La nazione, la città, e spesso e volentieri anche il quartiere, la strada dove si è nati, hanno per lo più, una rilevanza particolare nella storia della nostra vita e ne costituiscono una sorta di paradigma a proposito delle “visioni del mondo”. Sembrerebbe a primo acchitto una visione strettamene soggettiva, contingente e particolareggiata, affettivamente coinvolgente e suscettibile di interpretazioni che possono essere sia positive che negative, ma come vedremo si carica, si può caricare, di valenze che mettono “in gioco” elementi quanto mi oggettivi, a volte addirittura “universali” Di solito il rapporto col proprio luogo di nascita e dove si è cresciuti, in particolar modo nell’infanzia, ha un’ulteriore valenza di significanza; Jung ha parlato di “numinosità” e Freud..., bhe Freud ha definito l’infanzia il paradiso terrestre di ciascuno di noi.... “somiglia all’eternità l’infanzia”...con il suo tempo dilatatissimo quando un giorno durava quasi all’infinito e il sole in cielo sembrava non voler tramontare mai… e non solo, ma topicamente, il mondo, tutto il mondo, era lì sotto il balcone e bastava allungare una mano per afferrarlo tutto. Forse per questo tutte le cose che rientrano, che facciamo rientrare nell’infanzia, hanno un carattere quasi magico! Ecco!!!! ha ragione Jung … “numinoso” dove le cose, le immagini, le persone, i fatti, anche i nomi, sono come “numi”, un che di divino che assorbiamo dentro di noi e quindi si rivestono di entusiasmo “en Theos”. Il nome della strada dove siamo nati e cresciuti e magari abbiamo vissuto la nostra infanzia, si carica di tale entusiasmo e anche quando quella è solo un ricordo sfumato, è sufficiente richiamarlo alla memoria per accedere a tutte le sensazione relative appunto, di entusiasmo e numinosità. Chiamare per nome, significa, diceva qualcun altro, “evocare, chiamare in assenza”.... siamo cresciuti, diventati grandi, il sole non sta più la’ in cielo solo per noi, i caschi di glicine non si inchinano più al nostro passaggio , e il balcone, si il balcone non ha più l’altezza dell’Olimpo dove dimoravano gli antichi dei, però quel nome, con tanto di targhe toponomastiche, via dei matti numerozero,rue de l’ancienne comedie, zlata ulice, marienburger strasse, charingcrossroad, si caricano tutte di valenze di un fascino misterioso che si rivolge solo a noi. Succede a volte che il nome di tale strada è un nome che per una serie di circostanze viene ad assumere valenze più composite dove magari la suggestione propria della numinosità dell’infanzia si coniuga a questioni di conoscenza e interesse. E’ il caso dell’autore del presente articolo Mario Nardulli che la strada della sua infanzia si chiamava Nicolò V: mai durante l’infanzia mi ero soffermato su tale nome, forse a mala pena sapevo che trattavasi di un Papa; via Nicolò era la strada dove la mia famiglia si era stabilita assai prima della mia nascita, nel 1938, quando il mio omonimo Mario Nardulli che era un funzionario dell’Opera Nazionale per i Combattenti (O.N.C.)l’Ente che si occupava delle Grandi Bonifiche, dopo anni di vagabondaggio per varie cittadine sulla scia di quei lavori, da Licola al Lago Patria, a Littoria, a Sabaudia, e anche i richiami da ufficiale superiore che lo avevano portato in Africa orientale durante la campagna del ‘35-36 con la Divisione Alpina Pusteria e anche in quella settentrionale (Libia) dove aveva comandato i Presidi di Giado e Gadames giurisdizione del XX C.d’A. Div. Sabratha,tornato borghese e riassegnato a Roma nel 1938, colpito dal quadro di Picasso “Guernica”,non si era fatto rassicurare dalla cosidetta “pace” salvata (si fa per dire) da Mussolini alla Conferenza di Monaco, e convinto che prima o poi una guerra sarebbe comunque scoppiata, aveva scelto di stabilirsi in una zona vicino al Vaticano “così staremo certi” aveva detto alla moglie e al figlio Lucio ”che nella città del Papa non bombarderà nessuno!” Proprio Guernica e anche certi raid sulle città dell’Etiopia, di cui aveva valutato “de visu” la distruttività sulle popolazioni civili, lo avevano indotto a tale risoluzione “la guerra non sarà come quella