“Scienza” è un termine molto più moderno di quel che si pensi e poco corrisponde ai vari “Περί Φύσεως “… “de natura” “de rerum natura” dell’antichità, dove lo studio appunto delle cose naturali, dell’organico, del biologico, era affrontato perlopiù con metodi più vicini ad un diffuso fare artistico che ad un sistematico studio, che oggi siamo portati a definire scientifico. La medicina, la botanica, la mineralogia, financo l’analisi dei fatti e degli eventi storici, che si avvalgono di illustri campioni anche dell’antichità, da Esculapio, Tucidide, fino a Linneo, Mehendelson, e vai con tutti gli scienziati che sono proliferati soprattutto nel periodo della Rivoluzione Industriale e praticamente sono giunti ai giorni nostri : Darwin, Marconi, Plank, Einstein, Bohr, Fermi, Schorodinger, Heisenberg, Feynman. etc.); si dirà: che relazione hanno queste discipline con l’arte, con il fare artistico? Nessuna!!!! Bhe anche questo non è esatto! Sono pur sempre interpretazioni della natura, prettamente umane e quindi alternative al cosidetto disegno naturale (anche questo termine non è alieno dall’uso di quella particella “Pro” che caratterizza tutto ma proprio tutto l’agire umano, perlomeno da quando un certo “Pro–metheo” rubò quella fatidica scintilla di fuoco agli dei, che non inaugurò la scienza, ma inaugurò la “Technè”, tecnica e arte, di cui anche la scienza fa parte.). Molti, specie nella nostra cultura occidentale, quella che appunto ha la sua base nel pensiero dell’antica Grecia di cui il Mito di Prometeo fa parte, hanno correlato tale origine della “technè” con una nuova modalità di rapportarsi con il tempo, un tempo progettuale fondato sul tempo opportuno in cui svolgere l’azione (kairòs) e di cui sarebbe regista e attore l’apparizione di un meccanismo neuronale specifico: la “coscienza” ovvero un qualcosa fondata sul linguaggio articolato e che rappresenta quindi una peculiarità specificamente e unicamente umana , ovvero la capacità di mettere l’uomo in situazione sulla terra, narratizzare a se’ stesso e ai suoi simili una sua presenza che non soggiace più alle modalità del naturale, il giorno – la notte, il caldo – il freddo, il chiaro – lo scuro, e stagioni, insomma l’eterno ritorno dell’identico, ma è in grado di porre dei cambiamenti, molto rilevanti a tale ordine naturale. Ma questa coscienza che ad un certo punto dell’evoluzione ha fatto la sua comparsa sulla terra è intimamente correlata a quella che potremmo anche definire un assoluta indifferenza della terra, della natura, e come giustamente osservava Umberto Galimberti, quando ancoraa non si era venduto alle multinazionali del farmaco, facendosi paladino dei vaccini (La terra senza il male Feltrinelli editori 2^ ed. febb.1988) “indifferenza della terra , la cui totale estraneità all’ordine della finalità umana, la rende del tutti inidonea a costituire un punto di riferimento per la comprensione dei progetti umani..allora i significati che non si trovano vengono conferiti, i valori che non nascono dalla visione delle cose, sono postulati dall’umana volizione… ovvero la volontà sostituisce lo sguardo , perché intorno ad esso altro non si dispiega se non la totale contingenza della nostra esistenza su una terra indifferente che non ci conosce” Tale, sostanzialmente è la technè, ovvero l’abilità tecnica, la scelta di un tempo opportuno in cui inserire il proprio agire, e anche l’arte, il cui fine è sostanzialmente quello di sostituire all’indifferenza, la differenza: un atto di volontà, tutto sommato! volontà di istituire un tentativo che tenga conto della presenza umana e far si che essa si costituisca come risposta al domandare dell’uomo e quindi rientri, volente o nolente nel sotteso finalismo dell’intenzionalità umana e dismetta finalmente la sua indifferenza “pro-vocata (sempre quel “pro” che dà il significato di “chiamare prima, in anticipo”) la terra risponde, ma risponde nei limiti della domanda: offre di sé cio’ che le si richiede, ma trattiene tutto quello che non fa parte della richiesta: l’errore di tutte le nostre costruzioni, della tecnica, dell’arte, della filosofia, della scienza,…di tutto, consiste nello scambiare le verità di queste risposte con la verità della terra” Ovviamente stiamo sempre alludendo, alle nostre contrade occidentali, perchè il discorso sarebbe profondamente differente se dovessimo prendere in considerazione la filosofia e cultura orientali: Le Upanishad, I Veda , Lo Zen, il Mahabaratta, il Bahagvadad Gita, le 4 nobili verità di Buddha, la meditazione Vipassana, il serpente della Kundalini, lo Yoga; il solco della nostra cultura e tradizione, è senza dubbio questo, ma l’occidente è anche il luogo di un fraintendimento, la sua coscienza difatti ci ha portati a scambiare la nostra volontà, che è sempre volontà di avere ragione e quindi di potenza, volontà di portare tutto nell’ambito del linguaggio, e quindi della coscienza, anche il senso della natura, dimenticando la massima di uno dei suoi più antichi campioni, Eraclito di Efeso, che la natura ama nascondersi “φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ “ Nascondersi da… e a… che cosa? “Elementare Watson!” avrebbe risposto Sherlock Holmes: dai giochi della parola e quindi dal linguaggio umano, in un’ultima analisi, dalla coscienza che del linguaggio è un derivato. Ma allora se, alla fin fine l’uomo occidentale è quell’essere che ha voluto ridurre tutto il senso della natura nei termini di una sua formazione linguistica, dobbiamo poi tanto stupirci se tutto quello che aveva dimenticato e che non aveva compreso in quel suo “chiamare prima” , diventerà pertinenza di un qualcosa che cosciente non è, e che un certo signore di Vienna si incaricherà di disvelare al mondo, partendo proprio dalle lacune e dai mancati che tale millenaria operazione aveva giocoforza ingenerato!? La domanda è quindi : anche l’inconscio come la coscienza è posteriore al linguaggio? e questo come lo si deve intendere? Con gli stessi meccanismi che Freud ha individuato trasferimento condensazione, ovvero metonimia e matafora che sono gli assi portanti del linguaggio?