venerdì 1 agosto 2025

CONTI CON MARX (E NON SOLO)

 

Diciamo che ho tratto occasione  della lettura di Costanzo Preve che come ho piu’ volte detto e’ un filosofo che trovo particolarmente stimolante, probabilmente per il fatto di essere stato un pensatore che era in origine un marxista e poi avvicinatosi sempre piu’ alle mie idee che sono ancestralmente quanto di piu’ distante dal comunismo, socialismo, financo socialdemocrazia.  Diciamo che ritrovo in Preve e nella sua filosofia quello che in politica  ho ritrovato in Marco Rizzo. C’e’ da dire che parimenti sono anche sempre stato ferocemente anti capitalista, anti liberalista e visceralmente ostile a tutto cio’ che attiene a quello che ho sempre definito con il massimo disprezzo “spirito bottegaio”  riconoscendogli una matrice prettamente anglosassone  con continuita’ statunitense. Nel precedente articolo su questo stesso blog ho trattato dell’occasione che ho tratto dalla lettura di Preve per fare qualche conticino con la filosofia di Hegel che parimenti al cominismo, parimenti al liberalismo, ho sempre disprezzato al massimo grado, ora e’ il caso di profittare sempre del saggio di Preve sulla filosofia del presente per fare qualche altro conticino con Marx. Il dato di partenza e’ sempre  quello di cosa si debba intendere per costituzione categoriale  della modernita’ storica, ovvero quel periodo che si diparte (questa e’ un po’ una mia costruzione) dalla fine del medioevo sancita dalla grande pandemia del 1347/48 e la nascita  non fulminea ma sistematica dello spirito mercantile e bottegaio di matrice anglosassone  ratificatasi con la Rivoluzione industriale  e la setta della Massoneria. Questo spirito che Preve chiama modello  utilitaristico con il suo perseguire il primato dell'economia sul sociale  ha finito per dominare e soppiantare gli altri due modelli che avevano cercato di contrappoglirsi  quello tradizionalista e quello contrattualistica  che nel periodo sopracitato avevano anch'essi cercato di incanalare l'era moderna. Stravittoria di tale modello, ovvero economia, mercato, commercio, quindi denaro  e suo scambio (valore di scambio e nessuno scambio di valori )  come rappresentazione integrale della legittimazione e della riproduzione sociale, che io ho indicato nel suo momento saliente  in un fenomeno storico sociale  come la Rivoluzione Industriale ed in una setta come la Massoneria, entrambi fenomeni di spirito anglosassone  e Preve
coerentemente al suo essere filosofo,  adduce, non a caso,  ad una idea di un singolo filosofo, nella fattispecie David Hume che con le sue  critiche alla teoria della casualita' e l'esaltazione del soggetto come flusso di impressioni non piu'  correlate alla religiosita',  
giustappunto nel periodo immediiatamente precedente ai fatti sociali sopracitati, aveva fatto pulizia del tentativo del modello contrattualistita di Locke e Rosseau che a loro volta avevano fatto precipitare il modello tradizionalista. Passando da questi presupposti sulla costituzione  categoriale della modernita’ storica  che ha visto il primato, tuttoria indiscusso  del modello utilitaristico, ovvero dello spirito bottegaio di stampo anglosassone e prosecuzione statunitense, come correttamente analizzato da Carl Schmitt sia nel suo libello Terra Mare che sul piu’ articolato saggio “Il nomos della terra” ad affrontare una prima precisazione con Hegel  ed ora con  Marx tanto per analizzare le due voci che tradizionalmente passano per antitetiche a tale modello, c’è da osservare come in primo piano e per entrambi balzi alla ribalta la parola “ideale”.  Abbiamo visto che in Hegel tale termine sia in sostanza il vero referente del suo celebre aforisma “cio’ che e’ razionale e’ reale” e viceversa : ideale qui sta per quel che deve essere fatto  e sostituisce il significato, anzi direi soprattutto il significante, di reale, si da imprimere una sorta di impulso alla fattualita’ opportuna  al termine di razionale;  diciamo per dirla un po’ alla De Saussure, ma anche un po’ alla Lacan, che si presenta un po’ piu’ nei  termini di una metonimia ovvero di spostamento di significante, invece che in quelli di condensazione della metafora. Passando a Marx ci troviamo nuovamente al cospetto con il termine di ideale e questa volta per contrapporsi a quello super abusato di materiale,  o meglio passiamo all’-ismo  per intenderci piu’
STORICO,DIALETTICO,SCIENTIFICO
chiaramente , essendo il materialismo la caratteristica piu’ ricorrente con il quale la filosofia di Marx e’ stata caratterizzata  attribuendogli gli ulteriori due attributi di dialettico e di scientifico  e magari aggiungendovi anche il terzo di storico ; materialismo scientifico storico e dialettico
“ ne volete di piu’ ?  “basta la parola” direbbe  il vecchio Tino Scotti nel suo carosello sui confetti Falqui anche se qui le parole per definire questo benedetto materialismo sono addirittura tre. Che Marx sia sopratutto un materialista, sia pure con le oramai assodate tre attribuzioni, si da' per scontato praticamente dappertutto sia ovviamente a sinistra, che anche a destra, ma ecco che Preve costituisce una robusta eccezione:  ma vediamo cosa dice in proposito lo stesso Preve nel suo oramai ben battuto (da me ) saggio La Filosofia del presente : “Marx  nella crtica al presunto idealismo di Hegel, sostiene  che questi si e’ di fatto inventato l’universale ovvero “il frutto”  dimenticando che nella realta’ materiale esistono  solo pere, mele , etc. ma questa non e’ una critica materialistica , ma solo l’ennesima riproposizione della critica empirista, da Occam a Hume, contro il concetto di universalita’ in generale.”  Questa confusione  nel riproporre la vecchia critica  nominalistica all’universale, che ha origine nel famoso “rasoio” di Occam con 
