sabato 4 febbraio 2023

COSCIENZA ED ENTROPIA

La coscienza è posteriore al linguaggio, ma di converso  come diceva Lacan, non solo la coscienza ma anche l'inconscio è strutturato come il linguaggio” Non solo Lacan, ma anche lo stesso Freud  nel saggio che diede appunto avvio alla scienza della psicoanalisi “l’Interpretazione dei sogni”  si riferisce all’asse linguistico  che verrà codificato nella famosa  barra tra significato e significante da De Saussure, asse che  si muove  tra le figure della  linguistica: metafora e metonimia. Cosa sono, difatti ne “l’interpretazione dei sogni, la condensazione e il trasferimento,  se non le due principali figure retoriche della linguistica?
E’ una questione di riferimenti! Tutto è riferimento  nell’uomo, perlomeno da quando è pervenuto al linguaggio articolato e ha cominciato conseguentemente  a chiedersi del perché della propria esistenza ma anche al perché della propria insistenza a domandare sempre la stessa cosa “chi sono, dove sono, da dove vengo, dove vado?” Un riferimento è in sostanza una visione, una possibile visione del mondo che dovrebbe consentire di stabilire analogie comportamentali sulla base del proprio linguaggio e del mondo esterno e rendere quindi il tutto “abitabile” nel senso di contrarre abitudini atte appunto ad un essere “presenza” Il riferimento funziona quindi per analogia e struttura una certa visione del mondo che in verità si appunta su di un analogo particolare, un “analogo-Io” che mette appunto in situazione sé stesso rispetto ad un mondo, diciamo alquanto indifferente alla propria “presenza”  Nel corso della propria storia linguistica e  di fattualità, l’uomo ha sempre ricercato  tali quadri di riferimento, che possiamo anche definire “visioni del mondo” esse sono relative al periodo  e al tipo di società in cui sono state applicate, ma proprio in relazione a tale periodo, e a tale Società  hanno un che di assoluto, nel senso che funzionano come un vero e proprio paradigma , cui tutti, bene e male finiscono per aderire. Nel corso della storia  queste visioni del mondo, funzionanti come paradigma,  ce ne sono state molteplici e alcune particolarmente  tenaci  e dilatate, ad esempio la nostra, quella attuale delle nostre “contrade occidentali” ha un arco temporale di quasi trecento anni  e per quanto si sia modificata ed evoluta (o involuta) nel tempo  ha conservato la visione originaria che sostanzialmente è quella della Rivoluzione industriale e dell’avvento della macchina: il nostro è un mondo di macchine, di leve, ruote,  puleggie, che sono, via via andate assumendo  la  connotazione di processori informatici, computer, monitor :il mondo è come un gigantescomagazzino di componenti, fatto di miriadi di pezzi che aspettano solo di essere assemblati in un sistema funzionante. Questo è il paradigma  storico del nostro tempo  e del nostro mondo:  la macchina è così integrata nella nostra persona che è difficile  stabilire dove finisce lei e  dove comincia l’uomo;  anche  il nostro linguaggio si è conformato alla macchina: noi "misuriamo" i

rapporti, i nostri sentimenti sono “vibrazioni”, cerchiamo di evitare “attriti” e facciamo in modo di “sincronizzarci” cogli altri, piuttosto che stabilire pensieri o affezioni con loro, pensiamo alla nostra stessa vita  come qualcosa che “gira  regolarmente” 
e ci si aspetta  che essa possa essere “riparata”  se qualcosa  in essa si è “guastata”, come se gli esseri umani  fossero semplici pezzi di un  meccanismo che possano essere “aggiustati” o “sostituiti” Questa visione del mondo che ancora costituisce il paradigma  di questo inizio del terzo millennio, visione di un accentuato materialismo e che  giustifica tutto nel nome di una parola  “Progresso” , sta  cominciando però a perdere colpi (proprio come una macchina alquanto deteriorata)  Il relativo della attuale Visione del mondo  cosiddetta “moderna”  anzi post-moderna comincia a farsi sentire non meno delle precedenti visioni del mondo,  che non avevano quella fede cieca nel progresso, tipo quella cristiana  che dominò l’Europa  per oltre un millennio, e  che concepiva la vita solo come attesa di un mondo a venire e l’individuo non doveva avere desideri o mete personali, né cercare miglioramento, né tantomeno cose materiali, ma solo escatologicamente perseguire  la cosidetta “salvezza”,  o tipo quella antica greco-romana che bandiva il futuro a scapito di un passato considerato sempre migliore, che costituiva un’escatologia all’incontrario dove tale passato era equiparato ad una mitica “età dell’oro” e tutte le epoche venute dopo ne  rappresentavano un inesorabile degrado.
Ecco l’esempio che ne fa il poeta greco Esiodo “all’inizio un’aurea generazione di mortali fu creata dagli dei immortali dell’Olimpo, essi erano simili agli dei , non erano afflitti da dolori e malattie e l’abominevole vecchiaia  non li attendeva al varco, ma restavano sempre eguali  e quando morivano erano come immersi in un sonno” A pensarci bene che cosa era questa “età dell’oro” se non la giovinezza? Una metafora presa dal riferimento più immediato, il corpo appunto, 
ma preso nel suo momento di massimo fulgore, la giovinezza con le membra vigorose, l’aspetto leggiadro, la bellezza, la piena salute, l’entusiasmo: parola che letteralmente significa avere un dio dentro di sé, “en-theos” ….e qual’è per un mortale l’unico modo per essere così simile agli dei dell’Olimpo?  Paradossalmente morire giovane, si’ che l’abominevole vecchiaia  non venga a distruggere quella perfetta armonia corporea. La archetipa visione del mondo del nostro mondo occidentale  quella di Esiodo, di Omero e ancora di Orazio, di Virgilio, è una giovinezza resa paradossalmente immortale da una morte precoce, il netto contrario di quella moderna, fondata invece sulla macchina, sul suo deteriorarsi e conseguente aggiustarsi, al limite sostituirsi per pezzi, dove la metafora tra corpo e macchina  induce una morte sempre differita, un prolungare fino allo stremo quell’assemblaggio di pezzi del tutto indifferentemente dall’aspetto estetico, dal vigore, dall’efficienza. Abbiamo però visto come tale “visione” stia oramai mostrando la corda, e non perché il referente-corpo non si presti ulteriormente  ad un suo prolungamento quantitativo di numero di anni, quanto per l’esaurirsi  del campo di applicazione quell’”ex-sistere” che non riesce più a contenere “l’in-sistere”  Ed ecco che entra in gioco l’entropia, che gli antichi non conoscevano concettualmente, come non conoscevano il 2° principio della termodinamica, ma che entrambi li presupponevano quasi come  sorta di “contro-assicurazione” per scongiurare le più grandi malefatte dell’essere, ovvero, la malattia, la vecchiaia, un inutile e stracco accumulo di anni  progressivamente e proporzionalmente  in credito di bellezza e entusiasmo.
La legge dell’entropia  è il fondamento del 2° principio della termodinamica , ovvero il principio  che stabilisce che  materia e energia  possono modificarsi in un sola direzione  da forme utilizzabili a forme non più utilizzabili , di cui appunto l’entropia è una misura del grado  in cui in  ogni sistema 
dell’universo l’energia disponibile si è trasformata in una forma  non più disponibile, e il secondo principio della termodinamica  è anche il principio di cui si è avvalso Freud  per  ribaltare la sua concezione della  vita come libido volta a sfuggire il dolore e perseguire il piacere, con il saggio dal nome che è tutto un programma “al di là del principio del piacere” e la scoperta di una pulsione di morte come ultima ratio della coazione a ripetere, ovvero ripetere, sempre ripetere, fino ad arrivare all’ultimo girone del desiderio  che coincide in sostanza nel voler far ritorno da dove si è venuti, il nulla, prima che cominciasse il processo entropico di consumare tutta l’energia disponibile che potremmo anche equiparare al processo storico, e quindi la morte e non solo quella termica supposta dalla termodinamica , ma quella dell’intero sistema vivente. L’entropia mina l’idea che la storia sia volta al progresso, e la tecnica, la tecnologia e le sue varie forme di evoluzione, fino a quelle di oggi, della digitalizzazione e dell’informatizzazione:  la antica “technè”  originata dal furto di Prometeo della scintilla divina del fuoco, il suo strumento più appariscente : la technè, questo gli antichi lo avevano espresso a chiare lettere, non è quel paradigma di assoluto valore, che l’umanità superando la triste visione escatologica cristiana, ha creduto di identificare nella macchina;  essa  ingenera si’ una diversa modalità temporale, non più ciclica, ma progettuale, ma parimenti  ne pone i suoi limiti e la sua bivalenza : le catene che avvingono alla roccia del Caucaso l’autore del furto agli dei, Prometeo, sono di ferro ovvero di una lega di metalli, tra i primi prodotti di quella stessa “technè”. Il pericolo che proprio l’entropia possa costituire l’ultima versione di queste  visioni del mondo  è quanto mai plausibile e trova proprio sia negli antichi scritti o in quel saggio sopra accennato di Freud una sua  interazione : una visione del mondo non fondata su di una età dell’oro con  un passato da recuperare e far tornare allo splendore, ma una che vada verso quella terrificante "eta' del ferro"   con una umanità serva di pochissimi oppure con una visione del mondo, fondata  sul nulla, a cui irreversibilmente l’umanità tenderebbe a far ritorno, quel “non-essere” che qualcuno ha chiamato “morte”

 

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