Sulla scia dell'articolo precedente sulla ri-lettura di grandi libri e la sottesa sincronicità della scelta, o per meglio dire della "ri-scelta", di solito assai più interessante e sconvolgente della seconda (vedi più di un saggio di Evola, il thalassa, thalassa di Senofonte parariferimento del Thalassa di Ferenczi, Mephisto di Klaus Mann, praticamente tutto Freud, la mente bicamerale di Jaynes, lo scopino dello specchio di Lacan, etc) vado a confrontarmi con la casuale rilettura de Il mattino dei maghi in una edizione che non è quella non quella originale del 25 novembre 1963, della quale discussi più che altro della teoria delle Quattro lune e del ghiaccio di Horbiger con Julius Evola, invitato, io ragazzino appena iscritto alla MSI e alla Giovane Italia distintivo grigio, nell'appartamento in Corso Vittorio Emanuele a Roma dove abitava il grande filosofo. Ho un. ricordo incisivo e entusiasmante di quell'incontro, dove erano anche presenti il principe Junio Valerio Borghese dal quale mi feci firmare un libro che avevo sulla X MAS, Pino Rauti, un giovane Giorgio Almirante della cui corrente molto intransigente facevo parte e Amelia Graziani la nipote del Maresciallo che doveva convincermi a saltare alcuni anni scolastici e presentarmi alla maturità classica presso l'Istituto di recupero che dirigeva in via Flaminio assieme al suo compagno un principe egiziano in esilio alto due metri. Il libro di Pauwels e Bergier rappresentava all'epoca uno dei miei fiori all'occhiello di una conoscenza ancora molto deficitaria della concezione di vita da me preferita (c'erano come esigui rappresentanti il Zarathustra di Nietzsche e l'Origine della tragedia, il saggio Di Guenon sulla crisi del mondo moderno e la lettura in corso di un paio di un paio di testi di Evola dove compariva anche la parola "sesso" che era all'epoca una di quelle che per me era capace di smuovere le montagne. La teoria di Horbiger, come ho detto era il principale cavallo di battaglia con il quale mi confrontavo in dibattito con il sommo studioso e debbo dire la verità, me la riuscii a cavare : come dicono i siciliani, il cui idioma da me molto utilizzato per quella mirabile assonanza tra parola espressione e situazionalità.... "me la spirugghiai " Completamente un altro binario nella rilettura odierna di ben 58 anni dopo: su Horbiger e altre teorie estreme, una ripassata veloce, con anche un pò di spallucce, ma sul tema della fisica quantistica così come affrontato dai due autori, bhe davvero la canonica zompata dalla sedia : a colpirmi fu anzitutto un passaggio quasi iniziale che è un pò un ossimoro della risposta a quell'imbecille di ex amico in merito all'anno in cui scientificamente ci troviamo (lui diceva che non siamo all'anno zero, io andavo al meno uno senza lasciarmi suggestionare dalla proiezione di qualsivoglia radice quadrata, che avrebbe potuto spostare il registro al piano immaginario : "A che punto siamo oggi?" quasi chiosano Pauwels e Bergier "in tutti gli edifici della scienza si sono aperte delle porte , ma l'edificio della fisica è oramai quasi senza muri: una cattedrale tutta di vetrate, in cui si riflettono gli albori di un altro mondo, infinitamente vicino" "la logica del buon senso non esiste più "aggiungono gli autori "nella nuova fisica una proposizione può essere vera e falsa contemporaneamente : AB non è eguale a BA, una stessa entità può essere continua e discontinua, statica o in movimento, insomma detta proprio nei termini dei grandi studiosi della materia : stato e flusso, particella e onda: Einstein e/o Bohr, Heisenberg e/o Schrodinger!!!!!! Qui però i nostri autori citando le cattedrali parlano anche di Fulcanelli e dei misteri dell'Alchimia e questa immagine di una cattedrale tutta vetrata mi intriga in maniera paradossale...niente più muri, solo trasparenze e al massimo qualche riflessione, l'ideale per lasciarsi andare a suggestioni che fanno giustappunto riflettere, laddove il paradosso , la stranezza sono elevati a sistema di comprensione , a sistema di conoscenza. Sono ancora loro i bistrattati Pauwels e Bergier (bistrattati o meglio sottovalutati fin quasi alla ironia dalla pseudo scienza ufficiale ) che introducono in questa immagine di cattedrale tutta vetrata senza più muri, ma solo di trasparenze e riflessione il concetto che si fa numero o meglio indice, io direi anche coefficiente, che si definisce "quantico di stranezza" - per tutto il corso del XIX secolo si pensava che due numeri al massimo tre, bastassero per definire una particella: il primo era la massa, il secondo la carica elettrica, il terzo il momento magnetico, ma ecco che con le nuove equazioni della fisica con i vari Plank, Lorenz, Einstein, Bohr, etc. quei tre numeri non bastarono più e fu necessario aggiungere una grandezza introducibile a parole che venne denominata SPIN. All'inizio si era creduto che tale grandezza corrispondesse ad un periodo di rotazione della particella su se stessa, un pò come l'intervallo di 24 ore che serve alla terra per l'alternarsi del giorno e della notte, ma ci si accorse ben presto che nessuna spiegazione del genere poteva reggere a livello particellare . Lo spin era soltanto lo spin, una quantità di energia legata alla particella che si presentava matematicamente come una rotazione senza che nulla ruotasse nella particella
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