In termini pratici, ai primi di giugno di quel 1796, Bonaparte ormai padrone del Milanese, aveva continuato a fare quello che il Direttorio gli avallava oramai con fervente entusiasmo e anche la popolazione di tutta la Francia gli tributava quel plauso che oramai rasentava l’adorazione. Era lui il Generale che più di ogni altro incarnava la Rivoluzione e l’Italia stava mostrandosi una sorta di luogo di elezione delle idee dell’89: nessuno però andava a sottilizzare come otteneva tali risultati, ovvero imponendo sempre nuove tasse e gabelle ai territori degli Stati che proditoriamente invadeva e spogliandoli delle ricchezze artistiche, spaventandone a bella posta i governanti e minacciando con particolare enfasi le ribellioni che qua e là si verificavano, soprattutto nel Milanese dove l’unica fortezza ancora in mano all’Austria era rimasta Mantova. Le aspirazioni a continuare le direttive del piano del Direttorio ovvero di invasione “sur le derriere” della Germania erano oramai decisamente rientrate e così anche quelle di invadere l’Italia Centrale, soprattutto perché oramai bastava semplicemente minacciare i pavidi Stati Italiani per ottenere tutto quello che desiderava, così era successo con il Ducato di Parma , così con la Repubblica di Venezia ed ora anche con il Re di Napoli che un suo contingente di appoggio all’Austria era stato battuto a Borghetto sul Mincio e persino con il Papa e lo Stato Pontificio che si erano piegati alla sua volontà quasi senza neppure vederla una giubba di un soldato francese. Sotto il profilo squisitamente militare, come abbiamo cercato di dettagliare, il generale Bonaparte aveva eseguito un piano preconfezionato a Parigi un anno prima della sua esecuzione, di cui eccettuato il rintuzzato attacco austriaco di Cairo Montenotte, successo dovuto più al suo sottoposto Massena che a lui, non c’erano state successivamente che scontri contro retroguardie, anche qui dove erano emerse doti di comando e azione dei sottoposti, sempre di Massena che sempre più si mostrava meritevole di quell’epiteto di “invincibile” ma anche di Berthier, che era il Capo di Stato Maggiore dell’Armata, degli altri due Augereau e Serurier comandanti in seconda ovvero quello che di li’ a poco sarebbe stato etichettato come “comandante di Corpo d’Armata” e anche una serie di generali a livello di Divisionari : Cervoni, Dallemagne, Ordener. Ma più che altro quello che davvero aveva infuso le ali ai piedi della fortuna del Bonaparte era stata la defezione, per motivi del tutto estranei alla strategia militare, dell’Esercito Piemontese, culminata con l’improvviso armistizio di Cherasco. E’ qui e non sul Ponte di Lodi che può addursi l’inizio di quella particolare considerazione che non fa più riferimento a fatti reali, concreti, ma piuttosto considera gli eventi come una sorta di recita da abbellire, colorare e su diciamolo, anche da inventare di sana pianta, fino pervenire ad una composizione per così dire ineccepibile. Composizione non scevra di alcune suggestioni che in un’epoca di nascente romanticismo quale quel “fin de siecle” in cui ci si trovava nella piana d’Italia, non potevano che polarizzare l’attenzione e accendere gli entusiasmi di larghi strati delle popolazioni, anche di quella stessa Italia le cui porte si erano come magicamente dischiuse a fronte di uno scalcinato esercito comandato da un Generale poco più che un ragazzo: e’ la ragion di stato di un Regno come quello dei Savoia, famoso per il suo opportunismo, per il suo cambiare bandiera, per le sue appunto molteplici “ragion di stato” che era da perlomeno tre anni che tramava per sganciarsi da una alleanza con l’Austria, che doveva provocare il collasso della potenza offensiva del contingente austriaco e quindi indurre ad una strategia peraltro perfettamente eseguita, di ritirata strategica, impegnando nelle battaglie di contenimento sia a Ceva che a Mondovi che a Lodi ed infine anche a Borghetto sul Mincio, solo forze di retroguardia: tutte pieces però che la oramai collaudata macchina propagandista del Direttorio era in grado di trasformare in sfolgoranti vittorie, a beneficio di se’ stesso certamente, del suo potere, della sua oculatezza e anche a grande incremento delle sue finanze stante i cospicui beni che continuamente riceveva dalle provincie occupate, grazie a quel nuovo modo di intendere la guerra da parte del giovane generale. Ma ecco il punto : proprio sicuri che quel Generale di 27 anni sia solo una sorta di bella statuina capace di impersonare la parte che per ora si è convenuto di fargli interpretare? Napoleone Bonaparte non si discostava granchè dal clichet del Generale della Rivoluzione, lo abbiamo visto impegnato nella stesura del piano