…e lapsus, atti mancati, soprattutto i sogni, che dell’inconscio sono stati individuati come “via Regia” ? Un’altra imperiosa domanda è “cosa e come sognava l’uomo prima che dal suo linguaggio articolato scaturissero prima la coscienza e quindi a stretta correlazione, l’inconscio?” Il libro di Julian Jaynes “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza",che interviene nella formulazione del presente articoletto, cercando di metterlo in relazione al pensiero freudiano, ovviamente quello successivo ad “Al di la’ del principio del piacere, dove vengono introdotti non solo la pulsione di morte, ma anche la coazione a ripetere (vedi articolo precedente di questa stessa sezione), aveva postulato una sorta di inizio del momento di passaggio tra la mente bicamerale, che in sostanza altro non era che una serie di comportamenti codificati in presenza di situazioni diciamo così, istituzionalizzate, e la coscienza, mettendolo in relazione all’aumentare delle aggregazioni e complessità sociali e al non poter fare più riferimento a quella serie di comportamenti codificati dall’abitudine, che da semplici precetti erano assurte ad un qualcosa di soprannaturale identificandosi con una quasi costante presenza divina: In sostanza erano le voci e le visioni degli dei che indicavano il da farsi nelle varie situazioni in cui un uomo in una determinata e ancora limitata contingenza sociale e di aggregazione si trovava a operare. Tali voci, tali allucinazioni potevano benissimo configurarsi come una sorta di pre-inconscio, con tanto di meccanismi di illogicità , tra l’altro non ancora formulata la logica. Ma cosa succede, quando ecco… esse non riescono più coprire l’aumento vertiginoso di situazioni e di compiti, che un’aggregazione troppo dilatata, un città di oltre diecimila abitanti o una messa in situazione con compiti inusitati , tipo un viaggio in mare, nuovi territori, nuove genti, nuove modalità di comportamento impongono con urgenza? Le metafore delle voci, delle allucinazioni di dei che ti dicano cosa e come fare, si fanno insufficienti ed ecco che allora l’uomo è costretto a costruire una metafora che sia analogale, non più di una semplice azione e neppure di un qualcosa addotto dal ripetersi di situazioni simili, c’è bisogno di una metafora che metta in situazione non più la natura, il vento, la pioggia con una istituzionalizzata voce o visione divina, ma che metta in situazione sé stesso, la propria presenza in relazione a…., ovvero ancora una metafora certo, perché e’ col linguaggio articolato che funzione la metafora, ma una metafora particolare che sia un analogo certo, ma un analogo molto particolare: un analogo -Io. E’ questo l’Io che noi possiamo analizzare da Freud che è un Io che è in grado di riflettere su se stesso sulla sua presenza, ma anche un Io che si trova subito alle prese con l’erede di quelle voci, di quella allucinazioni che nella precedente formazione mentale era stata attribuita agli dei. E questo erede, torniamo alla conclusione precedente, esula dalle attribuzioni della coscienza che in stretto ambito temporale si costruisce le proprie regole logiche che possiamo sintetizzare nei famosi tre principi della logica, ovvero identità, non contraddizione e terzo escluso, principi che quell’erede di allucinazioni auditive e visive, costituirà subito un’eccezione, anzi una assoluta disconoscenza, perché sostanzialmente esso fa riferimento a tutto quello che l’uomo non ha chiamato prima, pro-vocato, nella sua costruzione di se’ in un mondo, una natura, che non conosce se non nei termini di tale chiamare prima, un mondo che soprattutto non conosce lui, l’uomo ! Questa sorta di lunga premessa prima di affrontare il tema del secondo libro davvero fondamentale di Freud dopo la pubblicazione di Al di là del principio del piacere” ovvero “l’Io e l’Es” un saggio che tenta di mettere a punto da un punto di vista meta psicologico l’intero funzionamento dello psichico umano, è andata individuando, prima di arrivare alla formulazione del Super -io, così come in quel saggio viene ipotizzato, anche una parallela disposizione di porsi non solo rispetto all’Io, ma anche rispetto all’Es: conscio e inconscio. Se difatti ci dobbiamo misurare con un Super-io, forse è altrettanto importante misurarsi con un “Super-es”!? Così come possiamo dedurlo prendendo in esame un libro come il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” di Jaynes, un Es, con le sue manifestazioni del tutto estranee alla coscienza ma con quell’antecedente di voci e allucinazioni, che andarono a costituire “gli dei” anche essi sempre costruzioni di quell’essere al mondo dell’uomo.
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