sabato 5 settembre 2020

ARCHE' - TECHNE (la tecnica del principio)

 


Lo diciamo continuamente no? “Architetto!!! cosa ne pensa di questo ambiente? “lei non sposterebbe quella parete?” e quel muro? Come lo vede?” architetto di qua, architetto di là, un titolo che ci introduce in un mondo dove il costruire si sposa all’artisticità, ed anche, questo forse di più qualche decina d’anni fa qul’estetica, la ricerca del bello faceva ancora parte della nostra società, e delle nostre case:  la ricerca di un decoro, di un arredo che dal’ambiente veniva spostato all’urbano, addirittura al territorio. Architetto e architettura, il pensiero va subito al Rinascimento: Brunelleschi, la prospettiva, S.Maria del Fiore, Michelangelo la cupola di San Pietro , e vai con Bernini e Borromini, il Barocco, la mano della fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona del primo  che sembrava dire “casca!!!” in merito ad un’altra cupola quella di Sant’Agnese, opera del Borromini che l’aveva disposta direttamente sopra la facciata. Eh si! la rivalità tra due grandi architetti era di prammatica nell’immaginario dell’epoca e anche di oggi, salvo a scoprire che la fontana  di Bernini è posteriore alla Chiesa, e quindi come spesso accade, la rivalità è solo di fantasia come in altri specifici, quella di Mozart e Salieri nella musica, o per arrivare quasi ai nostri giorni Coppi e Bartali, Mazzola o Rivera, negli sport. Diciamolo francamente, quando si pensa al termine di architetto si fa subito associazione a termini del fare costruttivo: “l’arco?”, ecco si! Quello dei romani, acuto, a tutto sesto e poi  “il tetto?”, le falde, i coppi, le tegole, c’è cosa che dia di più l’idea  dell’edilizia? Niente vero? E allora eccolo lì, bello che confezionato il titolo di un professionista del costruire, forse ancora più attinente di quello dell’ingegnere che magari va a coprire più campi e difatti si differenzia nelle diverse applicazioni, o anche di quello del geometra, che quasi nessuno pensa più all’iscrizione dell’Accademia di Atene “qui non si entra se non si è geometri” ma e’ visto come  un tecnico specializzato, dove la misurazione della terra induce a ben poca artisticità, e anche a pochissima filosofia. Architetto e architettura sembrano etichettati nominalisticamente ad hoc nel fare costruttivo…peccato che sia un grossolano abbaglio! Il termine “archi” non si riferisce affatto all’arco, romano o non romano, ma al termine greco “archè” che significa “origine, principio” e in quanto al “tetto” non ci sono ne coppi alla romana, né tegole alla marsigliese, ma la parola si rifà al termine, sempre del greco antico “Technè” che significava indifferentemente “tecnica” e “arte” …Architettura  = tecnica o arte del principio, dell’inizio!   A monte proprio a monte, ma a livello di leggenda, di Mito, che come è noto “è contro la storia” sta il furto di Prometeo, furto agli dei, della scintilla di fuoco che  giustappunto inaugura l’epoca della tecnica (technè), ma inaugura anche una nuova modalità di rapportarsi col mondo, una modalità anche temporale, perché con quel furto e con quello strumento, l’uomo non soggiace più al tempo ciclico quello dell’eterno ritorno, il giorno e la notte, il caldo e il freddo, il chiaro e lo scuro, le stagioni, ma è lui in qualche modo a decidere, proprio onorando l’azione ma anche il nome del suo primo campione Prometeo che letteralmente significa “colui che pensa prima, in anticipo  (particella “pro” e participio del verbo “mantano” : methes. Forse non tutti  conoscono la storia di quel furto diciamo così “obbligato” Zeus più che soddisfatto del mondo che aveva creato con tutte le cose, la natura, gli alberi, i fiori, gli animali, tutto e tutti  ben inscritti in un ordine precostituito, fatto di nascita, crescita, cibo, tana, procreazione, istinto, in cui ogni essere restava inscritto , aveva incaricato il titano Epimeteo, fratello maggiore di Prometeo (la particella “epì in greco significa dopo, quindi letteralmente Epimeteo è colui “che pensa dopo”) di dare però una collocazione all’ultima sua creazione: l’uomo per il quale non riusciva proprio a pensare a niente che lo soddisfacesse. Essendo “colui che pensa dopo” Epimeteo non aveva fatto altro che constatare la perfetta  armonia di