domenica 6 settembre 2020

COME IN UNO SPECCHIO

 

Dovremmo sempre riflettere un po’ di più, indugiare  sulla riflessione;  lo diceva soprattutto Lacan che sull’oggetto concreto, il mezzo con il quale otteniamo la  della riflessione, ovvero lo specchio, ha fatto, per sua stessa ammissione l’ingresso nel mondo della psicoanalisi  “ho fatto il mio ingresso nella psicoanalisi con uno scopino…”(si ha detto proprio così: uno scopino) “che si chiama stadio dello specchio” Nel l936,  difatti nell’ambito del Congresso di Marienbad, Lacan aveva presentato un suo intervento intitolato “Le stade su miroir. Théorie d’un moment structurant et génétique de la constitution de la réalité conçu en relation avec l’expérience et la doctrine psychanalytique”  e questo già di per sé rappresentava un tentativo di fare il punto sulle molteplici istanze a proposito della costruzione dell’identità personale, che in quel periodo con Freud ancora vivo, ma  messo un po’ da parte nel consesso psicoanalitico  per le sua ben nota revisione della teoria della Libido e la scoperta di un istinto o pulsione di morte,  era alla ricerca di una qualche nuova concezione che potesse fare da contraltare alla seconda topica dell’inconscio e  alle ultime conclusioni  freudiane. Lo specchio in quanto luogo della riflessione era appunto uno di questi elementi e  questo vale poteva valere anche quando lo specchio  non era ancora stato inventato o per permetterselo ci volevano 7 anni di grandi sacrifici economici:  la superficie di un ruscello, come ci rende fin troppo edotti Narciso, un vetro opacizzato, un pavimento tirato a…..eh si!!!!… specchio! ….“Specchio delle mie brame…”  dice la matrigna di Biancaneve “chi è la più bella del Reame?”” lo specchio “riflette” ma lo fa assai spesso  appropriandosi dell’altro significato semantico connesso a tale verbo: riflette si l’immagine, ma anche il  pensiero, e quello si sa, va ben oltre quel che appare:  gli anni che passano per l’odiosa matrigna e il paragone impietoso con la fresca  nipotina, così come la linea del naso nel romanzo di Pirandello “uno, nessuno e centomila” Lo specchio riflette l’immagine, ma anche quello che fa seguito all’immagine, e questo può ingenerare conseguenze inaspettate. Logico e naturale che dello specchio se ne sono occupati in parecchi, trovandoci sempre qualche cosa di ambiguo, di estremamente pericoloso, come Narciso ci ha insegnato  e tutto sommato lo stesso Freud sottende quando individua quella famosa e controversissima “pulsione di morte” - cosa c’è dietro l’ultima superficie della riflessione, cosa c’è oltre? Freud è stato il primo che non ha avuto il coraggio di  andare quell’oltre:  mancando di identificare  la morte con la figura di Narciso, ha perduto l’occasione di trovare un ben diverso referente da quel forzato Edipo come estremo  soggetto di de-siderio, sicchè le arditissime tesi di Al di là del principio del piacere rimangono sempre un po’ zoppe, claudicanti proprio sul tema cardine del desiderio: Da qui anche il fatto che alla parola “specchio”  poeti, romanzieri, filosofi e soprattutto psicoanalisti, abbiano sempre avuto paura di indentrarsi  in un sorta di campo minato, dove quello che è, non è sempre quello che sembra e viceversa:  massima ambiguità e poliformità non solo di immagine, ma anche di pensiero, di idee, che spesso e volentieri sono parecchio al di là della riflessione. Lacan aveva un po’ aggirato il problema, facendo dello “stadio dello specchio” una sorta di epistemologia metodologica della identità umana, ovvero  un qualcosa che  consiste nel riconoscimento da parte del bambino nella sua immagine speculare, cosa che grosso modo si verificava nel periodo che va dai sei a diciotto mesi, quindi in un periodo in cui la formazione sia psichica che motoria è ben lungi dall’essersi definita. L’assunzione della propria immagine come propria, provoca nel bambino dice Lacan,  uno stato di giubilo, tuttavia, quell’immagine, che nello specchio appare completa e unitaria, è discordante con lo stato d’insufficiente coordinazione motoria che caratterizza l’infanzia in quel periodo, nonché con la non padronanza del linguaggio. Il riconoscimento della propria immagine costituisce una vera e propria identificazione, nel senso che provoca una trasformazione soggettiva. Nella prospettiva di Lacan, la nozione di “stadio dello specchio” non ha niente a che fare con un vero stadio, nel senso di “fase”, né con un vero “specchio”. Lo stadio diventa un’operazione psichica, ontologica, a partire dalla quale si costituisce l’essere umano in un’identificazione  In francese, “Io” si può dire Je oppure Moi. Per Lacan, il Je fa riferimento al soggetto dell’inconscio, il Moi, invece, allude all’istanza psichica che si costituisce a livello immaginario;   In quanto poi alla gioia giubilatoria con cui il bambino riconosce l’immagine riflessa come sua, Lacan pone l’accento su  questa illusione di completezza e unità, che non ha effettivi riscontri sulla realtà, e dice la famosa frase “”lo specchio dovrebbe attendere un tantino, prima di riflettere” perché come ci insegnano anche i più antichi testi dell’umanità, l’Iliade in primis, la originaria percezione che l’uomo ha di se stesso è divisa per parti e non unitaria “il piè veloce Achille, Atena dalle bianche braccia, il ceruleo occhio di Afrodite, financo il multiforme ingegno di Odisseo; quindi costituito in questo modo, l’Io è, di fatto, la sede di un  misconoscimento, poiché l’immagine che lo specchio rimanda dà l’illusione di unità e di padronanza, ma di fatto ’Io si costituisce fin dall’inizio come identificazione di un Io ideale e come ceppo di tutte le successive identificazioni secondarie. Si capisce da queste succinte note, che tipo di importanza abbia  lo specchio a livello psichico e anche comportamentale,  tanto da poter essere considerato come un punto di inizio della struttura soggettiva di ciascuno di noi, non aliena però da problematiche legate appunto sia alla riflessione che all’identificazione, sicchè si fa ritorno sia a Biancaneve , che al naso  di Pirandello e ben presto si passa ad investire non solo la struttura soggettiva, ma anche quella delle relazioni interpersonali, e questo anche nell’arte più moderna il cinema, che sullo specchio gioca molteplici dei suoi registri, dal sequel  di spazi interni  nel film di Resnais “l’anno scorso a Marienbad” forse solo casualmente con l’accenno al luogo dove la teoria di Lacan venne la prima volta enunciata o addirittura citato espressamente già dal titolo “come in uno specchio” dal grande Ingmar Bergman.Psicoanalisi, cinema e anche tutte le altre arti, sono tutte in qualche modo coinvolte nella definizione dello specchio, che quindi non è solo una fase, sia pure della rilevanza di quella quasi dell’inizio, ma investe tutto il nostro essere nelle varie sequenze della vita e soprattutto si pone a ultimo diaframma della morte andando a coincidere col desiderio

 

 

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