per la Armata d’Italia, piano che poi per una serie di circostanze di cui ne abbiamo esaminato quella più trainante, ovvero avere sposato l’ingombrantissima amante di uno dei più influenti membri del Direttorio Barras, si era ritrovato ad esserne il realizzatore; non era né migliore, ne’ peggiore di altri suoi coetanei, ma decisamente non godeva del prestigio di Generali un po’ più anziani, magari provenienti dalle strade più disparate come Massena, Augereau, Serurier, Moreau, Kellerman padre, che però sarebbero stati meno manovrabili dal Direttorio: un’altra cosa da prendere nella debita considerazione è che c’era inoltre un impianto teorico alla base della formazione comune di tutti i quadri militari dell’esercito della Rivoluzione, quel“ saggio generale di tattica” attenzione di tattica, non strategia e neppure logistica fatto da un ufficiale trentenne nel 1773, di media nobilta’ il conte di Guibert (1743-1790) Come abbiamo già fatto cenno, in questo libello veniva affrontato un nuovo modo di far la guerra, che da una parte si rifaceva alle antiche compagnie di ventura dei primi secoli del millennio, che facevano la guerra giustappunto vivendo di essa e cioè di razzie, di saccheggi, dall’altra rigettava tutta la concezione di rigorosa organizzazione degli eserciti, che era stata coeva alla formazione dei grandi Regni e Imperi, e che probabilmente aveva avuto la realizzazione più congrua con il grande condottiero Principe Eugenio di Savoia (XVII secolo e inizio del XVIII) e del suo amico Duca di Malborough, ed era ancora rappresentata da Federico il Grande, che pure aveva avuto modo di conoscere il “saggio” di Guibert e ne era rimasto molto colpito. Il punto è che tutto il senso del “saggio” di Guibert era volto a demolire la stessa concezione dell’arte militare così come era stata interpretata negli ultimi due secoli ed in particolare proprio in quella prima parte del secolo XVIII, ovvero troppi soldati, troppi cannoni, carriaggi, salmerie, enormi parchi di artiglierie, e quindi una massa elefantiaca, lentissima, quasi totalmente incapace di manovrare; per Guibert bisognava preferenziare l’agilità di truppe scelte, mobili, agili, svincolate da appendici di ogni genere, ovvero bisognava affidare l’azione alla velocità: “se la massa è il corpo di un esercito…”diceva “…la velocità ne è l’anima” Facendo quindi ritorno al giovane generale Bonaparte impegnato in quel del territorio italiano a scorazzare in lungo e largo alla ricerca di sempre nuovi proventi da estorcere ai vari deboli e pavidi Stati, che ovviamente anche lui aveva la sua copia del “Saggio” di Guibert e trovavava nel suo immediato sottoposto Serurier il suo più documentato ed esperto seguace sempre con sé, possiamo senz’altro affermare che tutta la seconda parte della campagna quella che si diparte dallo scontro di Borghetto sul Mincio fino a Rivolì è totalmente improntata alla teoria della velocità di Guibert. In quella piena estate del luglio 1796 l’esercito francese era composto da coscritti dai 20 ai 25 anni, mentre l’esercito professionista che si apprestava a ridiscendere le Alpi per riconquistare l’italia aveva un organico di 15/20 anni più vecchio. Il primo sembrava una emanzione delle teorie di Guibert : vivace , mobilissimo, del tutto estraneo alla vita di caserma, quasi non conosceva l’esistenza dei magazzini,delle salmerie, ma si muoveva agilmente per il territorio prendendo quel che gli occorreva dove capitava, il netto contrario dell’Esercito che l’Impero Austriaco aveva approntato per riconquistare il terreno perduto, affidandolo ad un Comandante della vecchia scuola, il settantaduenne Feldmaresciallo Dagobert Sigmund Von Wurmster, che si era messo in marcia con un contingente di 50.000 uomini diviso in tre tronconi : sulla destra il generale Quasdanovitch doveva aggirare l’estremità settentrionale del Lago di Garda puntando su Salò e Brescia, il Corpo centrale era al comando dello steso Wurmster e puntava a impadronirsi di tutto il corso sinistro dell’Adige fino a portarsi sulle posizioni di Montebaldo, il terzo agli ordine del Generale Davidovich doveva scendere lungo la destra dell’Adige e sboccare su Verona che per l’intanto era stata occupata da Massena. L’esercito francese era schierato in pianura da Peschiera a Mantova lungo il Mincio fino a Legnago sull’Adige. Tradizionalmente i due eserciti, che numericamente si equivalevano avrebbero manovrato a lungo l’un contro l’altro, ingaggiando sporadici combattimenti, ma anche pragmaticamente questo non conveniva ai francesi e ciò Napoleone, indipendentemente dal suo fervore per le teorie del Guibert, lo avevo capito fin troppo bene: difatti quel vivere di razzie e saccheggi senza né