passata” diceva ” che il rombo del cannone lo si poteva sentire da Verona, da Marostica da Udine o Monfalcone, ma mai shranpels o i colpi di cannone erano arrivati a lambire il centro abitato….”la prossima sarà una guerra che coinvolgerà tutti, non solo i soldati al fronte”. Via Nicolò V aveva questa origine, di cui io nipote avevo sentito più volte, ma che per me era la palazzina giallo ocra al numero 50 con la contigua gemella, interrotta da una discesa in sampietrini e fiancheggiata da caschi di glicine (quelli che idealmente accompagnavano i miei passi quando ci si indentrava verso lo slargo dove c’era la casa di una ragazzetta di cui a mò di Dante con Beatrice, mi ero perdutamente innamorato all’età di 9 anni), c’ era, poi giù in fondo, la grande scalinata che costeggiava le antiche Mura e fiancheggiata dalla contorta e ripida salita detta “la Gajardona”, c’era la mole della Cupola di san Pietro che la mattina al risveglio riempiva lo scenario, appena venivano aperte le persiane, ed era anche gli amici con cui si giocava a “nascondarella” a “uno monta la luna”, ed infine quei personaggi dai soprannomi impossibili “zi ghe bake” il padre di un amico che aveva un taxi, ma se l’era giocato alle corse dei cani, Alvaro “er matto” Desiderio “il lupo mannaro” , “Maria Zozzetta”che era una specie di barbona che a cadenze mensili attraversava la strada, “la pisellona” di cui non aveva mai capito il perché di quell’epiteto, ma soprattutto era il ricordo, luminosissimo di mio nonno ed omonimo, che col cappello colla penna bianca, gli stivaloni con gli speroni su cui si impigliava la grande mantella fuori ordinanza, si stagliava nell’abitato, una immagine che era diventata patrimonio della strada, specie dopo quel giorno di giugno del ‘44, in cui sebbene convalescente per ferite riportate in guerra, si era rimesso l’uniforme di Colonnello e si era presentato al comandante della Wermatch, che voleva far brillare un carro armato bloccatosi proprio a ridosso della “Villa” dei Morelli e pregiudicava la ritirata delle truppe tedesche lungo l’Aurelia; con fare fermo, da vecchio soldato, alla Caviglia non certo alla Badoglio, ovvero che non si era strappato i gradi dalle maniche e gettato l’uniforme alle ortiche, quel recentissimo 8 settembre, ma con fierezza e piglio, la penna bianca sul cappello, la mantella che si impigliava sugli speroni si era rivolto al capitano ...“lei è un ufficiale della Wermacht, non una SS…” e lo aveva convinto a farlo rotolare lungo la discesa che dava alla ferrovia, sì da non arrecare alcun danno alla Villa e alle costruzioni prospicienti. Quel nome, quel papa Nicolò V, anzi con il nome con due “c” Niccolò V, lo avevo ritrovato quando mi ero iscritto in architettura e mi ero andato ad occupare dell’origine della Roma papalina , anche detta la “seconda Roma” e quale la mia sorpresa e piacere nell’apprendere che il papa Niccolò V al secolo Tomaso Parentucelli (1397-1455) era stato proprio lui l’iniziatore della complessa operazione urbanistica che dalla ristrutturazione della Basilica di san Pietro al Vaticano (quella che diverrà la “fabbrica di San Pietro”) aveva innescato tutti gli interventi nel corpo della città: da quelli iniziali di sistemazione delle strade di accesso nel quartiere detto alla tedesca “Borgo” in quanto sede di truppe mercenarie appunto di origine germanica, per indentrarsi nel corpo della città antica ancora di impianto romano, grosso modo concentrata nella grande ansa del Tevere, frontale al Colle Vaticano e all’antica fortezza dell’Imperatore Adriano, ovvero quello che diverrà Castel Sant’Angelo, percorrendola appunto tutta, con il recupero di antichi assi romani e innescando un vero e proprio sistema che fungerà da modello a tutta l’urbanistica dei secoli successivi e non soltanto a Roma. Niccolo’ V fu anche il prototipo del “papa-umanista”, sotto di lui difatti tale movimento ebbe uno sviluppo inusitato con la convocazione presso il Papato di importanti artisti e studiosi come Lorenzo Valla, Poggio Bracciolini , Flavio Biondo, Andrea del Castagno, Piero Della Francesca, Rogier Van der Weyden, e in particolare gli