L’inconscio è strutturato come il linguaggio” è una delle formula più celebri dello psicoanalista Jacques Lacan: certo che lo è!, perlomeno fin dalla prima canonica formulazione di Freud, nel saggio che diede appunto avvio alla scienza della psicoanalisi “l’Interpretazione dei sogni” dove l’asse linguistico che verrà codificato nella famosa barra tra significato e significante da De Saussure, si muove tra le figure della linguistica: metafora e metonimia. E cosa sono, appunto ne “l’interpretazione dei sogni, la condensazione e il trasferimento, se non le due principali figure retoriche della linguistica? l’inconscio si muove continuamente tra metafore e metonimie: il lapsus e l’atto mancato, la distrazione, la ripetizione, il “come se”…. appunto la condensazione dei significanti in un significato e il continuo trascinamento di questi; dove però tali meccanismi, hanno, per così dire, una loro inverazione e frequenza assoluta, è in quello che Freud stesso definiva “la via Regia” dell’inconscio: il sogno. Tempo fa, si discuteva su Facebook con alcuni vecchi amici ritrovati, della Palermo dell’infanzia: la Villa Deliella distrutta in una notte nel 1957, dagli speculatori edilizi, la unica fila delle capanne di Laddaura a Mondello (in realtà erano le cabine di spiaggia, ma Palermo si diceva “capanne”), le docce a grappolo nel bel mezzo della spiaggia che non era ancora stata saturata dalle ulteriori “capanne” e poi si, quel certo caffè, il gelato da Ilardo proprio a testata della “passeggiata delle Cattive” che non erano donne crudeli o malvagie, bensì le vedove, che essendo ancora immerse nel loro lutto, non potevano passeggiare lì sullo splendido lungomare a ridosso delle Mura e quindi era stato fatto per loro un apposito percorso parallelo ma nascosto: erano quindi “cattive” nel senso originario della parola latina “ captivus =prigioniero ….prigioniere del loro dolore . “ti ricordi questo, ti ricordi quello?” si sa come vanno questi discorsi, sia nella realtà, sia, forse ancor più, nel virtuale, così nel gruppo di vecchioni informatizzati era spuntatala domanda “come si chiamava quel cinema che stava proprio all’inizio di via Libertà, quasi ad angolo con la piazza col teatro Politeama? “ Bho!? Sarà dai primissimi anni sessanta che l’hanno chiuso!” “si lo ricordo benissimo!” avevo commentato “mi ricordo di averci visto un film con Rossana Podestà che faceva Elena di Troia e Jacques Sernas, Paride, e poi uno con Gino Cervi e Belinda Lee, mi pare si chiamasse “la lunga notte del ‘43”… però il nome non lo ricordo proprio !” e lo stesso era per l’intero Gruppo di estimatori della “Palermo di una volta” Vai a letto arrovellandoti su quella dimenticanza, e la via Regia , il sogno, imbocca un percorso che spunta diritto alla statua di Pasquino, la famosissima statua parlante della Roma papalina, dove venivano apposte, proprio in virtù del fatto che non erano riconoscibili né volto, né articolazioni, le critiche e le invettive contro il potere temporale dei Papi, ( il busto , probabilmente era un pezzo del complesso marmoreo del Lacoonte , ma doveva il nome ad un sarto del circondario che era famoso per le sue frecciate contro papi e cardinali), ma l’antico Pasquino tornò a parlare anche molto dopo, nel 1938 quando in occasione della visita a Roma di Hitler, fu trovato sotto l’antico busto marmoreo un foglietto con una nuova folgorante “pasquinata”: "Povera Roma mia de travertino, te sei vestita tutta de cartone, pe' fatte rimirà da 'n'imbianchino" Ma il Sogno , il mio sogno si rifaceva invece all’epoca clou delle Pasquinate, pieno potere temporale della Chiesa, anche se a dire il vero per arrivare lì a ridosso di piazza Navona dove appunto è collocata la statua di Pasquino, avevo preso il 44, l’autobus che da via di Donna Olimpia a Monteverde arriva a piazza Argentina, e difatti ci ritrovavo una delle più famose pasquinate, quella indirizzata alla celebre “pimpaccia” ovvero Donna Olimpia Maidalchini, nipote e amante del Papa, senza dubbio la più potente donna di Roma dell’epoca, grande protettrice e procacciatrice di incarichi per Bernini…. “Olim pia, nunc impia” ….