il suo “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” che e’ il massimo dello spiritualismo, e propizia l’affermarsi del modello utilitarista su quello contrattuale di Hume,   accompagna, ironizza Preve, tutta la storia del marxismo come il buffone di corte accompagna  il suo sovrano ubriaco(una bella immagine che non ce l’ho fatta a non riportare).    Il punto e’ che proprio nel periodo di passaggio tra  il tradizionalismo e contrattualismo e ancor piu’ con l’affermarsi dell’utilitarismo, si decise di chiamare materia  il primato della struttura (le forze produttive, le classi, i rapporti sociali, etc.) sulla sovrastruttura ( le idee, le ideologie, le arti e anche la filosofia),  ma questo non e’ materialismo , e’ sempre  strutturalismo anche se diverso da quello di Levi Strauss  Qui ci vuole  l’Heidegger della Lettera sull’Umanesimo, per mettere le cose nel giusto verso “E’
necessario che ci si liberi delle ingenue rappresentazioni relative al materialismo e dalle critiche che dovrebbero colpirlo - l’essenza del materialismo  non sta nella affermazione che tutto e’ pura materia, ma piuttosto in una determinata metafisica secondo cui tutto l’essente  appare come  materiale del lavoro” Ma il lavoro non e’ la fonte dei valori d’uso, che e’ un qualcosa che appartiene alla natura, il lavoro  e’  solo la “fonte”  di un “valore di scambio “ solo nel
mondo alienato della produzione di merci, cioe’ nel mondo bottegaio del commercio e del mercato che ha nel nome di questo unico valore rimasto, abolito tutti quei valori che ancora nel mondo della tradizione si scambiavano e in quello del contrattualismo erano oggetto di trattativa. Pacifico dunque che la filosofia di Marx non ha niente di materialismo, figuriamoci quindi che fine fanno quei tre epiteti che gli hanno appiccicato addosso.  In buona sostanza la filosofia di Marx si esplica in una forma di idealismo naturalistico in quanto fondata  su  di una ipotesi metafisica  di tipo appunto idealistico e cioe’ sulla tesi di una alienazione storica della natura umana all’interno  della scissione in classi antagoniste, caratterizzate da differenziali di sapere e di potere, scissione  che trova nella produzione generalizzata di merci del capitalismo il suo momento culminante: quindi sempre e solo una filosofia legata a doppio filo a quello spirito bottegaio  che ha espresso il primato dell’economia e quindi il piu’ spocchio utilitarismo  della classe che si e’ giovata  derll’intero processo.  Se ne evince pertanto che il famoso materialismo dialettico storico e scientifico di Marx si riduce  ad una replica del piu’ rinomato degli idealisti ovvero Giorgio Hegel. Il cosidetto materialismo storico dialettico e pure scientifico (nessuno ha qualche altro epiteto da aggiungere?) e' una  chimera filosofica  che si basa su una nozione errata di "materia" , eh gia' perche' il vero fondamento  di tutta la teoria Marxiana e' sulla nozione di alienazione nel lavoro, che come abbiamo visto non e' un dato di natura , ma e' solo una fonte di un valore di scambio nel mondo alienato dell'economia ovvero della produzione e del mercato di merci. Sotto sotto agisce acriticamente, specie nei seguaci di Marx che ne hanno perpetuato l'errore, la ripresa inconsapevole del modello primitivo di unione tra macrocosmo e microcosmo, ovvero l'animismo delle origine e l'evoluzione del pensiero greco che aveva introdotto  i concetti di misura, equilibrio  e a armonia per un modello che pervenisse ad una  unita' ontologica delle categorie della natura e del sociale.   Qui le pagine di Preve si fanno ironiche, allusive e anche molto spassose nel descrivere l’impatto che simili “eresie” sulla filosofia del “maestro” possono provocare  sui  militanti del marxismo e del sinistrismo in genere :  “anatema, scomunica, follia, bestemmia borghese, frutto di congiura capitalistica pagata coi soldi della CIA, Marx e’ materialista, che di piu’ non si puo’, l’idealismo e’ la filosofia dei preti, dei capitalisti, dei padroni…” e aggiungeva, stante i tempi in cui  queste righe sono state scritte, primi anni del nuovo millennio “ ...del padre polacco e di Berlusconi “ - superfluo sottolineare  chi sarebbero oggi,  per i galoppini del PD o i residui del Movimento delle 5 stalle, o i patetici sindacalisti piegati al valore del ragionerucolo del capitalismo, i mandanti di tanta efferatezza ideologica : ovviamente  quella
sorta di per loro vampiro immortale che e' il neofascismo,  e la trionfante  Meloni  che in cotanto revisionismo si fa  influenzare  dal nuovo mostro e anatema del mondo moderno : il trionfalmente rieletto dopo 4 anni di faziosa e truffaldina congiura, mescolata con terrorismo sanitario di una farlocca epidemia,  il 47°Presidente degli Stati Uniti d'America  Donald Trump.  

