Fu nel 1872 che un giovane capitano Giuseppe Perrucchetti propose la costituzione di un nuovo corpo militare con peculiarità assai specifiche, quello della difesa dei valichi alpini, fidando sulla appassionata benevolenza di un politico come Quintino Sella allora Capo del Governo che era un appassionato montanaro, tra i fondatori del Club Alpino (il Cai) e del Ministro della Guerra il Gen. Cesare Ricotti Magnani anche lui appassionato montanaro. Spesso si e' detto che se Perrucchetti fu l'ideatore, Magnani anche lui Generale che pero' era oramai passato alla politica, fu il realizzatore del Corpo. Quest'ultimo difatti nelle sue qualita' di Ministro della Guerra avendo particolarmente apprezzato l' articolo appunto del capitano Perrucchetti sulla Rivista Militare in merito alla costituzione di reparti addetti alla difesa alpina, trovò l’escamotage per la costituzione del nuovo corpo, predisponendo la costituzione di 15 compagnie di soldati a reclutamento regionale presso i 10 corpi d’armata in cui era suddiviso il territorio nazionale, con compiti mascherati da militari distrettuali. Questo per ovviare alle opposizioni che sarebbero certamente arrivate se fosse stato proposto chiaramente l’istituzione di un nuovo Corpo militare, in un periodo di forti ristrettezze economiche e dove appunto per bocca dello steso Capo del Governo le tali economie dove essere “fino all’osso” La caratteristica principale del nuovo Corpo che in prima istanza si doveva contentare di sole 15 compagnie, era appunto il tipo di reclutamento, non nazionale, ma regionale, anzi addirittura locale, perché, e su questo punto il Perrucchetti era stato chiaro, la cosa più importante per un impiego tempestivo a livello di difesa montana doveva essere la velocissima mobilitazione dei complementi, quasi con il fucile da portare a casa, come faceva l’esercito svizzero. Nascevano così gli alpini nell’ottobre del 1872 con un Regio Decreto di Vittorio Emanuele II in data 15 ottobre 1872 , abbiamo detto, quasi di soppiatto: 15 sperimentali compagnie che però pochissimi anni dopo nel 1878, con il nuovo Re Umberto I venivano portate a 36 inquadrate in 10 battaglioni che assumevano la denominazione dei luoghi di reclutamento. In quanto all’uniforme era del tutto identica a quella della fanteria, con l’adozione del colore verde come sorta di distintivo, qualcuno dice per il verde delle montagne, ma le montagne specie ai confini sono per lo più ammantate di neve e quindi a rigore il colore avrebbe dovuto essere il bianco, però, e forse qualche dotto studioso era andato a ritrovare che ai tempi di Augusto esisteva una “Legio” , detta dal nome della famiglia dell’Imperatore Augusto: Julia, con peculiarità di difesa montana che adottava il verde come colore distintivo. E verde sia, per le bande dei pantaloni, per le filettature della giubba ed infine anche per le mostre nel 1883 in correlazione con il nuovo simbolo dello stesso Esercito italiano: le stellette. Gli ufficiali continuavano a portare il kepì con le strisce argentee del grado e i Generali la Greca su fondo rosso, ma i soldati, ecco i soldati non ne vollero quasi subito sapere del banale kepì; volevano distinguersi anche e soprattutto nel copricapo da quella che proprio allora cominciavano a chiamare “la buffa” ovvero la fanteria. Cento penne ha il bersagliere” diceva una delle prime canzoni degli alpini “ma l’alpin ne ha una sola, penna d’aquila, penna nera….” bhe magari proprio all’inizio la penna non fu d’aquila, ma di corvo e comunque la sua origine di adottarla come corredo necessario e imprescindibile del cappello, dato che si voleva enfatizzare la costituzione del nuovo corpo militare, il primo del nuovo Regno d’Italia con un richiamo a qualcosa del Risorgimento, fu scelto il copricapo del protagonista dell’Opera Ernani di Verdi, che aveva giustappunto una bella penna sul lato, così come enfatizzato dal famoso quadro “Il bacio” di Hayez, anche se il cappello ivi ritratto somiglia più a quello che fu scelto una quarantina di anni dopo piuttosto che quello detto “alla calabrese” in feltro nero a tronco di cono con la tese rialzate,che fu adottato come copricapo delle nuove truppe, per motivi anche essi legati al Risorgimento, dato che nel 1848 era stato addirittura proibito in un’ordinanza della Polizia di Milano per il suo carattere sovversivo, cui i patrioti solevano mettere, proprio dal lato sinistro della tesa rialzata, piume, pennacchi, penne appunto, per aumentare lo sbeffeggiamento delle autorità. Come fregio fu dapprima disposta una stella a cinque punte , ma ben presto una quanto mai fastosa aquila ad ali a metà tra spiegate e abbassate, con croce sabauda e cornetta e fucili incrociati. Dieci anni dopo la loro costituzione nel 1882, furono istituiti i primi sei reggimenti alpini, di cui uno dei comandanti fu il futuro Generale e Capo del Governo, all’epoca Colonnello Luigi Pelloux. Oramai gli alpini erano entrati nell’oleografia militare dell’epoca, ne parla De Amicis nel libro “Cuore” e fece scalpore una marcia attraverso i monti dell’allora Capitano Davide Menini con la sua compagnia per rendere puntuali omaggi alla Regina Margherita nel 1881.Proprio questo ufficiale Davide Menini, divenuto Tenente Colonnello doveva caratterizzare il battesimo del fuoco del Corpo, non tra le montagne o le valli alla cui difesa gli alpini erano stati predisposti, ma tra le ende, gli acrocori i tondeggianti colli e gli sterminati valloni etiopici, giù in terra d’Africa. Era difatti stato nominato Comandante del primo battaglione alpino