magazzini né carriaggi ne salmerie, lo esponeva ora che il nemico vero era tornato a farsi vedere, ai contraccolpi delle rivolte delle popolazioni che potevano essere pericolosissime, alle spalle di un esercito impegnato in guerra: ed ecco che qui viene fuori quel certo barlume di genialità del personaggio che si era ritrovato al centro di tutto quello sconvolgimento e che in parte, solo in parte, giustificherebbe la fama di eccezionalità che gli si stava cucendo addosso : il 31 luglio difatti tolse l’assedio a Mantova gettando i cannoni nel lag e si slanciò contro il lato destro del contingente austriaco sorprendendolo e battendolo a Lonato per ricacciarlo verso Riva del Garda. Un’azione davvero fulminea, che riusciì a bissare sempre verso Lonato volgendosi verso il contingente centrale comandato dallo stesso Wurmster, mentre il gen. Augereau otteneva un ulteriore successo a Castiglione. Diciamo che mai e poi ai la teoria Guibert aveva avuto una conferma così plateale, Napoleone suffragato magnificamente dai suoi Generali in seconda Massena e Augereau era riuscito a sfruttare la mobilità di manovra delle sue truppe, riuscendo a concentrale nel punto più favorevole e sferrare improvvisi e rapidi attacchi che avevano scompigliato i contingenti nemici. E' vero che la valle del Po rappresentava un campo esperimentale ideale per tutta la dottrina Guibertiana, ma bisogna per la prima volta anche ammettere che il Generale comandante dell'armata, stava cominciando a dimostrare i suoi numeri e come fatto cenno, anche in parte mostrare di essere entrato a pieno titolo nella parte che la Fortuna e gli eventi precedenti , più un interessato organo di potere, ne avevano fatto il protagonista. Riorganizzate le sue forze Wurmster provò nuovamente nel settembre a riconquistare la Valle del Po cercando di saldare la sua discesa lungo la valle del Brenta fino al caposaldo della Fortezza di Mantova che restava sempre l’unico punto fermo della presenza austiaca e questo mentre il suo Generale in seconda Davidovich tornava a scendere dalla valle dell’Adige, ma ancora una volta la tattica Guibertiana imperniata sulla velocità ebbe la meglio degli elefantiaci contingenti austriaci cui ogni allungamento delle linee di marcia e di comunicazioni dovevano essere accompagnati da spostamento di depositi, carriaggi e salmerie. Manovrando agilmente tra le le due ali nemiche, Bonaparte operò prima contro Davidovich facendolo riarretrare verso il Tirolo e quindi si era rivolto verso Wurmster sorprendendolo e battendolo a Bassano. Giusto alla metà di settembre quindi anche questo secondo tentativo di riprendere i territori perduti era miseramente fallito e a Wurmster non restava che asserragliarsi a Mantova. Di converso Bonaparte scongiurato il secondo attacco di riconquista austriaca cominciò a modificare il suo comportamento e anche pensiero: se fino ad allora era stato un solerte esecutore delle disposizioni del Direttorio, ora in quei primi di ottobre cominciò a fare un po’ di testa sua, comportandosi come un sovrano in terra di occupazione, difatti non contento di spaventare tutte le popolazioni italiane fino addirittura a comprendere il Papato, denunciò l’armistizio col Duca di Modena deponendolo e ponendo i popoli di Modena e Reggio sotto la protezione dell’esercito francese. Fatto questo cominciò ad accarezzare l’idea di favorire le aspirazioni indipendentistiche che si erano avuti in vari Stati e proclamare una Repubblica federativa composta dai Ducati di Modena di Reggio con l’aggiunta degli Stati di Ferrara e di Bologna, dandole il nome di Cispadana. Si è discusso a lungo tra gli storici se fu proprio Napoleone l’ispiratore della idea di una Italia unita, così come se la Rivoluzione abbia o no inventato le guerre di propaganda per la libertà o piuttosto non abbia invece continuato le guerre di espansione dell’Ancien Regime. Il punto è sempre l’istanza utilitaristica che guidava sia il Direttorio che Bonaparte che vedeva ogni giorno accrescersi la sua influenza e anche il suo potere e ora che era decisamente tramontata la originaria idea di utilizzare l’Italia come corridoio per colpire alle spalle il fronte germanico, ovviamente era alla ricerca di espedienti che gli assicurassero un contesto più favorevole di popolazioni in rivolta, e cosa poteva esservi di meglio che ergersi a paladino della libertà dei popoli, e fomentare le aspirazioni di indipendenza ed anche di una proto unità nazionale dei territori italiani? D’altronde c’è da rilevare come nello spazio di pochi giorni l’intera mentalità di tutta la popolazione italiana, si era staccata dall’Ancien Regime e aveva abbracciato quella della Rivoluzione, portata però dalle baionette dei