 

 

 

 

giovedì 31 luglio 2025

I CONTI CON HEGEL

 

E' notorio quanto io sia sempre stato ostile, fin dal primo trimestre del terzo liceo, alla filosofia di Hegel. Per uno che era stato un convinto sostenitore del criticismo Kantiano con il suo impianto categoriale e la scappatoia del noumeno che si piazzava nel bel mezzo del fenomeno e della cosa in sé, il rigido schematismo hegeliano, quella sua ossessione di voler ricondurre il tutto ad una ideale fine (o spirito fenomenologicamente inteso -  ho fatto un articolo su uno dei miei blog o forse su “Riflessi Storici” or non ricordo, su questa costante ambiguità tra i due termini “fine” e spirito “ in Hegel ) mi sembravano inconcepibili e rigidi. Ne parlavo un pomeriggio con il mio grande amico Paolo Letizia, anche lui non tenero con Hegel, convenendo però entrambi che in ogni ricerca, ogni studio,  sempre e comunque con questo filosofo,  si era dovuto fare i conti, vuoi che lo si citi per Marx, che lo si sfiori con Koyeve', con Heidegger, perfino che ci si imbatta con Napoleone a Jena, sempre questo diamine di Hegel che fa capolino;  in ultimo eccolo anche riportato da un filosofo che stimo e con il quale e’ da un bel po’ che mi misuro Costanzo Preve,  in un libretto dal titolo stimolante "filosofia del presente" dove lo si cita in quanto oppositore di tutti e tre i modelli di interpretazione della modernità sociale, ovvero il modello tradizionale, quello contrattualista e quello più odioso, l'utilitarista che ha decretato il predominio della  economia giustappunto sul mondo moderno, Be’ quando si puo’ parlare male dell’utilitarismo che io, con
Spirito bottegaio e far di conto
tutto il disprezzo possibi
le, chiamo lo spirito bottegaio,  e’ come se mi trovassi alla presenza del famoso “piatto ricco” in cui  ci si ficca... non mi pare vero, e sono anche disposto a passare sopra al suo solito vezzo di inventarsi schemi, fare classifiche e creare rigide griglie di apprendimento, così parimenti nell’accezione  della modellistica sociale  dove , manco a dirlo   eccolo subito proporre, ovviamente ogni schema la sua proposta di una scienza filosofica della società, che a me è sembrata solo un'altra delle due numerose forzature, che ho anche sempre definito " balle" . Eh si ! Lo ammetto, io ad una teoria sociale ad esplicito e unico fondamento filosofico non credo come non ho mai creduto a nessuna delle artificiose costruzione hegeliane a forzato schematismo, prima fra tutta la sua ben nota dialettica "tesi, antitesi e sintesi";  altresi' risibili mi sembrano tutte le sue altrettanti
boutades "di notte tutte le vacche sono nere" "la nottola di Minerva vola solo sul fare del tramonto" ma sopratutto ho sempre irriso a quella celeberrima formula del "cio' che e' reale e' razionale e cio' che e' razionale e' reale
" , ma ecco che Preve mi fa notare che per Hegel il "reale" e' propriamente cio' che deve essere realizzato e quindi corrisponde a "ideale" , da cui per logica sequenzialità’ si evincerebbe la asserzione di Hegel filosofo dell'idealismo.  Difatti,  continua a spiegare Preve, per Hegel tutto cio' che avviene concretamente nel mondo non e' reale ed allora la sua formula andrebbe corretta  in “cio' che e' ideale, cioe' cio' che dovrebbe essere fatto correttamente,  e' razionale e viceversa il razionale e' l'ideale “. Mmmmm …. eppure signori miei a mio modesto modo di vedere la cosa non cambia, perche
' si tratta in sostanza solo di una sostituzione tra il fatto concreto e il fatto come dovrebbe essere fatto. E' questo l'idealismo? be' lo trovo alquanto pretenzioso e presupponente proprio come pretenziose e presupponenti sono tutte le artificiose costruzioni e gli schematismi di questo filosofo
che proprio non e' mai riuscito a convincermi, checche’ abbiano cercato cerchi di convincermi del contrario Kojeve', Croce, Gentile,  in ultimo  Costanzo Preve, che resta pero’ un pensatore con il quale mi piace misurarmi -  Preve , non Hegel, che malgrado tutto il suo seguito,  nel mio casellario di "supposto sapere" tanto per fare una sviolinata a Lacan  l'ho esorcizzato da quel primo trimestre della terza liceo classico 

 

martedì 29 luglio 2025

TERRA MARE E NOMOS

 

