La risposta dell’Arciduca non si fa attendere ed è un rifiuto. Si fa sempre più forte in Napoleone la smania di sapere cosa fanno le 2 Armate di Moreau e Hoche, ma oramai è come obbligato dal suo gioco ed avanza ancora fino a Judenburg; la situazione era tale per la quale, se voleva conservare un minimo di credibilità nel bluff, doveva continuare ad avanzare, sperando in uno scontro vittorioso che gli desse un po’ di linfa, ma Carlo glissa e finisce per ritirarsi, lasciandogli terreno aperto fino a Neutmark. Come nella migliore tradizione della scuola militare austriaca si tratta di una perfetta ritirata strategica che rende vane le conquiste, specie in un campo che non è piu’ quello italiano, mentre di converso per il Guibertismo dell’Armata francese rimane solo l’impianto psicologico di spaventare la corte austriaca con l’avvicinarsi a Vienna, ma il 5 di aprile c’è il colpo di scena della richiesta di una tregua che due Generali dell’Arciduca vengono a chiedergli. Ovviamente non gli sembra vero di concedere tale tregua fino al 13 aprile e riprende la litania delle lettere al Direttorio dove oltre alla solita tiritera del perché le due armate in Germania non si muovono, torna sulla necessità di pervenire ad un armistizio arrivando anche a proporre i territori da concedere all’Impero facendo cenno all’intero Ducato di Milano “se la negoziazione non andasse a buon fine” dice chiaramente “sarei imbarazzato sul partito da prendere, certamente cercherei di attirare il nemico in battaglia per batterlo, ma questo potrà essere possibile solo se le Armate del Reno venissero in mio soccorso, ma se resteranno ferme e inattive, là dove sono tutt’ora, dovrei ritornare in Italia ”In questi febbrili giornate, datata 18 germinale anno V, ovvero quella stessa giornata del 7 aprile 1797, c’è una importantissima risposta del Direttorio, una lettera molto lunga e articolata nel solito stile possibilista, dove però per la prima volta si fa cenno alla prospettiva di fondare una nuova Repubblica ad integrazione della Cispadana, che raggruppi tutti i territori di qua e di là del Po “ecco cittadino generale il piano che dovete seguire, ne deriva che se qualche circostanza obbligasse il governo francese ad abbandonare le terre di Milano e Mantova all’Austria, per fare la pace, non ne avremmo disdoro….” Vi e’ quindi la solita sviolinata finale alla grandezza del suo operato, con quel tono possibilista e un po’ scarica responsabilità che ha sempre caratterizzato l’intera politica del Direttorio “Il Direttorio esecutivo si rimette interamente a voi per la perfetta esecuzione di questo piano: esso è convinto che qualunque sia la soluzione, che voi sarete sempre guidato dal vostro attaccamento sincero alla Repubblica che servite e ai principi di libertà, non può diffatti dubitare dello zelo di cui avete dato prove così chiare e in così gran copia” Qui mi rimetto integralmente ad un passo del libro di Ferrero che addirittura lo storico ebbe modo di esaminare di persona questa lettera la cui minuta si trova negli Archivi Nazionali nel Registro particolare dei decreti e deliberazioni segrete, pag.97 n.306 .”lo sapevano cosa facevano…” scrive Ferrero “….i 5 Direttori firmando tale lettera??? Me lo sono chiesto guardando, non senza una certa commozione la ingiallita carta della minuta…. di certo no, perché l’importanza di questo documento è enorme e si riverbera ancora nella storia del mondo .” Necessario a questo punto fare un breve inciso per vedere chi erano questi “Direttori” che subito dopo il sollevamento contro Robespierre, Saint Just e Couthon, erano ascesi alla guida del Paese e che ora si rendevano i reali protagonisti, anzi i veri artefici di quello che sarà uno degli elementi di maggiore novità del mondo moderno: il primo dei cinque quello che più di tutti aveva contribuito alla caduta di Robespierre, era Paul Barras quarantenne, proveniente dalla piccola aristocrazia, ex ufficiale dell’esercito, dimessosi per un alterco con il Ministro della Marina, un gaudente crapulone, in nomea di frequentare bordelli e case da gioco, pieno di amanti, avido e intrigante, fu grazie a lui che la carriera dell’oscuro Generale di Divisione Napoleone Bonaparte prese il volo, dato che come regalo di nozze del giovane generale con la sua più ingombrante e pretenziosa