giovedì 1 ottobre 2020

GIOVINEZZA E LE CANZONI DEL VENTENNIO

 


Le canzoni hanno una parte, anzi una grossa parte nella formazione dell’immaginario collettivo: non si sta qui parlando di musica, melodia, armonia, musica classica, come viene pomposamente definita, per intenderci Mozart, Beethoven, Bach, Chopin, o quant’altro, ma canzoni, canzonette.... il “sono solo canzonette” di Bennato, che però informa espressioni musicali di tutto rispetto, e con le quali tutti noi, nella nostra vita abbiamo avuto modo di raccordarci, con fenomeni tipo il folk, il rock, il blues e autori e interpreti di straordinario valore del calibro dei Beatlles, di un Frank Zappa, Leonard Cohen, Bob Dylan, Janis Joplin, i Jefferson Airplaine, i Quicksilver, i Greatful Dead, Ives Montand, Edith Piaf, Charle Trenet, da noi in Italia il Modugno del “vecchio frack” o di “volare” e “ciao bambina”, ma anche i famosi cantautori a cominciare da Gino Paoli con il sequel dei vari Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Lucio Battisti, fino a Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè ed epigoni, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Stefano Rosso. Debbo scusarmi se molti non sono elencati, comunque anche la valutazione dipende dai gusti personali, per cui non v’è da stupirsi se nell’elenco, parecchi anche di notevole portata sono rimasti esclusi: Mina ad esempio sarà senza dubbio bravissima, ma personalmente non mi ha mai suscitato alcuna emozione, così la voce roca e gridata di un Vasco Rossi e tutte le sue canzoni, non sono mai riuscito a ascoltarle; diverso molto diverso un Adriano Celentano e cantanti un po’, diciamo così di confine tra canzone d’autore e commerciale, un Peppino Di Capri, Gianni Morandi, Bobby Solo, Antonello Venditti, Zucchero;   certamente ci sono anche una miriade di canzonette senza pretese, ecco può andar bene il termine di “commerciale” e c’è  anche peggio di quelle cui faceva ironicamente cenno Bennato, probabilmente la maggior parte : strappalacrime, melense e stupidotte “mamma ti voglio bene” “piange il telefono” “quando dico che ti amo” “Io, tu e le rose”, e qui davvero l’elenco non finirebbe mai.  Tutto si delinea un po’ come il principio di indeterminazione di Heisenberg e  come la Legge di Einstein: dipendono dalla posizione di...no.... non l’osservatore, ma dell’ascoltatore, che è pur sempre una persona e quindi la sua posizione e disposizione, non sono mai definite con precisione. A proposito di tale riflessione ci sono delle canzoni da noi in Italia che occupano una posizione ambigua e alquanto controversa: sto parlando delle canzoni del periodo fascista, un riflesso alquanto impallidito oggi, ma la cui portata è stata senza dubbio fortissima e quindi va analizzata storicamente: “marceremo dove il Duce vuole dove Roma già passò”  tremendo no? Retorico fino al parossismo, e anche di un’ironica ridicolaggine considerando i fatti successivi, ma questo era l’inno dei GUF, gli universitari fascisti, ovvero baldi giovanotti acculturati che si definivano “fiaccole di vita e eterna gioventù” volti ovviamente a “conquistare l’avvenire”, mentre i ragazzini, inquadrati nei Balilla cantavano “fischia il sasso, il nome squilla del ragazzo di Portoria”  che chi poteva essere se non lui l’intrepido Balilla, che gettava quel sasso contro gli stranieri e dava il nome a tutta l’istituzione? Non sia mai che potevano restare esclusi in  giovani in genere, (capirai un Regime che aveva eletto a Inno Nazionale un canzone presa dagli arditi della Grande Guerra che si chiamava “Giovinezza!!!!), non ragazzini e neppure universitari, che all’epoca avevano la definizione di avanguardisti e per loro la marcetta faceva cenno ad una maschia gioventu’, ovviamanente con “romana volontà”, che aspettava la chiamata di una non meglio precisata madre degli eroi, “verrà quel dì verrà…” dicevano sconsideratam ente, il che considerando chessò la Grecia, l’Africa, la Russia e l’otto settembre, suona ancora più ironico delle strofette dei ragazzi più grandi. Il cenno a “Giovinezza” induce ad una riflessione sull’origine, diremmo oggi il “background” di queste canzoni: origine che doveva molto ai canti della prima guerra mondiale,  i celeberrimi “bomba c’è”  col loro ritornello cadenzato che i