sabato 5 settembre 2020

UN INCONSCIO ALL'AMERICANA

Più europeo dell’inconscio non si può, perlomeno come origine, Freud, Jung, Ferecnzi, Adler…. , proprio nel bel mezzo dell’Europa, ovvero “Mitteleuropa” con la Felix Austria, Franz Joseph, la Berlino del Kaiser, la Ville Lumiere e la Belle Epoque, il Liberty, il Bieder Meyer, Thomas Mann e la Montagna incantata, già!, ma anche con la guerra e “al di là del principio del piacere” che doveva rappresentare una sorta di condensazione di tutto il pensiero psiconalitico  identificandolo con la pulsione di morte, sempre ad opera del suo scopritore il viennese Sigmund
Freud.Nel 1907 Freud assieme a Jung era stato invitato in america e se ne era uscito con una frase che era tutto un programma “non sanno che siamo venuti a portar loro la peste!” però di inconscio in america si cominciò a parlare solo dopo la guerra, più che altro per negarlo in nome di un pragmatismo che aveva una certa rispondenza nella cultura e mentalità statunitense e traeva ispirazione dalle opere di Ralph Waldo Emerson, prendendo i suoi maggiori teorici in Charles Sanders Peirce e William James e nel filosofo e pedagogista John Dewey, che chiamò il suo pragmatismo “Strumentalismo”. Fu l’arrivo nelle università americane di emigranti d’eccezione come Karen Horney e Frieda Fromm-Reichmann, che diffusero seriamente la nuova scienza negli Stati Uniti,  ma il primo nome squisitamente autoctono che viene fuori è quello di Harry Stack Sullivan, cofondatore proprio assieme alla Horney, della Scuola psichiatrica di Washintong, dove più che all’inconscio, l’accento veniva posto nella situazione interpersonale del soggetto e in una più pronunciata interazione medico-paziente. Sullivan è considerato il più importante esponente di quella concezione interpersonale della psicoanalisi che si rifà più ad Adler che a Freud e che influenzerà moltissimo proprio quella maggiore pragmaticità che anche negli anni avvenire sarà una sorta di costante della psicologia statunitense. Il famoso Mental Research institute of Psicology di Palo Alto, diretto dal grande studioso inglese Grigory Bateson che a partire dal 1939 a causa della guerra si era trasferito negli USA, rimanendovi fino alla morte, ne è stato forse il momento più elevato “La scuola di Palo Alto” sarà uno dei momenti più esaltanti della cultura e terapia post freudiana che giustappunto trovò nuovi approcci alla problematica della malattia mentale, non solo nell’accezione delle nevrosi, ma anche nel campo della psicosi che lo stesso Freud aveva considerato “fuori bordata” – i collaboratori di Bateson, nonche fecondi autori e terapeuti, Weakland, Haley, Watzlavitch, ridisegnarono tutta la mappa dell’intervento terapeutico, correlandovi giustappunto quel certo spirito di pragmatismo ovvero di verificabilità dei risultati, che si avvaleva altresì di veri e propri maghi della terapia come Virginia Satir, ma sopratutto come Milton H.Erickson. Non a caso Bateson inviò  da Erickson nel suo oramai leggendario studio di Phoenix, i suoi più brillanti collaboratori per studiarne e apprenderne le tecniche sul’approccio dei pazienti e sulla metodologia dei suoi interventi il cui pieno successo aveva dell’incredibile. Per la verità Milton Erickson, sebbene fosse laureato in psichiatria differiva in toto da tutta la prassi terapeutica europea e anche americana e soprattutto non faceva parte di nessuna scuola e di nessun indirizzo. A livello quasi personale aveva studiato profondamente l’ipnosi e aveva elaborato sue tecniche personalissime che più che a un medico lo facevano assimilare ad un “guru” ad un mago infallibile, difatti curava tutti e lo faceva con una semplicità disarmante, storielle apparentemente irrilevanti, una stretta di mano, un’occhiata di traverso, tanto bastava perché un paziente affetto da decenni da una determinata turba, ne uscisse guarito nel proverbiale “battito di ciglia” Ovvio e naturale che i brillantissimi studiosi di Palo Alto ne risultassero sconcertati e cercassero chi più chi meno di sistemizzare la sua prassi terapeutica L’etichetta di padre dell’ “approccio strategico alla terapia” gli fu data da Jay Haley, altri ne cercarono di replicare alcuni suoi magistrali interventi, e dato che lui, pur scrivendo parecchio, non aveva mai sistemizzato in modo organico le proprie teorie e tecniche, provvidero loro a analizzarle e organizzarle, tant’è che la maggior parte dei libri di Milton Erickson sono in realtà trascrizioni, registrazioni di sue lezioni, di suoi interventi, fatte appunto da questi eccezionali allievi (il già citato Jay Haley, Ernest Rossi, Jeffrey Zeig, Paul Watzlavitch e non ultimi gli ideatori della PNL (Programmazione Neurolinguistica) Richard Bandler e John Grinder che proprio dal sistematico studio della sua terapia trassero ispirazione per la loro nuova scienza.   Milton Erickson, proprio come tutte le persone che dispongono di qualche peculiarità fuori dall’ordinario, traeva la sua straordinaria efficacia anche da oggettive deficienze fisiche : fin da giovanissimo aveva sofferto di problemi neurologici  -  era nato con alcuni deficit sensoriali come amusia o sordità tonale (cioè incapacità di apprezzare e cogliere l’armonia dei suoni musicali), dislessia e un grave daltonismo, che gli permetteva di apprezzare veramente il solo colore viola; inoltre soffriva di allergie e si ammalò due volte di poliomielite (da ragazzo nel 1919 e da adulto nel 1952) rischiando di morire, e questa malattia gli lasciò un’ulteriore disabilità fisica: l’atonia muscolare e un’aritmia cardiaca Contro la prognosi dei medici che, una volta che uscì dal coma, affermarono che sarebbe rimasto paralizzato, a 17 anni, dopo il primo attacco di poliomielite, Erickson riprese a camminare e a parlare, ma passò gran parte della sua vita zoppicando, facendo prima uso di un bastone o delle stampelle, e infine di una sedia a rotelle, data la progressiva paralisi delle gambe e di un braccio che si manifestarono dopo i 50 anni In età matura soffriva per terribili dolori, soprattutto negli ultimi anni della sua vita (morì a 78 anni), per cui doveva far uso di antidolorifici e aiutarsi con l’autoipnosi. In verità tutte queste disgrazie contribuirono eccezionalmente alla sua crescita interiore e al suo sviluppo come professionista poiché, imparando a guarire prima sé stesso, divenne infallibile nel guarir e gli altri.
Gli
esempi di trascrizione dei suoi interventi sono disseminati, come detto, in moltissimi libri, “Phoenix”, “l’uomo di febbraio” e la trascrizione da registrazioni di suoi interventi in grandi volumi numerati, ma uno dei più straordinari è anche quello dal titoli più accattivanti, un titolo che esso stesso un’induzione ad apprendere, a cambiare, a guarire, previa una continua “se-duzione” : “La mia voce ti accompagnera’ ” e lì che si può seguire una serie di straordinari interventi, che  vale la pena di seguire passo passo le modalità per constatare  come il grande terapeuta arrivava sempre, con una facilità disarmante, ma anche con una genialità che aveva sempre qualcosa di magico a risultati utili; si tratta di un pezzo apparentemente banale, ma che pure contrassegna in pieno, la tecnica di induzione indiretta con la quale di volta in volta Milton effettuava un intervento: anche la titolazione di questo episodio è estremamente suggestiva e sembra che poco abbia a che fare con una terapia “Anna delle riverenze” comincia così ”nella mia classe (è Milton che parla) c’era una ragazza che era stata in ritardo a tutte le lezioni al liceo. Era stata richiamata dagli insegnanti, e aveva sempre promesso con molta grazia che la volta successiva sarebbe arrivata in orario. Fece tardi a tutte le lezioni al liceo, eppure aveva sempre ottimi voti. Era sempre così piena di scuse, così