sabato 7 dicembre 2024

C'ERANO UNA VOLTA GLI ALPINI

 

Ecco lo vedete questo alpino che ebbi modo di conoscere personalmente nel 1963 ad un raduno degli alpini a Milano : credo sia l’unica persona al mondo che si sia visto dedicare un monumento da vivo, e che monumento : quello di un massiccio alpino, lui appunto, che solleva un enorme masso per lanciarlo contro i nemici che in un furioso combattimento stavano oramai conquistando un ridottino  denominato “Ridotta Lombardia”  in Cirenaica,  precisamente presso Derna nella notte tra l’11 e il 12 febbraio  1912 -  azione, dettata dal fatto che i difensori del ridottino erano rimasti senza munizioni e stavano oramai soccombendo, quando quell’alpino che era in quell’ottobre di tanti anni dopo, li’ avanti a me in totale  ammirazionecon  un bel bicchiere di vino,  a raccontare ancora una volta quel suo  impulsivo gesto di utilizzare i grandi massi come estrema difesa contro gli assalitori,  gesto che fu  presto imitato dagli altri commilitoni del btg, Edolo del 
5° alpini, e che
 porto’ al respingere il nemico e salvare così la posizione. La medaglia d’argento col suo un po’ stinto nastrino azzurro  spiccava sul bavero della giacca del vecchio signore che aveva una lunghissima  barba a due punte  facendolo somigliare ad un personaggio preso da qualche antica favola, e per la verita’ mi venne da pensare che quella sola medaglia d’argento era ben poca cosa per uno che aveva segnato una così eroica reazione, addirittura inscritta nella pietra di un monumento;  altro che la stampella di Enrico Toti che nessuno, a pensarci bene,  avrebbe mai potuto notare nella enorme confusione di un attacco sul Carso (ho anzi letto da qualche parte a proposito del gen.Cigliana, comandante dell’XI Corpo d’armata, unita’ che assieme al VI Corpo di Capello in  quell’agosto del 1916 stava avanzando nell’ambito dell’offensiva verso Gorizia, che mentre stava esaminando l’entita’ dei caduti verso la zona di quota 85 sopra Monfalcone, un ufficiale gli fece “e qui pare sia anche morto, sa quel bersagliere senza una gamba, di cui molti anche la stampa hanno parlato, certo Enrico Toti, non un militare effettivo, ma una specie di mascotte, andava all’assalto assieme alle truppe combattenti con la stampella  ….”  “come come ? “pare ribadisse il Generale “e me lo dice così? -  quella stampella… diamine facciamo lanciaglierla in faccia al nemico” ”Ma signor generale” osservo’ il subalterno “ chi vuole che possa aver fatto caso nel corso di un assalto di migliaia di uomini, con gli shrapnels, le pallottole, i gas, alla  stampella di un singolo, tra l’altro neppure un militare di linea?” “Ci abbiamo fatto caso noi! “ Sentenzio’ imperioso il Generale “mi trovi il comandante del reparto dove questo Toti si appoggiava e gli faccia preparare la motivazione di una medaglia d’oro al valor militare sul campo”) - come Enrico Toti probabilmente anche tante altre medaglie d’oro con motivazioni quanto mai stiracchiate e spesso e volentieri anche inventate, magari ecco in relazione al grado e all’importanza del personaggio in questione. Ricordavo che anni prima quando ero alle elementari la maestra Mari-
nelli ci porto’ ad una conferenza di un grande mutilato di guerra Carlo Delcroix cieco e
  senza mani, e rimasi stranito che anche lui avesse solo la medaglia d’argento, mentre mi pareva che altri che l’avevano avuta d’oro non avessero poi questi grandi meriti in piu’;  anche Menini il cte del battaglione alpini d’africa fu decorato solo di medaglia d’argento mentre un suo sottoposto e non altrettanto conosciuto come nome, anzi quasi del tutto  sconosciuto ai piu’, il capitano Pietro Cella, la ebbe d’oro. Diciamo che puo' esserci una sorta di fortuna anche nella concessione delle medaglie, a volta in crescendo , ma a volte anche a decrescere di  valore Questa pero’ dell’alpino Antonio Valsecchi da Civate (Como)  cl.1888divenuto poi Sergente  era forse la piu’
