giovedì 31 agosto 2023

C'E' ANCHE UNA ORIGINE DELL'INCONSCIO

 

"La coscienza è l'ultimo e più tardo sviluppo dell'organico e di conseguenza anche il più incompiuto e il più depotenziato. Si pensa che qui sia il nocciolo dell'essere umano: ciò che di esso è durevole, eterno, ultimo, assolutamente originario! Si considera la coscienza una stabile grandezza data! Si negano il suo sviluppo, le sue intermittenze! La si intende come unità dell'organismo! Questa ridicola sopravvalutazione, questo travisamento della coscienza hanno come corollario un grande vantaggio, consistente nel fatto che con ciò è stato impedito un troppo celere perfezionarsi della medesima. Perchè gli uomini ritenevano di possedere già la coscienza, si sono dati scarsa premura per acquistarla, e anche oggi le cose non stanno diversamente!" (Friedrich Nietzsche).            Cavolo!!!! Lo vedi !? -  Nietzsche ci aveva acchiappato su tutto!!!! In questo pensiero sembra, non solo anticipare Freud e l'inconscio, cosa che prima di lui avevano fatto in parecchi, Cervantes, Poe, Melville, ma addirittura delineare chiaramente Julian Jaynes e la sua mente bicamerale e quindi porre l'origine della coscienza molto ma molto più ravvicinata in quanto derivata del linguaggio e a questo posteriore (grosso modo tremila anni fa o giù di là). Ci pensi alla sconvolgente affermazione “La coscienza e’ posteriore al linguaggio” quante incredibili conseguenze determina nella nostra cultura e persino civilta’? significa ammettere che l’uomo ha fatto tutta una serie di cose, dal costruire paesi, citta’, monumenti, realizzare diverse civilta’, fare guerre, il tutto, senza esserne cosciente, ma semplicemente facendo leva su di un altro meccanismo neuronale, uno appunto non derivato dal linguaggio, ma su qualcos’altro.  Beh e’ notorio che c’è stato  un certo signor Freud che ha dato il nome a questo “qualcos’altro” perfettamente biologico, denominandolo “inconscio”. Ma e’ anche vero che da tempo immemorabile l’uomo ha sempre avvertito questo “esser-ci”- altro,  molto molto prima di Freud e anche di Heidegger cui quel “ci” ha dato comunanza all’essere, e alquanto piu’ poeticamente l’aveva chiamato “eta’ dell’oro”   
Una età dell’oro, una denominazione comune un po’ a tutte le civilta’ del passato la cui peculiarita’ era quella di essere  caratterizzata da voci ? Voci allucinatorie tout court identificate con le voci degli dei, anzi l’unica modalità di manifestazione di non meglio precisati dei. E per quanto tempo durarono queste voci, per quanto tempo questi dei abitarono qui sulla terra ? Di certo assai più dei tremila anni scarsi della coscienza, stante la sua dipendenza dal linguaggio articolato, diciamo una temporalità indefinita, fatta di decine, centinaia di migliaia di anni, chi può dirlo, mancante l’elemento di trascrizione di una data esperienza? Mancando quell’analogo-io in grado di mettere in situazione se’ stesso con uno scritto? Ecco che qui entra in gioco un pensatore piu’ recente di Freud o di Heidegger, un pensatore a noi contemporaneo che nel 1976 scrisse un saggio di fondamentale importanza “il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza" giustappunto il sopracitato Julian Jaynes. Cosa significa mente bicamerale?
Significa un cervello ben distinto nelle sue funzioni:
 una funzione pratica adattiva per sbrigare le faccende del quotidiano con una certa rispondenza fondata sulla condensazione di un significato acquisito che prendeva in esame la modalita’ comunicativa degli esseri umani, quella appunto di un linguaggio articolato , in grado cioe’ di comprendere sempre piu’ dati e trasmetterli al proprio simile, quindi un codice metaforico un “cosa e’ questo?.... beh e’ come quest’altro….” Metafora e’ parola greca e significa letteralmente “portare nei pressi, nell’intorno“.  avvicinare un significato ad un altro per effetto di rassomiglianza. Tale funzione eminentemente metaforica quindi si allocava nell’emisfero sinistro del cervello con tanto di specializzazioni nelle varie aree (Broka, Vernicke, etc). significa pero’ anche una diversa parte allocata  nell’emisfero opposto dello steso cervello, preposta ad una funzione assai differente  : sfruttare l’esperienza acquisita del singolo, del gruppo e trasmetterla alla comunita’ non per condensazione, non metaforicamente ma per spostamento, per trascinamento di quel significato letterale correlato ad un oggetto, che va anche caricandosi di tutta una serie di implicazioni correlate all’essere in una certa situazione e quindi, secondo la teoria di De Saussure  diventa “significante”, una operazione che la retorica linguistica indica con il nome di metonimia e che resta compresa appunto dal meccanismo di trascinamento di significante quale puo’ essere una composita esperienza a fronte di un determinato evento di tipo eccezionale (l’attacco di una belva feroce, una alluvione, un incendio,  altri tipi di eventi piu’ o meno naturali. Una mente bicamerale quale quella descritta da Jaynes può in effetti essere durata centinaia di migliaia di anni e lo stesso può dirsi se un tale paradigma viene applicato e adattato ad un qualcosa di così misterioso, così fumoso, per nulla documentato come la prima Era della Umanità quella dell’oro , quella degli dei, della quale non ci rimangono che illazioni e una forma comune a tutte le culture, di larvata nostalgia , quel “perché gli dei non ci parlano più?” Come dovettero essere tali voci, abbiamo detto, o meglio ci ha detto esaurientemente Jaynes nel suo saggio – stress, situazioni nuove, adattamento all’ambiente , modalità non discutibile della comunicazione auditiva, etc’- semmai , è il caso di andare a scoprire che fine abbiano fatto tutte queste voci, una volta che l’emisfero sinistro del cervello ha costruito quell’analogo io che ha consentito di mettere l’individuo “in situazione” e narratizzare la sua presenza e quindi di quelle prescrizioni non ha alcun bisogno? Sembrerebbe avallata l’ipotesi di zona muta, se difatti una voce non ha più nulla da indicare a livello comportamentale, a cosa serve l’emisfero destro? a niente! è un emisfero del tutto superfluo in quanto le zone corrispondenti a quelle del linguaggio articolato non rivestono più alcuna utilità. Così sembrerebbe se utilizziamo il referente della singola eventualità comportamentale, ma cosa succede se prendiamo in esame un qualcosa di molto più generalizzato? cosa succede se ci focalizziamo sul “desiderio” che della vita ne costituisce l’essenza? Succede che viene investito qualcosa di molto più complesso e articolato di una singola evenienza; la modalità allucinatoria delle parti dell’emisfero destro del cervello, preposte alle suggestioni/comandamenti, in correlazione a quella costruzione di analogo io, perde quella funzione di rapporto tra i due emisferi e si precisa in un qualcosa che assume una essenza a sè stante, quella appunto che informa il desiderio, tutto il desiderio come correlato sempre presente fin dall’apparizione dell’uomo e di quel suo distacco dallo stato animale, che attenzione non è la coscienza, ovvero l’analogo io, è un qualcosa che sta localizzata nell’emisfero destro che esaurita la sua funzione allucinatoria/prescrittiva, la evolve in una generalizzazione di quello che da sempre ha rappresentato l’istanza della presenza dell’uomo sulla terra, una sorta di pieno ritorno a quel “de-sidera” ovvero quel “venire dalle stelle”.
Un’entità più o meno misteriosa, certamente ancora sconosciuta, che ha rappresentato l’inizio della vita, ovvero, come dice Freud in Al di là del principio del piacere, un turbamento in un qualcosa di preesistente alla sua apparizione, ovvero una fenomenologia irrelata dove è presente un corpo turbato (il pianeta, terra, lo stato inanimato) che tende incessantemente a ritornare nello stato precedente a tale turbamento e un corpo turbante (l’apparire della vita, non insita allo stato inanimato, ma proveniente da altrove) che ha invece una duplice istanza : quella di permanere nel proprio stato a tutti i costi (il famoso “la vita ama la vita), ma anche quella di tornare anch’essa da dove è venuta, una nostalgia, direbbe Freud “una coazione a ripetere” ovvero da altrove , lo spazio, il cielo...le stelle... e quindi ri-tornare tra le stelle (de-sidera).
Della reazione della prima entità, la terra, che potremmo anche definire totale assoluta indifferenza, ne abbiamo continuamente esaurienti prove: terremoti, inondazioni, mareggiate, eruzioni vulcaniche, sconvolgimenti tellurici, cambiamenti climatici, caldo, freddo, gelo, diciamo che la terra è un ambiente quanto mai inidoneo all’ordine delle volontà e dei disegni umani, mentre per la seconda entità, avendo invece una duplice istanza, quella del permanere e quella del ritornare, si era reso necessario, nell’essere vivente maggiormente evoluto grazie allo sviluppo del suo cervello, suddividere appunto tale cervello in due distinte parti/funzioni, una preposta a tutti i problemi del difficile adattamento ad un ambiente ostile/indifferente, grazie ad uno strumento di aggregazione ovvero il linguaggio articolato che nominasse ogni cosa e provvedesse grazie ad un meccanismo di paragone/condensazione a nominarne sempre di nuove, un’altra invece che doveva giocoforza trovare in una diversa, anzi opposta localizzazione cerebrale, la sua manifestazione: non quella di nominare tutte le cose, ma di trascinarne più che il significato, il significante, ovvero il sentito dire, quindi una metonimia ovvero tutte le possibili eventualità che una certa azione comportasse, applicandovi una sorta di imprimatur rappresentato dalla somma delle esperienze in situazioni simili, che appunto si imponessero come assolute in termini di comportamento. Questi potrebbero essere stati i tempi di dominio degli dei, giustappunto l’età dell’oro, che non ha bisogno di spiegazioni, non ha bisogno di giustificazioni e meno che mai ha bisogno di temporalizzazione: essa si manifesta in sé stessa, giustappunto in una voce, informante nel suo stesso porsi “Va! Fa! Agisci!“ Le voci ovvero le manifestazioni degli dei, ad un certo punto della storia, che non è la banale storia evolutiva delle moderna società umana, questo è un giudizio di merito prettamente umano, si esauriscono per il banalissimo motivo che “non hanno più nulla da dire”, e quindi a quella mente che Jaynes ha denominato bicamerale si sostituisce la coscienza, ovvero quell’analogo Io, che prodottosi nell’emisfero sinistro del cervello, consiste nel mettere in situazione il proprio vissuto senza più aver bisogno di attendere l’allucinazione/prescrizione trasmessa dal corrispondente emisfero destro e che il gruppo, la socialità, l’evolversi della civiltà aveva arbitrariamente attribuito agli dei. L’evoluzione del linguaggio una volta consentito che tramite un analogo che aveva fatto di se’ stesso, l’uomo fosse in grado di mettere se’ stesso in relazione agli eventi, non abbisognava più delle antiche voci ammonitorie e prescrittive di fantomatici dei, e torna quindi imperiosa la domanda : che fine hanno fatto tali voci e più specificamente che fine ha fatto tutta una parte del cervello che per millenni e’ stata preposta a tale compito? Come anzidetto non si tratta di un banale giudizio di merito o demerito , di valore o di non valore, quale l’uomo, specie da Platone in poi con la sua invenzione del concetto (un uno che sta per molti) ha applicato praticamente ad ogni suo scibile, si tratta della stratificazione della tradizione, un qualcosa di eminentemente simbolico che non cataloga, non elenca, non giudica , e che noi in questa sede denominiamo inconscio una funzione vestigiale che non si è estinta, non è diventata un’area muta del cervello come vorrebbero ipotesi scientiste, ma semmai diciamo che si è andata ad occupare di un qualcosa di molto più generale, insita in quella seconda istanza che abbiamo visto appartenere all’elemento turbatore, ovvero assolte, diciamo al meglio o perlomeno autonomamente, le funzioni di adattamento ad un ambiente ostile o indifferente, quindi di condensazione della propria permanenza, si è andata ad occupare del trascinamento di quell’eterno ritorno nei dettami del desiderio, ovvero quel “de-sidera” che non si contenta di un semplice elenco con termini sempre nuovi, ma vuole il senso di quel suo operare in un contesto che non lo conosce, che lo avversa, che lo opprime e contro il quale deve sempre lottare: vuole ritrovare la sua più profonda essenza, quella che solo il ritorno da dove è venuto può forse spiegare e giustificare.
Così se il “crollo della mente bicamerale”, prospettato tanto brillantemente da Jaynes ingenera giocoforza una “origine della coscienza” per logica associazione dovremo asserire che ingenera altresì una “ORIGINE DELL’INCONSCIO” Ammessa così una origine non solo della coscienza, ma anche dell’inconscio, Il desiderio non è più un singolo evento circoscritto e limitato da risolvere previa una voce allucinatoria e strettamente contingente, ma diviene il desiderio in senso lato, quello originario all’apparire della vita e del turbamento ingeneratosi nell’ambiente; ovvero è l’intera vicenda del genere umano che pervenuto al linguaggio ha specializzato tale strumento fino a coprire praticamente tutti o quasi i conflitti di attribuzione delle cose del mondo circostante, ha piegato il mondo ad una sua capillare nominalizzazione, ma ha tralasciato tutto quello che faceva parte del desiderio della sua stessa essenza, non solo adattarsi all’ambiente con la sua vita, con il suo “esser-ci” e quindi una condensazione/permanenza, ma anche fare ritorno da dove era venuta e quindi tornare intorno alle stelle (de-sidera) ovvero trascinare un significante nei meandri del proprio desiderio, non prendendo più in esame una singola conflittualità, ma il conflitto in sè: l’essere qui gettato in un mondo che non ci conosce e che ci osteggia con la sua totale indifferenza: insomma le eterne domande del genere umano ”chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”, che da tempo immemorabile sono sprofondate in una diversa accezione del linguaggio articolato, prerogativa di sciamani, auguri, indovini, ma anche artisti, poeti, musicisti, filosofi, e negli ultimi secoli anche studiosi, fisici, pensatori, che hanno costruito un linguaggio parallelo e alternativo a quello della cosidetta logica e che uno di questi ne ha individuato la struttura profonda e metodologica del suo manifestarsi, e qui facciamo ritorno a Sigmund Freud, che gli ha dato il nome di “INCONSCIO” e che noi in questa sede azzardiamo che, come la coscienza ha anche esso una origine e questa origine può benissimo trovare, come in un ulteriore estremo integrale sui cammini, una sua spazialità ed una sua temporalità del tutto indefinita si ma anche coincidente con tutto quello che l’uomo ha
considerato come desiderio e che non ha i dettami della localizzazione (vedi la fisica quantistica e la teoria degli insiemi ) e neppure della banale evoluzione a linea diretta da uno stato primitivo ad uno di cosidetto progresso, ma piuttosto la spezzata a zig e zag del ritorno, la teoria dell'eterno ritorno dell'identico nuovamente di Nietzsche che diviene  il mito dell’eterno ritorno in  Mircea Eliade, ma supposto dalle infinite voci della tradizione, un  ritorno all'Eta' dell'Oro

 

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