delle amanti la creola Josephine Beauharnais vedova di un Generale ghigliottinato dalla Rivoluzione, offrì appunto il Comando dell’Armata d’Italia. Molto legato a Barras e altro membro del Direttorio, che nel 1796 ne divenne Presidente era Jean Francois Reubell un avvocato alsaziano cinquantenne, che aveva fatto parte sia dei Giacobini che del Club dei Foglianti, persona molto ambigua e calcolatore: con tutta probabilità fu lui il principale artefice di quel far recitare la parte del grande condottiero al giovane e inesperto generale,specie in considerazione delle enormi entrate che lui uomo molto versato negli affari economici, aveva visto affluire nelle Casse dello Stato grazie alla politica guibertiana di conquiste e razzie operata dal suo nuovo pupillo. La corrente filo repubblicana di estrazione più giacobina costituiva la maggioranza e comprendeva anche il molto meno rilevante Larevellier , mentre la destra in odore di “realismo” che faceva capo a Lazare Carnot, comprendeva un Generale del Genio Retourneur, firmatario della lettera del 7 aprile, ma il mese successivo sostituito dal De Barthelemy, onesto legislatore autore della Pace di Basilea, ma del tutto sprovvisto di esperienza e acume politico .Veniamo quindi a Lazare Carnot classe 1753 senza dubbio il membro più rappresentativo del Direttorio e non solo, ma probabilmente uno degli uomini più insigni della Rivoluzione e dell’intero Paese : insigne matematico, fisico, Generale, aveva svolto un ruolo di primissimo piano in tutta la Rivoluzione, membro del Comitato di Salute Pubblica , era anche stato il grande organizzatore dell’Esercito repubblicano rivestendo un ruolo decisivo nella costituzione delle armate rivoluzionarie e financo nella direzione delle operazioni belliche con il suo grado di Generale , tant’è che Napoleone si rivolgeva spesso e volentieri direttamente a lui in merito a questioni di strategia politica e militare : In merito a tutta la tesi di questo scritto, nessuno mi toglie dalla testa che un uomo del calibro di Carnot non ce lo vedo a farsi troppo partecipe della montatura sul nuovo generale e quindi costituire per questi una sorta di continua minaccia per quella fama acquisita in circostanze così eccezionali e anche manipolate. Non è quindi un caso che il sempre più gonfiato Generale che nell’autunno del ’97 si stava avviando alla conclusione della sua controversa avventura italiana, pensò bene, nella sorta di pronunciamento ordito da Barras e Reubell proprio contro Carnot accusato di Realismo, di prendere la parte dei primi due e addirittura inviare il proprio Generale Augereau a farsi braccio armato del colpo di stato e quindi a imprigionare De Bethlemy, mentre Carnot fuggì in Svizzera, furono inoltre arrestati un gran numeri di Deputati e i tre Direttori rimasti Barras, Reubel, Ralevellier pubblicarono un Manifesto nel quale dissero che era stato ordito un complotto realista sventato grazie alla vigilanza del Governo e la fedeltà dell’Esercito. Facciamo quindi ritorno, dopo questo inciso anche un tantino proiettivo sui membri del Direttorio, che come abbiamo fatto cenno concepirono la sistemazione del territorio di tutti i territori al di qua e al di la’ della valle del Po italiana, ovvero una chiara nettissima formulazione della repubblica cisalpina, certo non andando troppo per il sottile sulla composizione di tale nuova espressione politica e demandando al generale Cte dell’Armata la decisività in merito ai territori che dovevano costituirla e quelli che dovevano invece essere oggetto di baratto per ottenere la pace con l’Austria. Una lettera che sfata un altro dei miti più consolidati dell’aura napoleonica, e cioè che, lui e solo lui sia stato l’ideatore e il realizzatore, prima della repubblica cispadana, poi della repubblica cisalpina, in altre parole i prodromi della futura unità d’Italia, dalle cui suggestioni e quindi spirito e’ rimasto a tutt’oggi il simbolo più celebrato: quello della bandiera tricolore, bianco, rosso e verde, a somiglianza dei colori della Repubblica francese e della Rivoluzione; la novità estrema della lettera del 7 aprile 1797 risiedeva nel fatto che il Direttorio in un melange di consiglio/ordine sollecitava Napoleone di creare in italia uno stato cuscinetto della Rivoluzione con la particolare clausola che non