soldati di un generale di 27 anni, che era riuscito a mettere in riga tutti gli antichi sovrani e persino il Sovrano meno terreno : il Papato. Bonaparte insomma propose al Direttorio di aiutare il partito pro Rivoluzione nell’Italia centrale non certo per favorire le fumose e indistinte aspirazioni di qualche gruppo di exagitati imbevuti di romanticismo , ma solo per ottenere un po’ di tranquillità nei territori conquistati e costruirsi una base di appoggio, specie sul finire di ottobre quando fu oramai assodato che l’Austria preparava un’altra spedizione di riconquista dell’Italia affidandone il comando al generale Joseph Alvinczy von Berberek che il 1 novembre partendo da Gorizia avanzò contro Massena che aveva il suo quartier Generale a Bassano, mentre il Gen Davidovitch scendeva da Bolzano lungo la Valle dell’Adige per attaccare i Francesi a Trento. I due eserciti contavano quindi di riunirsi e marciare su Mantova dove era asserragliato Wurmster : sulle prime le operazioni furono favorevoli agli Imperiali, tanto da indurre Napoleone ad inviare una disperata lettera di aiuto al Direttorio, ma poi per uno di quegli strani casi della sorte, che come abbiamo più volte visto, aveva preso a benvolere il giovane generale, questi radunando tutte le sue forze in un supremo sforzo a “la và o la spacca” attaccò frontalmente Alvinczy; in verità aveva fatto un po’ un ragionamento alla teoria di Guibert, questa volta però di segno contrario : si era difatti reso conto che per marciare lungo la pianura veneta Alvinczy aveva molto allungato le sue vie di comunicazione e soprattutto perso contatto coi suoi depositi e rifornimenti, il che non disponendo di un esercito mobile e agile come quello francese lo poneva senz’altro in condizione di vulnerabilità qualora si fosse individuato un punto, diciamo così di rottura, secondo un concetto di sfinimento strategico e logistico del pesante esercito austriaco. Questo punto gli parve di individuare nel ponte sul fiume Alpone a ridosso del Villaggio di Arcole e qui difatti concentro’ tutti i suoi sforzi, sapendo bene che doveva battere Alvinczy prima che si congiungesse con Davidovitch; addirittura nel fervore dell’azione, preso un tricolore, si slanciò in prima persona nell’attacco, che per poco non finì tragicamente, dato che lui, non avvezzo a queste esternazioni di coraggio, cadde malamente in un fosso a ridosso del Ponte di Arcole e sarebbe stato certamente fatto prigioniero, se non si fosse lanciato in suo aiuto l’aiutante di campo Gen. Berthier. La verità e’ che la battaglia di Arcole, dopo tre giorni di accaniti combattimenti, che vedevano tutti e Bonaparte e i suoi due generali in sottordine Massena e Augereau bloccati sul Ponte, ancora una volta fu decisa da un magistrale intervento di Massena, che riuscì ad ingannare gli austriaci piazzando una sola Brigata delle sue truppe fuori l’abitato di Arcole, nascondendone il resto nella vegetazione e quindi attirandoli fuori la cittadina e sbaragliarli. Visto il successo di tale azione anche Napoleone fece qualcosa di simile, difatti radunato un piccolo contingente della sua Guardia del Corpo, lo spinse a guadare il fiume in un punto nascosto per poi lanciarsi con tanto di squilli di trombe sul retro delle posizioni austriache di Arcole, facendo loro credere di trovarsi attaccati alle spalle da un grande reparto che subito si ritirarono verso nord convinti di un imminente attacco in forze francese. Grazie a questo stratagemma i reparti che bloccavano Augereau sbandarono dando l'occasione al generale francese di riunirsi con Masséna nell'ormai libera Arcole, da dove, assieme ai soldati provenienti da Legnago, dilagarono nelle zone circostanti. Alvinczy, di fronte a quella che gli sembrò una grave minaccia alle sue retrovie, ordinò la ritirata su Vicenza. Con un prezzo di 4500 perdite in tre giorni di furiosi combattimenti, Napoleone aveva definitivamente stroncato il tentativo di Alvinczy di riunirsi con Davidovich e liberare l’Italia centrale. Con 7.000 uomini in meno, morti, feriti o presi prigionieri ad Arcole, Alvinczy riuscì a malapena a ritornare a Trento abbandonando del tutto il progetto di liberare Mantova Arcole però non era stata una vittoria definitiva e anzi aveva accentuato quel senso di incompiuto,di provvisorio, che sembrava come pascersi del fondo limaccioso della valle del Po; a parte l’episodio della goffaggine del Generale in capo che era stato salvato per un capello dal suo tentativo di spronare con tanto di tricolore alla mano, i soldati per rompere gli indugi di una resistenza nemica sempre solida, la verità è che anche questa battaglia non aveva lasciato né vincitori, né vinti, ma solo una situazione incancrenita