Mi e' gradito rifarmi ad uno dei testi che maggiormente condizionano il mio pensiero in termini geopolitici:  dopo la entusiasmante lettura del libello Terra Mare di Carl Schmitt ove per la prima volta  e' stato identificato con ferma chiarezza e dovizia di particolari e dettaglio il tema della polarita' di influenza sul mondo dei vari Paesi e culture che si sono avvicendate nella storia del nostro pianeta, passo ad un approfondimento di tale tema nel successivo studio dello stesso autore  dal titolo emblematico "Il Nomos della terra" e per farlo mi serviro' delle parole stesse dell'autore piu' o meno chiosate quando ne ritengo opportuno.  Nella prospettiva dello jus publicum Europaeum ogni terra del globo è un territorio statale europeo o un territorio ad esso equiparato, oppure una terra liberamente occupabile, vale a dire un territorio statale (o colonia) potenziale. Nel secolo XIX si svilupparono per i paesi semicivilizzati o esotici forme giuridiche particolari, comprendenti l’extraterritorialità degli Europei e la giurisdizione consolare, il mare rimase però al di fuori di ogni ordinamento spaziale specificamente statale. Esso non è né territorio statale, né spazio coloniale, né zona occupabile. E' dunque libero da ogni tipo di autorità spaziale dello Stato. La terraferma viene suddivisa secondo chiare linee di confine in territori statali e spazi di dominio. Il mare non conosce altri confini che quelli delle coste. Esso rimane l’unica superficie spaziale libera per tutti gli Stati e aperta al commercio, alla pesca e al libero esercizio della guerra marittima e del diritto di preda, senza preoccupazioni di vicinato o di confine geografico. L’ordinamento eurocentrico del mondo, sorto nel secolo XVI, risulta così suddiviso in due diversi ordinamenti globali: della terra e del mare. Per la prima volta nella storia dell’umanità la contrapposizione di terra e mare diventa il fondamento universale di un diritto internazionale globale. Ora non si tratta più di bacini di mare, come il Mediterraneo, l’Adriatico o il Baltico, ma dell’intero globo terrestre, geograficamente misurato.Questa contrapposizione, del tutto
nuova, di terra e mare determinò l’immagine complessiva di uno jus publicum Europaeum che cercava di estendere il proprio nomos ad una terra scoperta dall’Europa e conosciuta scientificamente. Qui stanno pertanto l’uno di fronte all’altro due ordinamenti universali e globali, il cui rapporto non può essere ricondotto a quello esistente tra diritto universale e particolare. Ognuno di essi
è universale. Ognuno possiede il proprio concetto di nemico, di guerra e di preda, ma anche di libertà. La grande risoluzione complessiva del diritto internazionale dei secoli XVI e XVII culminò dunque nell’equilibrio tra terra e mare, nel confronto tra due ordinamenti che solo nella loro coesistenza piena di tensioni determinavano il nomos della terra L’elemento di congiunzione tra i due diversi ordinamenti della terra e del mare fu un’isola, l'Inghilterra. Di qui si spiega la singolare posizione inglese nei confronti del diritto internazionale europeo. Solo l’Inghilterra riuscì a passare da un’esistenza feudale e terranea medioevale a un’esistenza puramente marittima, in grado di bilanciare l’intero mondo terraneo. La Spagna rimase troppo legata alla terra e, malgrado il proprio impero d’oltreoceano, non si potè affermare quale potenza marittima. La Francia divenne uno Stato nel significato classico della parola, decidendosi per la forma spaziale specificamente territoriale della sovranità statale. L’Olanda si sarebbe « interrata » in seguito alla pace di Utrecht (1713). Al contrario di queste sue rivali, l’Inghilterra non era così profondamente implicata nella politica e nelle guerre europee di terraferma. Era, come sostiene John Robert Seeley, « the least hampered by the old world ». Portando a compimento il passaggio ad un’esistenza marittima, essa determinò il nomos della terra dalla prospettiva del mare.L’Inghilterra divenne dunque la portatrice di una visione marittima universale dell’ordinamento euro-centrico, custode dell’altro aspetto dello jus publicum Europaeum, signora dell’equilibrio di terra e mare: un equilibrio che comportava l’idea di un ordinamento spaziale caratteristico di questo diritto internazionale. L’isola britannica restò parte di quell’Europa che costituiva il centro dell’ordinamento planetario, ma nello stesso tempo si staccò dal continente europeo venendo a costituire una posizione storica intermedia, grazie alla quale fu per oltre tre secoli of Europe, not in Europe. Il grande equilibrio di terra e mare produsse un equilibrio tra gli Stati continentali, ma impedì contemporaneamente un equilibrio marittimo tra le potenze di mare. Si ebbe pertanto un equilibrio continentale, ma non un equilibrio marittimo. Non si deve tuttavia per questa circostanza sottovalutare quel grande equilibrio di terra e mare che consentì il nomos di una terra dominata dall’EuropaGli Inglesi del XV secolo erano stati in parte cavalieri che facevano bottino in Francia, in parte pastori che commerciavano la lana con le Fiandre. Solo dalla metà del secolo XVI in poi apparvero su tutti gli oceani del globo i pirati inglesi, i quali realizzarono le nuove libertà: in primo luogo le linee d’amicizia e la grande conquista territoriale, e quindi la nuova libertà dei mari, che divenne per loro un’unica grande conquista di mare. Essi aprirono la strada alla nuova libertà dei mari, che era una libertà essenzialmente non statale. Erano i partigiani del mare in un’epoca di transizione nella lotta tra potenze cattoliche e protestanti. Che cosa possono mai significare i concetti di res omnium o di res nullius, riferiti al mare? Ancora nell’ultima esposizione sistematica del diritto internazionale dei mari, la già menzionata opera di Gilbert Gidel, noi troviamo una controversia tra questo esperto francese e l’inglese Sir Cecil Hurst sulla questione se il mare debba essere considerato res omnium o res nullius. L’inglese è dell’opinione che il mare sia res omnium, il francese propende per la res nullius.Non si può dire che i re inglesi, gli uomini di Stato e i giuristi dei secoli XVI e XVII abbiano avuto una distinta consapevolezza di questo stato di cose. La politica inglese ufficiale dei secoli XVI e XVII ha a lungo zigzagato in direzioni diverse e non offre pertanto in alcun modo l’immagine di
una svolta rapida e
consapevole verso il mondo del mare libero. Allo stesso modo in cui solo verso la fine del secolo XVII l’Inghilterra arrivò alla decisione definitiva contro l’assolutismo monarchico e per una estesa tolleranza confessionale, altrettanto lentamente e senza piani prestabiliti arrivò a rappresentare la parte del mare sulla scena dei grandi contrasti tra mondo terraneo e mondo marittimo. Al governo della regina Elisabetta poté seguire ancora un secolo intero di Stuart cattolicizzanti. Il fanatismo religioso di vaste masse, che spingeva a questa decisione, venne in luce soltanto nel corso della rivoluzione puritana. Le istituzioni medioevali rimasero assai più conservatrici che sul continente. Una parte importante delle acquisizioni coloniali in America fu costruita in base al modello feudale del conferimento di terra effettuato dal re o dalla regina. Il parlamento, di derivazione medioevale, affermò solo dopo molte oscillazioni il proprio potere. Tanto i Tudor che gli Stuart poterono arricchirsi, con la miglior coscienza, grazie ai tesori predati dai propri corsari, e così il loro intero popolo. Ma le espressioni del linguaggio ufficiale nei confronti della Spagna e del Portogallo rimasero le stesse. Esse non vanno oltre le formule giusnaturalistico-scolastiche o giuscivilistiche romane, come quelle che erano state usate da Vitoria e da altri per un’intera generazione. Quando la regina d’Inghilterra aveva proclamato nel 1580, in occasione di una dichiarazione all’ambasciatore spagnolo, in seguito più volte citata, che il mare e l’aria sono liberi all’uso comune di tutti gli uomini, questa dichiarazione era — sia nell’argomentazione, sia nello stile linguistico - del tutto identica a diverse altre simili profferite dai re francesi nel secolo XVI. Malgrado ciò, la decisione inglese per l’elemento del mare fu più grande e più profonda del decisionismo, pur concettualmente chiaro, della statalità continentale. L’isola divenne il veicolo del mutamento spaziale verso un nuovo nomos della terra, e persino  potenzialmente il campo in cui si sarebbe verificato il balzo successivo nella totale perdita di luogo della tecnica moderna.