piena di credibili promesse. All’università, a tutte le lezioni fu in ritardo, redarguita per questo da ciascun istruttore e professore. Lei scusava sempre con grazia e sincerità, prometteva sempre di fare meglio in futuro, e continuava a fare tardi. E aveva sempre ottimi voti all’università. Il mio primo giorno” spiega Milton ” arrivai alle sette e mezza per la mia lezione delle otto e tutta la classe era lì che aspettava, tra cui Anna, la ritardataria, così alle otto tutti in fila entrammo in aula, tutti eccetto Anna. Su ogni lato dell’aula c’èra una corsia di passaggio. C’era un passaggio sul dietro dell’aula, e un altro sul lato ovest. Gli studenti non ascoltavano la mia lezione, ma guardavano tutti verso la porta. Io, parlavo tranquillo, e quando la porta si aprì, molto dolcemente , delicatamente e lentamente, Anna fece il suo ingresso, con venti minuti di ritardo. Tutti gli studenti fecero uno scatto con la testa e guardarono verso di me. Videro il mio segnale per farli alzare e tutti capirono il mio linguaggio. Per tutto il tempo che Anna impiegò per andare dalla porta opposta di fronte all’aula, traversando tutta la parte posteriore, poi a metà per il lato opposto e sedersi, in un posto della parte centrale, io le feci le riverenze. E tutta la classe, in silenzio, le fece le riverenze lungo tutto il tragitto. E alla fine della lezione, ci fu una selvaggia corsa all’uscita. Anna e io fummo gli ultimi a lasciare l’aula. Io presi a parlare del tempo a Detroit, o di argomenti del genere, mentre camminavamo giù per il corridoio, e intanto un usciere le fece una muta riverenza; alcuni studenti dei primi anni vennero nel corridoio e silenziosamente le fecero la riverenza; il preside si fece sull’uscio del suo ufficio e le fece una riverenza; per tutta la giornata, la povera Anna venne in silenzio riverita. Il giorno dopo era la prima in classe, e lo fu da allora in poi. Anna aveva sopportato i rimproveri del preside, i rimproveri di tutti i professori, ma le mute riverenze, quelle non le poteva sopportare, e divenne la persona più puntuale del Paese” .Si obietterà “ma questa non è una vera e propria nevrosi, è una piccola turba, un fastidio più che altro” Ecco proprio da questo, dalle piccole cose, cominciava la terapia Ericksoniana, lui aveva bisogno di piccoli indizi, che scopriva sempre con straordinaria perspicacia e da quelli trascinava il paziente dove voleva lui e dove stava la guarigione, dalla piccola fobia, alla grande, alla nevrosi financo alla psicosi, perché la sua massima era sempre quella “entrare nel mondo del paziente, seguirlo e poi, pian pianino o magari con una mossa ad effetto, spettacolare, incominciare a portarlo altrove. Insomma il canonico “ricalco e guida” alla base di tutti i fenomeni ipnotici e sistemizzato soprattutto dalle prime opere di PNL di Bandler e Grinder. Su ispirazione delle teorie di Erickson è stata realizzata in america, una serie di sceneggiati, protagonista Tim Roth, dove appunto veniva riportato questo tipo di terapia, unitamente al fatto, che Erickson era in grado di prevenire tutte le reazioni di una persona, precederla in ogni ragionamento, capire quando mentiva, indurgli confusione o amnesia, e muovendosi con consumata abilità tra i vari sistemi rappresentazionali, ovvero vista, udito, tatto, gusto, olfatto, passare da uno all’altro per indurre il cambiamento. Gli studi di Pragmatica della comunicazione della Scuola di Palo Alto, continuati anche dopo la morte di Erickson, soprattutto da Haley e Watzlavitch, da noi in italia dal prof.Nardone, i resoconti di alcuni dei suoi più assidui allievi e collaboratori citati Ernest Rossi e Jeffrey Zeig, ma soprattutto la PNL di Bandler e Grinder, rappresentano una sorta di possibilità, per noi oggi, di misurarci con forse il più grande terapeuta di tutti i tempi.

 

 

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