eclatante;  c’era li’ in piena Milano il monumento in bronzo che lo rappresentava  scolpito dallo scultore Emilio Bisi nel 1914, e ristrutturato nel 1948,  di cui negli anni successivi ne avrebbero eretto altre copie a Merano (1938) a Edolo (1954), quindi un qualcosa di estremamente concreto quasi un aggiornamento dell’oraziano “Exsegi monumentum aere perennius,,,,” perche’ qui oltre al bronzo del monumento  c’era il personaggio  vivente che parlava e scherzava, e poteva infiammare noi che gli eravamo dappresso e in ispecie un ragazzetto come me, innamorato della storia militare, di quella degli alpini in particolare per una questione di familiarita’ stante l’appartenenza a tale Corpo del proprio nonno e omonimo Mario Nardulli cl. 1888, come Valsecchi ma che non era vissuto cosi’ a lungo. Per quel che ne ho saputo Antonio Valsecchi mori’ due anni dopo quell’incontro nel 1965 a settantasette anni, ma di certo nessuno piu’ di lui ha incarnato l’eroismo così come me lo ero costruito io nella mia familiarita’ con la figura di mio nonno, anche lui alpino, anche lui con quella medaglia d’argento  che non esauriva e forse neppure testimoniava adeguatamente tutto il vissuto di un eroismo che magari poteva anche rifarsi alla teoria di Junger 
sull'idealismo eroico ed anche alle concezioni in tal senso di Evola. Il punto e’ che in quell’ottobre del 1963 tutto in me  aveva come una interazione, che saltellava a mo’ di diavoletto di Maxwell tra il monumento e il personaggio, una sorta di applicazione di “vis viva” leibneziana nel calcolo infinitesimale, per la misurazione non di uno stato, ma di un flusso,  in cui si muovevano limiti, derivate e integrali, frammentandosi in tanti cammini che erano tutte possibilita’ di realizzare la probabilita’ piu’ opportuna. Discorso molto complesso e presa di posizione su di  una certa direzione, suscettibile pero’ di grande cambiamento, un cambiamento  indotto da fatti esterni, dall'evoluzione ovviamente in peggio della situazione sociale (quindi una involuzione, una decadenza) venuta in luce quasi improvvisamente,  quasi sessant’anni dopo (2020)  quando i metri di giudizio a causa di una diversa
Junger e Evola
emergenza avevano cambiato i termini del contendere : il cammino eroico di Junger ed Evola che era stato anche il mio, specie nella giovinezza, che avevo respirato nella casa di via Nicolo’ V alimentato da sciabole, medaglie, cappello d’alpino con penna bianca (mio nonno dopo la seconda guerra mondiale era stato nominato
 Colonnello del Ruolo d’Onore) tempestata dei segni di rossetto dei baci delle ragazze come si addice ad un vecio, ora assumeva tutt’altri parametri, il cappello con la penna bianca senza segni di rossetto e tutto azzimato, senza pieghe e rientri, con l’aquila generalizia bordata rosso e tre stelle stava dalla parte della paura, del conformismo, del pecoronismo, mentre l’eroismo quello vero, quello che rievocava il masso di  Antonio Valsecchi, era dalla parte di un
uomo 
che correva sulla spiaggia a fronte mare per sfuggire alle infami persecuzioni del potere e dei suoi servi e volenterosi carnefici.  Eroismo e liberta’, senza neppure quella modesta attestazione di riconoscimento, ma un atto degno, anzi superiore a tutte le Medaglie d’oro,Victorie cross, Legion d’Onore, Pour le meriteproprio come il monumento di Valsecchi, che nella fattispecie  si fadinamico e assume l'aspetto dei passi di corsa
del fuggitivo che merita un elogio con il titolo del libro di un famoso saggio di Henry Laborit "Elogio della fuga" che puo ' divenire la piu' alta forma di eroismo, non un idealismo eroico, ma un vero e proprio òpragmatismo eroico 
 

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