fascisti ripresero fin dalle prime manifestazioni “se non ci conoscete  guardateci all’occhiello noi siamo i fascisti dal santo manganello...fascisti e comunisti giocavano a scopone, la vinsero i fascisti con l’asso di bastoni” e tanti, tantissimi altri  che si produssero fino alla RSI, solo che invece del ritornello “bom bom bom son tre colpi di  cannon”, ci avevano messo  il “bombe a man e carezze col pugnal” anche questo ripreso sempre  dalla Grande Guerra, ma da una particolare formazione di combattenti, i cosidetti “Arditi” ovvero i reparti d’assalto, o “fiamme nere” da cui i fascisti avevano ripreso la quasi totalità del loro armamentario, le canzoni, gli slogan, financo il colore delle camicie e di buona parte del loro abbigliamento (il fez, le fasce mollettiere, i gagliardetti)  A rigore Giovinezza, che di certo doveva divenire la canzone più famosa del fascismo addirittura da accompagnarsi alla Marcia Reale nell’inno Nazionale era  si una canzone che si cantava nei reparti d’assalto fin dalla loro costituzione nello località di Sticca di Mandriano nel 1917, ma era stata ripresa da un canzone che si cantava nel 5° alpini soprattutto nel battaglione Vestone, dove c’era un capitano Corrado Venini, che si dilettava di composizione musicale, il quale sentendo suonare alcune note da un  ufficiale di complemento  richiamato per la guerra, le aveva immesse nel suo “’inno degli alpini sciatori “ Quell’ufficiale richiamato  si chiamava Giuseppe Blanc  e 5 anni prima quando era un laureando di giurisprudenza  aveva composta la musica con parole di Nino Oxilia  di una canzoncina goliardica  di addio agli studi che era stata inserita nell’operetta  “Addio giovinezza”con il titolo appunto di “Giovinezza” che difatti aveva un altro testo e senso, niente trincee e suoni di battaglia, niente fiamme nere che terribili si scagliano, ma solo un po’ di rimpianto “son finiti i tempi lieti” facevano le parole di Oxilia con il refrain però che tutti conosciamo  …”degli studi e degli amor, o compagni in alto i cuori il passato salutiam…”  certo gli alpini prima e gli arditi poi, avevano cambiato le parole, via i tempi lieti, gli studi e gli amori, spuntano le trincee e col fascismo via ovviamente quel “compagni”  da sostituirsi semmai con “camerati” Gli arditi insomma l’avevano ripresa dagli alpini che a loro volta casualmente l’avevano ripresa (forse se il sottotenente Blanc non fosse stato richiamato nel 5° alpini..... Chissà???) da tale canto goliardico, però la musica e il ritornello erano rimasti identici  “giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza , della vita nell’asprezza il tuo canto squilla e va “ con però quella discutibile ciliegina sulla torta che il fascismo ci aveva aggiunto a conclusione …”e per Benito Mussolini eja eja alala’. Direbbe Carlo Levi “il futuro ha un cuore antico”...per ogni cosa! Anche quel famoso nero delle camicie fasciste e buffetteria varia, non è così genuino come potrebbe sembrare, l’ascendenza agli arditi si va bene, ma in una accezione che ricorda molto quella delle camicie rosse dei macellai argentini per i Garibaldini. Il cuore antico si materializza nel famoso telegramma di Vittorio Emanuele Orlando a Badoglio nell’ottobre del 1918 a proposito dell’attaccare con l’offensiva che successivamente verrà detta di Vittorio Veneto “Tra la sconfitta e l’inazione, preferisco la sconfitta : MUOVETEVI” e si fa prassi operativa  con l’8^ armata del Gen. Caviglia  che con una abile diversione aveva spaccato in due lo schieramento nemico e praticamente messo fine alla guerra. Fine della guerra assolutamente non contemplata dai due brillanti e ardimentosi Capo e sottocapo di Stato Maggiore Diaz e Badoglio, che difatti contando di effettuare quell’offensiva solo nella primavera successiva, avevano ordinato una enorme quantità di cotonina nera, necessaria ad equipaggiare i sempre più numerosi reparti d’assalto. Ordine prontamente effettuato da un industriale, che mi pare fosse Vercellino, ma non ne sono sicuro, che però causa la fine della guerra si trovò con l’ordine bloccato e quindi i magazzini pieni di cotonina nera (capirai avrebbero dovuto rifornire un intero Corpo d’Armata!) Ora questo industriale era in contatto con Mussolini e quando questi fondò il suo movimento col programma di san Sepolcro, prese subito la palla al balzo “tu ti rifai all’ amor patrio, alla guerra, all’arditismo...ebbene perché non adotti per i tuoi accoliti, il colore che è il simbolo stesso dell’arditismo?  