martedì 29 luglio 2025

TERRA MARE E NOMOS

 

Mi e' gradito rifarmi ad uno dei testi che maggiormente condizionano il mio pensiero in termini geopolitici:  dopo la entusiasmante lettura del libello Terra Mare di Carl Schmitt ove per la prima volta  e' stato identificato con ferma chiarezza e dovizia di particolari e dettaglio il tema della polarita' di influenza sul mondo dei vari Paesi e culture che si sono avvicendate nella storia del nostro pianeta, passo ad un approfondimento di tale tema nel successivo studio dello stesso autore  dal titolo emblematico "Il Nomos della terra" e per farlo mi serviro' delle parole stesse dell'autore piu' o meno chiosate quando ne ritengo opportuno.  Nella prospettiva dello jus publicum Europaeum ogni terra del globo è un territorio statale europeo o un territorio ad esso equiparato, oppure una terra liberamente occupabile, vale a dire un territorio statale (o colonia) potenziale. Nel secolo XIX si svilupparono per i paesi semicivilizzati o esotici forme giuridiche particolari, comprendenti l’extraterritorialità degli Europei e la giurisdizione consolare, il mare rimase però al di fuori di ogni ordinamento spaziale specificamente statale. Esso non è né territorio statale, né spazio coloniale, né zona occupabile. E' dunque libero da ogni tipo di autorità spaziale dello Stato. La terraferma viene suddivisa secondo chiare linee di confine in territori statali e spazi di dominio. Il mare non conosce altri confini che quelli delle coste. Esso rimane l’unica superficie spaziale libera per tutti gli Stati e aperta al commercio, alla pesca e al libero esercizio della guerra marittima e del diritto di preda, senza preoccupazioni di vicinato o di confine geografico. L’ordinamento eurocentrico del mondo, sorto nel secolo XVI, risulta così suddiviso in due diversi ordinamenti globali: della terra e del mare. Per la prima volta nella storia dell’umanità la contrapposizione di terra e mare diventa il fondamento universale di un diritto internazionale globale. Ora non si tratta più di bacini di mare, come il Mediterraneo, l’Adriatico o il Baltico, ma dell’intero globo terrestre, geograficamente misurato.Questa contrapposizione, del tutto
nuova, di terra e mare determinò l’immagine complessiva di uno jus publicum Europaeum che cercava di estendere il proprio nomos ad una terra scoperta dall’Europa e conosciuta scientificamente. Qui stanno pertanto l’uno di fronte all’altro due ordinamenti universali e globali, il cui rapporto non può essere ricondotto a quello esistente tra diritto universale e particolare. Ognuno di essi
è universale. Ognuno possiede il proprio concetto di nemico, di guerra e di preda, ma anche di libertà. La grande risoluzione complessiva del diritto internazionale dei secoli XVI e XVII culminò dunque nell’equilibrio tra terra e mare, nel confronto tra due ordinamenti che solo nella loro coesistenza piena di tensioni determinavano il nomos della terra L’elemento di congiunzione tra i due diversi ordinamenti della terra e del mare fu un’isola, l'Inghilterra. Di qui si spiega la singolare posizione inglese nei confronti del diritto internazionale europeo. Solo l’Inghilterra riuscì a passare da un’esistenza feudale e terranea medioevale a un’esistenza puramente marittima, in grado di bilanciare l’intero mondo terraneo. La Spagna rimase troppo legata alla terra e, malgrado il proprio impero d’oltreoceano, non si potè affermare quale potenza marittima. La Francia divenne uno Stato nel significato classico della parola, decidendosi per la forma spaziale specificamente territoriale della sovranità statale. L’Olanda si sarebbe « interrata » in seguito alla pace di Utrecht (1713). Al contrario di queste sue rivali, l’Inghilterra non era così profondamente implicata nella politica e nelle guerre europee di terraferma. Era, come sostiene John Robert Seeley, « the least hampered by the old world ». Portando a compimento il passaggio ad un’esistenza marittima, essa determinò il nomos della terra dalla prospettiva del mare.L’Inghilterra divenne dunque la portatrice di una visione marittima universale dell’ordinamento euro-centrico, custode dell’altro aspetto dello jus publicum Europaeum, signora dell’equilibrio di terra e mare: un equilibrio che comportava l’idea di un ordinamento spaziale caratteristico di questo diritto internazionale. L’isola britannica restò parte di quell’Europa che costituiva il centro dell’ordinamento planetario, ma nello stesso tempo si staccò dal continente europeo venendo a costituire una posizione storica intermedia, grazie alla quale fu per oltre tre secoli of Europe, not in Europe. Il grande equilibrio di terra e mare produsse un equilibrio tra gli Stati continentali, ma impedì contemporaneamente un equilibrio marittimo tra le potenze di mare. Si ebbe pertanto un equilibrio continentale, ma non un equilibrio marittimo. Non si deve tuttavia per questa circostanza sottovalutare quel grande equilibrio di terra e mare che consentì il nomos di una terra dominata dall’EuropaGli Inglesi del XV secolo erano stati in parte cavalieri che facevano bottino in Francia, in parte pastori che commerciavano la lana con le Fiandre. Solo dalla metà del secolo XVI in poi apparvero su tutti gli oceani del globo i pirati inglesi, i quali realizzarono le nuove libertà: in primo luogo le linee d’amicizia e la grande conquista territoriale, e quindi la nuova libertà dei mari, che divenne per loro un’unica grande conquista di mare. Essi aprirono la strada alla nuova libertà dei mari, che era una libertà essenzialmente non statale. Erano i partigiani del mare in un’epoca di transizione nella lotta tra potenze cattoliche e protestanti. Che cosa possono mai significare i concetti di res omnium o di res nullius, riferiti al mare? Ancora nell’ultima esposizione sistematica del diritto internazionale dei mari, la già menzionata opera di Gilbert Gidel, noi troviamo una controversia tra questo esperto francese e l’inglese Sir Cecil Hurst sulla questione se il mare debba essere considerato res omnium o res nullius. L’inglese è dell’opinione che il mare sia res omnium, il francese propende per la res nullius.Non si può dire che i re inglesi, gli uomini di Stato e i giuristi dei secoli XVI e XVII abbiano avuto una distinta consapevolezza di questo stato di cose. La politica inglese ufficiale dei secoli XVI e XVII ha a lungo zigzagato in direzioni diverse e non offre pertanto in alcun modo l’immagine di
una svolta rapida e
consapevole verso il mondo del mare libero. Allo stesso modo in cui solo verso la fine del secolo XVII l’Inghilterra arrivò alla decisione definitiva contro l’assolutismo monarchico e per una estesa tolleranza confessionale, altrettanto lentamente e senza piani prestabiliti arrivò a rappresentare la parte del mare sulla scena dei grandi contrasti tra mondo terraneo e mondo marittimo. Al governo della regina Elisabetta poté seguire ancora un secolo intero di Stuart cattolicizzanti. Il fanatismo religioso di vaste masse, che spingeva a questa decisione, venne in luce soltanto nel corso della rivoluzione puritana. Le istituzioni medioevali rimasero assai più conservatrici che sul continente. Una parte importante delle acquisizioni coloniali in America fu costruita in base al modello feudale del conferimento di terra effettuato dal re o dalla regina. Il parlamento, di derivazione medioevale, affermò solo dopo molte oscillazioni il proprio potere. Tanto i Tudor che gli Stuart poterono arricchirsi, con la miglior coscienza, grazie ai tesori predati dai propri corsari, e così il loro intero popolo. Ma le espressioni del linguaggio ufficiale nei confronti della Spagna e del Portogallo rimasero le stesse. Esse non vanno oltre le formule giusnaturalistico-scolastiche o giuscivilistiche romane, come quelle che erano state usate da Vitoria e da altri per un’intera generazione. Quando la regina d’Inghilterra aveva proclamato nel 1580, in occasione di una dichiarazione all’ambasciatore spagnolo, in seguito più volte citata, che il mare e l’aria sono liberi all’uso comune di tutti gli uomini, questa dichiarazione era — sia nell’argomentazione, sia nello stile linguistico - del tutto identica a diverse altre simili profferite dai re francesi nel secolo XVI. Malgrado ciò, la decisione inglese per l’elemento del mare fu più grande e più profonda del decisionismo, pur concettualmente chiaro, della statalità continentale. L’isola divenne il veicolo del mutamento spaziale verso un nuovo nomos della terra, e persino  potenzialmente il campo in cui si sarebbe verificato il balzo successivo nella totale perdita di luogo della tecnica moderna.

 

 

 

 

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