dall’agonia della fortezza di Mantova, ma anche da una serie di rivolte, pronunciamenti di questo o quello statarello, costringendo Napoleone a recarsi di presidio a Bergamo, a Brescia, a Tortona. Riprendeva piede il tentativo di trascinare tali riottosi popoli nella costituzione di repubbliche che avessero una continuità di ideali e di intenti con la grande madre della Rivoluzione: una questione di opportunità per togliersi dall’impasse di una situazione sempre più aleatoria , tant’è che il Direttorio era addivenuto alla risoluzione di inviare un altro di quei numerosi Generali che avevano fatto parte del comitato per il Piano del ’95, il più attempato coi suoi 31 anni, il Generale Clarke, per concordare una pace con l’Austria.Ovviamente Bonaparte non vide di buon occhio tale operazione, che però non ebbe il coraggio di contrastare apertamente. Noi siamo abituati a ritenere che la prima Campagna d’Italia di Napoleone sia stata un susseguirsi di fulgide vittorie, una sorta di progressione verso la gloria, dove il fattore tempo resta ingoiato dall’azione, ma non vi può essere nulla di più errato: come abbiamo visto le battaglie erano state tutte mezze battaglie, scontri con retroguardie, che solo la maggiore velocità delle truppe francesi magistralmente guidate da espertissimi generali come Massena, Augereau e Serurier avevano consentito di assegnare a loro la vittoria. La situazione in quel lunghissimo estenuante periodo di tregua da Arcole a Rivoli, si era quanto mai impantanata senza possibilità di soluzione. In verità furono solo due mesi ma incredibilmente estenuanti, dove ancora una volta nella mente di Napoleone riprese corpo la idea di realizzare l’idea originaria del piano ovvero valicare la Alpi e prendere alle spalle l’Austria, questo anche perché la Cispadana non rappresentava quell’aiuto che avrebbe potuto aspettarsi e le rivolte, piccole rivolte degli stati italiani, sempre più diffuse e insidiose; si era diffatti ribellata parte della Garfagnana, la cittadina di Carrara, ancora una volta Tortona e tutto sembrava tramare tranelli, minacce, insicurezza…. dal Regno di Napoli allo Stato Pontificio, alla Repubblica di Venezia. Inficiando i tentativi di armistizio del Gen.Carke e anche le velleità di attacco di Napoleone attraverso l’esecuzione del grande Piano del ’95, l’Austria all’improvviso rompeva gli indugi e tornava ad attaccare nella prima decade di gennaio del 1797. Lo ripeto, lo studio e la riesamina dei fatti porta a ribaltare completamente l’assunto che era sempre stato Napoleone ad attaccare difatti e’ semmai sempre vero il contrario: fin dalle prime scaramucce dell’aprile e la battaglia un po’ più seria di Cairo Montenotte, l’iniziativa dell’attacco era sempre stata solo dell’Austria e anche questa volta non si doveva assistere ad una eccezione. Il piano sempre affidato al Gen Alvinczi prevedeva un attacco per le gole del Brenta passando poi per le valle dell’Adige, mentre un suo Generale in sottordine Provera aveva il compito di marciare su Mantova passando per Padova e Legnano: Il tranello di Alvinczi era quello che vedendo Mantova minacciata, i Francesi fossero indotti a alleggerire la posizione di Rivoli per bloccare Provera e consentissero a lui di batterli appunto a ridosso del Lago di Garda, ma Bonaparte che proveniva da Bologna si calò subito nell’emergenza e sfruttando la maggiore agilità e mobilità delle sue truppe, concentrò a se tutte le sue forze e tutti i suoi eccezionali Generali tra cui come al solito rifulse Massena, che fu uno degli artefici della Grande Vittoria; in effetti Rivoli fu la prima grande e indiscussa vittoria di tutta la campagna d’Italia, quella che probabilmente consentì a Napoleone non più di recitare una parte, ma di entrarvi in tale parte. La storia sembra finalmente aver trovato il suo eroe indiscusso, poca importanza ha il fatto che probabilmente Massena aveva più meriti di lui (succederà lo stesso tre anni dopo a Marengo con Desaix) ma e’ lui il comandante in capo e la leggenda che vuole nel piccolo Generale il nuovo Alessandro sembra confermata a gran voce. Mai l’esercito francese aveva riportato una vittoria così categorica. Pochi giorni dopo difatti la Fortezza di Mantova veniva espugnata e Bonaparte diventava sul serio padrone di tutta l’alta Italia. Siccome però la situazione era sempre di estrema aleatorietà ecco che cominciava a riaffiorare la strategia originaria del piano del ’95 che il Generale comandante dell’Armata vedeva soprattutto come una sorta di via d’uscita dalla situazione venutasi a creare: padrone del campo si, ma possiamo azzardare, con poche ferriere , e molto molto insicure e pericolose: difatti gli innegabili successi che anche lui