d’africa, un organico di circa 1000 uomini con 20 ufficiali. Gia’ in precedenza degli alpini erano stati inviati in Africa, ad esempio il famoso Galliano, distintosi in più occasioni e divenuto leggendario nella difesa del forte di Makallè, era un ufficiale proveniente dagli alpini, ma era la prima volta in quell’inverno del 1895, che un intero battaglione tutto di alpini veniva impiegato in operazioni belliche. Anche in Africa gli alpini non avevano rinunciato alla loro penna e l’avevano applicata sul casco coloniale, che era ricoperto di panno colore bianco, ingiallito, come d’altronde le uniformi coloniali, in bagni di foglie di tè. Battesimo del fuoco quanto mai tragico in quanto il battaglione che era stato inquadrato nella Brigata di Riserva del Gen. Ellena, tentò di tamponare la avanzata abissina nell’infausta battaglia di Adua, presidiando il Colle Rajo e opponendo una strenua resistenza che costò la vita a oltre 400 alpini, ivi compreso il suo comandante e a numerosi ufficiali tra cui uno dei comandanti di compagnia, il capitano Pietro Cella, che fu la prima medaglia d’oro al valor militare, ovviamente alla memoria, della storia del Corpo. Perché gli alpini abbiano nuovamente a che fare con battaglie si dovrà attendere una quindicina di anni e nuovamente in Africa, non in Etiopia, ma in Libia e Cirenaica, ma in questi 15 anni molte cose erano cambiate: anzitutto le uniformi, non più turchine o blu per gli ufficiali con gradi a fiore sulle maniche, ma grigioverdi e anche il cappello si era modificato, non più alla calabrese, ma sul tipo di quello usato tra i montanari, con le falde assai più larghe, grigioverde anche questo, di panno e floscio con la penna che i veci portavano in genere molto lunga a “bilanci’arm” come si diceva in gergo. A rigore anche gli ufficiali potevano utilizzare lo stesso cappello con penna nera d’aquila fino al grado di Capitano, bianca d’oca da Maggiore in su, ma per la verità preferivano il berretto a tuba, che era un chepì assai più rialzato, sempre con i gradi a fettucce, lasagne e greca tutt’attorno, aboliti i gradi sulle maniche “ a fiore” si portavano ora sulle controspalline a stellette, una due e tre fino a capitano, mentre gli ufficiali superiori portavano la controspallina bordata, sempre con le stellette e i Generali interamente bianco argenteo dove solo il Re arrivava a tre stelle in quanto Generale d’esercito, mentre anche il Capo di Stato Maggiore e i comandanti di Corpi d’Armata e poi d’Armata arrivavano solo a due che contrassegnava il grado di Tenente Generale, dove il ruolo di Superiore Comando era dato da una corona dorata e bordata di rosso situata tra le due stelle. Una evoluzione che era cominciata proprio dagli alpini nel 1906 con il cosidetto “plotone grigio”; la risonanza dei terribili massacri della guerra Russo Giapponese avevano difatti sollevato la questione della mimetizzazione e del colore troppo vistose delle nostre uniformi. Non era un problema solo nostro, i francesi iniziarono la grande guerra con i famosi “pantalons rouges” che erano una pacchia per le mitragliatrici tedesche, e anche le altre nazioni europee non erano da meno in quanto a rutilare di colori. Fu un borghese certo Luigi Brioschi, presidente della sezione milanese del Cai, che perorò con fervore la causa dell’adozione di un colore più mimetico per le truppe , riuscendo a portare dalla sua parecchi ufficiali tra cui il Tenente Colonnello Donato Etna che era il comandante del battaglione alpino Morbegno, che a sua volta riuscì a farsi autorizzare a eseguire una sperimentazione di un plotone vestito con la nuova uniforme mimetizzata che venne “provata” al poligono di tiro in relazione a quella ordinaria. La divisa non era ancora il grigio verde che verrà però adottato di li’ a poco, ma aveva una tinta più color creta, con giacca chiusa bottoni coperti e colletto rivoltato, pantaloni sbuffati con calzettoni o le celebri e famigerate fasce mollettiere che costituiranno la disperazione di tutte le leve a venire fino alla seconda guerra mondiale. L’esperimento suffragò le tesi di Brioschi che nel suo fervore era andato anche a scomodare Dante Alighieri perché nel suo inferno aveva fatto assumere a dei dannati che dovevano perdersi nel panorama, lo stesso colore delle rocce; ad una distanza stabilita difatti il manichino con indosso la vecchia uniforme veniva centrato 8 volte da tiratori scelti del plotone, mentre quello con la nuova uniforme una volta sola. Le sagome erano state disposte in vari modi, a terra, in ginocchio e in piedi, inoltre dopo 500 metri, mentre la vecchia uniforme soprattutto in piedi era ancora perfettamente individuabile, quella grigia si confondeva col terreno e in piedi era stata colpita solo tre volte contro le 24 di quella turchina. Ovvio e naturale che di lì a poco, l’esempio di quel cosidetto “plotone grigio” fu seguito per tutto l’Esercito, influenzando tutti gli eserciti del mondo che presero spunto dal modello italiano. In Libia dunque l’esercito si presentava nella nuova tenuta, certo qualche ufficiale adottava ancora la vecchia uniforme , molto più marziale e oggettivamente assai più bella , ma oramai erano una minoranza e anche i Generali indossavano il grigio-verde, che alla fine era stato giudicato il colore mimetico più adatto al tipo di terreno italiano. Coll’inizio della guerra con la Turchia, gli alpini vennero inviati un pò alla spicciolata, ma l’anno seguente si fecero le cose più in grande, non più compagnie o battaglioni, ma un intero reggimento: l’8° posto agli ordini di