“e mò!?” Avevo pensato al risveglio “perché il sogno, dall’autobus 44 mi sbatte in pieno barocco, con la pasquinata sulla Pimpaccia di piazza Navona?...l’ultimo resto diurno della giornata precedente, la discussione su Facebook a proposito di quel cinema di cui nessuno era riuscito a trovare il nome e all’improvviso con il primo goccio di caffè “ma porca vacca ! È chiaro ! Il 44 da via Donna Olimpia e se non era ancora sufficiente, la pasquinata su donna….Olimpia! Il nome del cinema era OLIMPIA! Grandioso l’Es, eh? Lui sa veramente tutto di noi e forse qualcosa in più! Così il titolo del presente articolo “es-entro-pia?”che gioca su due diverse interpretazioni dove la prima sull’interrogativo: e se entro nel discorso in maniera spassionata, candida, pia? Un discorso sulle generali, sulla situazione odierna del mondo, sul presente che sembraaver eliso il futuro?..... che cosa mi posso aspettare? Eh bhe, la risposta è contenuta sempre nella stessa frase, dove l’es diviene una sorta di “deus ex machina” si elide il trattino e risulta la parola intera “entropia” Cosa si intende per entropia e perché sarebbe una risposta all’apprensione sul genere umano e sulla situazione del mondo? E’ una questione di riferimenti! Tutto è riferimento nell’uomo, perlomeno da quando è pervenuto al linguaggio articolato e ha cominciato conseguentemente a chiedersi del perché della propria esistenza ma anche al perché della propria insistenza a domandare sempre la stessa cosa “chi sono, dove sono, da dove vengo, dove vado?” Un riferimento è in sostanza una visione, una possibile visione del mondo che dovrebbe consentire di stabilire analogie comportamentali sulla base del proprio linguaggio e del mondo esterno e rendere quindi il tutto “abitabile” nel senso di contrarre abitudini atte appunto ad un essere “presenza” Il riferimento funziona quindi per analogia e struttura una certa visione del mondo che in verità si appunta su di un analogo particolare, un “analogo-Io” che mette appunto in situazione sé stesso rispetto ad un mondo, diciamo alquanto indifferente alla propria “presenza” Nel corso della propria storia linguistica e di fattualità, l’uomo ha sempre ricercato tali quadri di riferimento, che possiamo anche definire “visioni del mondo” sono relative al periodo e al tipo di società in cui sono state applicate, ma proprio in relazione a tale periodo e a tale Società, hanno un che di assoluto, nel senso che funzionano come un vero e proprio paradigma , cui tutti, bene e male finiscono per aderire.: queste, diciamo così, queste visioni del mondo, funzionanti come paradigma, ce ne sono state molteplici e alcune particolarmente tenaci e dilatate, ad esempio la nostra, quella attuale delle nostre “contrade occidentali” ha un arco temporale di quasi trecento anni e per quanto si sia modificata ed evoluta (o involuta) nel tempo ha conservato la visione originaria che sostanzialmente è quella della Rivoluzione industriale e dell’avvento della macchina: il nostro è un mondo di macchine, di leve, ruote, puleggie, che sono, via via andate assumendo la connotazione di processori informatici, computer, monitor : il mondo è come un gigantesco magazzino di componenti, fatto di miriadi di pezzi che aspettano solo di essere assemblati in un sistema funzionante. Questo è il paradigma storico del nostro tempo e del nostro mondo; la macchina è così integrata nella nostra persona che è difficile stabilire dove finisce lei e dove comincia l’uomo, anche il nostro linguaggio si è conformato alla macchina : noi “misuriamo” i rapporti, i nostri sentimenti sono “vibrazioni”, cerchiamo di evitare “attriti” e facciamo in modo di “sincronizzarci” cogli altri, piuttosto che stabilire pensieri o affezioni con loro, pensiamo alla nostra stessa vita come qualcosa che “gira regolarmente” e ci si aspetta che essa possa essere “riparata” se qualcosa in essa si è “guastata”, come se gli esseri umani fossero semplici pezzi di un meccanismo che possano essere “aggiustati” o “sostituiti” Questa visione del mondo che ancora costituisce il paradigma di questo inizio del terzo millennio, visione di un accentuato materialismo e che giustifica tutto nel nome di una parola “Progresso” , sta cominciando però a perdere colpi (proprio come una macchina alquanto deteriorata) in quanto l’ambiente oramai iper sfruttato e le risorse energetiche, stanno avviandosi al loro esaurimento e quindi lo stesso campo di applicazione va venendo meno. Il relativo della attuale Visione del mondo cosiddetta “moderna” comincia a farsi sentire non meno delle precedenti visioni del mondo, che non avevano quella fede cieca nel progresso, tipo quella cristiana che dominò l’Europa per oltre un millennio, e che concepiva la vita solo come attesa di un mondo a venire e l’individuo non doveva avere desideri o mete personali, né cercare miglioramento, né tantomeno cose materiali, ma solo escatologicamente perseguire la cosidetta “salvezza”, o tipo quella antica greco-romana che bandiva il futuro a scapito di un passato considerato sempre migliore, che costituiva un’escatologia all’incontrario dove tale passato era equiparato ad una mitica “età dell’oro” e tutte le epoche venute dopo ne rappresentavano un inesorabile degrado. Ecco l’esempio che ne fa il poeta greco Esiodo “all’inizio un’aurea generazione di mortali