Forse ho trovato la dicitura più attinente alla mia concezione di pessimismo, ovvero in associazione con Il calcolo infinitesimale, di cui riprendo da Wilkipedia .... "detto calcolo è la branca fondante dell'analisi matematica che studia il comportamento locale di una funzione tramite le nozioni di continuità e di limite, usato in quasi tutti i campi della matematica della fisica, e della scienza in generale. Le funzioni a cui si applica sono a variabile reale o complessa. Tramite la nozione di limite, il calcolo infinitesimale definisce e studia le nozioni di convergenza di una successione o di una serie, continuità, derivata e integrale. Il concetto di infinitesimale cioè di grandezza che può essere resa più piccola di ogni grandezza assegnabile o, come meno propriamente si dice ,di grandezza tendente a zero è gia' rintracciabile nel pensiero greco. Dice infatti Anassagora “ non vi è mai limite minimo del piccolo ma vi è sempre un più piccolo essendo impossibile che ciò che è cessi di essere per divisione” questa affermazione può essere letta come infinita divisibilità e vi si può dunque rintracciare un primitivo concetto di limite. Le radici del calcolo infinitesimale sono da ricercare nella geometria dell'antica Grecia. Democrito calcolò il volume della piramide e del cono, probabilmente considerandoli costituiti da un numero infinito di sezioni di spessore infinitamente sottile. Eudosso e Archimede usarono il "metodo di esaustione" per determinare l'area del cerchio, approssimandola a quella di poligoni in esso inscritti, dal numero di lati via via maggiore. I problemi che sorsero nella comprensione dei numeri irrazionali e il celebre paradosso di Zenone, tuttavia, impedirono uno sviluppo sistematico della teoria. in verità furono Leibniz e Newton che gettarono le basi del Calcolo Infinitesimale, ognuno con un suo approccio particolare: più legato all'Io quello di Leibniz, quindi "in-sistente", da attribuire invece alle cosa esterna all'Io, al mondo Newton e dunque "ex-sistente" come ho spiegato in un precedente articolo qui sullo stesso Blog, . Il XVIII secolo vide l'applicazione del calcolo infinitesimale in tutto il mondo; fondamentale il contributo di Giuseppe Luigi Lagrange che per la prima volta mostrò la possibilità di risolvere compiutamente entro l’analisi i problemi di statica e dinamica (Meccanica analitica, 1788); comunque l'uso approssimativo delle quantità infinite e infinitesime pose in discussione i fondamenti della teoria e innescò un acceso dibattito, cui presero parte numerosi esponenti di spicco delle comunità filosofica e scientifica. Nel XIX secolo, grazie all'analisi, le vaghe nozioni di infiniti e infinitesimi allora esistenti vennero sostituite con definizioni precise, formulate in termini di quantità finite. Bernhard Bolzano con i suoi Paradossi sull’infinito e Augustin–LouisChaucy definirono con precisione i limiti e le derivate; lo stesso Chaucy, insieme a George Riemann, formalizzò il calcolo integrale, ed ebbe il grande merito di aver portato nell’analisi matematica una profonda esigenza di rigore sconosciuta ai matematici dei secoli precedenti che si erano preoccupati soprattutto di applicare il calcolo infinitesimale a problemi sempre nuovi, quasi sempre a scapito del rigore mentre Julius Dedekind e Karl Theodor Weistrass fecero altrettanto per i numeri reali. Fu dimostrato che le funzioni differenziabili sono continue, e le funzioni continue sono integrabili, ma che per nessuna delle due affermazioni vale il teorema inverso. Nella matematica del Settecento e dell’Ottocento l’infinito fu definito mediante il concetto di “limite” al quale però i matematici del tempo non riconobbero un tipo di grandezza a sé stante. Diceva Gauss in una lettera del 1831: “Protesto contro l’uso di una grandezza infinita come qualcosa di completo, uso che non venne mai ammesso nella matematica. L’infinito è soltanto una "façon de parler" , a voler essere rigorosi si parla invece di limiti, cui alcuni rapporti vengono vicini quanto di vuole, mentre ad altri rapporti è permesso crescere oltre ogni misura ; intorno al 1860 Dedekind precisa la nozione di numero reale (altro recupero di una nozione ellenistica, ben chiara negli Elementi di Euclide). Questa consente che, intorno al 1870, sia precisata la definizione delle basi del calcolo infinitesimale per opera di Weierstrass e di vari altri matematici (Eduard Heine, Georg Cantor, Charles Méray, Camille Jordan...). Da allora le idee e le tecniche di calcolo infinitesimale - diventate analisi matematica o “analisi standard”, evitando di fare riferimento al concetto oscuro di infinitesimo - sono bagaglio essenziale per chi si dedica alla scienza e alla tecnologia. All'inizio del XX secolo sono sviluppate teorie che forniscono basi (o “fondamenti”) più generali, astratte ed efficaci per lo studio dei problemi infinitesimali. Basti ricordare la teoria assiomatica degli insiemi (scuola di Hilbert), la teoria della misura (Lebesgue), la nozione di spazio di Hilbert, la nozione di spazio normato e quindi la definizione dell'analisi funzionale principalmente per opera di Banach. Infine Robinson tentò di rifondare l'analisi sugli infinitesimi, recuperando su basi logiche più rigorose la semplicità del metodo di Leibniz introducendo l'analisi non standard. Molto molto bene, con tutto questo papier (tra l'altro estremamente succinto e anche parziale) ho posto