un Colonnello che diverrà una leggenda Antonio Cantore, e questa volta non ci sono disfatte, anzi l’8° rgt° alpini si era distinto in numerose occasioni e il suo irruento comandante anche se costantemente tenuto a bada dal Gen.Tommaso Salsa comandante della Divisione che era uno dei migliori ufficiali dell’Esercito, già Ispettore delle Truppe alpine, si guadagnerà la promozione a Maggior Generale alla fine della campagna. Un’altra medaglia d’oro per un un alpino, e questa volta non alla memoria, il tenente Giovanni Esposito, che ritroveremo in Grecia nel 1941 Comandante della Divisione Pusteria e un fatto passato alla leggenda e ratificato in un monumento che ancora oggi è presente in Milano e in copia anche a Merano, quello di un mastodontico alpino Antonio Valsecchi che durante un assalto alle difese avanzate di Derna in un Ridottino denominato Lombardia, esaurite le munizioni sollevò un grande masso scagliandolo contro gli assalitori, presto imitato dai suoi commilitoni che riuscirono a respingere e mettere in fuga il nemico. Gli alpini nella prima guerra mondiale sono oramai troppo inseriti nello immaginario collettivo di quella guerra, per aggiungere qualcosa. Solo alcune precisazioni: anzitutto quella del Gen. Cantore che dopo appena pochi mesi di ritorno dalla Libia, si trovò Cte di Brigata in Trentino e subito diede un diverso impulso alle direttive rigorosamente difensive affidate alla 1^ Armata dal Gen.Cadorna: conquista di Loppio, Mori e soprattutto della importante cittadina di Ala; tanto era bastato per il famoso “promoveatur ut moveatur” ovvero nomina a Cte di Divisione e trasferimento in Cadore all’8^ Armata , ma anche qui, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: la sua fissa era la cima del Castelletto e dilagare per la Val Travenzes, così non passava giorno che non facesse ispezioni, controlli di postazioni e soprattutto non cessasse di guardare lontano col suo cannocchiale, oltre i Monti, l’Antelao, le Tofane, le vallate, alla ricerca di un varco dove far avanzare gli uomini della sua Divisione. Un po’ troppo, forse soprattutto per i suoi sottoposti, costretti a tenere il passo di quella specie di invasato. Il cecchino che si dice lo abbia centrato in piena fronte quel giorno del 20 luglio alla Forcella Negra dellaTofana di Rozes, non e' mai stato identificato e fin dall’inizio le perplessità su quella strana pallottola di cui ancora è conservato il berretto con il foro sulla visiera, ha sollevato non pochi dubbi. Cantore era un ufficiale espertissimo e se si esponeva così platealmente oltre le trincee è perché sapeva bene che i cecchini in quel punto erano fuori tiro, tant’è che prima del colpo fatale, ci fu un colpo che arrivo’ oramai innocuo a 20 metri dalla posizione del Generale, ma se i cecchini in quel punto erano fuori tiro non altrettanto si poteva dire dei numerosi costoloni a ridosso della trincea , posti a pochi metri e saldamente in mano italiana: da lì sarebbe stato uno scherzo per chicchessia centrare in piena testa il Generale, e neppure servendosi di un fucile, ma di una semplice Beretta o Glisenti, le pistole in dotazione agli ufficiali italiani. Ci fu anche un indagine pochi giorni dopo il fatto con tanto di venuta di un ufficiale dei carabinieri, ma fu conclusa in tutta fretta, appena dopo il funerale del Generale a Cortina, dove specie gli ufficiali superiori erano in preda ad una curiosa euforia e come disse un testimone oculare, l’unica nota di tristezza della cerimonia era il cavallo bianco del Generale tutto bardato, ma senza cavaliere. La voce che Cantore potesse essere stato ucciso da “fuoco amico” e con piena intenzione specie da qualche immediato sottoposto che era stato particolarmente vessato dalla severità del Generale (pare che pochi giorni prima incrociando un ufficiale gli avesse fatto una tale ramanzina da costringerlo alle lacrime!) fu subito molto diffusa e la inchiesta si era conclusa troppo rapidamente per non dare adito a dicerie di sorta, dicerie che sostanzialmente non giovavano a nessuno e che quindi furono presto bandite con la concessione della medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e l’annovero della figura del Generale nell’Olimpo degli Eroi. A tingere di giallo il mistero, contribuì anche il fatto della immediata scomparsa del berretto del Generale, quello con il foro della pallottola sulla visiera, da cui si sarebbe potuto stabilire il calibro, un pò quello che doveva succedere per John Fitzgerald Kennedy, di cui scomparve addirittura il cervello da cui si sarebbero potuto fare delle congetture sulla provenienza dei colpi mortali. In verità il berretto lo aveva prelevato prima dell’inumazione della salma, un nipote che lo aveva conservato per decenni, ignaro delle ipotesi sulle uccisioni del nonno, e quando finalmente nel secondo dopoguerra lo consegnò alle Autorità per effettuare le indagini si stabili’ che era impossibile valutare, dato il tempo passato, se il foro sulla visiera che era di cuoio e quindi si era deformato, potesse essere provocato da un arma austriaca o italiana. Una cosa è certa di Cantore si è detto che era severissimo e brutale, esigentissimo, ma soprattutto vero i suoi immediati sottoposti, ufficiali superiori e difficilmente inferiori al grado di capitano; con i soldati anzi era di una certa bonarietà tant’è che loro, i semplici alpini, lo elessero ad una sorta di novello San Pietro , custode di un particolare paradiso quello delle “penne mozze” ovvero di tutti gli alpini caduti in battaglia. E questo non è a parere di chi