 

 

 

 

mercoledì 23 luglio 2025

IL SUPER (ES) GATTO di SCHRODINGER

 

Quando nel 1935, Erwin Schrödinger, uno dei piu' originali e geniali fisici quantistici , di nazionalita' austriaca classe 1883 , ex combattente della Grande Guerra, quindi non piu' tanto ragazzino come Heisenberg, Pauli, il nostro Fermi o un ancora non scomparso Maiorana, ideo' l'esperimento mentale del suo controverso gatto nel contempo vivo e morto, non immaginava certo che tale "divertissement" sarebb divenuto una delle piu' famose icone culturali di ogni epoca e nel contempo l'enigma filosofico per eccellenza sulla scia dei vari "essere o non essere"o " Rosencratz e Guildstern sono morti" tanto per rimanere in ambiro Shakesperiano. L'esperimento e' noto : Schrödinger immaginò un gatto chiuso in una scatola, intrappolato in una situazione alquanto inusitata e concettualmente assurda , e cioe' vivo e morto allo stesso tempo, almeno fino a quando un osservatore non avesse aperto il coperchio della scatola. In ambito non strettamente pertinente di fisica quantistica il paradosso può sembrare un’assurdità, che significa essere vivi o morti nel contempo? Be' erano passati otto anni dal famoso congresso di Bruxelles della Solvay dove si erano scontrate le tesi di Einstein e Bohr e c'era stata quella famosa affermazione di Einstein "Dio non gioca a dadi con l'universo" Gli anni a venire avevano decretato la prevalenza della tesi di Bohr che si basava sul principio di indeterminatezza del suo allievo Heisenberg che era un vero e proprio fumo negli occhi per il nostro Erwiin Schrodinger che, voglio essere maligno, per me, quando aveva ideato la sua famosa equazione del collasso della funzione d'onda di cui tutto sommato l'esperimento del gatto era una sorta di conseguenza paradossale, pensava proprio al suo acerrimo rivale di pensiero. Suggestivo immaginare che il gatto di Schrodinger potrebbe avere il pelo rossiccio dei capelli di Heisenberg. La verita' e ' che in quel 1935 a 52 anni suonati, Schrodinger non pensava affatto a formulare un nuovo principio fisico, per quello c'erano stati le sue ricerche sulla meccanica ondulatoria e sopratutto la funzione "psi" per descrivere un'onda di materia nello spazio, e qiuindi il collasso di tale funzione come principio dell'accadere fenomenico della realta' ; quello che gli
premeva era di sottolineare le strane conseguenze giustappunto di tale collasso ove Il "suo" gatto, collocato al limite tra due stati opposti, si caricasse di valenze talmente composite da riflettere i paradossi dell'intera percezione della realta' . Uno specchio! ecco uno specchio di riflessione della nostra percezione fatta di continui collassi, come quelli del mito di Narciso che si trova al limitare del ruscello che innesca la riflessione e quindi il collasso che sprofonda nel nulla (o forse solo del mistero) della morte . Ed eccoci quindi ricondotti per tutt'altro cammino al crocicchio freudiano della pulsione di morte in Al di la' del principio del piacere di 15 anni prima (1920). Un ben diverso crocicchio di quello, tutto sommato banalotto, della Focide, in cui si consuma l'incontro/scontro di Edipo con il padre Laio che inneschera' il famoso complesso di Edipo e la figura simbolica, ma poco metaforica che Freud non aggiornera' mai, neppure dopo il ribaltamento della sua concezione strutturale della percezione psichica, rimanendo quindi fermo con le sue tre costruzioni dell'accadere psichico Io , Es e super Io, ma non avendo avuto la forza di aggiungere una quarta figura quella di un "Super Es" correlata alla morte e quindi al mito di Narciso e non a quello di Edipo. Ecco che Schrodinger che fa affondare il suo
paradosso nella teoria della sovrapposizione quantistica, una proprietà descritta dall’equazione di Schrödinger stessa, ovvero nel mondo dell'infinitamente piccolo, si affianca non si sa quanto consapevolmente alla teoria della pulsione dio morte di Freud dove il paradosso del suo gatto potrebbe anche esssere inserito nei termini freudiani del trovarsi al cospetto di quel
diaframma di riflessione tra vita e morte (Narciso). ove particelle come elettroni e fotoni non "sono" in un solo stato, ma in una combinazione di stati contemporaneamente ove tale bizzaria sembra scomparire nel mondo macroscopico: un gatto non viaggia istantaneamente in due luoghi diversi né appare contemporaneamente vivo e morto.
Il paradosso, quindi, solleva una domanda essenziale: quando avviene il passaggio dal microcosmo al nostro mondo quotidiano? È merito dell’osservatore? Del nostro modo di interpretare la realtà? Oppure della natura stessa della realtà, che forse è molto più "sfumata" di quanto immaginiamo? Immanuel Kant, secoli prima che Schrödinger formulasse il suo paradosso, aveva sostenuto che la realtà non è mai accessibile direttamente. Esiste sempre una "mediazione" della nostra mente, che organizza ciò che percepiamo secondo categorie come spazio e tempo. Ma la fisica quantistica sembra spingerci oltre il pensiero kantiano, suggerendo che la realtà stessa potrebbe dipendere dal nostro atto di osservarla. Va evidenziato come la metafora del gatto di Schrödinger si è insinuata ovunque: dai manuali di psicologia ai romanzi di fantascienz, da video musicali, fino alle rubriche che circolano sui social. Dietro questa leggerezza, però, si nasconde un pensiero complesso e provocatorio: il gatto incarna l’incertezza della nostra conoscenza e la fragilità del nostro modo di pensare alla realtà.
Il gatto non appartiene solo a fisici e filosofi. In un certo senso, Schrödinger ha creato uno strumento che ci invita a vedere le connessioni tra discipline diverse: fisica, filosofia, arte, psicologia. La sua scatola diventa una metafora del nostro stesso universo, in cui rimangono più domande che risposte. Per esempio, nel campo della psicologia moderna, il paradosso del gatto è a volte usato per spiegare il concetto di ambiguità cognitiva. Accettiamo facilmente l’idea che alcuni eventi possano avere più di un'interpretazione, ma è molto più difficile accettare che qualcosa possa "essere" due cose contemporaneamente.
Racchiudere il Gatto di Schrödinger in una singola interpretazione è impossibile, ma forse questo è il vero significato che il paradosso ci offre. È un invito a pensare in modo diverso. Un incoraggiamento a spingerci oltre i confini delle nostre certezze. Un promemoria che l'universo è infinitamente complesso e che, come il gatto, anche la nostra visione del mondo è
LEIBNIZ E IL CALCOLO INFINITESIMALE 
una sovrapposizione di ipotesi, punti di vista e misteri ancora da esplorare.
In fondo, il vero protagonista di questa storia non è solo il gatto, ma noi stessi. Quanto siamo disposti ad accettare che il nostro modo di guardare la realtà potrebbe essere soltanto una delle tante versioni possibili? È questo il lascito del paradosso. Non la risposta, ma la domanda. una domanda formulata in termini reali, ma anche immaginari , sia con pensieri che con numeri e in un diverso calcolo infinitesimale, che magari si rifa' a quella "vis viva " del filosofo e matematico Leibnniz, che piu' che a integrali e a derivate si sofferma in limiti, limiti con coefficiente a infinito. Una curiosita' infinitesimale.

