sabato 5 settembre 2020

TAMARA ALLA CORTE DEL VATE

 


Mondana, fascinosa,  brillantissima e talentuosissima pittrice Tamara de Lempicka,  incarna il prototipo di un proto femminismo, a cavallo tra le suffragette delle prime manifestazioni  di protesta sulla parità di diritti tra uomini e donne  e i movimenti degli anni sessanta e settanta. A parlare sono soprattutto le sue opere, i suoi quadri, generalmente indicati come “art decò”, ma in verità con qualcosa in più, un qualcosa che certamente fa il verso  a quel mondo uscito dalla Grande Guerra con voglia, anzi spasmodico desiderio, di divertirsi, di compensare il terribile conflitto, con un eccesso di edonismo, ma anche con  una gran quantità di riferimenti al periodo precedente, i “mobili graziosi e i nervi a fior di pelle” descritti dal Thomas Mann nei Buddendrock, ma anche nella “Montagna incantata”, e in “Morte a Venezia” , “l’uccidiamo il chiaro di luna” di Marinetti e del futurismo, la scomposizione e frammentazione spazio temporale dell’immagine inaugurata da Picasso in “les demoiselles d’Avignon” e tutta una serie di manifestazioni spesso e volentieri “estreme ”l’urlo da-da”, ancora in piena guerra, gli impulsi a ricostruire subito dopo : “l’Après le cubisme di  Ozefant e di Charles Eduard Jenneret, che non a caso diventerà di lì a poco il più lucido dei ri-costruttori: l’architetto Le Corbusier. Tutto questo si riflette nei quadri di Tamara de Lempicka, assorbendo anche l’altro, il banale, l’effimero, il pretenzioso e anche il non troppo profondo, tipo i romanzetti d’appendice di Guido Da Verona e le provocazioni erotiche di Pitigrilli, il tentativo di innescare una nuova “Belle Epoque” che però sortirà solo la  amara definizione di Gertrude Stein di “Lost Generation” la Generazione Perduta, appuntandosi con diversa profondità in un gruppo di giovanissimi scrittori americani che porteranno fuori d’Europa la palma del nuovo e di una diversa sensibilità e infine lui il personaggio che più di ogni altro incarna  quella decadenza con cui l’Europa, al contrario dell’America, andava  facendo i conti: Gabriele D’Annunzio, il poeta, il Vate, con il quale non a caso la giovane e talentuosissima pittrice finisce per misurarsi. Originariamente il motivo del contendere restava indicato nella arte d’elezione della giovane donna, la pittura (siamo a metà degli anni venti e quindi Tamara de Lempicka al secolo Tamara Rosalia Gurwik-Górska, nata a Varsavia nel 1898, figlia di una polacca e di un ebreo russo  e’ nel pieno della giovinezza e anche dell’avvenenza), ma quasi subito doveva sfociare in quell’erotismo di cui il ben più anziano contendente era una sorta di depositario d’eccezione con  un carnet di conquiste da capogiro e un defilè di donne che ancora era in piena frenesia lì al Vittoriale, la dimora/museo/palcoscenico in cui il poeta da qualche anno si era come relegato. La pittrice aveva difatti raggiunto il Poeta al Vittoriale, con la motivazione di fargli un ritratto, cosa che indubbiamente avrebbe arrecato  grandissima pubblicità a lei pittrice famosa per quello stile particolare, che come sopradetto faceva un po’ un melange di tutte le composite istanze dell’epoca,  figurativismo si, ma che si piegava ad accogliere sia la lezione spazio temporale cubista di Picasso sia quella dinamica del  futurismo alla Boccioni e alla Carrà, e persino della corrente surrealista  teorizzata da Andrè Breton, che portava l’opera di Freud nelle arti visive. Il pretesto, però era stato quasi immediatamente accantonato, e la partita si era andata a giocare  su tutt’altro tavolo, ove le carte in tavola erano tutte di dame, quelle che facevano parte dell’Harem quasi fisso di D’Annunzio, ovvero Aelis Mazoyer, Luisa Baccara, donne di spessore, ex amanti del poeta, ma che si erano adattate al ruolo di cameriere tuttofare, governanti e anche procacciatrici di nuove avventure per il loro nume tutelare, un po’ un misto tra dame di fiori e dame di denari, e quelle appunto che erano l’oggetto  della contesa, ovvero la seduzione da parte del poeta, che dovevano assumere l’aspetto e anche il ruolo della dama di cuori. Le partite erano quasi sempre a esito scontato, una delle poche eccezioni era stata la divina Sarah Bernard che alle sue profferte amorose lo aveva liquidato sprezzantemente, ma quello che nessuno poteva prevedere, né le sue Dame, né lo stesso D’Annunzio che per sedurre questa sua nuova preda aveva fatto le cose in grande, disponendo per  il suo arrivo delle cannonate a salve dall’incrociatore ‘Puglia’ che si trovava nel parco della villa, accompagnando ogni sparo con l’augurio sonoro “Alla Polonia indipendente! Alla vostra arte! Alla vostra bellezza!’ quindi il giretto in automobile (per la quale Tamara aveva una vera passione) quello in aeroplano (tutto fedelmente riflesso nei più famosi quadri di Tamara) e poi  la cocaina, i continui assalti fino a quello che avrebbe dovuto essere decisivo, ma quello che davvero si rivelò imprevedibile fu il fatto che  Tamara De Lempicka  declinò la carta della dama di cuori, per assumere quello della “dama di picche”. Difatti in quell’assalto che avrebbe dovuto essere decisivo, in cui lui si presentò nella camera di lei, indossando la celeberrima vestaglia con il buco nel  mezzo che doveva evidenziare “il gonfalone d’oro”,  vestaglia che il Poeta si tolse repentinamente per rimanere completamente nudo, ma anche  venire  bruscamente respinto  da una inorridita  donna alquanto schifata  della sua dentatura cariata, del suo corpo non certo  apollineo, dei suoi sessanta e passa anni portati tra l’altro niente affatto splendidamente. I resoconti di questa boccaccesca vicenda, sono stati riportati  sia dalla interessata, sia dalle donne sultanate di D’Annunzio cui si è fatto cenno in precedenza, con forse un po’ di confusione e imprecisione, sta di fatto che lei non volle baciarlo in bocca, non si tolse i vestiti , acconsentì solo a farsi baciare le ascelle, e piace pensare che mentre quegli  era indotto  a questo brivido di immoralità un po’ feticista, lei si lasciò sfuggire quella frase irriguardosa  in merito al glissare sul ritratto, adducendovi questioni economiche “può darsi che non vogliate toccare questo argomento, il ritratto, perché non conoscete i miei prezzi” gli fece infatti. Fu la classica goccia  che fa traboccare il vaso “Come avete detto, Madame? Se credete di poter parlare in questo modo con Gabriele D’Annunzio vi sbagliate. Addio!” e  subitaneo uscì dalla camera facendo rintuonare per i corridoi del palazzo  il suo  pianto lamentoso: “Sono un vecchio!”                                                                      Tamara il giorno dopo, fu invitata cordialmente ad andarsene alla chetichella. Ma Aelis Mazoyer, nel suo diario, ci tenne a precisare che “la polacca”(o  “la cammellona” come la chiamava lei)  non aveva certo restituito al Vate i gioielli ricevuti in dono del valore di circa 25 mila lire: a quanto pare, D’Annunzio si era veramente invaghito della fascinosa pittrice, in un modo che forse va al di là della semplice attrazione fisica: qualche giorno dopo, le inviò infatti una pergamena con una poesia dedicata a lei, definendola la donna d’oro”, ed un porta gioie con un anello di argento massiccio sormontato da un gigantesco topazio, un anello che lei porterà fino alla fine dei suoi giorni. Nel suo ritiro a Cuernavaca in Messico dove appuntò morì il 18 marzo 1980, e le sue ceneri furono secondo le sue volontà  gettate nel cratere del vulcano che lei vedeva dalla sua finestra, ma prima di essere cremata, sul letto di morte al suo anulare sinistro spiccava il giallo intenso del topazio, che ricordava il colore suoi capelli, ma anche quell’epiteto di “donna d’oro” che D’annunzio le aveva attribuito dedicandole la poesia che purtroppo è andata perduta. In quanto alle opere di Tamara de Lempicka, che indubbiamente rappresentano il vero punto fermo della persona, al di là delle più o meno romanzate storie di eccentricità, trasgressione appassionati amori anche saffici  e frequentazione di personaggi illustri, come abbiamo visto per D’annunzio, c’è da dire che la sua nomea di regina dell’art decò, ha avuto un certo oblio negli anni del dopoguerra per tornare prepotentemente alla ribalta  grazie anche al fortissimo interesse di divi di Hollywood che ne hanno fatto una sorta di loro Musa personale. A cominciare fu Barbara Streisand, seguita a ruota da Jack Nicholson, ma indubbiamente la più appassionata e anche la più assidua collezionista di sue opere è la cantante Madonna, che ha foraggiato Mostre internazionali di suoi dipinti e nella campagna di autunno inverno di qualche anno fa di Louis Vitton è voluta apparire come dipinta in un quadro della sua pittrice preferita. Vedere dal vivo le opere di Tamara De Lempicka è un’esperienza davvero inebriante, i colori sono brillanti e sembrano uscire dalla tela, così i tratti dei soggetti che quasi sembrano dilatarsi oltre i confini del quadro e quel “decò” con il quale è stata etichettata, appare oltremodo riduttivo per un’artista che in verità rappresenta una sorta di sintesi di tutte le correnti del novecento, una sintesi esteticamente orientata verso il femminile e verso quell’emancipazione di cui rappresenta, come si è detto all’inizio una convinta rappresentazione




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