tutto il creato, senza però riuscire a trovare alcunché per l’uomo, ed ecco allora che Zeus aveva passato l’incarico a Prometeo. Si sa come era andata a finire, il furto, la collera divina, la roccia del Caucaso, l’aquila, insomma “Il Prometeo incatenato” un qualcosa sommamente espresso nella celebre tragedia di Eschilo “Agli estremi confini eccoci giunti già della terra, in un deserto impervio tramite de la Scizia. Ed ora, Efèsto, compier tu devi gli ordini che il padre a te commise: a queste rupi eccelse entro catene adamantine stringere quest’empio, in ceppi che non mai si frangano: ch’esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco padre d’ogni arte, t’involò, lo diede ai mortali. Ai Celesti ora la pena paghi di questa frodolenza, e apprenda a rispettar la signoria di Giove, a desister dal troppo amor degli uomini.   Che Zeus si fosse terribilmente infuriato ce lo conferma anche Platone che ci riporta un altro Mito/leggenda: l’uomo prima che  quel furto di Prometeo fosse perpetrato, non era ancora diviso in maschio e femmina, ma era un tutt’uno “amphiteroi” un essere “rotondo” e perfettamente sufficiente a se’ stesso, ma dopo aver fatto incatenare Prometeo alla roccia del Caucaso, Zeus afferò un coltello e divise a metà quell’essere, una parte maschile e una femminile “ecco!” Sentenziò “ora voi sarete costretti incessantemente a ricercare la parte mancante di voi, ma non vi illudete non ci riuscirete mai” e in proposito incaricò  Eros di infondere eternamente quel desiderio di ricongiunzione, destinato a non realizzarsi mai. C’è in questo secondo Mito, la perenne diatriba tra  dia-ballein ( il prefisso “dia” significa disgiunzione, separazione) e “sum-ballein” (ove “il prefisso “sum”  denota unione ) mentre il verbo “ballein” sta per operare, agire, essere in ballo. Tra queste due opposte istanze, l’uomo (e la donna) avrebbero trascorso la loro vita, ma avvalendosi oramai di quella nuova modalità temporale del pensare prima, in anticipo, del pro-gettare, che Prometeo con quel furto agli dei aveva oramai loro assicurato.Promèteo. A rigore potremmo dire che è Prometeo il primo “architetto” e difatti nel proseguo della tragedia di Eschilo ne abbiamo conferma, non solo per aver donato loro il fuoco e un altro tempo, ma anche per aver loro indotto lo spirito del muoversi in questo nuovo tempo, come spiega esaurientemente al “Coro” che gli domanda di quella sua pena:  “Dal fissare il destin distolsi gli uomini. “CORO: Quale farmaco a tal morbo trovasti?” Promèteo: Nei lor petti albergai cieche speranze. “CORO: Gran beneficio fu questo per gli uomini”. “Promèteo: Ed oltre a questo, il fuoco a lor donai. “CORO: Il fuoco, occhio di fiamma, ora posseggono? “Promèteo: E molte arti dal fuoco apprenderanno. “CORO: E Giove, dunque, per queste ragioni… “Promèteo: Cosí m’offende, e il furor suo non placa “   Nel progettare , nel pensare in anticipo, c’è sempre difatti un alto grado di aleatorietà, non a caso il greco antico utilizza sempre un termine correlato a tale temporalità : il “Kairos”, che tradotto suona come “il tempo opportuno” e a cui viene correlata l’immagine del tiro con l’arco: una freccia può centrare il bersaglio, ma può anche mancarlo e su questo iato è fondata la efficacia del “pensare prima” che si avvale si della  Technè intesa come tecnica, ma deve anche assumere su di sé le peculiarità dell’arte, ovvero di una grande abilità, che consentirà di centrare il bersaglio  Ecco in tal senso il sermone di Eschilo /Prometeo “E dirò non per muovere agli uomini alcun biasimo; ma la benignità mostrare io voglio dei doni miei. Ché prima, essi, vedendo non vedevano, udendo non udivano; e simili alle vane ombre dei sogni, quanto era lunga la lor vita, a caso confondevano tutto. E non sapevano né case solatie, né laterizi, né lavorare il legno. E a guisa d’agili formiche, in fondo a spechi dimoravano, sotterra, senza sole. E segno alcuno che distinguesse il verno non avevano, né la fiorita primavera, né la pomifera estate: ogni loro opera senza discernimento era, sin che sperti li resi a consultar le stelle, e il sorger loro ed i tramonti arcani. E poi rinvenni, a lor vantaggio, il numero, somma fra le scïenze, e le compagini di lettere, ove la Memoria serbasi, che madre operatrice