scrive un cosa che gli alpini, i semplici alpini , concedano tanto facilmente, è molto molto di più di una, cento medaglie d’oro , è cosa che va oltre tutte le citazioni, i bollettini di guerra, è un qualcosa che va anche oltre ogni retorica . Questi erano i Generali di quando gli alpini erano gli alpini, poi sono venuti altri tempi in cui i Generali non si aggirano piu' nelle trincee a fronte del nemico, non saltano sulle camionette per incitare i loro uomini a rompere l'accerchiamento del nemico, come Luigi Reverberi cte della Tridentina a Nickolayewka, ma comandano eroiche spedizioni contro inermi cittadini che non vogliono indossare museruole o non vogliono farsi iniettare sieri o vaccini per compiacere le lobbies farmaceutiche. Se questi sono gli eredi dei generali che erano i guardiani del Paradiso delle "penne mozze" , oggi non ci sono piu' penne ne' nere, ne' bianche ne' tronche e il Paradiso e' diventato il piu' sordidodegli inferni perche' e' stato messo in vendita, alla merce' dei bottegai, servi o padroni che siano, infima gentina che non ha mai avuto valori da scambiare, ma solo un unico, squallido, infame valore di scambio, e il coraggio che un tempo era il distinguo del cappello con la penna si e' trasformato nella paura di una paura inesistente, che si cerca di diffondere
L'associazione tra il titolo del blog LENARDULLIER con l'architetto LECORBUSIER tende ad un parallelismo con l'Archè = Principio, che deve misurarsi con la modernità = Technè, quindi un "futuro anteriore" applicabile a diversi specifici di conoscenza
sabato 31 maggio 2025
martedì 20 maggio 2025
ANTIPATICI, ANZI ODIOSI, DI PIU' : ODIOSISSIMI
Non e' piu' come prima della farsa della pandemia del 2020 in cui non ci si era ancora resi conti fino a che punto di pervesione puo' arrivare la malvagita' umana, o meglio la perfida malvagita' delle classi cosidette dominanti, in cui specie a livello collettivo, le antipatie quando non, i veri e propri odi si contavano sulle punta delle dita, dettate magari da fatti storici piuttosto caricati, tipo chesso' il vile tradimento di Maramaldo nei riguardi di Francesco Ferrucci o il personaggio di Torquemada nella Santa Inquisizione, la rigidissima e intransigente caratterialita' di un Robespierre, il viscido opportunismo del massone e lenone Camillo Benso di Cavour e la rozza cialtroneria di Re Vittorio Emanuele II, la vilta' di suo nipote Vittorio Emanuele III in fuga sul piroscavo "Baionetta" o magari l'infingarda incompetenza del Maresciallo Pietro Badoglio, la ridda di eroi alla maramaldo dei cosidetti partigiani spuntati il 25 aprile del '45. C'erano poi le antipatie personali del quotidiano, il ragazzo piu' grande che ti bullizzava a via Nicolo' V soprannominato Ovatta, il Dr. Candela di Palermo che ti sfotteva chiamandoti "longo e fissa" , il terribile "cece' " professore di matematica al Meli di Palermo o la professoressa di scienze agli esami di maturita' che si chiamava Porcelli e a posteriore posso dire era la sosia, 50 anni avanti della deputatessa di sinistra Boldrini. Poca roba insomma, una inezia rispetto a quello che sarebbero diventati gli antipatici, anzi gli odiosi dopo il 2020, Con l'inizio della farsa del virus , dell'emergenza globale per il contagio, della inesistente pandemia e la pantomima dei vaccini farlocchi si e' decuplicato il numero di persone odiosissime che hanno infestato questo nostro pianeta con il loro comportamento fazioso, intollerante, pretestuoso e prevaricante. In primis su tutti il ghigno beffardo e ributtante di George Soros un sedicente banchiere erede e continuatore in pratica delle disgustose teorie di un sedicente intellettuale non a caso anglosassone: Karl Popper propugnatore di una Societa' Aperta, dove si indicavano i nemici che poi risultavano essere quelli che non la pensavano come lui, ovvero un pensiero tutto orientato verso il liberalismo, l'esaltazione del commercio e dei mercati, denaro e ancora denaro come unico collante e per questo ovviamente massima liberta' di fare quello che i meno per i piu' indicano come giusto, proprio quello che incresciosi episodi come l'elezione di Biden del 2020 negli USA o la piu' recente eliminazione del vincitore del primo turno elettorale Calin Georgescu alle elezioni presidenziali della Romania, o anche la eliminazione preventiva di Marin Le Pen in Francia dalla corsa elettorale alla Presidenza, indicano come prassi del fare ordinario nelle democrazie appunto liberal/capitaliste e con docili cavalier-serventi gli schieramenti di sinistra. Ho detto che gli odiosi si sono decuplicati, probabilmente questo in una storia personale come la mia, che dalla politica si era allontanato disgustato dai tempi della uccisione di John Fitzgerald Kennedy e che giustappunto solo l'improvviso collasso di ogni forma di giustizia e di liberta' nel marzo del 2020, ha riportato ad occuparsi della cosa pubblica, così proditoriamente attaccata. Gli odiosi non sono certo mancati negli anni dal 1963 al 2020, certo che no, ma e qui debbo ribadire la singolarita' delle esperienze soggettive, che anche a motivo del disinteresse, considerava solo delle caricature personaggi come Tanassi, Leone, il magistrato improvvisato ai tempi della farsa di "Mani Pulite" , i segretari di partiti in disgregazione come il PCI o il PSI. "Ma non e' una cosa seria" diceva Pirandello e tale proposizione valeva al massimo grado per la politica e non solo quella italiana, per tutto l'ultimo quarto del secolo. Ancora peggio con l'affaccio sul terzo millennio, davvero il succedersi ai vertici della politica di persone di infimo livello con quindi un ulteriore aumento della disaffezione, che ripeto sara' un fatto personale ma il riscontro sulla realta' dei fatti e' inoppugnabile. Chi mi vorra sostenere ad esempio che gente come Ciampi, come Napolitano, come Prodi, come Renzi, Letta, Bersani, e guarda ci metto anche Berlusconi e molti suoi accoliti (così a caso un paio dei peggiori Brunetta e la Gelmini) sono soggetti degni di essere menzionati come statisti? Eguale il panorama internazionale, Clinton e Bush figlio in america, Chirac, Sarkosy in Francia, la Merkel in Germania, davvero sembra che la mediocrita', (e non cito altre caratteristiche come il malcostume, la disonesta', la bugia, la manipolazione) sia l'unica merce in circolazione che un mercato sempre piu' asfittico e gonfiato virtualmente e' in grado di proporre. Con la farsa della pandemia, la tendenza alla dequalifica assoluta della politica si fa galoppante e non solo, si assiste anche al proliferare dell'odiosita' personaggi alla cui categoria ascendono anche una frotta di personaggi di altri specifici, tipo giornalisi, opinionisti, gente di spettacolo, attori e attorucoli, cantanti, cabarettisti e un nuovo tipo di militanti : i cosidetti "esperti" Esperti di cosa ? c'è da chiederlo? ma ovviamente dello specifico che e' stato scelto dalle elite' globaliste come "reductio" dell'intelligenza umana : quello della malattia (un virus totalmente inventato) e un rimedio, altrettanto fantasioso (il vaccino). Ecco così che in un rinnovato (infinitamente in peggio) Carosello si alternanosugli schermi televisivi, nei giormnali nei cosidetti "social" questi nuovi campioni di sapere scientista, spacciati per professoroni che riempiono l'etere di baggianate fino all'apoteosi dell'imbecillita' in occasione del natale con tre di questi esimi professoroni che intonano un festoso ritornello natalizio che ripete fino all'ossessione "vacciniamoci, vacciniamoci" Una atmosfera quindi che diffonde imbecillita' e di riflesso ingenera un fastidio crescente nelle persone che invece hanno conservato la ragione; fastidio che con l'acuirsi delle disposizioni di restrizione della liberta', tende a trasformarsi in repulsione e quindi in odio verso le persone che diffondono tale distopia, subito dopo i veri manovratori, tra cui spiccano antiche casate massoniche tipo Rotschild, Rockfeller e ovviamente il solito Soros, in primisssimo piano i politici che realizzano tali disposizioni : i Macron, i Trudeau, i Draghi, gli Speranza, quindi lo stuolo di servi che lo eseguono che abbiamo enumerato e infine anche la sfera personale che viene attraversata dal torpore mediatico dcella ragione e che si appunta sul vicino di casa che ti addita ad untore (proprio a mo' della colonna infame di Manzoni, ignoranti che lo stesso
autore aveva detto a proposito della diffusione della pandemia "cabala ordita per far bottega del pubblico spavento" ) se non porti la museruola che hanno imposto o peggio se non addivieni alla cieca ignoranza della vaccinazione, colpevole a detta di una discutibile razionalita' di sillogismo imperfetto che se non ti vaccini contagi coloro che non si vaccinano. "la vaccinazione e' un atto d'amore" aveva asserito papa Bergoglio , gesuita e massone del tutto asservito alla logica del profitto e del liberalismo e cosi' la schiera dei vicini andava a lambire anche quella dei conoscenti, quella degli amici, degli amici intimi, magari , come nel mio caso di vecchissima data ultra cinquantenne ed anche dei parenti. La marciante distopia dei primi due anni andava costituendo una specie di iato che oramai non faceva piu' alcuna differenza di amicizia e parentela. "Da una parte o dall'altra" , il nuovo imperativo categorico che vedeva così sacrificate sulla differenza tra ragione credulita' , amicize decennali e parentele
domenica 11 maggio 2025
ORIGINI DI UNA PASSEGGIATA
io ho un blog , diciamo così, correlato a questo principale cui ho dato il nome "la passeggiata delle Cattive " : c'e' una storiella che riguarda la motivazione di tale scelta che risale all'infanzia in cui rimasi affascinato da questo termine/sequenza, per una certa magia che un certo luogo della citta' di Palermo mi suggeriva, le Mura sulle quali era stato ricavato il viottolo locus della passeggiata, lo specchio di mare azzurro davanti con sulla sinistra a mo' di quinta di sfondo, il fantastico skyline di Monte Pellegrino e poi quel termine “cattive” con il quale era menzionato dagli abitanti della citta' che mi richiamava uno scenario ricorrente della mia strada di nascita a Roma , Via Nicolo’ V , strada anche essa a ridosso di Mura, quelle Vaticane e dominata dall’imponente mole del Cupolone di San Pietro che caratterizzava le giornate fin dal primo risveglio quando aprivo le vecchie persiane. La cattiva di via Nicolo’ V era una barbona, piccola, bruttissima, sudicia non a caso soprannominata Maria Zozzetta, con il classico ghigno delle persone incattivite dalla vita, che di tanto in tanto quasi grugnendo attraversava veloce la via Nicolo' V scendendo da Primavalle, cui nessuno di noi ragazzetti ardiva avvicinarsi dato l’aspetto terrificante ma che una volta un mio sprovveduto amico la apostrofo' appunto chiamandola Maria Zozzetta provocando una sua terrificante reazione e prendendosi la serie piu' sboccacciata di insulti che mai le nostre giovani orecchie avevano udito. Fu mio zio Bino nel 1955 a spiegarmi il significato del termine, perche' io mentre degustavo l’inusitato sapore dello spongato di gelsi e cannella della gelateria Ilardo proprio a ridosso delle scalette che davano a questa famosa “passeggiata delle cattive” , me ne uscii con la convinzione che li' vi passavano tutte le donne piu' malvagie della citta' , eh si come quella Maria Zozzetta di via Nicolo' V , ma anche come qualche strega delle prime favole che andavo leggendo; ebbene quel pomeriggio di agosto a Palermo, col profumo misto di mare e di zagara e in bocca il sapore di un gelato che mai prima avevo gustato, ebbi la mia prima lezioncina di latino, giustappunto da mio zio Bino avvocato, anzi a detta di popolo il piu' quotato avvocato penalista di Palermo, assieme a Rocco Gullo, che mi fece osservare che captivus, e al femminile captiva, significava in latino prigioniero/a . , quindi la passeggiata delle prigioniere - si ma prigioniere di cosa se camminavano per tutto quel corso della Mura che non era per niente breve o angusto? " chiesi prontamente, dato che anche a sette anni io non ero certo un ragazzino che si teneva qualcosa, ma anzi ero famoso per la mia chiacchiera ed anche per una sfrenata fantasia che faceva si che mi inventassi storie delle piu’ assurde e fossi solito radunare crocchi di persone che si beavano di sentirsi raccontare. “ prigioniere del loro dolore" ribadi' mio zio " il termine infatti , mi spiego’ , si riferiva alle vedove che non potevano passeggiare per il corso lungo il mare, stante la loro perdita, ma giustappunto in un percorso appartato, cui si accedeva per
delle scalette e in tal senso potevano essere intese come prigioniere, prigioniere di un sentimento, il dolore della vedovanza che richiedeva isolamento e riservatezza , quale appunto quel viottolo assicurava. Passando gli anni e andando a precisare determinati spunti risalenti all'infanzia non poteva mancare questo della "passeggiata delle Cattive" che era stata, come ho fatto cenno, la mia prima lezione di latino ed ecco allora che i "sentito dire" assumono corpo e tanti misteri si disvelano , così anche per le "Cattive" era arrivato il momento di fare i conti con la storia e non solo con il latino: a origine del nome come al solito un fatto tragico il terremoto del marzo 1823 in Palermo che colpi' sopratutto la parte a mare di Palermo quella indicata col termine di Cassaro Morto: riporta una cronaca del tempo: «Addi' 5 marzo 1823, Giorno funestissimo per il Terremuoto che durò 22 minuti secondi, oscillando e saltando: non si può colla penna spiegare il terrore da per tutto, e la strage insieme, a vedere i palazzi e strade ad unirsi e ritornare ai loro posti per ben diverse volte in un atomo, osservando da diverse parti cader delle fabbriche e particolarmente nel quartiero della Kalsa» Fu subito dopo questa calamita' che colpì la città di Palermo, che si distinse l'animo e l'operosità dell'allora Luogotente di Sicilia Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco.Si legge infatti nel suo Elogio storico: «Or tralasciando l'operosità del nostro Campofranco in tale luttuoso frangente, sino a correre a piedi per la desolata città onde rincorare i fuggenti, dare soccorsi ai morenti, frenare i malvagi che nel torbido cercavan pescare, ed a restituire la quiete, passiamo a far conoscere, come egli trasse utile da questa disgrazia per secondare il genio che avea di abbellire la città». Tra le varie accortezze che il principe di Campofranco ebbe per la nostra martoriata città, pensò di creare un luogo ameno per diletto del popolo, dove poter rasserenare lo spirito gravato dai pesi che solo la vita sa dare, e da qui nacque l'idea al benemerito cittadino di ridurre ad amenissima passeggiata quella via di ortiche e terra irregolarmente ammonticchiata ripiena e ciò col doppio scopo di rendere dilettevole quel luogo pria negletta, e di apprestare lavoro a tanti operai, che per mancanza di fatica marcivano nell'indigenza» cosi' si ebbe un vero e proprio piano di riqualificazione dove si realizzo' appunto quel percorso rialzato a ridosso del Palazzo Butera che doveva divenire la famosa passeggiata . Alla fine della pubblica opera si doveva apporre una targa recitante il distico latino del poeta Francesco Nascé: Moenia funesto quondam devota dolori/Aspectu Antoni nunc ilarata vides. Secondo una traduzione non letterale il distico assumerebbe tale significato: Le mura che un tempo causarono dolori fatali, ora sono rinnovate da Antonio principe di Campofranco. La targa non
fu mai apposta, ma la passeggiata alla quale si fa riferimento è la nota Passeggiata delle "cattive" che tuttavia inizialmente non venne realizzata esclusivamente per esse, né tanto meno venne chiamata in questo modo, ma semplicemente “Pubblico parterre”. Molto probabilmente Il luogo cittadino in cui le "cattive", cioè le vedove, si radunavano, dovette esistere già prima della costruzione della nota passeggiata ed era certamente situato tra le mura bastionate della marina e la cortina edilizia di sontuosi palazzi nobiliari tra i quali, ricorda Rosario La Duca, Palazzo Butera, Palazzetto Piraino, l'Hotel Trinacria, Palazzo Aceto Lampedusa ed altri, con le vittime del terremoto del 1823 e quindi un cospicuo aumento di vedove, il viottolo probabilmente anche per la sua orografia di distacco dal piano stradale del Lungomare ando' concentrando il suo caarattere di riservatezza e nel giro di qualche decennio assunse la connotazione attuale . Anni dopo avrei scelto questo nome per uno dei miei blog, magari immaginando la serie di argomenti, di storie e di vicissitudini, che le prigioniere, le captivae , si dicevano l’un l’altra nel loro riservato passeggio
