Pan-Hormus, ovvero “Tutto porto” e l’epiteto suonava di origine antichissima, dei tempi della Magna Grecia e forse ripreso dai Fenici, che in effetti utilizzavano la città come scalo per i loro commerci, ma allora perché quella assurdità di porre una “paleopoli” parecchio più a monte, grosso modo a ridosso del “Piano del Palazzo” e una Neopoli invece giù a mare all’incirca con epicentro nella “Cala” ? Questione di antiche vestigia di mura, difatti nella zona prospiciente il Palazzo erano state ritrovate Mura di origine pre romana, ma ecco che nella metà degli anni ottanta i lavori che una Società dell’IRI, la Italter, stava effettuando nella zona di Castello San Pietro (non ci si faccia ingannare: non era mai esistito un Castello che aveva la denominazione di San Pietro, più semplicemente si erano uniti i due nomi quello del Castello sul mare (Castellammare) che durante la battaglia di Palermo nel 1860 cannoneggiava i garibaldini e anche l’abitato urbano, sicchè subito dopo la presa della città era stato parzialmente demolito e quello del prospiciente Rione San Pietro, che si sviluppava alla sua sinistra dopo la Cala) avevano portato alla luce Mura molto più antiche, quasi certamente fenicie, che erano proprio a ridosso del mare. La assurda dizione di Paleopoli e Neopoli veniva quindi a cadere : scoperta straordinaria che enfatizzava quella dicitura di “pan-hormus= tutto porto, anche come luogo originario della città. La cosidetta Paleopoli risultava in realtà successiva al primo nucleo dell’abitato che era invece da collocarsi “a mare” così anche l’asse originario della città, il cosiddetto “Cassaro”, anche quello un termine ripreso dalla terminologia marinara, risultava appunto un diretto collegamento monti-mare, sul quale per oltre due millenni si era andato a comporre l’abitato urbano. Lo sviluppo di questo abitato su perno del Cassaro, che finirà per saturare tutte le Mura che nel corsi dei secoli erano state tracciate, verrà precisato e incanalato verso est con il taglio nell’edilizia esistente di un asse ortogonale al Cassaro, ordinato dal vicerè Maqueda nel 1600 che aveva tratto ispirazione da una prassi di intervento urbano di Papa Giulio II in Roma per la omonima Via Giulia passata alla storia come il primo sventramento di un antico tessuto urbano. E’ la Palermo il cui segno è ancora chiarissimo e dominante oggi, la Palermo che anche se stravolta dai successivi interventi e soprattutto speculazioni edilizie, conserva i suoi “4 mandamenti” i suoi 4 Canti di città, mirabilmente enfatizzati dall ’ architettura/scultura di Mariano Smiriglio, con gli ulteriori sviluppi sempre su quel proseguo direzionale dell’asse della via Maqueda: subito dopo le antiche Mura: la Piazza Verdi con la stupenda Mole del teatro Massimo progettata da Giovan Battista Basile padre di Erneto, che ne ultimò i lavori, via Ruggiero Settimo (mai l’indicazione nominalistica cifrata, perche “Settimo” è un cognome e Ruggiero Settimo un personaggio politico protagonista della rivoluzione del 12 gennaio 1848 in Palermo, la prima, quella che avrebbe dato avvio a tutte le altre in Europa, in quel fatidico anno e che giustifica il detto ancora oggi in voga “succede un quarant’otto”; salotto di Palermo e con un'altra grande piazza alla sua conclsione , Piazza Castelnuovo /Politeama, che ospitava appunto il secondo grande teatro di Palermo: il Politeama e quindi la Via Libertà, lunghissimo e stupendo “Boulevard” della Palermo Liberty, disseminata di stupende ville che purtroppo una dopo l’altra sono andate a finire sotto il piccone demolitore della speculazione edilizia come la Villa Deliella, gioielletto dell’architettura di Ernesto Basile, situata proprio nello slargo di uno dei rompoint della lunga via Libertàquello denominato “Le Croci”, distrutta furtivamente in una sola notte nel 1957 per non fare scattare divieti o altro, ma non l’ordinanza di arresto per gli autori da parte dell’allora assessore al lavoro, previdenza e assistenza sociale della Regione Siciliana, On. Bino Napoli. La “Statua” conclude la lunghissima prospettiva di via Libertà, ultima opera di Ernesto Basile di cui comunque gli impreziosimenti della via non si limitavano a inizio, conclusione e rompoint, ma perlomeno vanno ricordati i due eccezionali chioschetti, uno in legno in piazza Verdi frontale al Teatro Massimo e uno in muratura in piazza Castelnuovo proprio ad angolo con la conclusione della via Ruggiero Settimo.PALERMO è città d’arte e non solo per la sua architettura enfatizzata dal grande Ernesto Basile è anche forse l’unico esempio in Italia di romanzo feilleuton come “I Beati Paoli “ pubblicato a puntate sul «Giornale di Sicilia» tra il maggio del 1909 e il gennaio del 1910, da Luigi Natoli con lo pseudonimo di William Galt , è anche la grande costruzione epocale di De Roberto coi suoi “Vicerè” e vi è infine anche il momento in cui la realtà si trasforma in arte vissuta , grazie ad una vera e propria dinastia di imprenditori i Florio , che fanno della città un’opera d’arte a cielo aperto, con le sue Ville, coi suoi costumi, con le corse automobilistiche, tipo la celeberrima Targa Florio, con gli inviti dei regnanti di Germania e Inghilterra ricevuti nella più fantasmagorica delle Ville del Basile, Villa Igiea, dalla più fascinosa delle anfitrioni, Donna Franca