Il NERO!!! Fanne il simbolo per “le tue schiere”, camicia, copricapo, fasce mollettiere….Io ho giusto quel che fa per te!” Qualche pignolo potrebbe osservare che in fin dei conti , Giovinezza non era l’inno ufficiale del Partito, bensiì “All’armi siam fascisti “ o magari qualcuno della vecchia guardia preferiva l’inno della Disperata, una delle più famose squadracce dove si insisteva ossessivamente sul motto del fascismo, quel “me ne frego” anche questo però non originario fascista, ma di matrice D’annunziana che il poeta riprese da un dialogo tra due ufficiali il famoso Maggiore Freguglia e il Capitano Zaninelli,  entrambi medaglie d’oro e ovviamente ufficiali degli Arditi. Freguglia aveva chiamato Zaninelli e gli daveva detto che con la sua compagnia doveva attaccare un caposaldo, precisandogli che si trattava di una missione suicida, al che quegli aveva risposto : "Signor comandante io me ne frego, si fa ciò che si ha da fare per il re e per la patria". Il “Me ne frego” neppure lui originario fascista,  era disseminato a carattere cubitali nel cosidetto “Covo” ovvero la sede del Popolo d’Italia di via Paolo di Cannobbio  in Milano, e certo  non poteva mancare che anche su questo ci si tirasse su una canzone, anche se quel riferimento a Togliatti …”me ne frego di Togliatti e del sol dell’avvenire….” induce qualche dubbio sulla data di  composizione, non essendo negli anni venti il nome del co-fondatore del Partito Comunista ancora così famoso. D’altronde neppure l’ onnipresente “a noi” era di matrice fascista, bensì anch’esso D’Annunziano così come quell’eja eja alala’ che sempre D’annunzio aveva forgiato assieme al maggiore Freguglia (ancora lui!) per sostituire l’americano hip hip Hurrà! Semmai c’è da dire che quell’espressione così cruda faceva parte di quel tentativo del Regime di modificare a suo immagine e somiglianza la lingua italiana, la sostituzione del “lei” con il “voi” l’abolizione delle parole di origine straniera come se una lingua fosse una divisa da far portare, il celeberrimo “vestito di orbace” con cui veniva canzonato il gerarca Achille Starace aggiungendovi la precisazione “di nulla capace” L’altra fissa delle canzoni del ventennio, lasciandosi però alle spalle gli anni venti e entrando nel decennio dei  trenta  era quella della Roma antica imperiale, le Legioni, i gagliardetti, le insegne, i gladi (su quest’ultimo, il gladio,  però ancora una ascendenza negli Arditi della prima guerra mondiale, perché un gladio tra fronde di alloro e quercia era stato assunto come segno distintivo di tutti i reparti  d’assalto, anche quelli che non portavano le mostre nere  come gli alpini o i bersaglieri che conservavano le loro ed erano difatti detti “fiamme verdi” e “fiamme cremisi” ) il “fuoco di Vesta “ irrompeva fuori dal tempio e ovviamente coniugandosi alla “giovinezza” declamava il “Duce Duce! e  non poteva mancare un Inno a Roma, il celeberrimo “Sole che sorgi  libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma” ; e poi certo con il cambiare della situazione politica, l’abbandono della Società delle Nazioni quella antica Roma, quell’antica gloria, non poteva che rivendicare...rivendicare cosa? ma l'Impero è ovvio!  e quindi ….“Roma rivendica l’impero, l’ora delle aquile suono’, squilli di tromba  salutano il volo dal Campidoglio al Quirinale” e quindi propositi, che insomma considerando poi certi fattarelli tipo la distruzione della marina a Taranto, la cacciata a mare da parte dei Greci, le centinaia di migliaia di prigionieri  fatta da gli inglesi che disponevano in Africa Settentrionale  di un contingente di soli 30.000 uomini e la stessa fine di quel tanto strombazzato Impero...bhe ! Come fare a non sorridere un po’ amaramente alla frasi successive della canzone  “terra ti vogliamo dominar, mare ti vogliamo navigar….mi sono chiesto spesso come gli fosse venuto in mente a Mussolini di rifarsi all’antica Roma nella scelta del nome del suo movimento, i fasci littori, le aquile, i gagliardetti.... ecco questo c’era davvero poco nella prima guerra mondiale, a parte quel gladio che veniva portato dai reparti d’assalto, sulla manica in alto della giubba, e il colore nero delle truppe d'assalto, certo è che quel proseguo della canzone “il littorio ritorna come segnale di forza e di civiltà" suona davvero farsesco e non parliamo poi quel “...dei Cesari il genio e il fato, rivivono nel Duce liberator”.                    