il popolo si dichiarasse sovrano, ma la sovranità doveva essere una sorta di imprimatur della Francia e quindi della Rivoluzione. Era questo il senso della ulteriore “avventura” che l’evoluzione della Rivoluzione stava per realizzare in Italia , e questo bisogna ammetterlo era di una novità sconvolgente : fino ad allora nella storia del mondo il principio di legittimità che giustificava il potere era sacro, ma ecco che all’improvviso tale principio era messo in dubbio da una forza anomala che pretendeva di sostituirlo con un altro principio: la sovranità del popolo , non disdegnando che tale principio fosse portato sulle punte delle baionette di un esercito comandato da un più o meno improvvisato condottiero. Ancora una volta assistiamo alla forzatura di un mito che riguarda appunto questo condottiero, la storiografia e anche quel tanto di immaginario storico/collettivo, che non risparmierà quasi nessuno (abbiamo citato l’episodio di Hegel il filosofo dello Spirito che vuole dopo la battaglia di jena , cioè una decina di anni dopo gli eventi che stiamo affrontando, andare di persona a veder passare lo Spirito della Storia e cioè lui” le petite Caporal “ come lo avevano soprannominato i soldati ) attribuiscono ancora oggi, l’iniziativa della formazione di questo nuovo Stato al genio di Bonaparte ammirandola come una quasi inconscia confutazione del principio di legittimità e una spassionata adesione a quello della sovranità dei popoli, si sono sbagliati . Bonaparte non fu che un esecutore degli ordini di Parigi . In termini pratici, diciamo che le cose andavano mettendosi bene, o meglio bene, dato che l’Austria aveva chiesto una proroga della tregua e quindi il bluff sembrava riuscire, il punto però è un altro : gli accorti statisti austriaci, politici ma anche militari, si erano convinti che le proposte di pace avanzate dal generale potevano essere addirittura più convenienti di una vittoria sul campo, difatti scartata la eventualità di cedere territori in Germania e la città di Magonza assolutamente incedibili, perdere il Milanese come la proposta che perorava la costruzione di una nuova Repubblica richiedeva, per un ulteriore esperimento di plastica rivoluzionaria poteva essere più che accolta se l’Austria avesse potuto rifarsi coi territori della Ex Repubblica di Venezia oramai in mano francese, che tra l’altro erano in uno stato di grande agitazione e quindi molto propensi a sottrarsi al giogo rivoluzionario ; in verità anche questo fatto delle agitazioni addirittura rivolte aveva spinto sia Napoleone che il Direttorio a prendere in serissima considerazione la cessione all’Austria del Veneto in cambio di territori in Germania o in Lombardia. Una delle due proposte di pace difatti offriva indennità italiane e le offriva proprio dove l’Austria le voleva nella ex Repubblica di Venezia . Il 15 aprile diciamo che le trattative andavano prendendo corpo,nella città di Leoben , con piena soddisfazione austriaca che attirata dal miraggio di annettersi tutto il Veneto, con confine il Tagliamento, il Friuli, la Dalmazia e l’Istria era disposta a cedere territori anche in Belgio, mentre per Napoleone e il Direttorio si apriva la possibilità di fondare quel secondo stato cuscinetto come ipotizzato dalla lettera di neppure 10 giorni prima . Militarmente si addiveniva, sempre lì a Leoben ad una proroga della tregua purchè le negoziazioni fossero portate a termine in 5 giorni. Finalmente anche Napoleone sembrava essersi scaricato di tutte le sue tensioni e apprensioni, difatti , per Guibertiano che fosse non aveva in realtà pensato mai di attaccare Vienna, ben sapendo che senza il congiungimento con le Armate in Germania , le sue forze erano del tutto insufficienti ed anzi esposte ad un contrattacco in un territorio sconosciuto. Il 18 aprile a Leoben venivano firmati i preliminari di pace, in una febbrile impazienza da ambo le parti: quella di Bonaparte e della Francia per quella spasmodica ricerca di una conclusione del conflitto che non inficiasse la recente gloria acquisita dalle sue truppe della Rivoluzione e la fama del suo giovane Comandante in capo e nel contempo desse una continuità a quel concetto di rivoluzione permanente, faro del nuovo principio di sovranità popolare di cui doveva essere emanazione il nuovo Stato della