fu creata dagli dei immortali dell’Olimpo, essi erano simili agli dei , non erano afflitti da dolori e malattie e l’abominevole vecchiaia non li attendeva al varco, ma restavano sempre eguali e quando morivano erano come immersi in un sonno” A pensarci bene che cosa era questa “età dell’oro” se non la giovinezza? Una metafora presa dal riferimento più immediato, il corpo appunto, ma preso nel suo momento di massimo fulgore, la giovinezza con le membra vigorose, l’aspetto leggiadro, la bellezza, la piena salute, l’entusiasmo: parola che letteralmente significa avere un dio dentro di sé, “en-theos” ….e qual’è per un mortale l’unico modo per essere così simile agli dei dell’Olimpo? Paradossalmente morire giovane, si’ che l’abominevole vecchiaia non venga a distruggere quella perfetta armonia corporea. La archetipa visione del mondo del nostro mondo occidentale quella di Esiodo, di Omero e ancora di Orazio, di Virgilio, è una giovinezza resa paradossalmente immortale da una morte precoce, il netto contrario di quella moderna, fondata invece sulla macchina, sul suo deteriorarsi e conseguente aggiustarsi, al limite sostituirsi per pezzi, dove la metafora tra corpo e macchina induce una morte sempre differita, un prolungare fino allo stremo quell’assemblaggio di pezzi del tutto indifferentemente dall’aspetto estetico, dal vigore, dall’efficienza. Abbiamo però visto come tale “visione” stia oramai mostrando la corda, e non perché il referente-corpo non si presti ulteriormente ad un suo prolungamento quantitativo di numero di anni, quanto per l’esaurirsi del campo di applicazione quell’”ex-sistere” che non riesce più a contenere “l’in-sistere” Ed ecco che entra in gioco l’entropia, che gli antichi non conoscevano concettualmente, come non conoscevano il 2° principio della termodinamica, ma che entrambi li presupponevano quasi come sorta di “contro-assicurazione” per scongiurare le più grandi malefatte dell’essere, ovvero, la malattia, la vecchiaia, un inutile e stracco accumulo di anni progressivamente e proporzionalmente in credito di bellezza e entusiasmo. La legge dell’entropia è il fondamento del 2° principio della termodinamica , ovvero il principio che stabilisce che materia e energia possono modificarsi in un sola direzione da forme utilizzabili a forme non più utilizzabili , di cui appunto l’entropia è una misura del grado in cui in ogni sistema dell’universo l’energia disponibile si è trasformata in una forma non più disponibile, e il secondo principio della termodinamica è anche il principio di cui si è avvalso Freud per ribaltare la sua concezione della vita come libido volta a sfuggire il dolore e perseguire il piacere, con il saggio dal nome che è tutto un programma “al di là del principio del piacere” e la scoperta di una pulsione di morte come ultima ratio della coazione a ripetere, ovvero ripetere, sempre ripetere, fino ad arrivare all’ultimo girone del desiderio che coincide in sostanza nel voler far ritorno da dove si è venuti, il nulla, prima che cominciasse il processo entropico di consumare tutta l’energia disponibile che potremmo anche equiparare al processo storico, e quindi la morte e non solo quella termica supposta dalla termodinamica , ma quella dell’intero sistema vivente. L’entropia mina l’idea che la storia sia volta al progresso, e la tecnica, la tecnologia e le sue varie forme di evoluzione, fino a quelle di oggi, della digitalizzazione e dell’informatizzazione: la antica “technè” originata dal furto di Prometeo della scintilla divina del fuoco, il suo strumento più appariscente : la technè, questo gli antichi lo avevano espresso a chiare lettere, non è quel paradigma di assoluto valore, che l’umanità superando la triste visione escatologica cristiana, ha creduto di identificare nella macchina; essa ingenera si’ una diversa modalità temporale, non più ciclica, ma progettuale, ma parimenti ne pone i suoi limiti e la sua bivalenza : le catene che avvingono alla roccia del Caucaso l’autore del furto agli dei, Prometeo, sono di ferro ovvero di una lega di metalli, tra i primi prodotti di quella stessa “technè”. Il pericolo che proprio l’entropia possa costituire l’ultima versione di queste visioni del mondo è quanto mai plausibile e trova proprio in quel saggio sopra accennato di Freud una sua interazione : una visione del mondo non fondata su di una età dell’oro con un passato da recuperare e neppure una che invece del passato ponga un non verificabile futuro con un altrettanto inverificabile divinità, bensì, tout court, una visione del mondo, fondata sul nulla, a cui irreversibilmente l’umanità tende a far ritorno, quel “non-essere” che qualcuno ha chiamato “morte”
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