domenica 11 febbraio 2024

DI PARA PATTA DA CARL SCHMIT

La parola greca che designa la prima misurazione, da cui derivano tutti gli altri criteri di misura; la prima occupazione di terra, con relativa divisione e ripartizione dello spazio,  la suddivisione e distribuzione originaria, è nomos. Questa parola, intesa nel suo significato originario, legato allo spazio, è quella che meglio si presta a rendere l’idea del processo fondamentale di unificazione di ordinamento e localizzazione. La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto. Ciò allude a una triplice radice dei concetti di diritto e di giustizia. In primo luogo la terra fertile serba dentro di sé, nel proprio grembo fecondo, una misura interna. Infatti la fatica e il lavoro, la semina e la coltivazione che l’uomo dedica alla terra fertile vengono ricompensati con giustizia dalla terra mediante la crescita e il raccolto. Ogni contadino conosce l’intima proporzione di questa giustizia. In secondo luogo il terreno dissodato e coltivato dall’uomo mostra delle linee nette nelle quali si rendono evidenti determinate suddivisioni. Queste linee sono tracciate e scavate attraverso le delimitazioni dei campi, dei prati e dei boschi. Nella varietà dei campi e dei terreni, nella rotazione delle colture e nei terreni a maggese, esse sono addirittura impiantate e seminate. E' in queste linee che si riconoscono le misure e le regole della coltivazione, in base alle quali si svolge il lavoro dell’uomo sulla terra. In terzo luogo, infine, la terra reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Famiglia, stirpe, ceppo e ceto, tipi di proprietà e di vicinato, ma anche forme di potere e di dominio, si fanno qui pubblicamente visibili. Così la terra risulta legata al diritto in un triplice modo. Essa lo serba dentro di sé, come ricompensa del lavoro; lo mostra in sé, come confine netto; infine lo reca su di sé, quale contrassegno pubblico dell’ordina-mento. Il diritto è terraneo e riferito alla terra. E' quanto intende il poeta quando, parlando della terra universalmente giusta, la definisce justissima tellus. Il mare invece non conosce un’unità così evidente di spazio e diritto, di ordinamento e localizzazione. E' vero che anche le ricchezze del mare, pesci, perle e altro, vengono ricavate dall’uomo con un duro lavoro, ma non — come accade per i frutti della terra — secondo un’intima proporzione di semina e raccolto. Nel mare non è possibile seminare e neanche scavare linee nette. Le navi che solcano il mare non lasciano dietro di sé alcuna traccia. « Sulle onde tutto è onda ». Il mare non ha carattere, nel significato originario del termine, che deriva dal greco charassein, scavare, incidere, imprimere. Il mare è libero. Questo significa, secondo il recente diritto internazionale, che il mare non costituisce un territorio statale e che esso deve restare aperto a tutti in modo. Una modalita’ preferenziata di comunicazione potrebbe essere quella di rivolgersi “a chi di ….” no, no!  non  “…di competenza” , ma piuttosto  “a chi di eguale” per tre ambiti tra loro molto diversi dell’attività umana, e cioè la pesca, la navigazione pacifica e la belligeranza. Così almeno si legge nei manuali di diritto internazionale. E' facile immaginare cosa diventi in pratica questo eguale diritto alla libera utilizzazione del mare nel momento in cui si crea una collisione nello spazio, quando ad esempio il diritto alla libera pesca o il diritto di un neutrale alla navigazione pacifica si scontra con il diritto di una forte potenza marittima alla libera belligeranza. La medesima superficie di mare, egualmente libera per queste tre attività, dovrebbe allora diventare allo stesso tempo lo scenario e il campo d’azione sia di un lavoro pacifico, sia dell’attività bellica propria di una moderna guerra marittima. Allora il pacifico pescatore può pescare pacificamente proprio nel punto in cui la potenza marittima belligerante è libera di piazzare le sue mine, mentre il neutrale può navigare liberamente proprio là dove i belligeranti possono annientarsi reciprocamente con mine, sommergibili e aerei. Tutto ciò però riguarda già problemi tipici di una situazione moderna complessa. Originariamente, prima della fondazione di grandi imperi marittimi, il principio della libertà del mare sanciva qualcosa di molto semplice: cioè che il mare costituisce una zona libera, di libera preda. Qui il corsaro, il pirata, poteva svolgere il suo malvagio mestiere in buona coscienza. Se aveva fortuna, trovava in una ricca preda la ricompensa per la rischiosa impresa di essersi avventurato nel