lunedì 2 novembre 2020

FORTUNA E SFORTUNA DI GUERRA

 

C’è una estasi della vittoria, c’è una estasi della sconfitta! Un inneggiare alla Fortuna e un deprecare sulla Sfortuna. Anche la guerra, le battaglie, hanno un riferimento in tal senso. Abbiamo visto Marengo  colla frase magica di un Generale “una battaglia è perduta c’è il tempo di vincerne un’altra!” che ha tra l’altro avuto la “delicatesse” di farsi accoppare, si da non adombrare mai il mito del grande protagonista e qualche altro esempio, anche se non della medesima entità ci sta:  dal “veni vidi, vici” di Cesare, anche se non proprio a caldo,  il “tout est perdu fors l’honneur” di Francesco I dopo la battaglia di Pavia del 1525 pure questo a posteriori e in un lettera alla madre, a frasi magari non proprio attinenti ad una guerra o battaglia, ma sempre di riferimento,  tipo il “vile tu uccidi un uomo morto” di Francesco Ferrucci al suo uccisore Fabrizio Maramaldo, con formazione di un modo di dire  proverbialmente spregevole, ma incentrato sul secondo e non sul primo, il “c’est magnifique, mais n’est pas la guerre, c’est de la folie” del Generale francese Bosquet a proposito della celeberrima carica di Balaklava durante la guerra di Crimea, il “Nino qui si fa l’Italia o si muore” di Garibaldi a Bixio. C’è anche quella frase a posteriori, in presenza non del protagonista (ancora lui Napoleone Bonaparte ), ma del suo cadavere imbalsamato e non detta da un singolo, ma da una commossa folla che seguiva in una nuvolosa giornata di dicembre, quasi vent’anni dopo la morte  e trentacinque dopo l’episodio effettivo, il feretro per la traslazione della salma agli “invalides”  che allo squarciarsi delle nubi, per far brillare un folgorante raggio di sole, urlo’ all’unisono “le soleil de Austerliz!”In genere si tratta di frasi alquanto esaltanti, che da quel riferirsi ad un episodio particolare, sono andate a comporre dei veri e propri modi di dire, ma come fatto cenno all’inizio non ne fanno parte solo  momenti estatici e di profonda suggestione e impatto; è accaduto che  siano entrate nel cosidetto “immaginario collettivo” e modi di dire, anche eventi  fortemente negativi; stavo a dire una battaglia, ma in verità si tratta più che di una singola battaglia di una serie di battaglie, ecco una grande offensiva che austriaci e tedeschi fecero contro di noi  nell’ottobre-novembre 1917, con inizio proprio cent’anni fa, 24 ottobre 1917: per loro di sfolgorante vittoria, per noi di terribile sconfitta, passata nel frasario corrente ad indicare appunto una disfatta senza appelli, senza se e senza ma,  anche con risvolti di  infamia e viltà e oscure trame soprattutto a livello dei comandanti a cominciare dal Capo di Stato Maggiore Gen. Luigi Cadorna, che manco a dirlo, scaricò la responsabilità sui soldati, mettendolo anche per iscritto nel Bollettino di guerra ufficiale: il celeberrimo “reparti vilmente arresisi”: CAPORETTO! Un breve piccolo inciso, per la verità ci doveva essere qualcosa ancora di peggio e ancora nella storia nazionale del nostro Paese, un qualcosa che ha informato non una località, non un singolo episodio, ma una data “l’8 settembre del ‘43”, in cui si doveva assistere alla più vergognosa delle fughe con il Re e il suo Governo che abbandonano l’Esercito e tutta la nazione in balia del nemico, senza ordini, senza direttive, interessati solo a scappare ignominiosamente. Caporetto però, sarà anche perché alla fin fine quella disfatta epocale, quello sfacelo, ha avuto in qualche modo il suo riscatto (eccole altre frasi ad hoc Monte grappa tu sei la mia patria, il non passa lo straniero del Piave mormorò , prese da canzoncine o ancor più, la nuda essenzialissima scritta vergata da un anonimo soldato sul muro diroccato di una casa sul greto del Piave “Tutti eroi, o il Piave o tutti accoppati!” ),  Caporetto ha si quelle peculiarità, ma ecco in qualche modo ci si poteva anche ironizzare, ridere sopra, il famoso “fescenninico Italum acetum”: l’idea del generale sorpreso in mutande dalle avanguardie germaniche, l’affannarsi a fuga frenetica di tutti gli imboscati dei “superior Comandi” gli aiutanti maggiori, i segretari particolari, i sottocapi di stato maggiore, tutta gente odiatissima dai reparti combattenti  e fatta oggetto da ben prima di Caporetto,  di feroci invettive “tra Cividale e Udine ci stanno gli imboscati, portan gambali lucidi e capelli impomatati, din,don,dan, e al fronte non ci van” “decorato di seconda medaglia d’argento per il coraggio mostrato nel portare la prima!”, il nome  quanto mai adatto al ruolo : “Cannoniere” del Colonnello