basi abbastanza robuste al mio "coefficiente di dissuasione", sicchè solo pochi, pochissimi, forse nessuno saranno indotti alla lettura e quindi posso passare ai termini più personali e specifici di questo mio spunto che origina a iersera tarda e mi auguro possa rappresentare una sorta di fine fase elencale e l'inizio di una vera decantazione delle numerose istanze che negli ultimi tempi si vanno accavallando. Pessimismo infinitesimale, bhe! dovremmo dire "da calcolo infinitesimale " ovvero la ricerca punto per punto del cambiamento da "stato" a "flusso" quale si evince da quell'Heideggeriano "esser-ci" laddove è proprio quel "ci" che mi ingenera tanti dubbi e tanti problemi, eh già, non la concezione che vede la vita come una armonia addirittura cosmica e trasudante amore, laddove io in ogni singolo suo procedere, appunto alla calcolo infinitesimale, vedo solo una sconfortante indifferenza, un procedere sordido e per nulla scalfito dalla nostra "presenza" ...altro che "l'umanità cancro del pianeta" o "ipotesi gaia" semmai ecco un certo credito alla Legge dell'attrazione, simile chiama simile, ma con una percentuale del 99% di assenza e non di essenza: i famosi adagi "tutti possono arricchire tranne i poveri" "piove sempre sul bagnato" "chi fa il cento e non fa l'uno, perde il cento per quell'uno" che dimostrano che anche il senso popolare, propende più per la vita come difficoltà e fatica, che come idilliaco scenario d'azione. Sono stato indotto alla precisazione di questo assunto ed anche alla trovata della dicitura "pessimismo infinitesimale" dal rimarcare, oramai senza possibilità di abbaglio, con cadenza del 100%, non 99%, ma proprio 100%, della strettissima connessione tra evento e sintomo, che non è solo quella semi originaria espressa dal "trauma della nascita" di Rank e neppure quella di forte incisività della DHS di Hamer l punto è che parafrasando il titolo di un trasmissione televisiva di qualche anno fa "la vita è tutta un quiz" si evince invece , e con fortissima incisività che "la vita è tutta un trauma" e quindi la nostra "presenza" proprio come entità integrata di mente corpo e organo, è portata continuamente a reagire a quello che io posso anche bonariamente definire "malefatte dell'essere" quasi a ideale proseguo di quelle "malefatte del cogito" espresse nel famoso "Metodo Cartesiano", ma che in verità altro non solo che l'unica , necessaria modalità di funzionamento del "ci" heideggeriano. Il sintomo che ci coglie praticamente ad ogni istante della nostra vita, ovvero dell'essere in presenza di un mondo che cerchiamo di abitare e quindi di conoscere, ma che lui di converso non ci conosce affatto... ci, bellamente e inesorabilmente, ignora. Quel che cerco di esprimere è che non dobbiamo per nulla meravigliarci che la nostra entità biologica funziona così (per sintomi), proprio perchè è, diciamo, strutturata così fin dall'inizio dell'apparire della vita, se dunque vogliamo capirne il perchè, dovremo cominciare proprio dall’inizio, dobbiamo partire dall’origine embrionale dei tessuti costituenti gli organismi viventi, ovvero dalla cellula uovo fecondata, laddove vale l’assioma della filogenesi ricapitolata dall’ontogenesi, ovvero la storia e intera vicenda dell’evoluzione della specie che ha una puntuale riproposizione nella storia e vicenda di ogni singolo individuo, cioè l’embrione. Sarà proprio lì nella suddivisione in foglietti embrionali, come giustamente osserva Hamer, che troveremo l'eziologia (ovvero dalla parola greca “αἰτιολογία, comp. di αἰτιο- «ezio-» causa e -λογία «-logia» discorso) di tutte e malattie ed anche la spiegazione del perchè il nostro essere biologico funziona così "per sintomi"... sintomi che ingenerano si!.... malattie gravi e anche gravissime, ma anche affezioni e disturbi di lieve e lievissima entità, cui magari non prestiamo grande attenzione, ma che fanno parte dell'unica verità del nostro stato e relativo cambiamento in flusso ed ecco appunto che uso quella parola "pessimismo" che forse non va intesa proprio come tale, ma semplicemente come presa d'atto, che la vita altro non è che un continuo campo di battaglia,(il Kurukṣetra della Baghvadad Gita della filosofia orientale) cui la nostra entità biologica deve comunque sempre far far fronte e come tale si è strutturata nel corso della propria evoluzione (il guerriero Arjuna e il dio Krishna che come osserva Mircea Eliade, .«La lezione che se ne può trarre è la seguente: pur accettando la 'situazione storica, io magari correggerei con "biologica" ' creata dai Guṇa ---devanagari: गुण, sostantivo maschile sanscrito significante: "merito", "qualità", "virtù", o anche "corda", "attributo", "suddivisione Nella filosofia hindu del Sāṃkhya il termine è adoperato per indicare i tre componenti ultimi della materia (prakṛti): sattva, rajas, tamas. ', l'uomo deve imparare a convivere con i sintomi che una materia indifferente della sua presenza gli "sotto e sovra pone" e rifiutarsi di accordare un valore assoluto alla propria condizione, ma sempre farne qualcosa di relativo e di provvisorio, appunto una sorta di calcolo, punto per punto, momento per momento, del continuo cambiamento di stati del suo "esser-ci" ovvero un qualcosa che parte da se' e ritorna a sè stessi, superflua la posizione ottimista o pessimista, consentitemi però la dicitura di NARCISISMO INFINITESIMALE
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