Con il 1934 l’Anschulss, l’uccisione di Dolfuss da parte dei nazisti e la mobilitazione al Brennero dell’Esercito, unica opposizione a Hitler in tutta Europa, cambiano radicalmente gli equilibri europei  e cambiano anche le canzoni, si fanno più volgari in risposta alle inique sanzioni con cui francia e Inghilterra intendono punire l’Italia del Duce (una canzone faceva appunto “si salva l’Italia , l’Italia del Duce", eh già perché dopo che Mussolini aveva avuto la prova della debolezza intrinseca della Società della Nazioni, aveva bruscamente cambiato rotta politica e paradossalmente si era avvicinato proprio a colui  che appena qualche mese prima gli  aveva mobilitato  contro l’esercito e costretto al dietro front. Dicevamo del volgare che si accentua... eh bhe! come la chiameresti voi una canzoncina  che rivolgendosi espressamente all’Inghilterra gli fa “Sanzionami questo!  E se ancora ci fosse qualche dubbio aggiunge “lo so che ti piace, ma non te lo do!”                                        Una nuova guerra, ammettiamolo  abilmente propagandata da motivi di rivendicazione, le “inique sanzioni” appunto di Francia e Inghilterra; una retorica verbale piuttosto d’effetto dello stesso Mussolini in un plateale discorso dal famoso balcone di Piazza Venezia “ io fino a prova contraria mi rifiuto di credere che l’autentico popolo di Francia possa indire  sanzioni economiche contro l’Italia! I  6000 caduti di Bligny, morti in un eroico assalto che strappò un grido di ammirazione dello stesso comandante nemico,  trasalirebbero dalla terra che li ricopre ;  e fino a prova contraria mi rifiuto di credere che l’autentico popolo di Gran Bretagna, possa unirsi a sanzioni economiche contro l’Italia, per difendere un Paese africano, universalmente bollato come paese barbaro e indegno di stare tra i popoli civili”, quindi il  celeberrimo “oro alla patria” con la giornata della fede, in cui tutti, davano qualcosa d’oro,  dalle  spose, a cominciare dalla Regina Elena,  la loro fede d’oro in cambio di una in ferro,  e poi senatori, accademici, persino antifascisti , in un momento che fu davvero di sincera aggregazione  del popolo italiano sotto il fascismo ( Peccato che anche questo momento sia stato rovinato da scoperte successive : due damigiane piene di fedi d'oro furono difatti requisite  nei giorni della fine della guerra ai  gerarchi fascisti in fuga con Mussolini, che  stavano cercando di trafugare.) sono tutti elementi che producono nuovi spunti per canzoni . Si cominci con  la canzone “Adua sei liberata” che si dice composta in una sola notte, subito dopo la presa della città che nel 1896 era costata la vita a tanti nostri connazionali e al Paese la reputazione  “sei ritornata a noi, ritornano gli  eroi” dicevano le strofe successive “tra rulli di tamburo e bagliori” quindi tutta una serie di spunti su tema  “i legionari : “i morti che lasciammo a Passa Uarieu” “cara Virginia io vado in Abissinia!” “mamma ritorna ancor nella casetta sulla montagna che mi fu natale” che era l’unica canzone che nel film “Tutti a casa” il sottotenente Alberto Sordi riusciva a far cantare al suo plotone, canzoni piuttosto note, ma nessuna da reggere il paragone con la celeberrima “Faccetta nera” la cui storia vale la pena di essere raccontata: anzitutto non è propriamente della guerra d’Etiopia, ma di alcuni mesi prima, ovvero della primavera del ‘35: difatti mentre fervevano le preparazioni delle operazioni militari, dopo l’incidente/scusa di Ual-Ual,  il Ministero dell Cultura Popolare, il famoso Minculpop aveva pensato bene di  pubblicare notizie relative alla schiavitù ancora vigente in Etiopia, al fine di sensibilizzare la popolazione ad un qualcosa che poteva essere di forte impatto, enfatizzando un tema di missione civilizzatrice (bhe!!! il già citato Littorio come segnale di forza e di civiltà!)  della futura campagna militare e occupazione.



