domenica 20 settembre 2020

L'ORIGINE DELLA COSCIENZA

 



C'è un libro di uno psichiatra americano Julian Jaynes dove tutti gli elementi accennati nel precedente articolo sono circostanziati in maniera illuminante si da convergere in una vera e propria epistemologia sulla origine della coscienza, ovvero “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”: In tale saggio viene difatti ipotizzato che con tutta probabilità il primo referente di questo tipo di comunicazione altra, non metaforica, ma metonimica, con carattere prescrittivo, dovette essere il membro dominante, il soggetto preposto alla guida e alla conduzione del gruppo, le cui indicazioni assumevano un che di efficiente, di consolidato e di non discutibile, appunto quell’ob-audire=ubbidire, da parte dei membri a lui sottoposti, in quanto in gioco la sopravvivenza stessa del gruppo, anche nel suo farsi clan, tribù, comunità, città, stato; in seguito però, con la morte fisica, di questo capo, di questo Re, le sue voci, i suoi precetti avrebbero rischiato di venire dimenticati se non fossero stati messi in atto determinate procedure, anche neuronali che ne favorissero una costante rammemorazione : si assiste quindi ad una serie di procedimenti riscontrabili in tutte le antiche civiltà: l’abitazione del capo morto viene dipinta di rosso, spesso e volentieri dotata di un parapetto rialzato dove viene acceso un fuoco che una classe sacerdotale è incaricata di mantenere acceso, lo stesso successore al suo ruolo di guida, viene investito di una funzione di interprete degli antichi ammaestramenti, finche’ alla sua morte fisica si stabilisce una sorta di continuità: l’antica abitazione, diviene la dimora non del singolo Re, ma di tutti i Re, dove continuano ad assommarsi tutti precetti, finchè ad un certo punto il Re morto impersonando se’ e i suoi successori, diviene un Dio vivente, il sepolcro diviene una statua da adorare, la casa un tempio - il più distinguibile, il più visibile possibile, quasi sempre al centro dell’abitato, in posizione rialzata e tutti quegli ammaestramenti, quei consigli, quelle voci non sono più ascrivibili ai singoli re, ma diventano un’unica grande voce, la voce del dio, degli dei viventi. E’ così che nell’uomo nel Gruppo, si forma da una serie di stimoli visivi, ma sopratutto da stimoli auditivi, l’idea degli dei: una sorta di codice neuronale che localizzato attraverso termini in sempre continua evoluzione/specializzazione, potessero essere tradotti in una accezione non nominalistica ma prescrittiva, con una peculiarità non metaforica, ma metonimica ovvero non come condensazione di significato, ma come trasferimento di significanti: una comunicazione non esterna, portata da un linguaggio di attribuzione, ma interna con caratteristiche di voce non articolata, ma allucinatoria, che più che udita dovesse essere obbedita. Siamo, come è evidente, in una accezione unicamente umana, gli animali non disponendo di un linguaggio articolato non possono nominare le cose e non possono neppure trascinare modalità di comportamento, facendo tesoro di prescrizioni e esperienze ratificate, quindi debbono totalmente soggiacere all’istinto (la tana, il gruppo, l’accoppiamento, la prole, la difesa, l’attacco, la morte). Linguaggio articolato e voce allucinatoria, metafora e metonimia, conscio e inconscio, si comportano per un lungo periodo dell’evoluzione umana come due strade parallele, che pur non incontrandosi canonicamente mai, procedono appaiate e hanno anche numerose traverse che le intersecano; traverse che solo nell’uomo, sono espresse linguisticamente, come abbiamo accennato, con le due diverse modalità accennate: la prima come condensazione di significati (metafora) la seconda come trascinamento di significanti ( metoninia ), due modalità di trattare diversamente il fenomeno specificamente umano, il linguaggio, ma che concorrono ad una unica grande istanza, apparsa con il primissimo apparire della vita biologica in un contesto inanimato quale appunto era il pianeta terra: permanere nel proprio stato, adattarsi. Si può quindi sostenere che nella struttura stessa biologico/percettiva dell’animale uomo si possano distinguere due diverse modalità programmatiche: una esterna data appunto dall’ambiente che fornisce continuamente stimoli ad una costituzione di una sorta di paradigma, ed una interna, promanante da sè stesso, correlata a qualcosa che solo fino ad un certo punto dell’evoluzione ha accompagnato il cammino umano, non tanto con parole quanto con allucinazioni auditive di carattere prescrittivo. Uno sviluppo congiunto, ma fino ad un certo punto: fino ad un punto di svolta, cui tutte le storie, miti, filosofie, concorrono a porre come sorta di crocicchio, di giro di boa, nella ontogenesi umana: l’apparire della coscienza, ovvero quel meccanismo che consente all’uomo di porre se stesso in relazione al suo ambiente: un analogo, come tutti quelli costruiti fino ad allora ma con peculiarità davvero speciali : il referente dell’analogia è se’ stesso, appunto un ’Analogo Io’, e cioè la coscienza, ed è proprio questa che informa quella sorta di crocicchio che fa sì che quella famosa doppia strada prenda direzioni diverse: una che continua a formare metafore che consentono un sempre maggiore adattamento all’ambiente esterno, di cui disponendo di una narratizzazione di se’ rispetto all’ambiente, l’uomo è in grado di fare un uso sempre più allargato perfezionato e produttivo, l’altra ora che è stata espropriata del suo referente principale (l’uomo che narratizzato sè stesso in un contesto, non ha più bisogno di voci allucinatorie) sembra quasi andare in sott’ordine, diviene un qualcosa di fumoso, poco rappresentabile, se non in manifestazioni iniziatiche, strani rituali, personaggi emblematici, santoni, auguri, sibille, ma anche artisti ispirati che sembrano trarre la loro ispirazione da chissà quale fonte. Una cosa che Jaynes nel suo citato libro non manca di rilevare, è che tali modalità hanno anche una corrispettiva collocazione neuronale: la parte conscia, quella appunto del linguaggio articolato, della metafora, dell’analogo io e quindi della coscienza, che deve essere ab-audita si alloca nell’emisfero sinistro del cervello, quella delle voci allucinatorie, delle prescrizioni attribuite spesso e volentieri ad un dio, uno spirito, una entità più o meno misteriosa, che deve essere “ob audita” , nell’emisfero destro. Il punto è ora andare a scoprire che evoluzione possano aver subito quelle voci , una volta che l’emisfero sinistro ha costruito quell’analogo io che ha consentito di mettere l’individuo “in situazione” e narratizzare la sua presenza e quindi di quelle prescrizioni non ha alcun bisogno? Sembrerebbe avallata l’ipotesi di zona muta del cervello, ovvero la parte destra in corrispondenza della parte sinistra dove le aree sono deputate alla formazione del linguaggio (area di Wernicke, area di Broke) : se difatti una voce non ha più nulla da indicare a livello comportamentale, a cosa servono e sopratutto a cosa serve l’emisfero destro? a niente! è un emisfero del tutto superfluo in quanto le zone corrispondenti a quelle del linguaggio articolato non rivestono più alcuna utilità. Così sembrerebbe se utilizziamo il referente della singola eventualità comportamentale, ma cosa succede se prendiamo in esame un qualcosa di molto più generalizzato? cosa succede se ci focalizziamo sul “desiderio” che della vita, a detta di molti illustri pensatori, ne costituisce l’essenza? Succede che viene investito qualcosa di molto più complesso e articolato di una singola evenienza; la modalità allucinatoria delle parti dell’emisfero destro del cervello, preposte alle suggestioni/comandamenti, in correlazione a quella costruzione di analogo io, perde quella funzione di rapporto tra i due emisferi e si precisa in un qualcosa che assume una essenza a sè stante, quella appunto che informa il desiderio, tutto il desiderio, come correlato sempre presente fin dall’apparizione dell’uomo e di quel suo distacco dallo stato animale, che attenzione non è la sola coscienza, ovvero l’analogo io, desunto dal linguaggio articolato e dalle specificità dell’emisfero sinistro del suo cervello, è un qualcosa che sta anche localizzata nell’emisfero destro, che esaurita la sua funzione allucinatoria/prescrittiva, la evolve in una generalizzazione di quello che da sempre ha rappresentato l’istanza della presenza dell’uomo sulla terra, una sorta di pieno ritorno a quel “de-sidera” ovvero quel “venire dalle stelle”: va postulata un’entità più o meno misteriosa, certamente ancora sconosciuta, che ha rappresentato l’inizio della vita, ovvero, come dice Freud in Al di là del principio del piacere, un turbamento in un qualcosa di preesistente alla sua apparizione, una fenomenologia irrelata dove è presente un corpo turbato (il pianeta, terra, lo stato inanimato) che tende incessantemente a ritornare nello stato precedente a tale turbamento e un corpo turbante (l’apparire della vita, non insita allo stato inanimato, ma proveniente da altrove) che ha invece una duplice istanza : quella di permanere nel proprio stato a tutti i costi (il famoso “la vita ama la vita), ma anche quella di tornare anch’essa da dove è venuta, una nostalgia, direbbe Freud “una coazione a ripetere” ovvero da altrove , lo spazio, il cielo...le stelle... e quindi ri-tornare tra le stelle (de-sidera).

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