aveva cominciato a collezionare lo avevano, per così dire, fatto entrare nella parte del condottiero vittorioso, si da ritenersi l’unico generale in grado di realizzare fino alle estreme conseguenze le disposizioni originarie del piano dei Generali del ’95: in effetti a questo punto, non si trattava più di recitare una parte, parte che altri avevano fissato e sviluppato per lui : si trattava a questo punto di entrare nel modello, come in un esperimento di ristrutturazione in psicologia alla Milton Erickson, alla Bandler e Grinder della Programmazione Neurolinguistica, non più come in un film di cui si vedono le varie sequenze, ma sentendo quello che il protagonista sente, le sensazioni, il profumo dell’aria, il terreno su cui si poggiano gli stivaloni. Possiamo dire che Napoleone Bonaparte con l’entrata nel 1797 e il suo ventottesimo anno di età, soprattutto dopo una battaglia vittoriosa a Rivoli dove lui non era stato da meno dei suoi esperti generali in seconda, era entrato nella parte (in gergo popolare potremmo dire “aveva cominciato a provarci gusto”). Questo non significava che da Rivoli in poi aveva cominciato a fare di testa sua, come una certa storiografia, anzi la pressocchè totale storiografia su di lui ha sempre insistito ad asserire; in sostanza restava sempre ligio alle direttive del Direttorio che subito dopo la battaglia d Rivoli e la conquista di Mantova gli aveva ordinato di fare incetta di tesori e fondi nelle Chiese, nei Monti di Pietà dello Stato Pontificio ed anzi risolvere una volta per tutte la questione con papa Pio VI: poche scarmucce a Bologna ad Imola, l’occupazione di Ancona, portavano il papa a chiedere la pace e a firmare il trattato di Tolentino il 19 febbraio, nel quale il Papato cedeva Avignone, il contado di Venasque, Bologna, Ferrara e tutta la Romagna. Ottenuto quindi quest’altro grande successo che ancora di più faceva entrare nella parte del Conquistatore il giovane Generale, il Direttorio non solo aveva ratificato appieno il Trattato, ma finalmente si era deciso a dare avvio al Grande Piano del ’95, quello di cui l’allora sconosciuto Generale aveva dato la sua modesta collaborazione e che ora in prima persona, anzi da protagonista assoluto, veniva incaricato di mettere in atto. L’istruzione è del 3 febbraio 1797 e oramai si ordinava finalmente al Generale e alla sua Armata di invadere il Friuli e conquistare Trieste in parallelo all’invasione del Tirolo, e quindi procedere appieno con l’esecuzione famoso Piano, ovvero invadere gli Stati d’Austria e effettuare il congiungimento con le truppe francesi in Germania: l’ Armata del Reno, comandata da Moreau e quella della Sambra e Mosa da Hoche, per effettuare quindi congiuntamente una pressione a distanza su Vienna e costringerla alla pace. Palesemente come per incanto in tutta Italia settentrionale e centrale, il partito che puntava sulla presenza dei Francesi per rovesciare l’Ancien Regime e proclamare libere Repubbliche somiglianza di quella francese, cresceva a dismisura “La Rivoluzione ha conquistato tutti i cervelli d’Italia” scriverà Bonaparte al Direttorio, ma intanto non è che la faccenda lo rassicurasse granchè, anzi…a questo punto era molto più concentrato sulla prospettiva di lasciarla quell’Italia nella quale si sentiva sempre più impantanato e dedicarsi anima e corpo alla realizzazione integrale del Piano per il quale si sentiva oramai pienamente pronto. Numerose missive di Bonaparte, dei primi giorni di marzo ai suoi generali, Joubert, Augereau, Clarke,soprattutto Massena, denotavano questo pensiero fisso : varcare le Alpi e portare l’Armata dalla Valle del Po alla Valle della Drava, ed ora che il Direttorio aveva dato il suo benestare al piano, l’unica preoccupazione era quella che Moreau e Hoche si muovessero e varcassero il Reno per consentire il congiungimento delle Armate e quindi non lo lasciassero isolato. Cade così un altro pilastro della leggenda di Napoleone che lo vuole indefesso assertore del suo genio militare, unico e solo artefice di un piano arditissimo di penetrazione in territorio germanico senza chiedere consigli o collaborazione ai suoi sottoposti, proprio le missive a Joubert a Massena i frenetici colloqui con Clarke sono lì a dimostrare il netto contrario. Vediamo difatti un comandante in capo titubante quasi implorante che i generali sottoposti assolvano al loro compito e c’è sempre quel chiodo fisso del superamentodel Reno da parte degli altri due comandanti d’Armata Moreau e Hoche. “conto di essere per il 20 marzo sulla Pontrebbana per la strada che porta da Udine a Klagenfurt, ma voi dovete spingervi fino a Pontebba e se possibile anche a Tarvisio “ scrive a Massena, mentre da Joubert pretende