E’ questa dunque l’ispirazione della canzone, un tema di giustizia e civilizzazione, decisamente anti razzista e anzi ammiccante in merito a rapporti  di fratellanza data che una ragazza etiope, “faccetta nera”  veniva etichettata come “romana” ….faccetta nera sarai romana e per bandiera ti daremo l’italiana” diceva una strofa, della canzoncina scritta da due personaggi del mondo delle rivista e dello spettacolo Renato Micheli e Mario Ruccione che avrebbero voluto presentarla al Festival della Canzone Romana, una manifestazione canora in quel 1935 molto in auge, che risaliva al 1891 e che aveva avuto illustri partecipanti: Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Gustavo Cacini (quest’ultimo un personaggio molto famoso e molto presente negli spettacoli-macchietta della Roma di allora che aveva ingenerato quel modo di dire “e chi sei Cacini?” ancora molto usato ai tempi in cui io ero ragazzino, cioè nel dopoguerra e negli anni cinquanta e sessanta). Al Festival non se ne fece nulla, forse perché la tematica era un po’ troppo ardita e avrebbe potuto urtare la ideologia nazista e del suo iper-razzista Fuhrer, Adolf Hitler  che proprio in quel periodo stava cominciando ad accreditarsi come alleato dell’Italia fascista, con forti promesse di aiuti economici per la futura campagna militare. Però poco dopo, la canzoncina con quella musica cosi accattivante e anche i versi freschi e spumeggianti avevano attratto l’attenzione nientemeno che di una stella di prima grandezza dello spettacolo italiano,la quasi mitica Anna Fougez, che l’aveva fatta cantare dalla sua compagnia:  Faccetta nera al teatro Quattro Fontane di Roma, intervenendo lei stessa  nelle vesti dell’Italia, che spezzava  le catene cui era avvinta la “piccola abissina” e la rivestiva con una camicia nera. Successo eclatante: Faccetta nera,  veniva  inserita in molte “riviste “  dell'epoca diventando popolarissima, specie sulla bocca delle truppe che nell’ottobre del ‘35 partivano entusiaste per la campagna d’Etiopia. Ulteriori perplessità, però dell’onnipresente Minculpop, che andava soppesando alcune frasi decisamente imbarazzanti del testo , quel “sarai romana” “ti porteremo a Roma” e per  bandiera ti daremo l’italiana ” ed anche alcuni passi che potevano essere travisati, ad esempio quel “ti daremo un altro Duce e un altro Re”, e che quindi cominciava a pretendere pesanti modifiche, un po’ più in linea con la volgarità ad esempio del  già citato “Sanzionami questo!” e di numerosi  ritornelli ripresi dagli antichi “bomba c’è”, ma permeati di ulteriore volgarità nei riguardi della popolazione abissina “il Negus chiese al Duce se poteva venì a Roma, il Duce gli rispose se c’hai la moglie bona!” “Il Negus chiese al duce se gli dava li leoni, il duce gli rispose nun me rompe li…..”Canzoni ancora canzoni, ma più retoriche, più melense, con l’affermarsi della alleanza con Hitler, e soprattutto con l’entrata in guerra, impensabili dei motivi un tantino più profondi  tipo il sotteso antirazzismo di Faccetta nera: “Camerata Richard”  esalta l’alleanza tedesca, ma lo fa in modo davvero sciropposo ed urtante “camerata Richard benvenuto, posa il sacco si scivola bada, il nemico è al di là della strada, parla piano che già ti ha veduto” Figuriamoci se il nemico, ovvero l’Inghilterra, perché dopo la fulminea sconfitta della Francia, era rimasta solo lei, poteva preoccuparsi della scalcagnata Italia: in pochi minuti ci aveva distrutto a Taranto una flotta, in Africa il Gen.Wavell con soli 30.000 uomini aveva fatto a pezzi l’intera Armata di Graziani che ne contava 600 mila, e persino i Greci ci avevano buttati a mare, rendendo davvero ridicolo quel plateale “spezzeremo le reni alla Grecia” di Mussolini. Niente! la canzone insisteva citando la mitraglia di quella piazzola e su melensissime raccomandazioni in caso di... “21 anni la stessa mia classe, questo vedi è il mio primo bambino...tieni a mente Salvetti Nicola, Vico Mezzocannone 50!”  