martedì 22 luglio 2025

COAZIONE AL DISEGNO

Mi ha sempre intrigato la ricorrenza di determinati segni e disegni in tutto l'universo : dalla spirale primordiale all'elica del DNA, ladiscriminatura dei capelli, le impronte digitali, i gorghi e i tornadi, allo schema del sistema solare e dello stesso sole ( i frutti, il kiwi, l'arancio, ì fiori coi loro petali ) fino agli impatti traumatici tipo la cometa che si infrange su di un pianeta ricoperto di acque (miticondri) e il ricadere degli spuzzi (forme delle foglie e di buon parte del mondo vegetale) - in sostanza è una graficizzazione della "coazione a ripetere" una scoperta di ...be' .... chi se non lui?... e messa al servizio de "al di là del principio del piacere" ovvero "Eros" e "Thanatos" , la pulsione di morte e l'avallo del secondo principio della termodinamica. Con Freud difatti questo principio di carattere termico entra nella conoscenza dei meccanismi vitali e ci dice he esiste un verso privilegiato nella direzione della "vita" dei Sistemi Naturali. Ed è, purtroppo, il verso che conduce al "degrado" dell'energiae, quindi, della vita stessa dei Sistemi naturali, biologici, vegetali, nonché quelli sociali, che da "ordinati"

possono solo divenire meno "ordinati", o "disordinati", ed infine morire. Questo se sono "isolati" dal resto dell'ambiente in cui sono collocati. Se non sono "isolati" dal resto dell'ambiente possono anche divenire più "ordinati", ma a scapito di tutti gli altri con cui interagiscono.
Il livello di disordine di un sistema fisico si esprime attraverso una grandezza che si chiama Entropia (in genere si indica con la lettera S), e la seconda legge della Termodinamica dice che l' Entropia di un Sistema (chiamiamolo sistema A), isolato dal resto dell'ambiente puo'solo crescere nel tempo. Quindi, il livello di "disordine" del sistema A, se è isolato, può solo aumentare e non diminuisce mai spontaneamente si tratti di un sistema fisico, di un sistema biologico, sociale, non cambia la legge.Ma torniamo ai nostri "disegni" e al loro riproporsi in tutte le forme del creato.
Dopo i vegetali, anche la vita animale è fatta di continue riproposizioni e nulla si riprone più fedelmente delle parti del nostro corpo, gli occhi, la testa, le mani i piedi e ovviamente le parti uro/genitali e sessuali. Per ciò che concerne il maschile , bè è quanto mai palese a chi e cosa si rifanno: i pesci! che da subito popolarono le distese marine, dopo il grande impatto della cometa staccatasi dalla spirale primordiale con l'elemento marino. ma i pesci non furono gli unici animali che popolarono il mare: c'erano altresì polpi, gamberi, ricci,granchi, meduse, di cui ora non sto a precisare, ma c'erano anche mitili, ovvero cozze, vongole telline, ostriche ecco sopratutto animali molto simili alle ostriche, ovvero un guscio rigido e duro, ma all'interno qualcosa di estremamente morbido, umido, scivoloso e anche delizioso.
FERENZI CON FREUD

Opportuno rileggersi lo straordinario libro di Sandor Fernczi (Thalassa) dove viene dettagliato l'origine degli organi maschili e anche il meccanismo dei rapporti sessuali, che lui chiama amphimixi, ma del femminile non ne parla. per niente! ed ecco allora che mi sono venute certe ideucce, stimolate proprio dalla suzione di una squisita ostrica, che era proprio identica a....eh si! proprio a lei! abbiamo il maschile, abbiamo il femminile e possiamo innescare tutti i processi descritti da Ferenczi.... i non poi così misteriosi, amphimixi , si ma c'è un problema: da chi e da cosa, le ostriche e i mitili in genere (anche la cozza non scherza come somiglianza, solo che con quel guscio nero come la pece e quell'arancione dell'interno così vivo, ecco può dar adito ad un distinguo rispetto alla delicatezza,alla fragranza e anche alla maggiore presentabilità dell'ostrica...insomma è possibile che la coazione a ripetere sia passata anche nel linguaggio articolato? come siamo soliti definire una ragazza quando non è troppo avvenente???? Siamo nel divertissement e certo anche un pò nell'azzardo, ma visto che abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno: l'anatomia può sezionare, sviscerare tutto del corpo e certo anche quello di un essere femminile, anche di quella certa parte del corpo femminile, spiegare come l'ovulo possa essere perforato da uno spermatozoo e ingenerare una nuova vita, però non può mai convincerci fino in fondo, come e che cosa possa esserci nel profondo, quale sia la vera essenza di tale processo, c'è qualcosa che sfuggirà sempre, lo chiamano "il mistero della vita".
E se proprio nel femminile, il mistero per eccellenza, quella famosa coazione a ripetere si sia divertita a porre una delle ultime scoperte dell'astro-fisica, qualcosa che c'è, ma non si vede, una sorta di vertigine in cui il nostro pensiero è catturato, come la luce, di cui "IL BUCO NERO" si dice, possa racchiudere entro di sè, per intero tutta l'essenza

domenica 20 luglio 2025

GRECHE E STELLE

 