Repubblica Cisalpina, palesemente delineato nella Lettera dei Direttori del 7 aprile, che veniva appunto creato dall’acquisizione del Ducato di Milano che finiva per annettere anche la precedente entità della Repubblica Cispadana; da parte austriaca al fatto di ottenere tutto il territorio della ex Serenissima che rappresentava senza dubbio uno strepitoso successo della sua diplomazia, anche se no apparentemente della sua Manu militari, difatti il Belgio e il Ducato di Milano erano ben poca cosa rispetto ad un territorio di 4 milioni di abitanti, appartenente alla più splendida e civile regione d’Europa, quale era la Sereneissima Repubblica di venezia . Con tale annessione l’Impero avrebbe acquistato un’imponente unità geografica dal Danubio al Po, ergendosi a faro dell’intera Europa. Incredibili quei preliminari di Leoben, davvero una sfaccettatura di una delle più colossali mistificazioni della storia, una mistificazione in verità che assicurava però due principi per alcuni versi antitetici, ma per altri complementari: Napoleone e la Francia rivoluzionaria si erano , per così dire “calati le braghe” purche’ fosse conservata quell’aura di invincibilità delle Armate della Rivoluzione, l’altisonante retorica dei suoi bollettini di guerra, il Generale giovane e fulmine di guerra e vieppiù quel senso di faro dei popoli e del principio di libertà che metteva in ombra il principio di legittimità dell’Ancien regime, ecco un po’ quello spirito d’avventura quale il titolo dato da Ferrero al suo saggio, che aveva trovato il suo manuale d’istruzione e d’uso in un libello di venticinque anni prima di un ufficiale francese Guibert che era stato di guida a Napoleone e non solo a lui ma a tutta la classe militare francese, salvo però, a consuntivo a dover venire a patti coi vecchi tromboni dell’antico ordinamento, che potrà apparentemente perdere tutte le battaglie, ma finisce per vincere la guerra. Cosa importava se nessuno dei Generali Austriaci poteva vantare una serie impressionante di vittorie come quelle strombazzate e enormemente gonfiate di Bonaparte: sulle infiammate righe dei bollettini non si stava a sottilizzare se Ceva, il ponte di Lodi, Arcole o addirittura Rivoli non erano poi state quelle folgoranti vittorie, ma spesso e volentieri solo scontri con retroguardie tra l’altro sempre accompagnate da perfette ritirate strategiche del nemico, quel nemico che ora però otteneva territori quale mai appena qualche mese prima , nessuno, imperatore, arciduca, feldmaresciallo avrebbe avuto l’ardire financo di immaginare: La repubblica di Venezia non era difatti un piccolo principato, ma era in Europa il diadema piu’ rappresentativo della tradizione ed ora con una cessione di cui lo stesso Bonaparte assicurava di occuparsi dei termini formali della concessione, addirittura dichiarandosi pronto ad occupare militarmente la stessa città, per poi cederla all’austria . Insomma diciamo che se il Direttorio era stato responsabile dell’invasione in Italia, come prodromo per un più vasto piano di aggiramento del fronte germanico e Bonaparte non era stato che l’esecutore dei suoi ordini, ora il ventottenne generale è il maggiore responsabile della distruzione della Serenissima, qui difatti fa mostra del suo talento più manifesto, che no! non è la valenzia nelle armi, nè un particolare acume tattico o meno che mai strategico, bensì una propensione per la macchinazione, l’inganno, la manipolazione di idee e di fatti, uniti ad uno spirito accumulatore e truffaldino da venditore di fiera: Venezia è solo l’ultimo tassello di una mentalità accaparratrice che magari, ecco non si può dire di bassa lega, ma anzi di proporzioni fino ad allora inusitate, mentalità e prassi operativa, cominciata come correlato alle prime battaglie specie dopo l’armistizio di Cherasco, che aveva visto il Piemonte uscire dalla guerra, coinvolgendo con la massima disinvoltura non solo il nemico in armi ma soprattutto paesi neutrali e inermi imponendo gabelle, indennità in denaro e in beni di consumo e artistici. Guibertismo, senza dubbio, ma portato alle estreme conseguenze, pronto a sacrificare qualsiasi principio di eticità, di correttezza, anche di onore, pur di conseguire un risultato utile e non solo utile, ma che potesse essere spacciato per tale. Certo anche la Corte di Vienna