comandante del parco di artiglierie del XXVII Corpo d’Armata (il più cospicuo di tutta la 2^ Armata) che avrebbe dovuto dirigere il grande fuoco di interdizione sulle truppe nemiche che dilagavano oltre l’Isonzo , magari dando un certo adito alla diceria una fantomatica “trappola di Volzana” che il comandante di quel Corpo d’Armata Pietro Badoglio aveva predisposto, divenuto poi però paradossale, e che invece non sparò un solo colpo. Ed ancora gli sbandati della rotta a seguito della batosta , di cui alcuni furono ritrovati addirittura al traghetto per Messina . Si ce n’era di che colorire il tutto, anche se c’erano stati episodi in cui un barlume di dignità era stato conservato, il suicidio del Gen.Villani comandante della 19^ divisione , ma soprattutto il portamento del Gen.Enrico Caviglia comandante del XXIV corpo d’armata, quello contiguo al XXVII di Badoglio, che operando una tempestiva diversione verso il ponte di Pinzano, salvo’ non solo il suo corpo d’armata dall’accerchiamento, ma anche tre divisioni appunto del contiguo Corpo d’armata, il cui comandante si era misteriosamente  defilato e nessuno lo riuscì a reperire  per i successivi tre giorni: In verità tale Generale  lo aveva un pò per vizio questo vezzo di abbandonare il campo, quando oramai non c'era più nulla di utile da trarvi,  ribadendo quello che aveva fatto l’anno precedente sul Sabotino, abbandono del posto di comando, tale da essere proposto per la Corte Marziale del Gen Venturi, ma salvato da Capello allora cte del VI Corpo d’armata, che era ad entrambi superiore si come grado militare, ma inferiore nella gerarchia della Massoneria a quell’intrigante Colonnello, che difatti lo fece promuovere Maggior Generale, con ovviamente profonda stizza e risentimento  di Venturi. In sostanza quello che sarebbe  successo di lì a pochi giorni, quando passata la grande buriana, Badoglio si ripresentò alle linee italiane  per venire nominato sottocapo di Stato Maggiore Generale. E a proposito di Badoglio, questo quasi farsesco personaggio da romanzo d’appendice nel  ruolo fisso di “cattivo” che ha contraddistinto con puntuale sistematicità tutti i periodi più bui della nostra storia nazionale (escluse la 1^ e 2^ guerra di indipendenza,  perché non era ancora nato e Adua nel ‘96 in cui non fece a tempo a partecipare ) proprio con Caporetto ha colorato il dramma di giallo e di mistero con chissà quali oscuri magheggi, tipo le famose tredici pagine mancanti della commissione d’inchiesta condotta dal Gen.Caneva, 13 pagine strappate e che riguardavano proprio il portamento del XXVII C.d’A. E  non ha fatto  neppure mancare la suspense/rimpianto de “l’avrebbe potuto essere”, ovvero quella diceria/leggenda,  cui si è sopraccennato,  della “trappola di Volzana” dove il nemico sarebbe stato indotto a bella posta a dilagare nella pianura, per essere poi falciato dalle poderose artiglierie  del colonnello Cannoniere, che aveva avuto il perentorio ordine di non aprire il fuoco, pena la fucilazione sul campo, se non ad un espresso ordine di lui, solo lui , il comandante del Corpo d’Armata, che a causa delle subitanee interruzioni di tutte le comunicazioni radio operate dai tedeschi, non potè mai essere impartito. Una precisazione di dovere, mai l’interessato, Generale poi Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ha dato la benché minima conferma a questa diceria della trappola di Volzana, ma Badoglio è stato l’unico Generale della prima guerra mondiale, che mai ha fatto cenno a fatti riguardanti tale guerra. Tutti i suoi colleghi hanno scritto libri di memorie, ricordi,  tutti hanno sentito in qualche modo il bisogno di fissare le loro impressioni, idee, opinioni, giustificarsi, lodarsi, ma lui niente!  …. mai!  Bhe, diciamo che obiettivamente non gli conveniva! Caporetto, possiamo davvero dire che rappresenta la netta antitesi di Marengo, qui difatti la Fortuna, ma anche il talento, la perizia, il coraggio e non del solo Desaix, ma pur sempre di Napoleone, che certo non si era  fatto mancare la capacità di sfruttare al meglio la insperata occasione del sopraggiungere delle due divisioni, a Caporetto invece una sorta di apoteosi dell’imperizia, della razzaffoneria, dell’’inefficacia, con effetti di sconforto, sbandamento e tutto quel correlato di episodi e episodietti, cui si è fatto cenno sopra; non però la sfortuna, non ci fu alcuna sfortuna a Caporetto, o forse l’unica vera sfortuna di fondo fu quella di avere dei Generali tanto al di sotto  di quella che dovrebbe essere una professionalità, ma questa è cosa che non può addursi alla sfortuna, bensi ad