero esercito di Melas, sicché nel corso della mattinata era non solo in gravissima difficoltà, ma praticamente battuto; qualche rinforzo come quello del Gen. Lannes al Gen.Victor che aveva oramai le truppe in sfacelo, non aveva cambiato di granché la situazione: per proteggere la ritirata Napoleone si era visto costretto ad impiegare perfino la Guardia Consolare che aveva subito ingentissime perdite, ma perlomeno aveva permesso a Victor di ripiegare. E’ a questo punto intorno ad ora di pranzo, che va collocato il comico episodio del comandante in capo austriaco Gen.Melas che scende da cavallo e manda quel famoso dispaccio di vittoria. Ma Desaix? Dov’era intanto Desaix? C’è chi dice che Napoleone gli aveva inviato disperatamente una richiesta di aiuto e quindi di tornare indietro, ma anche chi invece sostiene, che fu il rombo lontano dei cannoni della battaglia in corso, che aveva convinto l’esperto sottoposto che non poteva trattarsi di una battaglia contro semplici avanguardie e quindi di voltare le sue Divisioni e contraddire alle disposizioni di Napoleone (cosa che attenzione, dati i tempi e gli usi dell’esercito francese, poteva costare la fucilazione sul campo) ed arrivare quindi a cose apparentemente fatte. A questo punto altra piece del Mito: Desaix arriva a fronte di Bonaparte e questi gli fa “Visto Desaix che parapiglia!? Che ne pensi? “ e quello di rimando “Bhe! Questa è una battaglia completamente perduta, ma sono soltanto le due, c’è il tempo di vincerne un’altra!” Mitica eh!?, puro mito! quando mai nel passato, ma anche nel futuro, un Generale aveva pronunciato una frase simile “c’è il tempo di vincerne un’altra!” e in pieno campo di battaglia, diremmo con enfasi “sotto il rombo del cannone!?” Il giovane Generale però non ebbe il tempo di valutare le straordinarie implicazioni di simili parole, difatti slanciatosi con foga nell’assalto che doveva ribaltare l’esito della battaglia, una palla gli spezzò il cuore, facendolo stramazzare senza una grido (assolutamente non vero il fatto che morendo abbia detto le canoniche ultime frasi di circostanza, “muoio contento per la gloria del Primo Console….o altre balle del genere” V’è di fatto che nel giro di breve tempo, le sorti della battaglia furono completamente rovesciate, anche grazie un successivo e decisivo intervento della cavalleria di Kellerman, e quella che per gli Austriaci sembrava una vittoria già conseguita si tramutò in una disastrosa sconfitta. Ovviamente Napoleone dispose l’imbalsamazione dell’amico che diremmo oggi “tanto gli aveva parato il …..” e ne ordinò la tumulazione in un luogo, che pensò degno di rappresentare per sempre la grandezza di Desaix, un luogo ove è ancora possibile oggi infatti visitare la tomba del giovane e grandissimo Generale, presso una pittoresca chiesetta del Gran San Bernardo. Mai nel tempo Napoleone rinnegò o diminuì la portata dell’intervento di Desaix, che pure aveva marchiatamente messo in forse la sua fama di invincibilità, ma anzi Marengo diventò nella personale visione dell’allora Primo Console e poi Imperatore, la “battaglia” per antonomasia, quella più cara , superiore a Jena, a Austerliz, a Wagram e anche a quelle precedenti tipo quella al Ponte di Lodi, dove diceva aver avuto per la prima volta la visione della sua futura gloria. Nessuna battaglia e non solo di quelle Napoleoniche, ha avuto tante differenti implicazioni e tanto riscontro nell'immaginario collettivo dell’umanità. Certo si tratto di una di quelle battaglie veramente decisive, come disse lo storico De Norvins “ Così con una sola battaglia vinta,sono state nuovamente poste sotto l’influenza della Francia, la Lombardia, il Piemonte, la Liguria e le dodici piazze fortificate che difendono tali Stati». C’è chi sostiene che fu la battaglia di Hohenlinden in Germania, nel dicembre vinta dal grande rivale di Napoleone, Jean Victor Marie Moreau, e non Marengo a porre le basi effettive del totale dominio della Francia, ratificato dal trattato di Luneville nel gennaio 1801, ma Hohenliden chi la ricorda? Ecco non la si riesce neppure a scrivere senza difficoltà, mentre Marengo…bhe Marengo è Marengo! Per Napoleone carezzava quella sua venerazione che aveva della fortuna “E’ fortunato” pare chiedesse quando c’era da nominare qualche nuovo Generale! Ed in quanto alle altre implicazioni, si comincia col famoso “pollo alla Marengo” ancora oggi alla ribalta nelle cucine di tutto il mondo, la cui ricetta che utilizzava i gamberi del prospiciente fiume Bormida, fu improvvisata proprio per festeggiare la vittoria, probabilmente quella stessa sera; si continua nel tempo con la numismatica e non soltanto del periodo napoleonico, il Marengo d’oro era coniato ancora dopo la caduta di napoleone in Francia, ma anche in Svizzera, Belgio e persino in Italia, con l’effige di Carlo Alberto di Vittorio Emanuele II e di Umberto I, e con innumerevoli citazioni in romanzi (I Buddendrock) Opere Liriche (La Tosca) films (I duellanti), fumetti (storie monografiche) e la famosa frase di Desaix “una battaglia è perduta c’è il tempo di vincerne un’altra” è diventata addirittura proverbiale.
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