è come se si fosse trovata commensale più che entusiasta al festino dell’accaparramento, specie con la posta altissima della Repubblica di Venezia, come detto lo Stato più prestigioso dell’intera Europa - riprendedo la nostra metafora del gioco del poker :” piatto ricco mi ci ficco” l’Austria fa mostra, o meglio “non mostra” del più raffinato spirito del giocatore. Si racconta di un Napoleone più tardo, ai tempi delle famose sfolgoranti vittorie Austerliz, Jena o fatte passare tali tipo Eylau o Wagram dicesse che i regnanti dell’Austria o degli altri grandi Stati dell’Ancien Regime, Russia, Prussia, Inghilterra, potessero perdere mille battaglie, ma non per questo il loro potere sarebbe andato in crisi, mentre per lui sarebbe bastata una sola sconfitta per essere sbalzato via dalla storia . La monarchia austriaca era uno dei più antichi poteri legittimi e quindi poteva permettersi il lusso di qualsiasi disfatta. Che le importava di uno, mille , come diceva Napoleone insuccessi apparenti, tipo Ceva, Lodi, Arcole o anche ora in quella primavera del 1797 , a Leoben con quei famosi preliminari, di livello diplomatico più che militare? La disfatta apparente le portava territori che nessuna grande battaglia vinta le avrebbe assicurato e c’era anche il vantaggio aggiunto di offrire una più che plausibile giustificazione della pace separata rispetto alle nazioni alleate, sia quelle continentali sia anche l’altro grande Impero oltre manica, ovvero l’Inghilterra. Come chiosa Ferrero “ Il gioco era fatto la Rivoluzione tramite il suo giovane Generale e la Corte di Vienna erano d’intesa per sopprimere la Serenissima Repubblica di Venezia e per far credere al mondo intero che la pace fatta a spese di questa era dettata dalla monarchia asburgica che doveva sopperire alle sconfitte riportate sul campo ad opera delle armate della rivoluzione : la più antica ed illustre dinastia d’Europa regalava alla Rivoluzione e anche al suo costruito condottiero, che ne avevano bisogno, questi falsi trofei” A riprova del fatto che tutto questo grande apparente successo non fosse poi una ennesima conferma del detto “non è tutto oro quel che riluce” si annoverano una serie di dettagliate lettere di giustificazione dei Preliminari di Leoben che Napoleone cominciò ad inviare al Direttorio a cominciare dal 19 aprile incentrate soprattutto sulla creazione di una Repubblica Lombarda accresciuta del Bergamasco ed anche del Comasco e di parte del Mantovano e che avrebbe dovuto inglobare tutti i territori della Repubblica Cispadana andando così a costituire la nuova entità della Repubblica cisalpina, così come la famosa lettera del 7 aprile a firma di tutti e 5 i Direttori, aveva caldeggiato. Ovviamente dopo lo zuccherino, l’indubbiamente scaltro e manipolatore Generale non poteva non menzionare il punto più scabroso delle trattativa : “ il governo di Venezia è il più assurdo e tirannico dei governi” diceva “è fuor di dubbio che esso voleva profittare del momento in cui eravamo nel cuore della Germania per assassinarci : la nostra repubblica non ha nemici più accaniti, e Luigi XVIII non ha amici più devoti, la sua influenza ne sarà molto diminuita con la cessione all’Austria e ciò è a tutto nostro vantaggio: così si legherà l’imperatore d’Austria alla Francia e lo si si obbligherà a fare quanto ci farà comodo”di spiegazione in spiegazioneaparte finisce per confessare che ha firmato i preliminari di Leoben per salvare l’Armata d’Italia spintasi troppo nel cuore del territorio nemico , non mancando di addossarne la colpa al Direttorio e tornando a lamentarsi che le Armate di Hoche e di Moreau non si erano mosse per dargli man forte. Insomma il canonico tirare il sasso e nascondere la mano, questa risulta essere un’altra grande prerogativa dell’ambizioso e permaloso generale. Però ecco che il Generale Clarke, quello i cui tentativi di trattative con l’Austria erano stati stornati, proprio dall’iniziativa di Bonaparte, arrivò a Leoben nella notte del 20 aprile trentadue ore dopo la firma del trattato giudicandolo subito “un disastro” e lo stesso fecero nei giorni seguenti i membri del Direttorio la cui cessione di Venezia parve inaccettabile. Purtuttavia in ispecie nell’area più rivoluzionaria capeggiata da Barras e Reubell si fece strada l’idea dell’accettazione . Per