un vero e proprio sistema di classe dirigente del Paese, e le cose, c’è purtroppo da rilevarlo, non è che siano cambiate col tempo…..anzi!!!!! Magari ecco, c’è da dire che subito dopo Caporetto le cose cambiarono,  ma attenzione : grazie anche ad un diverso e più incisivo intervento di Paesi stranieri: furono loro difatti ad imporre il cambiamento del Comandante Supremo, specie dopo quel famoso e vergognoso bollettino di guerra del 29 ottobre, firmato Cadorna, quello del “reparti vilmente arresesi”; così come furono sempre gli Stranieri ad imporre la resistenza sul Piave e non sul Mincio come voleva il nuovo Capo di S.M.Gen Armando Diaz che fu scelto proprio grazie alla sua oscurità e al non avere fatto niente ma proprio niente di rilevante in tutte le precedenti fasi della guerra(era un Cte di Corpo d’Armata della 3^ Armata, che del tutto casualmente in quei giorni si trovava un tantino più avanti nello schieramento sul Carso) di certo fu subito accantonato il nome del Duca d’Aosta, che non si poteva “bruciare” in una impresa tanto aleatoria e di scarsissime possibilità di successo) . Invece ci andò bene  anche per una somma di fattori tra il naturale ed una diversa concezione logistico/strategica: il  Piave  coi suoi baluardi naturali del Grappa che poteva fare cesura col contiguo altopiano di Asiago,  e del Montello non offriva la proiezione di tutta la pianura (la cosidetta “porta aperta di Gorizia”), ma soprattutto la minore lunghezza del suo corso si prestava ad essere difesa senza quell’esagerato spiegamento di truppe che era stato necessario sul molto più esteso Isonzo. Ci furono anche episodi decisamente spiacevoli, come quella fucilazione da parte del famigerato gen.Andrea Graziani, incaricato di una prima riorganizzazione a ridosso del Piave delle truppe subito dopo la ritirata,   di un soldato che gli era sfilato davanti con il sigaro in bocca: episodio tristissimo e doloroso, ma che pure si inseriva nella eccezionalità del momento che richiedeva una estrema determinazione e anche il massimo rigore si da non consentire ulteriori sbandamenti. Del tutto opposto il caso del Gen.Mario Nicolis Di Robilant, cte della IV Armata che operò la ritirata dal Cadore al Grappa. Ritirata che non fu esente da pecche, ma che sostanzialmente portò alla famosa “Battaglia di arresto” e quindi alla più famosa e fulgida epopea della Grande Guerra, quella appunta del Grappa i cui nomi  delle località si sono iscritti nel non troppo cospicuo elenco di momenti vittoriose per le nostre forze armate (il Grappa in primis gratificato dell’epiteto di “tu sei la mia patria” e quindi le sue località e cime, il Monfenera, lo Spinoncia, il Col della Beretta, il Valderoa, il Col dell’Orso, il Tomatico, l’Asolone, il Col Moschin, il Pertica, il Tomba): non si capiscono pertanto i motivi della sua sostituzione, ma solo nel ‘18,  con il Gen. Gaetano Giardino  che era  stato fino a quel momento  Sotto Capo di S.M. in condominio con il ben noto Badoglio, ma soprattutto non si capisce il motivo della sua esclusione dalla  nomina, prima a  Generale d’Esercito e poi a Maresciallo d’Italia, cosa che invece avvenne con un escamotage, sempre per Badoglio, che difettava del requisito essenziale per le sopradette nomine: l’aver comandato una Armata in guerra! Cosa che Badoglio non aveva mai fatto, e ci si dovette appunto inventarsi una postilla, che il ruolo di vice comandante di Stato Maggiore, fosse da considerarsi  assimilabile  al comando di una Armata in guerra. Tra l’altro non è neppure vero che Badoglio ideò il piano di Vittorio Veneto, quello fu opera del colonnello di Stato Maggiore Ugo Cavallero, e detto per inciso non si trattava neppure di un gran piano; se non ci fosse stata la variante sul campo della diversione di Caviglia e della sua 8^ armata verso la Priula, in correlazione con l’armata inglese di Lord Cavan, il piano si era già bello che impantanato. Un episodio va ascritto in quel frangente a Badoglio:  quando il Capo del Governo Vittorio Emanuele Orlando  pressava con veemenza il Comando Supremo perché si desse avvio all’offensiva, dato che già si sapeva che in Francia si stava pervenendo all’armistizio, e quindi si rischiava di finire la guerra con il nemico ancora stanziato in   vaste porzioni del territorio nazionale, fu Badoglio che chiese espressamente “deve metterlo per iscritto!” e si ebbe così il famoso telegramma che mise in moto l’offensiva, successivamente detta di “Vittorio Veneto” “TRA L’INAZIONE E LA SCONFITTA, PREFERISCO LA SCONFITTA!  MUOVETEVI!!!!”

 

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