è de le Muse. Sotto i gioghi primo io le fiere avvinsi, obbedïenti ai basti e ai soggóli, perché ministre a l’uomo succedessero nei piú duri travagli; e sotto i cocchi spinsi i cavalli docili a la briglia, fulgidi fregi al fasto. E niuno i cocchi dei marinai prima di me rinvenne, ch’errano in mare, ch’ali hanno di lino. “ Più tecnica del principio di questa????? E difatti  anche se il nome di Prometeo è andato perduto nella sua associazione all’architettura, non è andato perduto  quel certo spirito verso il simbolico, quel cercare di ri-mettere insieme le cose, che la natura, lo stesso essere cercano di separare, e gioco forza ecco il costituirsi di sette, di associazioni a impronta sacerdotale, per i detentori di una tecnica e di un’arte che assurgono a sapere, correlate al fattore, forse più importante, quello del costruire, non solo case, luoghi dove poter vivere, dove poter contrarre abitudini, ma luogo d’elezione per l’associazione di individui, sempre più complessa, sempre più variegata, un villaggio, un paese, una città, un territorio , la stessa civiltà.Una delle prime sette in tal senso, anzi per quel che mi consta, la prima in assoluta  è la Massoneria anche detta “Libera Muratoria” e qui il riferimento ad un qualcosa che è l’essenza stessa del costruire è assodata. Attenzione però sulla massoneria   ci sono diverse interpretazioni : quella ufficiale e che in genere siamo portati ad assumere come storica  che ne vede la nascita in Inghilterra nel XVI secolo, con le caratteristiche  e peculiarità fin troppo enfatizzate di pura società segreta e elitaria, fatta di simbologie e rituali che hanno fatto la fortuna di innumerevoli opere romanzate e anche di film e soprattutto con l’appartenenza ad essa, più o meno accreditata,  di personaggi di assoluta notorietà e importanza. In questa versione diciamo così ufficiale, in effetti sfuma il riferimento a quell’Archè  cui abbiamo fatto cenno, ma in quella meno accreditata ma più rispondente al principio del sacerdozio correlato al costruire , ecco che la Massoneria come Libera Muratoria affonda la sua storia  in un passato molto più remoto, che per una quasi comodità referenziale viene rappresentato dal Tempio di Salomone ….gli architetti signori del tempo progettuale, sono anche i Signori del Tempio più famoso dell’antichità. Ma chi sono questi architetti? Il nome che balza subito in evidenza è quello di Hiram sul quale questa tradizione di libera muratoria si fonda, che preferì lasciarsi uccidere piuttosto che rivelare i suoi segreti a dei profani, ma ecco che anche nelle leggende le cose si complicano, come abbiamo visto a proposito della fondazione delle città con la dolce Libuse che viene chiamata ad assolvere a diverse incombenze esplicative, storiche, mitiche e anche istituzionali. Ai tempi di Salomone gli ebrei popolo nomade e errabondo non potevano vantare alcuna tradizione architettonica che consentisse di edificare una complessa costruzione, ma ecco che Hiram  è anche il nome del sovrano fenicio di Tiro, il quale lui si che  poteva provvedere a fornire operai, artigiani e soprattutto architetti in grado di realizzare una simile opera. Gli Hiram dunque diventano due, che poi la successiva tradizione  ha identificato in una sola, così come il Tempo di Salomone di cui non rimangono né rovine, ne documenti che ne trattino in maniera oggettiva; quindi siamo in pieno mistero, mistero di nomi, mistero di luoghi, mistero di interpretazioni, e così è destinata ad arrivare fino ai nostri giorni la setta della Massoneria, e tale continua ad essere: associazione con esponenti specie da noi in Italia più che discutibili, o grande tradizione  che si rifà a tempi antichissimi, come riportato per esempio da Kipling nel suo romanzo e poi film di successo con Sean Connery e Michael Caine “l’uomo che volle farsi Re” dove l’appartenenza alla massoneria di cui portava un ciondolo, riconosciuto da una sperduta comunità ai confini dell’Asia, nel suo rifarsi ai simboli che portava Alessandro il macedone, detto “magno”  non solo gli salva la vita, ma lo fa appunto divenire Re di quella comunità!!!???

 

Nessun commento:

Posta un commento

IL RISVEGLIO DELLA RAGIONE NEL FUTURO ANTERIORE

  Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero ...