Arcole però non era stata una vittoria definitiva e anzi aveva accentuato quel senso di incompiuto,di provvisorio, che sembrava come pascersi del fondo limaccioso della valle del Po; a parte l’episodio della goffaggine del Generale in capo che era stato salvato per un capello dal suo tentativo di spronare con tanto di tricolore alla mano, i soldati per rompere gli indugi di una resistenza nemica sempre solida, la verità è che anche questa battaglia non aveva lasciato né vincitori, né vinti, ma solo una situazione incancrenita dall’agonia della fortezza di Mantova, ma anche da una serie di rivolte, pronunciamenti di questo o quello statarello, costringendo Napoleone a recarsi di presidio a Bergamo, a Brescia, a Tortona ed abbiamo visto come riponesse la speranza di trascinare tali riottosi popoli nella costituzione di repubbliche che avessero una continuità di ideali e di intenti con la grande madre della Rivoluzione: una questione di opportunità per togliersi dall’impasse di una situazione sempre più aleatoria , tant’è che il Direttorio era addivenuto alla risoluzione di inviare un altro di quei numerosi Generali che avevano fatto parte del comitato per il Piano del ’95, il più attempato coi suoi 31 anni, il Generale Clarke, per concordare una pace con l’Austria.Ovviamente Bonaparte non vide di buon occhio tale operazione, che però non ebbe il coraggio di contrastare apertamente. Noi siamo abituati a ritenere che la prima Campagna d’Italia di Napoleone sia stata un susseguirsi di fulgide vittorie, una sorta di progressione verso la gloria, dove il fattore tempo resta ingoiato dall’azione, ma non vi può essere nulla di più errato: come abbiamo visto le battaglie erano state tutte mezze battaglie, scontri con retroguardie, che solo la maggiore velocità delle truppe francesi magistralmente guidate da espertissimi generali come Massena, Augereau e Serurier avevano consento di assegnare alla vittoria. La situazione in quel lunghissimo estenuante periodo di tregua da Arcole a Rivoli, si era quanto mai impantanata senza possibilità di soluzione. In verità furono solo due mesi ma incredibilmente estenuanti, dove ancora una volta nella mente di Napoleone riprese corpo la idea di realizzare l’idea originaria del piano ovvero valicare la Alpi e prendere alle spalle l’Austria, questo anche perché la Cispadana non rappresentava quell’aiuto che avrebbe potuto aspettarsi e le rivolte, piccole rivolte degli stati italiani sempre più diffuse e insidiose; si era diffatti ribellata parte della Gargagnana, la cittadina Di Carrara, ancora una volta Tortona e tutto sembrava tramare tranelli, minacce, insicurezza…. dal Regno di Napoli allo Stato Pontificio, alla Repubblica di Venezia. Inficiando i tentativi di armistizio del Gen.Carke e anche le velleità di attacco di Napoleone attraverso l’esecuzione del grande Piano del ’95, l’Austria all’improvviso rompeva gli indugi e tornava ad attaccare nella prima decade di gennaio del 1797. Lo ripeto, lo studio e la riesamina dei fatti porta a ribaltare completamente l’assunto che era sempre stato Napoleone ad attaccare difatti e’ sempre vero il contrario: fin dalle prime scaramucce dell’aprile e la battaglia un po’ più seria di Cairo Montenotte, l’iniziativa dell’attacco era sempre stata solo dell’Austria e anche questa volta non si doveva assistere ad una eccezione. Il piano sempre affidato al Gen Alvinczi prevedeva un attacco per le gole del Brenta passando poi per le valle dell’Adige, mentre un suo Generale in sottordine Provera aveva il compito di marciare su Mantova passando per Padova e Legnano: Il tranello di Alvinczi era quello che vedendo Mantova minacciata, i Francesi alleggerissero la posizione di Rivoli per bloccare Provera e consentissero a lui di batterli appunto a ridosso del Lago di Garda, ma Bonaparte che proveniva da Bologna si calò subito nell’emergenza e sfruttando la maggiore agilità e mobilità delle sue truppe, concentrò a se tutte le sue forze e tutti i suoi eccezionali Generali tra cui come al solito rifulse Massena, che fu uno degli artefici della Grande Vittoria; in effetti Rivoli fu la prima grande e indiscussa vittoria di tutta la campagna d’Italia, quella che probabilmente consentì a Napoleone non più di recitare una parte, ma di entrarvi in tale parte. La storia sembra finalmente aver trovato il suo eroe indiscusso, poca importanza ha il fatto che probabilmente Massena ha più meriti di lui (succederà lo stesso tre anni dopo a Marengo con Desaix) ma e’ lui il comandante in capo e la leggenda che vuole nel piccolo Generale il nuovo Alessandro sembra confermata a gran voce. Mai l’esercito francese aveva riportato una vittoria così categorica. Pochi giorni dopo difatti la Fortezza di Mantova viene espugnata e Bonaparte è padrone di tutta l’alta Italia. Riaffiora con prepotenza l’idea originaria del piano dei Generali del 1795, che lui Bonaparte a questo punto aveva portatosi sentiva più che mai in animo di realizzare fino alle estreme conseguenze in effetti a questo punto, non si tratta più di recitare una parte, come in un esperimento di ristrutturazione in psicologia alla Milton Erickson, alla Bandler e Grinder della Programmazione Neurolinguistica, dopo aver interpretato la parte che altri hanno fissato per lui, si tratta a questo punto di entrare nel modello, non più come in un film di cui si vedono le varie sequenze, ma sentendo quello che il protagonista sente, le sensazioni, il profumo dell’aria, il terreno su cui si poggiano gli stivaloni. Napoleone Bonaparte con l’entrata nel 1797 e il suo ventottesimo anno di età è entrato quindi nella parte che fino ad allora altri avevano costruito per lui, eppure malgrado avesse cominciato a sentire in prima persona, direttamente, cosa significa il successo, la gloria nell’entrare nel consesso dei grandi Generali di tutti i tempi, resta sempre ligio alle direttive del Direttorio che subito dopo la battaglia d Rivoli e la conquista di Mantova gli ordina di fare incetta di tesori e fondi nelle Chiese, nei Monti di Pietà dello Stato Pontificio ed anzi risolvere una volta per tutte la questione con papa Pio VI: poche scarmucce a Bologna ad Imola, l’occupazione di Ancona, portano il papa a chiedere la pace e a firmare il trattato di Tolentino il 19 febbraio, nel quale il Papato cede Avignone, il contado di Venasque, Bologna, Ferrara e tutta la Romagna. Ottenuto quindi quest’altro grande successo che ancora di più fa entrare nella parte del Conquistatore il giovane Generale, il Direttorio non solo ratifica appieno il Trattato, ma finalmente si decise a dare avvio al Grande Piano del ’95, quello di cui l’allora sconosciuto Generale aveva dato la sua modesta collaborazione e che ora in prima persona, anzi da protagonista assoluto veniva incaricato di mettere in atto. L’istruzione è del 3 febbraio 1797 e oramai si ordinava finalmente al Generale e alla sua Armata di invadere il Friuli e conquistare Trieste in parallelo all’invasione del Tirolo, e quindi procedere appieno con l’esecuzione famoso Piano, ovvero invadere gli Stati d’Austria e effettuare il congiungimento con le truppe francesi in Germania: l’ Armata del Reno, comandata da Moreau e quella della Sambra e Mosa, da Hoche, per effettuare quindi congiuntamente una pressione a distanza su Vienna e costringerla alla pace. Palesemente come per incanto in tutta Italia settentrionale e centrale, il partito che puntava sulla presenza dei Francesi per rovesciare l’Ancien Regime e proclamare libere Repubbliche somiglianza di quella francese, cresce a dismisura “La Rivoluzione ha conquistato tutti i cervelli d’Italia” scriverà Bonaparte al Direttorio, ma intanto non è che la faccenda lo rassicurasse granchè, anzi…a questo punto era molto più concentrato sulla prospettiva di lasciarla quell’Italia nella quale si sentiva sempre più impantanato e dedicarsi anima e corpo alla realizzazione integrale del Piano per il quale si era tanto adoperato. Per difendersi dal piano di invasione l’Austria aveva spostato in Italia il suo più valente stratega l’arciduca Carlo reduce di importanti vittorie su Moreau, che subito si era posto sulla riva sinistra del Tagliamento per impedire ai fancesi di dirigersi verso Tarvisio. La battaglia venne ingaggiata il 16 marzo, ma l’arciduca non vi si profuse più di tanto, per effettuare anche lui come d’altronde tutti i generali che l’avevano preceduto, una ineccepibile ritirata strategica, laddove divise il suo esercito una parte a difesa ravvicinata di Tarvisio , mentre quella da lui diretta si ritirò verso Gradisca e Gorizia, inseguito da Bonaparte in persona, mentre Massena avanzava da Osoppo verso le gole di Pontebba. Il 21 marzo c’è l’occupazione di Gorizia praticamente senza battaglie, il giorno seguente Massena occupa Pontebba; la situazione sembra esaltante, ma non è così anzi, Bonaparte non è affatto tranquillo e teme più di ogni cosa l’isolamento, trovarsi nel bel mezzo di territori sconosciuti alla mercè di una controffensiva austriaca, condotta da un generale che conosce per la sua valenzia, una volta che abbia esaurito la sua strategia difensiva. Ad accentuare tale paura c’era stata la notizia che Brescia e Bergamo erano insorte, due città irrilevanti ai fini della guerra, tant’è che lo stesso giorno l’esercito francese era entrato a Trieste, ciò nonostante ci sono missive del 24 e 25 marzo al Direttorio che manifestano questo suo disappunto in cui si evince la sua speranza più grande: che le due Armate in Germania attraversino il Reno e comincino ad operare la congiunzione con la sua Armata
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