Anche in una continua emergenza come la  Grande guerra abbiamo visto che la quel famoso paradigma di affidabilità’ sulle carriere dei Generali non e’ che sia stato troppo contraddetto. Caviglia per un’armata, Grazioli e Di Giorgio, in parte Ferrari e Albricci per un Corpo d’armata, di eccezioni ce ne furono forse un altro paio, magari in regressiva per un Capello, dato che per le Armate le uscite dal coro di Di Robilant e Pennella rientrarono senza strascichi, con la quasi totale osolescenza dei due ufficiali.  Alla nomina di generale d’Esercito (le famose tre stelle che appartenevano solo al Re e al Generale Caneva ) tutti i Generali che avevano comandato un’armata, piu’ uno, furono ammessi, (oramai dovremmo sapere chi era quell’uno), e la risoluzione fu quella che qualche anno dopo porto’ al bastone di Maresciallo d’Italia (sempre compreso quell’uno). Eppure un momento in cui il paradigma rischio’ fortemente di essere accantonato fu con l’ascesa al Ministero della Guerra di un generale che rappresentava  quella forza diversa venuta fuori dai campi di battaglia :  Antonino Di Giorgio  che nel 1924 inizio’ un vasto programma di riforma facendo leva sul concetto di “Nazione Armata “ introducendo  la ferma differenziata ovvero una ferma lunga di diciotto  mesi  e una breve di treCon le reclute a ferma lunga si formavano un certo numero di reggimenti chiamati centri addestramento che dovevano essere al massimo dell'efficienza operativa per tutto l'anno, primeggiando tra essi i reparti alpini schierati alla frontiera, gli altri lo dovevano essere solo nei tre mesi destinati all'addestramento mentre per il restante periodo dell'anno i centri funzionavano anche da scuole per allievi ufficiali e sottufficiali. I fondi recuperati andavano destinati ai materiali, per i quali occorreva privilegiare la ricerca e la sperimentazione, accumulando tutto quanto doveva servire per la trasformazione dei centri addestramento in reparti operativi e al miglioramento della professionalità degli ufficiali di carriera. In sostanza Di Giorgio voleva sostituire l'esercito di caserma con un esercito di larga intelaiatura, che rispondesse appunto a quell’esigenza di “nazione Armata” che forse sulle perrime era nell’intenzioni di Mussolini, ma che fini’ per venire accantonata sulle pressioni della  classe piu’ conservatrice dell’Esercito che riusci’ a far  cadere il Di Giorgio e sostituirlo  come Ministro della Guerra con il solito Gaetano Giardino  che riportò l’esercito sui binari della piu’ assoluta routine, coadiuvato in questo dalla creazione in quello stesso 1925  della nuova carica di Capo di S.M. Generale (ovvero per tutte le FF.AA) del suo degno comare Pietro Badoglio 
 Della prova dei generali  Italiani nelle  guerre di Etiopia e di Spagna molto poco da dire, da registrare la nomina di due nuovi Marescialli d’Italia Emilio De Bono e Rodolfo Graziani rispettivamente nelle prime fasi e sul finire della campagna d’Etiopia e  la tutta sommata deludente prova in Spagna dei generali piu’ in alto in grado Roatta poi Bastico  e Francisci (sempre a livello  di un organico di poco piu’ di 25.000 uomini suddivisi in tre divisioni) infiammando magari l’opinione pubblica piu’ per l’ardimento personale di un  generale combattente come Annibale Bergonzoli soprannominato “Barba elettrica”  o l’ultima fase della guerra sotto il comando di un Generale molto giovane Gastone Gambara (appena quarantottenne) che fu il conquistatore di Santander . Nessuna influenza comunque sul normale ordinamento dell’Esercito, fatta eccezione per la riforma del nuovo Capo di S.M. Alberto Pariani alla vigilia della guerra con la cosidetta divisione Binaria ovvero su due reggimenti di gfanteria, in sostanza un equivalente della Brigata di fanteria nella 1^ guerra mondiale, che raddoppiava pomposamente ma solo formalmente l’organico della Divisione. Forse l’unico teatro di guerra ove si impose un Generale non di apparato fu sul fronte Russo con Giovanni Messe,  l’eroico Maggiore cte del IX reparto d’assalto della prima guerra mondiale , un Generale che addirittura proveniva dai ruoli dei sottufficiali e che aveva preso parte alla campagna di Cina  ai primi del secolo sotto il Colonnello Salsa . Fu l’unico ufficiale che merito’ il bastone di Maresciallo che gli fu tuttavia concesso sul finire della campagna di Tunisia nel maggio 1943 , dato che i due precedenti Cavallero e Bastico ebbero la nomina solo in relazione al non sfigurare rispetto a Rommel in Africa settentrionale di cui erano formalmente suoi superiori. Dei generali della cosidetta Resistenza o magari del  cosidetto CVL (Corpo Volontario Liberta’) non ritengo di profferire giudizi e neppure parola.  L’esercito non riuscira’ mai a riprendersi dopo il vergognoso collasso con tanto di fuga dell’8 settembre 1943 e ancora trent’ann dopo la sua immagine era squalificata rispetto a tutte le altre rappresentanze della nazione : un  certo recupero si ebbe in
occasione della mobilitazione dei suoi reparti specialmente alpini  a seguito del terremoto del Friuli del maggio 1976, dove in effetti ci fu una notevole ripr
esa del rapporo tra cittadinanza ed essercito che non tocco’ neppure da lontano la classe generalizia che continuava le sue manovrucce di potere oramai fortemente limitate e condizionate,  quali attengono ad una struttura di pochissima presa sul sociale dettate appunto dalla sua marginalita’ rispetto alle problematiche del Paese. Il militare era solo quello che riguardava il servizio di leva con tanto di canzoncine di soffusa lamentosita’ “quindici mesi do pastasciutta, mamma che brutta a fare il solda’  “ manda i soldi caro papa’ che qua mal si sta” “e’ finita e’ finita per davvero, si consegna branda e telo “ ” della naja siamo stufi e a casa vogliam tornar” canzoncine perlopiù’ risalenti a  periodi precedenti  di addirittura dei primi del secolo  e che comunque mai piu’ avevano informato una fioritura musicale  tipo appunto quella che si era avuto durante gli anni della Grande Guerra e neppure quelli della seconda guerra mondiale.  L’ufficiale era oramai molto sradicato come professione, ma anche come rilevanza  dal contesto sociale, ne’ differente era quando raggiungeva i piu’ altri gradi e anche le cariche apparentemente piu’ prestigiose, che quindi si applicavano piuttosto straccamente  secondo quel paradigma di affidabilità’ che ora era molto influenzato da correnti politiche  - c’era il generale della tal corrente democristiana, quello dei socialdemocratici, dei repubblicani o dei liberali, qualcuno del MSI che pero’ non  era molto influente, anche se diciamoci il vero,  la naturale tendenza del militare di carriera e' un po' quella di essere di
destra e spesso di estrema destra, che pero' come accennato non e' stato affatto promozionale  negli anni della Repubblica, che hanno anche visto greche in odore di partito Socialista e anche paradossalmente di Partito Comiunista. La politica con tutte le sue camarille di correnti, di cordate, di favori interessati e con contropartita, e' diventata  il comun denominatore della carriera anche nelle Forze Armate, afferrando il testimone di quello che era stato il paradigma di affidabilita'  che abbiamo ipotizzato potesse essere fin dall'inizio della nostra storia nazionale  quella sorta di codice non scritto  nel disciplinare le carriere militari a livello di vertice. Non pretendo di essere rimasto addentro di  queste camarille con gli anni del nuovo millennio, dopo il fatidico 2000, pero' bisogna dire che in tempi recentissimi e precisamente durante la recente ignobile farsa della pandemia  si sono potuto vedere quelle antiche discrasie tra glialtissimi  gradi militari che avevamo osservato  ad esempio per Tancredi Saletta e Baldissera, per Badoglio e Caviglia, Di Robilant e Giardino, ancora Giardino e Di Giorgio : ecco così che da una parte si aveva un Generale  a tre stelle che compiaceva a tutto campo la discrasia del governo e le disposizioni dell'ordine distopico mondiale di bieca limitazione di tutte le liberta'  e che platealmente minacciava di perseguire  coloro che non ottemperavano a tali disposizioni  (prima fra tutte lo iatrogeno vaccino e conseguentemente il possesso dell'infame lasciapassare (loro lo chiamavano all'inglese green pass) , stanandoli casa per casa e costringendoli con le buone o le cattive a uniformarsi alla gran massa della popolazione, dall'altra un Generale che 
aveva meno stelle e meno pompose e ridicole file di nastrini (ricordo che quando collaboravo con il Gen.Emanuele Lazzarotti negli anni settanta ad articoli sulla Rivista Militare e Storia Illustrata  e questi aveva il grado di Generale di Divisione, alla mia domanda quando sarebbe divenuto Generale di Corpo d'Armata mi rispose perentorio "mio caro io non posso andare oltrre il grado di  Generale di Divisione " 

