Le vetture non erano di linea ardita e avveniristica come le Mercedes, le “frecce d’argento” che avevano dominato gli ultimi due campionati del mondo, in verità non erano neppure delle Ferrari, erano della Lancia, la casa torinese, che aveva imperniato la sua partecipazione alle corse sulla persona di Alberto Ascari, il due volte campione del mondo. Grande pilota Ascari, ma sulla Lancia era riuscito a vincere solo la Mille Miglia nel ’54 e assolutamente niente in F.1, né nella stagione ’54 né nelle prime gare di quella ’55, dove tuttavia a Montecarlo prima che lui e la sua vettura finissero a mare alla chicane, si era rivelata molto competitiva e in grado di mordere la coda alle argentee vetture di Fangio e Stirling Moss. In quello spettacolare volo a mare la vettura era andata distrutta, ma il pilota aveva riportato solo la frattura del setto nasale, per cui tutti lo sapevano ancora in ospedale o perlomeno sotto cura, quando pochi giorni dopo arrivò la ferale notizia “Ascari muore in un giro di prova colla Ferrari di Castellotti sul circuito di Monza” Notizia ancora più ferale per la casa torinese, che, come detto, su Ascari aveva affidato tutte le sue velleità agonistiche e che, proprio per quella scomparsa, aveva deciso il ritiro dalle competizioni e di fare dono alla Ferrari di tutto il suo parco macchine: in particolare la Lancia d-50, di F.1 che come detto non aveva questa linea cosi’ ardita, quei due serbatoi laterali la rendevano panciuta, anche un po’ goffa, e non solo ma Enzo Ferrari decise di non usarla pei restanti grandi Premi del ‘55, ma farla esordire nella stagione 1956 e con una squadra davvero d’eccezione, imperniata sul campione del mondo delle due ultime stagioni, l’argentino Jean Manuel Fangio, anche lui poco appariscente, quarantacinquenne, piuttosto pingue, stempiato, quasi un contrappasso col resto della squadra che gli ruotava attorno: giovani, anche giovanissimi piloti, belli, aitanti, fumavano una sigaretta dietro l’altra, portavano il casco con il sottogola slacciato, su magliette La coste e ed erano sempre accompagnati da splendide donne, come il più vecchio della combriccola il romano Luigi Musso classe 1924, sposatosi molto giovane e con una figlia di 10 anni, ricco, bello e affascinante che separatosi dalla moglie, dopo varie avventure faceva coppia fissa con una fascinosissima donna che si chiamava Fiamma; Ferrari come stile di guida l’aveva paragonato a Achille Varzi, proveniva dalla Maserati dove aveva vinto un infinità di gare su vetture sport, ma nessuna in Formula 1, e siccome sapeva di essere stilisticamente parlando il migliore, il fatto di non aver vinto neppure un grand Prix gli bruciava non pocoLo stesso il più giovane Eugenio Castellotti cl.1930, lodigiano figlio prima illegittimo ma poi riconosciuto di uno dei più ricchi industriali della zona: neppure lui aveva vinto un gran Premio di F.1, ma fino ad allora era stato di riserva di Ascari alla Lancia e quindi di occasioni di mostrare il suo valore ce ne erano state pochine: era forse meno aitante del romano, ma era fidanzato con Delia Scala,già allora famosissima soubrette che lavorava nelle compagnie di Macario, Totò e Dapporto. C’erano poi gli inglesi, il biondo e altissimo Mike Hawrton che portava sempre un giaccone verde ed un casco dello stesso colore con spesso e volentieri dei pantaloni a quadrettini sbuffati un po’ alla zuava e un bel farfallino come cravatta, aveva 27 anni, ma quasi al suo esordio nel 1953 e cioè a 24 anni, si era permesso in lusso di battere in volata il grande Fangio al gran premio di Francia, e non solo, ma aveva anche bissato il successo nel gran Premio di Spagna del ‘54 sul circuito del Phena Rhin; c’è da dire che Hawrton, che aveva il sogno di correre su vetture di costruzione inglesi, non fu un membro fisso della squadra, al contrario del bellissimo Peter Collins, il più giovane della combriccola, classe 1931,immacolato come vittorie in F.1, ma che col suo stile elegante e irruento nel contempo, aveva favorevolmente impressionato Ferrari che lo aveva incluso nella squadra per il 1956 come titolare, squadra che subito, a parte il decano Fangio, aveva preso subito la denominazione di “primavera” data appunto l’età dei suoi componenti e a cui si aggiungevano, non titolare in tutte le gare di F.1, ma sempre presente in quelle sport –prototipi: il nobile spagnolo Alfonso De Portago, emulo del play boy Porfirio Rubirosa L’esordio della Lancia-Ferrari era stato nel gennaio in argentina la patria di Fangio ovviamente idolatrato dai suoi connazionali e fu lui a tagliare il traguardo da vincitore, sia pure in condominio con Luigi Musso, dato che pur costretto al ritiro, dai box Ferrari era stato ordinato al pilota italiano in quel momento in 5^ posizione, di cedergli la propria vettura e con questa l’argentino aveva vinto la gara, (all’epoca questa era una prassi consentita) guadagnando quattro punti (all’epoca spettavano al vincitore otto punti) che col punto del giro più veloce (anche questa era un’altra regola di quei tempi) si portava in testa al mondiale. A Montecarlo però niente da fare contro la Maserati di Stirling Moss, dove Fangio andava a punti con il secondo posto ma sempre in condominio, questa volta con la Ferrari di Peter Collins. L’inglese Peter Collins, subito dopo la pausa della 500 miglia di Indianapolis che a quel tempo era annoverata nelle gare ufficiali del campionato del mondo, doveva essere autore di una esaltante doppietta vincendo consecutivamente i gran premi del Belgio e di Francia, il primo sul velocissimo circuito di Spa-Francforchamps, seguito dalla Ferrari del belga Paul Frere, che eccezionalmente era stata verniciata in giallo, il secondo sull’altrettanto veloce circuito di Reims, dove nella piazza d’onore si classificava Eugenio Castellotti. A quel punto il più giovane della squadra era saldamente al comando nella classifica provvisoria del mondiale, e anche gli altri “giovani leoni” della squadra sembravano avere i numeri per detronizzare il vecchio Re. Le corse e le piste riflettevano la vita dei protagonisti, paciosa e senza scosse quella del vecchio leone, cui la persona pingue e di mezza età non sembrava essere di raccordo con la ruggente atmosfera dei motori , del rischio, del pericolo e della morte dietro ogni curva, tutto il contrario di quella dei giovani, infarcita di belle donne, night club, sigarette, super alcolici.Ma il vecchio leone con la sua metodica guida rispondeva con un’altra doppietta, due gran premi vinti dopo l’altro, in Inghilterra sul vecchio circuito di Silverstone, un ex aeroporto e il secondo in Germania sul mitico circuito del Neurburgring, che era il più lungo e più difficile , colle sue mille curve, circuito del mondo dove più che la velocità contava il manico, rifacevano pendere la bilancia dalla parte del “vecio”. A quel punto per il titolo si sarebbe deciso all’ottavo ed ultimo gran premio della stagione quello d’Italia a Monza , dove a rompere le uova della squadra Ferrari era ancora una volta il terribile inglese Stirling Moss, anche lui molto giovane, 26 anni e che con la Maserati si avviava a vincere il Gran Premio: per ciò che concerne il mondiale il titolo sembrava però essere appannaggio del giovane Peter Collins che dopo il ritiro di Fangio e i sei punti interi del secondo posto, sia anche dietro gli 8 più uno del giro più veloce di Moss, gli consentivano di passare in testa alla classifica, ma a quel punto a pochi giri dal termine colpo di scena :Collins cedeva la sua vettura al campione argentino; tutti Fangio, Moss e Collins avevano due vittorie ma lui aveva anche quella in condominio con Musso in Argentina che gli consentiva con i tre punti del secondo posto diviso con Collins di conquistare il suo quarto titolo mondiale. Pare che Collins cedendo la vettura al più anziano compagno di squadra abbia detto “io ho venticinque anni e avrò tempo di conquistarne altri di campionati mondiali” eh! Lo vedi la vita!!!??? Fangio avrebbe avuto occasione di vincerne un altro di mondiale e campare fino a tarda età col suo record di 5 mondiali vinti, che solo Schumaker e dopo la sua morte , riuscirà a superare; al contrario tutta la squadra “primavera” si sarebbe consumata di lì a due anni, in tragici incidenti : il primo Eugenio Castellotti solo pochi mesi dopo all’inizio della stagione 1957 , in prova e con feroci strascici polemici della madre, che non aveva mandato giù che la stessa sera della notizia della morte del figlio, Delia Scala avesse recitato a teatro con Totò e le aveva rivolto pesanti accuse di aver contribuito all’incidente costringendo il pilota a fare vita notturna e dissipata; un mese dopo era la volta del nobile Alfonso De Portago che alla partenza delle Mille Miglia ostentava la sua ultima conquista la ex moglie di Tyron Power , Linda Christian, ma che di li a poco sarebbe stato protagonista del terribile incidente a Guidizzolo di Mantova, dove oltre a lui morivano numerose persone del pubblico, che erano rimaste investite dalla sua vettura, decretando la fine della storica corsa ; quindi nel luglio del 1958 un gasatissimo Luigi Musso che al gran Premio di Francia e d’Europa, sul velocissimo circuito di Reims , si era presentato in testa alla classifica provvisoria per il titolo e con la fresca e sempre prestigiosissima vittoria alla Targa Florio, ma dopo pochi giri di gara era finito fuori strada all’insidiosissima curva detta del “Calvaire” , una curva dove vigeva una sorta di leggenda che si attribuiva a Fangio: questi infatti aveva rivelato a pochi intimi che la curva del Calvaire si poteva prendere a tavoletta, ma solo se le foglie di un albero ad essa prospiciente, non si muovevano per il vento, in caso contrario bisognava necessariamente staccare, perché il vento avrebbe fatto uscire di strada la vettura . Chissà se Musso che era grande amico di Fangio, aveva sentito quella storiella? Peter Collins il bell’inglese, era tornato a vincere in quello stesso anno in Belgio a Spa, circuito velocissimo e a lui molto congenile, tant’è che lo vinceva per la seconda volta, ma al terribile Neurburgring la morte era in agguato per lui dietro una di quelle mille curve . L’ultimo della squadra che ora era in pianta stabile alla Ferrari , Mike Hawrton , sarebbe stato il primo inglese a conquistare il campionato del mondo , una vittoria soffertissima e raggiunta solo grazie al sistema particolarmente infelice del punteggio che gli aveva consentito lui autore di una sola vittoria, quella al G.P.di Francia dove era morto Musso, di sopravanzare, grazie a secondi posti e giri più veloci il connazionale Stirling Moss che correva con la Wanvall e la Cooper (prima macchina a motore posteriore) che di gran premi ne aveva vinti 5.Proprio l’enormità di tale risultato aveva portato la Federazione a cambiare l’iniquo punteggio attribuendo 9 punti al primo classificato e abolendo il punto del giro più veloce, ma tali regole non interessavano più il neo campione del mondo, che probabilmente impressionato dalla morte di tanti suoi amici, appena conquistato il titolo aveva annunciato il suo ritiro dalle competizioni ad appena 29 anni. La morte a volte fa scherzi curiosi, così niente più casco verde e cravattino a papillon per il biondo allampanato inglese e soprattutto, niente più vetture di F.1 e piste con curve da brivido, ma per lei la nera signora era stata sufficiente una vettura di serie e una normale strada di città! tanto era bastato perché il giovane campione, l’uomo che era stato protagonista ed era sopravvissuto al più grave incidente della storia dell’automobilismo, quello di Le Mans del 1955, fosse ritrovato privo di vita nel gennaio 1959, a seguito di una banale sbandata su terreno bagnato di pioggia.Si concludeva così con questo epilogo fin troppo “normale” la breve stagione della mitica squadra “primavera” della Ferrari.
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