mare libero. Il termine pirata deriva dal greco peiran, che significa provare, tentare, osare. Nessuno degli eroi di Omero si sarebbe vergognato di essere figlio di un simile pirata che sfida con audacia la propria fortuna. In mare aperto non vi erano infatti né recinzioni né confini, né luoghi consacrati né localizzazione sacrale [sakrale Ortung], né diritto né proprietà. Molti popoli rimanevano sulle montagne, lontano dalle coste, senza perdere mai l’antico pio timore del mare. Virgilio profetizzò nella quarta egloga che nell’età felice che stava per giungere la navigazione non sarebbe più esistita. Anzi, in un testo sacro della nostra fede cristiana, l’Apocalisse di san Giovanni, leggiamo della nuova terra, purificata dal peccato, che su di essa non ci sarà più mare: ή θάλασσα ούκ έστιν ετι. Anche molti giuristi appartenenti a popoli di terra conoscono questo timore del mare. Esso si ritrova ancora in certi autori spagnoli e persino portoghesi del XVI secolo. Un famoso giurista e umanista italiano di questo periodo, Alciato, sostiene che la pirateria è un crimine con circostanze attenuanti. « Pirata minus delinquit, quia in mari delinquit». In mare non vale alcuna legge. Solo con la nascita di grandi imperi marittimi o, secondo l’espressione greca, talassocrazie, anche in mare si stabilirono sicurezza e ordine. Coloro che turbavano l’ordine così stabilito decaddero allora al rango di comuni delinquenti. Il pirata venne dichiarato nemico del genere umano, hostis generis humani. Ciò significa che fu espulso e bandito dai sovrani degli imperi marittimi, privato di ogni diritto e proscritto senza tregua. Simili estensioni del diritto nello spazio del mare libero sono avvenimenti della storia universale di portata rivoluzionaria. Le definiremo occupazioni di mare. Gli Assiri, i Cretesi, i Greci, i Cartaginesi e i Romani nel Mediterraneo, gli Anseatici nel Mar Baltico, gli Inglesi su tutti i mari, hanno « occupato il mare » in questo modo. «The sea must be kept», il mare deve essere occupato, così si esprime un autore inglese. Ma le occupazioni di mare diventeranno possibili solo in uno stadio successivo dello sviluppo dei mezzi di potere a disposizione dell’uomo e della coscienza umana dello spazio.I grandi atti primordiali del diritto restano invece localizzazioni legate alla terra. Vale a dire: occupazioni di terra, fondazioni di città e fondazioni di colonie. In una definizione medioevale delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, ripresa nella prima parte del famoso Decre-tum Gratiani (attorno al 1150), è indicata con estrema concretezza l’essenza del diritto internazionale: «Jus gentium est sedium occupatio, aedificatio, munitio, bella, captivitates, servitutes, postliminia, foedera pacis, induciae, legatorum non violandorum religio, connubia inter alienigenas prohibita». Ciò significa letteralmente: il diritto internazionale è occupazione di terra, fondazione di città, fortificazione, guerre, prigionie, servitù, illibertà, ritorni dalla prigionia, alleanze e trattati di pace, armistizi, inviolabilità degli ambasciatori e divieti di contrarre matrimonio con stranieri. L’occupazione di terra compare al primo posto. Del mare non si fa menzione. Nel Corpus Juris Justiniani (ad esempio Dig., De verborum significatione, 118) si trovano definizioni simili, nelle quali si parla di guerre, di diversità tra popoli, di imperi e di confini, e soprattutto del commercio e del traffico (commercium) quale essenza del diritto internazionale. Varrebbe la pena di confrontare e di considerare su un piano storico le singole componenti di tali definizioni. Sarebbe comunque più sensato che non richiamarsi alle astratte definizioni concettuali, conformate a cosiddette norme, che si trovano nei moderni manuali. Quella sommaria elencazione medioevale è tuttora istruttiva, ed è la definizione più concreta di ciò che chiamiamo diritto internazionale. Alle occupazioni di terra e alle fondazioni di città è infatti sempre legata una prima misurazione e ripartizione del suolo utilizzabile. Nasce così un primo criterio di misura che contiene in sé tutti i criteri successivi. Esso resterà riconoscibile fìntanto che la costituzione rimarrà riconoscibilmente la stessa. Ogni successiva relazione giuridica con il suolo del territorio ripartito dalla tribù o dal popolo occupante, ogni istituzione di una città protetta da mura o di una nuova colonia sono determinati da questo criterio originario di misura, e ogni giudizio ontonomo, ontologicamente giusto, procede dal suolo. Limitiamoci quindi dapprima ad un esame dell’occupazione