delle scalette e in tal senso potevano essere intese come prigioniere, prigioniere di un sentimento, il dolore della vedovanza che richiedeva isolamento e riservatezza , quale appunto quel viottolo assicurava. Passando gli anni e andando a precisare determinati spunti risalenti all'infanzia non poteva mancare questo della "passeggiata delle Cattive" che era stata, come ho fatto cenno, la mia prima lezione di latino ed ecco allora che i "sentito dire" assumono corpo e tanti misteri si disvelano , così anche per le "Cattive" era arrivato il momento di fare i conti con la storia e non solo con il latino: a origine del nome come al solito un fatto tragico il terremoto del marzo 1823 in Palermo che colpi' sopratutto la parte a mare di Palermo quella indicata col termine di Cassaro Morto: riporta una cronaca del tempo: «Addi' 5 marzo 1823, Giorno funestissimo per il Terremuoto che durò 22 minuti secondi, oscillando e saltando: non si può colla penna spiegare il terrore da per tutto, e la strage insieme, a vedere i palazzi e strade ad unirsi e ritornare ai loro posti per ben diverse volte in un atomo, osservando da diverse parti cader delle fabbriche e particolarmente nel quartiero della Kalsa» Fu subito dopo questa calamita' che colpì la città di Palermo, che si distinse l'animo e l'operosità dell'allora Luogotente di Sicilia Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco.Si legge infatti nel suo Elogio storico: «Or tralasciando l'operosità del nostro Campofranco in tale luttuoso frangente, sino a correre a piedi per la desolata città onde rincorare i fuggenti, dare soccorsi ai morenti, frenare i malvagi che nel torbido cercavan pescare, ed a restituire la quiete, passiamo a far conoscere, come egli trasse utile da questa disgrazia per secondare il genio che avea di abbellire la città». Tra le varie accortezze che il principe di Campofranco ebbe per la nostra martoriata città, pensò di creare un luogo ameno per diletto del popolo, dove poter rasserenare lo spirito gravato dai pesi che solo la vita sa dare, e da qui nacque l'idea al benemerito cittadino di ridurre ad amenissima passeggiata quella via di ortiche e terra irregolarmente ammonticchiata ripiena e ciò col doppio scopo di rendere dilettevole quel luogo pria negletta, e di apprestare lavoro a tanti operai, che per mancanza di fatica marcivano nell'indigenza» cosi' si ebbe un vero e proprio piano di riqualificazione dove si realizzo' appunto quel percorso rialzato a ridosso del Palazzo Butera che doveva divenire la famosa passeggiata . Alla fine della pubblica opera si doveva apporre una targa recitante il distico latino del poeta Francesco Nascé: Moenia funesto quondam devota dolori/Aspectu Antoni nunc ilarata vides. Secondo una traduzione non letterale il distico assumerebbe tale significato: Le mura che un tempo causarono dolori fatali, ora sono rinnovate da Antonio principe di Campofranco. La targa non
fu mai apposta, ma la passeggiata alla quale si fa riferimento è la nota Passeggiata delle "cattive" che tuttavia inizialmente non venne realizzata esclusivamente per esse, né tanto meno venne chiamata in questo modo, ma semplicemente “Pubblico parterre”. Molto probabilmente Il luogo cittadino in cui le "cattive", cioè le vedove, si radunavano, dovette esistere già prima della costruzione della nota passeggiata ed era certamente situato tra le mura bastionate della marina e la cortina edilizia di sontuosi palazzi nobiliari tra i quali, ricorda Rosario La Duca, Palazzo Butera, Palazzetto Piraino, l'Hotel Trinacria, Palazzo Aceto Lampedusa ed altri, con le vittime del terremoto del 1823 e quindi un cospicuo aumento di vedove, il viottolo probabilmente anche per la sua orografia di distacco dal piano stradale del Lungomare ando' concentrando il suo caarattere di riservatezza e nel giro di qualche decennio assunse la connotazione attuale . Anni dopo avrei scelto questo nome per uno dei miei blog, magari immaginando la serie di argomenti, di storie e di vicissitudini, che le prigioniere, le captivae , si dicevano l’un l’altra nel loro riservato passeggio
sabato 10 maggio 2025
UMANITA' TROPPO PECORONA
A proposito di quella illazione che dice che gli esseri umani sarebbero stati creati da extraterrestri bisognosi di avere della mano d’opera docile e ubbidiente per svolgere determinati lavori, vogliamo qui approfondire la teoria avanzata Zecharia Sitchin uno studioso di antiche civilta’ e autore di molti libri sulla cosiddetta archeologia misteriosa, che postulava la "teoria degli antichi astronauti" come spiegazione dell'origine dell'uomo. E’ una illazione che ha preso maggiore corpo, in gente come me e cioe’ particolarmente sveglia e intelligente(scusate la modestia) durante il periodo della cosidetta pandemia di covid 19, rimarcando in effetti come la quasi totalita’ del mondo conosciuto si sia fatta turpilinare da strampalate teorie di virus, vaccini e modalita’ di contagio, che ricalcavano di para patta i comportamenti delle comunita’ civili nei vari periodi contrassegnati dal diffondersi di questo tipo di eventi. Come mai ci si chiedeva, l’umanita’ tende a ricadere con disarmante facilita’ a qualsiasi tipo di imprimatur che gli viene dettato dalle classi al potere e propinato dai loro servitori della cosidetta comunicazione (ieri la diceria, la calunnia, il sentito dire, oggi con maggiore diffusione e celerita’ i cosidetti “media” giornali, tv social e quant’altro) e come mai che noi intelligenti, quelli che il famoso sonno della ragione indicato da Goya come generatore di mostri , siamo riusciti a sottrarsi a questa sorta di diktat che i governanti dei Paesi cosidetti civili sono riusciti a far osservare pedissequamente alla stragrande maggioranza della umanita’ civile? Ripensiamo un po’ alle teorie di Sitchin: egli attribuisce la creazione dell'antica cultura dei Sumeri ad una presunta razza aliena, detta Anunnaki (in sumero) o Elohim (in ebraico) proveniente da un ipotetico pianeta del sistema solare presente nella mitologia babilonese chiamato Nibiru nei testi Sumeri, e Marduk in quelli babilonesi, affermando altresì che in corrispondenza della fascia principale degli asteroidi , si sarebbe trovato anticamente un pianeta che i Sumeri chiamavano Tiāmat (nome della principale divinità femminile del mare) . È proprio dalla disastrosa collisione tra Tiamat e Nibiru, narrata in forma epica nel poema sumero-babilonese Enūma eliš, che sarebbe nata la Terra (in sumero, "Ki"), poi spinta nella sua attuale orbita da una successiva perturbazione gravitazionale di Nibiru e dall'attuale fascia degli asteroidi. Tiamat sarebbe stato dapprima colpito da una delle 7 lune di Nibiru, spezzandosi in due. Una di queste due porzioni sarebbe poi diventata la Terra con la sua luna, e sarebbe stata spinta nell'attuale posizione da un altro impatto con una luna di Nibiru. In seguito l'altra metà, colpita da Nibiru stesso, avrebbe dato vita alla fascia degli asteroidi. I restanti detriti dell'impatto avrebbero dato origine alle comete . Nibiru sopravvisse ma danneggiato dall'ultima collisione, e con cinque lune - Proprio una sorta di condensato tra Mahabarata e Iliade e Odissea quello che emerge in questa fantasiosa ricostruzione, ma andiamo avanti: secondo Sitchin, su Nibiru abitava una razza tecnologicamente avanzata di extraterrestri, e questi esseri erano chiamati Anunnaki dalla mitologia sumera e compaiono in altre mitologie, e nella Bibbia col nome di Elohim; questi esseri molto simili agli uomini o perlomeno agli uomini quali si presenteranno dopo che loro avranno manipolato geneticamente lo scimmione piu’ evoluto (diciamo un sapiens o un Neanderthal di 400.000 mila ann) andavano alla ricerca di minerali e in particolare oro, del quale necessitavano per riparare la loro atmosfera danneggiataq dallo scontro con Tiamat . Avendo bisogno di mano d’opera per aiutarli nell’impresa dell’estrazione dei minerali e dell’oro gli Anunnaki avrebbero creato geneticamente l’homo sapiens tramite l'ingegneria genetica. Sotto la guida di questi esseri, secondo l'interpretazione che Sitchin dà dei testi sumerici, gli uomini avrebbero fondato la civiltà in Mesopotamia, in Egitto e in India, grazie ad una casta di regnanti ibridi umano-alieno che avrebbero fatto da intermediari tra gli alieni e gli schiavi. È interessante notare che per i Sumeri, il re non era un dio incarnato come per gli Egizi, ma un mediatore tra uomini e dei, quindi, per una questione iconografica veniva rappresentato con attributi quali il gigantismo, come i nephilim della Bibbia. Un altro punto focale della teoria di Sitchin è il ruolo attribuito alle maggiori opere megalitiche sparse per il globo e a opere come le Piramide egizie e anche del sud america, che sarebbero state costruite dagli Anunnaki con varie funzioni, prevalentemente astronomiche, astrologiche e calendariali. Gli Anunnaki avrebbero realizzato anche la Grande Sfinge di Giza e il Volto su Marte. Altri due siti, Machu Pichu e Bad-tibira, sarebbero stati centri di lavorazione dei metalli. Sitchin sostiene anche che le civiltà mesoamericana e sudamericana siano derivate da quella sumera e accadica, e che le due divinità principali messicane Quetzalcoatl e Viracocha (descritti dai miti amerindi come alti, di pelle chiara e con una lunga barba bionda) fossero due Anunnaki trasferitisi con alcuni Sumeri e Africani nel nuovo continente per sfruttare i giacimenti presenti, come quelli della valle dell'Urubamba. Infine gli alieni sarebbero tornati su Nibiru, visitando la Terra solo occasionalmente, una volta ricostruito il loro ecosistema planetario. Ora questi Annunnaki o Elohim, come li preferisce chiamare ad esempio un altro studioso di queste tematiche Mauro Biglino, sono intesi non solo come alti e dai tratti europei, ma spesso e volentieri come veri e propri giganti, il che incontrerebbe il favore di altre teorie quale ad esempio la teoria del ghiaccio e del fuoco di Horbiger citata nel famoso saggio "Le matin des magiciennes" di Pawless e Bergier, che credeva in antichi giganti che molto anticamente popolarono la terra dovendo il loro gigantismo al grado di attrazione delle diverse lune che si sono succedute nella storia del nostro pianeta. Come si vede non difettiamo certo di spiegazioni alternative e molto piu' fantasiose della banalotta teoria di Darwin, pero' ammettiamolo proprio la discrasia violenta della ragione avutasi in occasione dell'ultima malefatta del potere verso il popolo, ha ridato corpo a tutta questa ridda di ipotesi, che dopo aver valutato il grado di irrazionalita' raggiunto dalla nostra osannata civilta' tecnologica, si e, diciamo così, ripiegata su se' stessa per valutare anche il presunto impossibile nella ricostruzione della propria origine. Un impossibile che potrebbe avere maggiore validita' del cosidetto possibile, dimostratosi oramai, proprio con le vicissitudini che l'umanita' ha subito in tempi recenti, che la famosa massima di Hegel "cio' che e' relae e' razionale e cio' che e' reale e' razionale " va intesa nel suo netto contrario
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