architetti Bernardo Rossellino, che legherà il suo nome all’unica città interamente progettata con il nuovo strumento della “prospettiva : “Pienza” e Leon Battista Alberti, uno dei più colti progettisti dell’epoca, equiparato al Brunelleschi come impostazione teorica , che dedico’ al pontefice il suo trattato “De re aedificatoria” . Furono proprio questi due artistiti che studiarono la “sistemazione dei Borghi” ovvero l’accesso alla Basilica di san Pietro che doveva diventare il faro e il simbolo stesso di tutta la Cristianità. Non è attestato con certezza, ma pare che l’Alberti avesse pensato a tre strade porticate che dalla Basilica puntavano al Castel Sant’angelo, per ribaltarsi dalla quinta prospettica del Ponte, oltre il fiume in altre tre strade che a ventaglio si aprivano sul corpo dell’abitato urbano concentrato nell’ansa del Tevere, l’esecuzione effettiva sembra però che fu relizzata dal Rossellino che si limitò a sistemare l’unico asse che collegava Basilica con il Castello, il cosidetto “Borgo Vecchio” facendone a sistema non due, ma una sola strada (il Borgo Nuovo) e dando così avvio a quella che verra’ denominata “la spina di Borgo” ; in quanto alle tre strade che dovevano come rispecchiarsi oltre il fiume nell’ansa del Tevere, anche se non porticate, rimasero e andarono a costituire il cosidetto “piccolo tridente” che sarà quasi a prodromo del “Grande tridente” quello che si verrà a costituire nel secolo successivo, con epicentro in piazza del Popolo. Insomma alquanto esaltante, l’andare a scoprire che il nome della strada che aveva contrassegnato l’infanzia era quello di un personaggio che aveva per così dire avviato la formazione della Roma che tutti conosciamo e che come “forma urbis” è ancora, fatte salve alcune modifiche - la costruzione della Cupola di Michelangelo a ideale suggello di simbolo della Cristianità, il Colonnato del Bernini come apertura avvolgente dei due bracci, e molto dopo, la distruzione della spina di Borgo, la via della Conciliazione - perfettamente riconoscibile. Una prassi di intervento urbano che costituisce un vero e proprio paradigma, iniziata con l’Alberti e il Rossellino che ha una sorta di equazione algebrica “a+b+c = zero o infinito, di perfetta sequenzialità: 1° = sistemazione dei Borghi come primo anello di una catena significante a livello di una topica di sviluppo urbano; 2° = razionalizzazione dell’antico abitato su base del piccolo tridente di Ponte Sant’Angelo e la riqualificazione di antichi assi romani ( via del Governo Vecchio, via dei Banchi Vecchi, via dei Coronari); 3° = enfatizzazione dell’unico asse nord sud della Roma imperiale, quello che si prolungava nella “via sacra” ovvero l’originaria Via Lata; 4° = a sistema con questa un asse di penetrazione nel nucleo antico (la via Leonina, poi via Ripetta) ed uno invece di espansione per le salubri zone, verso i cosidetti “Monti”(la via Paolina Trifaria, poi del Babbuino) ed infine a perfetta concusione del paradigma e segno del “Tridente” un asse diretto che lo intersecava : la “via Trinitatis” ( via Tomacelli, via dei Condotti) che collegava vecchia e nuova città, confluendo su quella che ancora oggi è denominata “Trinità de’ Monti”; 5° = la sistemizzazione di tutto questo processo ad equazione, con il grande piano di un altro grande Papa che ha impresso alla città di Roma il suo segno più duraturo , ovvero grandi assi come vere e proprie direttrici di sviluppo, con il collegamento di quinte prospettiche di forte impatto e visività, attraverso lo strumento prospettico del punto di fuga. Stiamo parlando del grande “piano Sistino” modello di tutta l’urbanistica a venire e Sisto V, il Papa che lo ideò con il concorso dei più grandi artisti, non più dell’Umanesimo, ma del Rinascimento fu indicato in una pasquinata (la statua parlante di Roma, la voce del popolo), una volta tanto con un epiteto non di critica o sberleffo, ma di ammirazione “ER PAPA TOSTO”….“fra tutti ch’hanno avuto er posto de vicari de dio, nun s’è mai visto un papa rugantino, un papa tosto, un papa matto, eguale a Papa Sisto”
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