che occupi Bolzano e Bressanone “solo allora potremo procedere e riunire tutta l’Armata nella Valle della Drava il che obbligherà il nemico a ritirarsi per coprire la strada per Vienna” Piu’ che un vero piano si tratta di una serie di ipotesi su cio’ che l’Armata d’Italia avrebbe potuto fare, sempre nella eventualità che le Armate del Reno e della Mosella “potevano spingersi un po’ più in avanti” Insomma a me non pare il portamento e neppure la olimpica sicurezza di un Generale vincitore alla Alessandro, alla Scipione, alla Mario , alla Cesare, ma piuttosto di una persona molto insicura che si raccorda coi suoi sottoposti con continue missive in cui molto fumosamente da’ delle disposizioni molto di massima , io ci vedo chessò più un Baratieri che in Africa nel marzo del 1896 prima di attaccare battaglia con l’Esercito abissino convoca tutti i suoi comandanti di Brigata per avere conferme sulla correttezza del suo piano, o magari il duo Diaz /Badoglio che nel 1918 aspetta un ordine scritto prima di procedere alla offensiva che deciderà della Grande Guerra, ordine tra l’altro non di una figura militare bensì civile come il Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando che vergò quel suo non lusinghiero telegramma (non lusinghiero ovviamente per i 2 Generali ) “tra l’inazione e la sconfitta preferisco la sconfitta. MUOVETEVI!” Per difendersi dal piano di invasione, l’Austria aveva spostato in Italia il suo più valente stratega l’arciduca Carlo reduce di importanti vittorie su Moreau, che subito si era posto sulla riva sinistra del Tagliamento per impedire ai francesi di dirigersi verso Tarvisio. La battaglia venne ingaggiata il 16 marzo, ma l’arciduca non vi si profuse più di tanto, per effettuare anche lui come d’altronde tutti i generali che l’avevano preceduto, una ineccepibile ritirata strategica, laddove divise il suo esercito una parte a difesa ravvicinata di Tarvisio, mentre quella da lui diretta si ritirò verso Gradisca e Gorizia, inseguito da Bonaparte in persona, mentre Massena avanzava da Osoppo verso le gole di Pontebba. Puntualmente il giorno seguente il 17 marzo Bonaparte scriveva al Direttorio per rendere edotto il potere costituito dei suoi effimeri successi e sollecitare il suo oramai ossessivo chiodo fisso che le Armate in Germania si muovessero “ordinate, vi prego, il passaggio del Reno” implora “poiché è impossibile che io con 50.000 uomini possa far fronte a tutto. L’Armata d’Italia ha cominciato , ma è necessario che le Armate del Reno passi questo fiume senza perdere un giorno” Il 21 marzo veniva occupata Gorizia praticamente senza battaglie, il giorno seguente Massena occupava Pontebba; la situazione sembrava esaltante, ma non è così anzi, Bonaparte non è affatto tranquillo e teme più di ogni cosa l’isolamento, trovarsi nel bel mezzo di territori sconosciuti alla mercè di una controffensiva austriaca, condotta da un generale che conosce per la sua valenzia; Ad accentuare tale paura c’era stata la notizia che Brescia e Bergamo erano insorte, due città irrilevanti ai fini della guerra, tant’è che lo stesso giorno l’esercito francese era entrato a Trieste, ciò nonostante Bonaparte continua a tempestare di lettere il Direttorio, il 24 e 25 marzo, scrivendo anche personalmente a Carnot “è stato passato il Reno? ” chiede a quest’ultimo ribadendo questa sua enorme preoccupazione, una sorta oramai di leit motive che chiedeva a chicchessia perché le due Armate in Germania non attraversavano il Reno, sì da poter cominciare ad operare la congiunzione con la sua Armata, e quindi lui possa definitivamente abbandonare l’insidioso campo di battaglia italiano. Sono conservate diverse missive di Napoleone Bonaparte relative a questi giorni di metà e seconda metà di marzo, tutte riportate a nota del libro di Guglielmo Ferrero e al quale si rimanda, e ai soggetti più disparati: membri del Direttorio come abbiamo visto, Generali in sottordine, Massena in primis , ma anche Joubert, Bernadotte, Delmas, Baraguay d’ Hilliers, Chabot, ai quali dava febbrili disposizioni, di occupare questa o quella città, di farsi trovare pronto ad un ricongiungimento con l’Armata, sempre con il fine di abbandonare al più presto la Valle del Po e raggiungere la Valle della Drava con obiettivo Klagenfurth e quindi minacciare a meno di 15 stazioni di posta Vienna si da terrorizzare l’Imperatore. Rimane però quella ossessione alle due armate di Germania che si muovano all’unisono con lui “altrimenti” sottolinea “tutto il mio movimento sarà smascherato e l’Arciduca Carlo lascerà il Reno per piombare contro di me” Oramai è chiaro che non si occupa più di quello che lascia alle spalle, cioè l’infidissimo teatro di battaglia