un attimo solo per una attimo il Direttorio aveva intravisto l’inganno, ma poi si decideva di avallare i preliminari in nome di una ragion di stato con sottesa la speranza che la costituenda Repubblica Cisalpina potesse essere il baluardo di uno stato cuscinetto tra Francia ed Austria e addirittura potesse essere il prodromo di una Italia libera ed unita, un ulteriore grande Stato Nazionale secondogenito della Grande Rivoluzione. Va notato che in questo stesso periodo (aprile 1797) c’erano state elezioni nel Paese che avevano portato ad un rafforzamento dell’area moderata, quella in odore anche di Realismo e che faceva capo a Carnot, il quale nel maggio era riuscito a far nominare a Presidente del Direttorio il nuovo membro De Barthelemy; cio’ aveva quindi portato l’area più di sinistra degli altri tre membri Barras, Reubell e Larevallier ad accentuare la propensione verso l’area militare ed in particolare verso Bonaparte e quindi anche ai preliminari di Leoben e all’idea di costituzione di una nuova grande Repubblica nel nord Italia. Di tal guisa dalla negazione e il quasi interdetto, l’area di sinistra era passata in pochi giorni alla più entusiastica delle conferme ed anzi in più di una missiva si sollecitava Bonaparte perché organizzasse immediatamente la nuova repubblica senza neppure aspettare la conclusione del trattato definitivo. Tale portamento doveva accentuare a dismisura la incrinatura interna del Direttorio, ma intanto, dopo la firma del trattato tra Bonaparte e Venezia il 19 maggio che di fatto sanciva il passaggio all’Austria, proprio secondo le modalità che questa desiderava, sempre lui il grande condottiero ora si trasformava in un moderno Cincinnato, che dopo cotanto agire ricercava solo una pausa delle sue fatiche e quindi accettava l’offerta della potente famiglia Crivelli di ritirarsi a Mombello nella loro sontuosa villa per passarvi l’estate. Anche questo rientrava a tutto tondo di quel “costruire una parte” : dopo la fatica il riposo, si da confermare l’opinione generale che il trattato di pace con l’Austria spacciato per un grande successo era in realtà un trionfo di proporzione colossali per la Casa Imperiale. Ora abbiamo visto perché Barras Reubell e anche Revallier potessero essere indotti a cavalcare la tigre ed anzi a continuare a tessere le lodi del loro pupillo, ma Carnot e in parte anche il nuovo De Barthelemy che pure era il nuovo Presidente del Direttorio no. Carnot era troppo intelligente, troppo colto e troppo smaliziato ed esperto per cadere in una simile trappola proto mediatica; ho ipotizzato che probabilmente mai uno come lui possa essere stato coinvolto nella spregiudicata costruzione di un personaggio fittizio, diciamo pure teatrale, avendo preso il reale per una sorta di palcoscenico dove far muovere il burattino di turno. Se ci adesione ci fu, essa era stata dettata dall’ingente afflusso di beni nelle casse del Direttorio che in qualche modo compensavano l’andamento disastroso delle politiche economiche e finanziarie dello stesso Direttorio , anche se questo comportava, e di certo Lazare Carnot insigne matematico e per di più Generale lui stesso, addirittura il costruttore, l’organizzatore della macchina militare della Rivoluzione, lo sapeva meglio di qualsiasi altro. Però ora dopo il disastroso, anche se ben mascherato, esito di tutta la campagna d’Italia che consegnava all’Austria la regione più ricca e splendida d’Europa, in cambio di una repubblichetta gemella della Francia della cui influenza ancora non era dato ipotizzare alcunché e con una sorta di concessione Imperiale di non sbugiardare tutto l’andamento di quella stessa campagna, e far finta di passare per sconfitta, forse era il caso di non stare più zitto. Era ovvio e naturale che questo non stare più zitto si sarebbe appuntato in prima battuta proprio sulla più roboante delle mistificazioni : del fare di uno sconosciuto e anche inesperto generale un novello Cesare, di aver fatto passare delle scaramucce con retroguardie delle grandi vittorie , di cercare di far passare un cocente smacco diplomatico per un trionfale successo, ecco era questo, proprio questo che un parvenu come il generale Napoleone Bonaparte, l’attore di tutte queste recite, non avrebbe mai tollerato
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