Un po’ come la terrificante “Caro papa’, ti scrive la mia mano .. ” di cui conservo un gustoso aneddoto : un mio amico, non certo fascista, anzi, ma che in gioventù sui 15 anni, era stato missino, trovandosi a discutere appunto di canzoni del ventennio con una ragazza intelligentissima e impegnata politicamente, figlia di un famoso attore ebreo, morto recentemente ad oltre novant’anni, e che aveva avuto terribili traversie con le Leggi Razziali, tanto da confessare in una intervista che aveva pensato al suicidio, le aveva fatto “sai non erano tutte retoriche e false le canzoni fasciste, ce ne erano anche di sincere, ecco senti questa…” e lì in macchina si era messo a cantare appunto “caro papà ti scrive a mia mano, quasi mi trema lo comprendi tu….”Mario!” mi aveva raccontato dopo “mentre cantavo così di getto del tutto automaticamente, mi rendevo via via  conto dell’orrore di quella canzone, che mannaggia non avevo mai più cantato, avrei voluto fermarmi, ma quella sembrava come interessata  “le lacrime che bagnano il mio viso, son lacrime d’orgoglio credi a me, ti vedo che mi schiudi un bel sorriso, il tuo Balilla stringi al petto a te!” Fine! un silenzio di tomba, di profondo imbarazzo era calato in quell’abitacolo, fino al legittimo “ma è atroce!” della ragazza che si era dovuta sorbettare quell’orrore.  Lo vedi, perché, dico io, bisogna sempre sottoporre a revisione la storia? I fatti, i pensieri, le canzoni, anche le nostre emozioni, perché se non lo fai c’è il rischio appunto come questo mio amico di dimenticare e magari pensare che “bhe! Tutto sommato!....” La storia tutta la storia deve essere sempre ripensata e solo in quanto tale, eventualmente ri-assunta! Con il filtro della nostra ragione e di una conoscenza che deve essere sempre improntata alla critica, al relativo e alla “ri-messa in discussione!”     

 Mi pare superfluo elencare le ulteriori canzoni della parte finale e tristemente conclusiva de l’oramai superato ventennio: come la patetica “Vincere”  in cui anche il popolino ironizzava che il disco con la strofa successiva, ripresa dal famoso discorso del Duce della dichiarazione di guerra , “...e vinceremo” si era incantato e ripeteva ossessivamente quel “vincere, vincere, vincere” laddove prendevano invece corpo tutte le tappe della vergognosa sconfitta, quelle precedentemente citate e quella  sempre più incalzanti: la disfatta di El Alamein, la caduta del cosiddetto Impero, la ritirata di Russia, il “li fermeremo sul bagnasciuga”, il vergognoso otto settembre, con la fuga del re e di Badoglio e l’Esercito, il Paese tutto, allo sbando, l’occupazione tedesca e la cupa terrificante atmosfera della Repubblica Sociale, dove il cosidetto Duce era oramai una patetica marionetta nelle mani non solo di Hitler, ma anche dei suoi sgherri, neppure di primo piano che lo trattavano come un cameriere. Un epilogo ancora più squallido con la mortificazione di Piazza Loreto, dove Mussolini verrà appeso per i piedi al ludibrio della popolazione, dove l’unica nota di dignità, non era stata certo la sua, che era stato catturato, mentre cercava di fuggire in Svizzera, travestito da soldato tedesco, ma quella della sua amante Claretta Petacci che gli era voluta morire accanto. Ecco per tutto questo, non ci sono più canzoni, neppure quelle terrificanti de “le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera” o di “siamo belve assetate di sangue, siamo i fascisti repubblicani, abbasso il Re, viva Graziani!” perché queste non sono più canzoni, sono lugubri lamenti.

 

 

 

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