italiano, oramai guarda solo avanti alla realizzazione del famoso Piano del ’95, anche se è consapevole che Vienna potra’ essere solo minacciata, ma non certo attaccata direttamente, però come in una mossa da bluffeur di giocatore di Poker ritiene che Klagenfurth potra’ essere sufficiente per indurre l’Austria ad avviare trattative di pace. Spinge i suoi generali ad occupare Klagenfurth (manco a dirlo al solito Massena) il 29 marzo e il 30 lo raggiunge, ma a questo punto “Colpo di scena” : il 31 marzo scrive una lettera all’Arciduca Carlo pregandolo di intercedere presso l’Imperatore per avviare trattative di pace . E’ un giocatore di poker, ma non ha retto alla tensione del bluff e cosa degna di nota, per la prima volta non ha seguito le disposizioni del Direttorio; non quindi il troppo ardire, la piena certezza delle sue capacità, una volontà superiore, hanno deciso la disubbidienza, bensi’ il dubbio, l’indecisione e diciamolo francamente, la paura : paura di andare incontro all’isolamento ed anche al disastro, riportare una sconfitta decisiva, non del tipo delle scaramucce (con la parziale eccezione di Rivoli) che fino ad allora lo avevano visto vittorioso. C’è anche da rilevare come la teoria di Guibert che fino a quel momento lo aveva sempre favorito, a questo punto della situazione rivela i suoi limiti : se Napoleone fosse stato un Generale dell’Ancien Regime, un Federico II, anche un Princeps Eugen, non avrebbe mai pensato che una mossa di puro bluff, ovvero una azione fondata solo sulla audacia, sulla rapidità e sulla sorpresa avrebbe potuto decidere, non di una singola battaglia, ma di una intera guerra dove erano in giochi interessi enormi. Avrebbe certamente commisurato che con battaglie vittoriose si può pervenire tregue al massimo armistizi di compromesso, ma mai e poi mai ad una pace duratura. Bonaparte in quanto generale della Rivoluzione, imbevuto di teorie Guibertiane e con al suo attivo più di una dimostrazione della loro validità, credeva di aver trovato una formula magica per vincere la guerra, insomma stava cominciando a scambiare la realtà per quello che proclamavano i suoi bollettini e per di più con l’avallo, anzi l’enfatizzazione, di di un potere che per la modalità di come era assurto alla guida del Paese, per la provvisorietà del suo mantenimento, era, diciamo così, costretto a far leva proprio su quelle peculiarità che si rifacevano all’immaginazione, a quello spirito di avventura, che costituisce non a caso il titolo del libro cui ci stiamo ispirando, di cui lui modesto genera luccio si era trovato a recitarne la parte, spacciato per un novello Alessandro o un novello Cesare, in una sorta di recita teatrale che non aveva mancato di infatuare le masse. Insomma il “facciamo finta che….” aveva funzionato fino allora, ma ora nel momento di scoprire le carte ecco che all’improvviso il primo a venire meno era stato proprio lui, l’attore principale. No, non c’è niente di reale se ci atteniamo al Mito del Generale invincibile e arditissimo, così come era stato confezionato in quell’ultimo anno,o meglio forse all’improvviso la situazione si fa troppo reale, e il giovane generale si rivela per quello che è, un passabile tattico ma un modesto stratega, asceso senza merito e soprattutto senza la necessaria competenza, al comando di una grande Armata. Tant’è che il giorno seguente alla richiesta di trattative all’’Arciduca Carlo, la sua preoccupazione maggiore e’ di scrivere al Direttorio per spiegare le ragioni del suo gesto. Come abbiamo detto fino ad allora Bonaparte era stato un solerte esecutore delle disposizioni del Direttorio e solo a questo doveva la sua inusitata e gonfiatissima fama, quindi ovvio e naturale che ora cercasse di, come si dice in gergo , “metterci una pezza” Il 1 aprile difatti spedisce la lettera che tutto ha tranne che il tono del generale determinato e sicuro di se' “voi troverete qui acclusa la lettera che per mezzo del mio aiutante di campo ho mandato al principe Carlo. Se riceverò risposta negativa farò stampare la mia lettera e la sua, se invece la risposta fosse favorevole e la corte di Vienna volesse pensare alla pace, assumerò la responsabilità di firmare una convenzione segreta che potrebbe essere un preliminare di trattato di pace…voi intuite certo che le condizioni che firmerò io sarebbero assai più vantaggiose di quelle che a suo tempo voi deste al generale Clarke” Ecco torna lo spirito del giocatore di Poker, ma non più al buio, bensì con qualche assicurazione che altri cooperino al suo bluff, torna uno sprazzo di Guibertismo, ma protetto dalla posta in gioco che chiede, anzi impone che ci sia una sorta di copertura.
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