di terra in quanto atto primordiale che istituisce diritto. All’inizio della storia dell’insediamento di ogni popolo, di ogni comunità e di ogni impero sta sempre in una qualche forma il processo costitutivo di un’occupazione di terra. Ciò vale anche per ogni inizio di un’epoca storica. L’occupazione di terra precede l’ordinamento che deriva da essa non solo logicamente, ma anche storicamente. Essa contiene in sé l’ordinamento iniziale dello spazio, l’origine di ogni ulteriore ordinamento concreto e di ogni ulteriore diritto. Essa è il « mettere radici » nel regno di senso della storia. Da questo radicai title derivano tutti gli altri rapporti di possesso e di proprietà: proprietà comune o individuale, forme di possesso e di godimento pubbliche o private, di diritto sociale e internazionale. Da questa origine trae nutrimento — per usare le parole di Eraclito — tutto il diritto seguente e tutto ciò che in seguito sarà ancora emanato mediante atti di posizione e comandi. Anche la storia del diritto internazionale fino ad oggi conosciuta è una storia di occupazioni di terra. Ad esse si sono aggiunte in determinate epoche le occupazioni di mare. Il nomos della terra si fonda così su un rapporto determinato tra terraferma e mare libero. Oggi i concetti di terraferma e di mare libero sono stati entrambi profondamente trasformati, tanto nel loro significato intrinseco, quanto nel loro rapporto reciproco, da un nuovo avvenimento spaziale: la possibilità di un dominio sullo spazio aereo. Cambiano non solo le dimensioni della sovranità territoriale, non solo l’efficacia e la rapidità dei mezzi umani di potere, di comunicazione e di informazione, ma anche i contenuti dell’effettività. Quest’ultima possiede sempre un aspetto spaziale e rimane sempre, tanto nel caso delle occupazioni di terra e delle conquiste, quanto nel caso delle barriere e dei blocchi, un importante concetto di diritto internazionale. Muta inoltre, in seguito a ciò, anche la relazione tra protezione e obbedienza, e quindi la struttura del potere politico e sociale stesso, e il rapporto tra questi e altri poteri. Ha inizio così un nuovo stadio della coscienza umana dello spazio e dell’ordinamento globale.Tutti gli ordinamenti preglobali erano essenzialmente terranei, anche se comprendevano domini marittimi e talassocrazie. Il mondo originariamente terraneo venne trasformato nell’epoca delle scoperte geografiche, quando la terra fu per la prima volta compresa e misurata dalla coscienza globale dei popoli europei. Nacque con ciò il primo nomos della terra. Esso si fondava su un determinato rapporto tra l’ordinamento spaziale della terraferma e l’ordinamento spaziale del mare libero, e fu portatore, per quattro-cento anni, di un diritto internazionale eurocentrico, lo jus publicum Europaeum. A quel tempo, nel XVI secolo, fu l’Inghilterra che osò muovere il primo passo da un’esistenza terranea a un’esistenza marittima. Un passo ulteriore venne compiuto con la Rivoluzione industriale, nel corso della quale la terra fu nuovamente compresa e misurata. E' essenziale il fatto che la Rivoluzione industriale fosse partita dal paese che aveva portato a termine il passaggio a un’esistenza di tipo marittimo. È questo il punto che permette di avvicinarci al segreto del nuovo nomos della terra. Fino ad oggi un solo autore, Hegel, si era approssimato a questo arcanum; citiamo pertanto le sue parole al termine di questo corollario: « Come per il principio della vita familiare è condizione la terra e la salda proprietà fondiaria, così per l’industria è il mare l’elemento naturale che la vivifica e le dà impulso verso l’esterno ». Questa citazione è estremamente significativa al fine di prognosi ulteriori. Ma prima di tutto dobbiamo prendere atto di una differenza elementare. Non è infatti la stessa cosa se la struttura di un mondo industrializzato e tecnicizzato, che l’uomo costruisce sulla terra con l’aiuto della tecnica, assuma quale propria base un’esistenza terranea o invece un’esistenza marittima. Oggi sembra d’altra parte già possibile pensare che l’aria divori il mare e forse persino la terra, e che gli uomini stiano trasformando il loro pianeta in una combinazione di depositi di materie prime e di portaerei. Vengono quindi tracciate nuove linee di amicizia al di là delle quali cadono bombe atomiche e all’idrogeno. Malgrado ciò noi continuiamo a nutrire la speranza di riuscire a penetrare il regno di senso della terra, e che siano gli spiriti pacifici a possedere il regno della terra.

 

 

 

 

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