 

 

venerdì 11 luglio 2025

GRECA E POLVERE

Purtroppo per noi , Generali un titinin piu’ capaci li troveremo ben presto :  appena un mese dopo,  nel fine ottobre del 1917, nella arcinota disfatta di caporetto, dove ci fu inflitta una delle piu’ sonore batoste della storia militare di ogni tempo. Nel giro di un paio di giorni l’intero Comando della 2^ armata di Capello fu letteralmente polverizzato,  con Generali di corpo d’Armata e di Divisione, in fuga, addirittura sorpresi in mutande, tanto non si erano accorti della rapidita’ dell’offensiva nemica (si disse di Cavaciocchi e di Farisoglio) ,  anche un suicidio per disperazione (Gen. Villani), oppure l’eclissarsi dal posto di comando per ore e giorni (Badoglio) - unica eccezione in tutto questo sfacelo il Gen. Caviglia che alla testa del suo XXIV Corpo d’armata  si sobbarco’ anche due divisioni e poi una terza del contiguo  XXVII Corpo  giustappunto del collega Badoglio, al totale sbando;  Caviglia non esegueguendo  pedissequamente gli ordini di Cadorna di ritirarsi per i ponti sul Tagliamento assegnati a ciascun Corpo, e neppure dirigendosi  verso Casarsa della Delizia e Codroipo, troppo distanti,   fece passare tutte le sue le truppe  per i ponti di Madrisio e Latisana che erano totalmente sgombriLa verita’ e’ che nel corso dei tre anni di conflitto, lo Stato Maggiore tedesco soprattutto ad opera dei suoi piu’ influenti generali Hindeburg, Ludendorff, Below, Krauss, Dellmsinger, per il quale non mi risulta fosse in vigore nessun “paradigma di affidabilità’ “ nel ruolino dei Generali  era andato rivalutando le tecniche difensive e offensive dei combattenti  istituendo anche le  famose Sturmtruppen che erano un po’ ma in termini ancora piu’ leggere e rapide  l’equivalente dei nostri “arditi” . Va notato che quando gli austriaci , immediatamente dopo la battaglia della Bainsizza ,  avevano chiesto aiuto ai Tedeschi Hindenburg  e il suo vice Ludendorff avevano acconsentito  a inviare
al fronte italiano  
 il generale  Krafft von Dellmensingen per un sopralluogo;  assicuratosi che il fronte dell’Isonzo non era in immediato pericolo (famoso l’episodio in cui traccio’ un cerchio dell’equivalente raggio di 10 chilometri  per asserire che stante il parco delle artiglierie, i carriaggi, i rifornimenti e tutto l’impianto logistico dell’esercito italiano non sarebbe mai riuscito a superare quel tratto, comincio’ a vagliare le probabilita’ di una offensiva congiunta giusto in quel settore del fronte.   Terminate le varie verifiche e dopo aver vagliato le probabilità di vittoria, Dellmensingen tornò in Germania per  riferire ai suoi superiori che approvarono il piano, rassicurati sia dalla drammatica situazione in corso nella Russia dei bolscevichi  sia del fatto e che sul fronte occidentale,  dopo il fallimento della 2^ battaglia dell'Aisne dell’aprile, gli alleati  non avrebbero attaccato. Già l'11 settembre  fu posto a capo della nuova 14ª Armata il Gen, Otto Von Below  e fu nominato suo capo di Stato Maggiore lo stesso Dellmensingen. