venerdì 22 gennaio 2021

INTENZIONI PERVERSE

 Molto colpito da un articolo di una Editorialista del National Post e scrittrice Barbara Kay lo coniugo ad un mio articolo su quello che stiamo vivendo oggi sulla nostra pelle, ovvero una politica delle intenzioni (toglierci la libertà) su di una politica dei risultati, sempre più desueti e destinati nella visione neoliberista e e comunista unite (abbiamo oramai scoperto che sono due facce di una stessa medaglia) ad essere spazzati via. L'.'articolo affronta il problema di quelle che un tempo erano minoranze che sono assurte a dominanti e  liberticide di questo sistema sociale che ha la sua origine nella Rivoluzione industriale (grosso modo seconda parte del XVIII secolo ) La prima di queste aberranti ideologie è il liberismo, ma da una sua costola si diparte anche il marxismo, una teoria definirei dell'invidia che solo 250 anni dopo si ricongiunge con la sua matrice . 

Karl Marx profetizzava che la rivoluzione socialista sarebbe stata realizzata ovunque da lavoratori, che, liberi dalle manette del capitalismo, avrebbero re-inventato le loro diverse nazioni sotto forma di repubbliche socialiste unite in un sodalizio mondiale. Superfluo sottolineare che questo  non avvenne mai per libera scelta. Pareva che in tutto il mondo i lavoratori fossero più interessati alla possibilità di arricchirsi anch’essi, che ad eliminare tutte le strade verso quella meta. Così è successo che l’eredità politica di Marx è diventata il rispetto forzoso di regole socialiste distopiche imposte da ideologhi criminali. Il comunista italiano Antonio Gramsci individuò un modo più intelligente e non violento per conseguire il trionfo del socialismo in Occidente: ‘occupare la cultura’. Come osservò in tarda età l’intellettuale conservatore Richard Grenier, «Gramsci era il più lungimirante analista delle odierne relazioni tra arte e politica. Gramsci riteneva che la cultura non fosse una semplice sovrastruttura del sistema economico, così come la considerava il marxismo ortodosso, ma fosse centrale nel processo di conquista del potere alla società». Andrew Breitbart sintetizzò così questo concetto: «La politica è a valle della cultura», mentre il rivale/nemico Palmiro Togliatti che dopo la morte di questi fu l'unico a detenere la egemonia in tutto il Partito, ne sviluppò in termini eminentemente pratici il concetto,  offrendo un rifugio e protezione sicure a tutta la congerie di artisti e intellettuali che non avevano avuto alcun problema ad appoggiare il fascismo e che erano alla disperata ricerca di rifarsi una verginità di  comodo per continuare ad occupare un certo ruolo nella Società. Operazione condotta indubbiamente con grande efficacia dal vero e unico padre padrone del Partito Comunista Italiano, non a caso definito "il migliore" che cominciò a lavorare su tale prassi molto molto prima della cosidetta svolta di Salerno, addirittura da un proclama che lanciò nel 1936 subito dopo la campagna d'Etiopia indirizzato  non al proletariato o genericamente al mondo di sinistra, ma a quelli che chiamò tranquillamente "fratelli in camicia nera". Anche dopo la sua morte l'operazione di arruolamento della cultura e dell'intellettualità continuò imperterrita, perlomeno per altri 20 anni , malgrado forti incidenti di percorso del comunismo reale , ovvero della URSS (invasione dell'Ungheria nel 1956 - invasione della Cecoslovacchia nel 1968 - Charta 77 a Praga nel 1976/77 . Anche il più noto seguace di Togliatti Enrico Berlinguer continuò l'operazione, anche se con sempre maggiori discrasie che finirono per sradicare del tutto il concetto di collaborazione tra cultura e politica, preferenziando decisamente il secondo aspetto che finiva per fare della prima una semplice ancella, quasi una inverazione del famosissimo romanzo Mephisto del figlio di Thomas Mann : Klaus.

Ancor parecchio prima del collasso della Unione Sovietica, la versione leninista del socialismo con la rivoluzione, era bella che superata (sempre Berlinguer, e altri leader europei tipo Mitterand) e il Paese del Socialismo Reale offriva ben poche attrattive per i militanti comunisti. Alla serie crescente di insuccessi pratici, diciamolo sinceramente, anche per la pessima strategia utilizzata dal più noto e potente dei  leader europei, Berlinguer, corrispondeva però una sempre maggiore attenzione dei capitalismo e consumismo di servirsi di quell'egemonia culturale che oramai contraddistingueva  la mentalità della persona "di sinistra", di cui  poteva anche accettarne la prosecuzione di tale egemonia in cambio di farsi docili esecutori delle più bieche strategie di mercato    In Occidente gli accoliti di Gramsci divennero ‘estremisti di professione’ e – con le università come loro parco giochi – indottrinavano giovani occidentali al proprio deleterio sistema di valori. Il risultato fu una certa inverazione del celeberrimo Paradigma di Kuhn, applicato al campo non tanto della scienza, quanto della cultura, difatti quando gli studenti si laurearono e intrapresero la scalata alle professioni, ogni singola istituzione di cui siamo stati abituati a fidarci – istruzione, salute fisica e mentale, media, arti, sport, giurisprudenza – fu contagiata da ciò che Grenier identificò come la ‘politica delle intenzioni’ opposta alla ‘politica dei traguardi’. Coloro i quali credono nella politica delle intenzioni ritengono che se le intenzioni sono nobili, i cuori puri, la compassione senza limiti (per coloro designati come oppressi) e gli ideali alti, essi non possono essere considerati responsabili di tutte le conseguenze negative derivanti dalle politiche ispirate dalle loro pie intenzioni. Essi rigettano qualsiasi allusione al fatto che siano le loro idee a spianare la strada alla disgregazione sociale, all’ingiustizia verso gli innocenti o a tragedie ancor più grandi. Coloro i quali osano segnalare in pubblico questi collegamenti vengono immancabilmente disonorati o ‘cancellati’. Il più efficace ed efficiente strumento di ‘occupazione della cultura’ è il dominio del linguaggio. Gli ideologhi sanno bene che non possiamo padroneggiare le idee se non abbiamo il dominio del linguaggio. Letteralmente non sappiamo cosa stiamo pensando, se non siamo in grado di parlare senza auto-censura.   E non serve la baionetta per instillare dapprima l’incertezza e in seguito la paura di esprimersi liberamente. Ciò non di meno, l’impulso ad infondere la paura è totalitario. I totalitaristi, siano essi della specie terroristica o ‘al velluto’, sanno che la paura di esprimersi liberamente alla fine inibisce la capacità di discernere la semplice verità dalla ‘verità’’ ideologica.  Questo è un passo tutto della scrittrice Kay, ma debbo dire che lo trovo quanto mai informante e dolorosamente istruttivo: si riferisce ad un aspetto  emblematico della situazione attuale, specie  coi recentissimi eventi della controversa e truffaldina elezione di Biden alla Presidenza degli USA e la spaventosa lotta ingaggiata dal neoliberismo consumista e comunista che ha appunto come volenterosi carnefici della libertà umana tutta la ipocrita mentalità buonista di sinistra  per eliminare il loro maggior pericolo: il fuori schema e fuori regole appunto delle intenzioni, ovvero Donald Trump . Ebbene sono notizie oramai all'ordine del giorno della particolare predilizioe per questo pseudo Presidente, che ovviamente è solo il fantoccio di ben altri interesse e persone, verso il mondo della omosessualità, dei gay, lesbiche, trans.......
Gli attivisti ‘trans’, ad esempio, sono maestri nello sfruttare la politica delle intenzioni, . Solo una frazione minuscola della popolazione si identifica con il sesso opposto, ciò nondimeno essi rappresentano un gruppo oppresso designato. Nell’attuare le politiche, la compassione per la loro sofferenza combinata al sommo ideale ‘dell’inclusione’ devono quindi prevalere su qualunque altra considerazione. La soluzione individuata è una ridefinizione della ‘donna’ che comprenda ogni uomo che desiderava essere donna.  Le parole ‘uomo’ e ‘donna’ sono fondate su realtà biologiche. Ma quale è il valore della realtà biologica di fronte al valore del sostegno psicologico agli oppressi? Et voilà, una ‘donna’ – saremo obbligati a convenire – è un essere umano che si identifica in una donna. Una donna può quindi avere un pene. 
Conseguenza di questa Grande Balla gender: misure che mettono a rischio la sicurezza e il trattamento delle vere donne nelle prigioni, nei dormitori o nello sport. Ma perché le politiche abbiano i denti, la menzogna deve essere ben radicata nella legge. E in parte è così. Alla corte dei diritti umani, i diritti di genere hanno lo stesso status legale dei diritti sessuali (che sono nella Carta dei Diritti del Canada). Nessuno dei nostri cervelloni avvocati si è accorto che attribuire gli stessi diritti a soggetti riconoscibilmente di un sesso e a quelli che avrebbero voluto esserlo – ma non lo sono – era ipso facto una contraddizione giuridica grossolana. Ma anche la legislazione sui diritti non è sufficiente. Le persone devono essere obbligate a dar voce alla menzogna. Devono utilizzare pubblicamente i ‘loro’ pronomi nelle aule scolastiche, nelle conferenze e anche nelle aule di giustizia. Come se i pronomi fossero di proprietà privata e come se l’obbligo di dar voce ai ‘vostri’ pronomi fosse paragonabile al valore della libertà di espressione. E perfino questo non è abbastanza. I genitori devono sottoporre i propri figli all’indottrinamento basato sulla menzogna. E così il processo di distruzione dei legami familiari e l’appropriazione dei figli da parte dello Stato – obiettivo finale del socialismo gender – va avanti. Opponiti alla menzogna e affronterai le baionette di oggi: aggressione sui social media e carriera in rovina. Oggi un biologo evoluzionista che insistesse nel dire che la biologia umana è dimorfica e che rifiutasse di acconsentire a mantra anti-scientifici e avulsi dalla realtà può vedersi negata la nomina, su queste basi. Volendo seguire l’esortazione di Alexandr Solzhenitsyn a «non vivere di menzogne» molti onesti ricercatori hanno scelto di abbandonare le università. E così, i ranghi accademici si svuotano di uomini schietti e il loro posto viene preso da quanti hanno deciso di vivere secondo la menzogna, nel nome di una presunta compassione che in realtà è un attacco ben organizzato alla società dei liberi, con l’obiettivo di rimpiazzarla. Simili battaglie linguistiche (e capitolazioni) stanno avendo luogo in campo razziale (‘privilegio bianco’) e artistico (‘appropriazione culturale’). A chiunque segua l’alternarsi dei notiziari è estremamente chiaro che la politica delle intenzioni regna sovrana.  Gli ideologhi preferirebbero vedere le città bruciare piuttosto che ammettere che il razzismo in polizia non è una spiegazione organica dei problemi della comunità nera. La comunità artistica preferirebbe vedere le pareti dei musei rivestite di opere del realismo sovietico, piuttosto che garantire libertà creativa agli artisti.
La politica delle intenzioni non ha mai riguardato la compassione, la sofferenza dei gruppi oppressi o i diritti dell’uomo. In Attraverso lo specchio (e quello che Alice vi trovò) lo scrittore vittoriano Lewis Carroll faceva la tara all’ossessione della sinistra per le parole e la loro definizione, ben prima che il socialismo acquistasse consenso politico in occidente:   «Quando io uso una parola, — disse Unto Dunto in tono d’alterigia, — essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno». «Si tratta di sapere, — disse Alice, — se voi potete dare alle parole tanti diversi significati».«Si tratta di sapere, — disse Unto Dunto, — chi ha da essere il padrone…  Questo è tutto».

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