Florio, immortalata dalle tele di Boldini .Palermo grande città imperiale, con il ricordo/ suggestione della città araba con le sue trecento moschee tutte distrutte dai nuovi conquistatori i Normanni, che difettando di un loro codice di rappresentazione artistica, dovettero adottare maestranze e idee artistiche dei conquistati (l’eterno “Graecia capta ferum victore cepit”) e di Federico II di Svevia, lo “Stupor mundi” con la sua “Scuola Siciliana” la Camelot mediterranea, Giacomo da Lentini, Pier Delle Vigne, Ciullo d’Alcamo, la sua tomba in porfido rosso simbolo del potere imperiale ancora oggi visitabile nel chiostro della Cattedrale. Eh si ! Palermo è città di “storia “ e “d’arte” è la “Palermo Felicissima” delle antiche diciture colle sue strade che profumavano di zagara, ed è però, qualche secolo dopo, quella descritta con un po’ di fantasia dal Natoli con le vicende dei Beati Paoli e di Coriolano della Floresta, che qualcuno ha cercato di adattare per una romanzatissima e improbabilissima origine della mafia. La mafia siciliana e palermitana nel particolare ha però ha altri prodromi, probabilmente risalenti alla spedizione dei Mille, con le bande di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao, che attendono l’esito della battaglia di Calatafimi per schierarsi dall’una o dall’altra parte, o forse ancor più, per quelle caratteristiche di commistione tra criminalità e potere costituito , all’uccisione di quello stesso Giovanni Corrao nel 1863, che stava cominciando a dare fastidio (prima uccisione certa di mafia, molto simile a quella di 108 anni dopo del Giudice Pietro Scaglione nel 1971). La mafia ha la sua connotazione precisa in Palermo con il primo capo mafia riconosciuto, Don Vito Cascio Ferro che non era di Palermo ma di Bisaquino, ex socialista, ex manifestante dei Fasci Siciliani, che si era trasferito a Palermo gettando le fondamenta di una “mafia delle città” evoluzione di quella dei gabellotti “delle campagne “, ovvero non più latifondo, mezzadria, gabellotti appunto, ma strade, palazzi, speculazione edilizia, per addirittura andar ad organizzare la “Mano Nera” oltreoceano, in America. Il detective italo-americano Joe Petrosino, lo aveva duramente contrastato e anzi aveva deciso di seguirlo fino a Palermo per recidere sul nascere quel traffico ad esportazione di malavita : Petrosino che in siciliano significa “prezzemolo” ovvero che si immischia in ogni cosa, sta dappertutto, il canonico “scassa minchia” e contro uno del genere , Cascio Ferro che comincia ad adottare la nomea di “boss dei boss” decide di agire in prima persona attendendolo al varco vicino l’albergo dove aveva preso alloggio in piazza Marina, freddandolo con 4 colpi di pistola. Ma la mafia della città ha bisogno della commistione con il potere costituito, non specula solo su materiali da costruzione e maestranze, ma anche su politici che abbisognano di voti e consenso come l’On. Palizzolo che sta dietro l’ascesa di Cascio Ferro. Dopo la guerra del 15-18 e l’avvento del fascismo, cambia non la questione, ma certi termini della questione, come ad esempio quelli dei “voti” che in un Regime dittatoriale non rivestono più alcuna importanza: non è più tempo né dei Palizzolo né dei Cascio Ferro, anzi si può avviare una strombazzatissima campagna, quasi militare, di bonifica di criminalità, come quella coeva delle grandi bonifiche dell’Agro Pontino, e la campagna anti mafia del prefetto Cesare Mori nella sicilia a cavallo tra anni venti e trenta sarà un altro fiore all’occhiello del Regime fascista. Di mafia si tornerà a parlare con la fine del fascismo e il ritorno ai metodi cosiddetti democratici, il voto, il consenso, ma anche la corruzione, le camarille e i personaggi alla Don Vito, quale ad esempio Lucky Luciano, il gangster che aveva fatto parte della banda di Salvatore Maranzano alla metà degli anni venti ed era asceso al pieno dominio della criminalità organizzata statunitense: Luciano al secolo Salvatore Lucania da Lercar Friddi era inciampato in questione di tasse e imprigionato ma in previsione della invasione della Sicilia era stato contattato dal comando strategico dell’esercito per favorirne la conquista . Compito che aveva assolto in maniera esemplare, tanto che qualcuno aveva proposto per lui la “medaglia d’onore del Congresso” la più alta decorazione al merito militare degli USA. Quella di dopo è storia di oggi, i Don che si disputano il titolo di “capo dei Capi” : Calogero Vizzini di Villalba, Genko Russo di Misilmeri e poi l’epiteto che è detenuto da gente di Palermo, i Bontate, padre e figlio, di cui il secondo però Stefano ucciso dalla fazione rivale e infinitamente più feroce, quella dei Corleonesi capeggiata da Salvatore Reina, detto “Totò o curtu” che grazie all’appoggio più interessato di quel famoso potere occulto che è sempre stato dietro la mafia (alta finanza, industria, Politica, soprattutto politica) necessita di maggiore determinatezza e efferatezza: dismette quindi, anzi fa dismettere del tutto, regole, rituali, financo quel tanto di etica criminale un po’ donchisciottesca (mai sparare ad una donna, a bambini, guardare sempre in faccia l’avversario, etc.) che aveva contraddistinto l’antica mafia , quella passata alla storia come “l’onorata società”
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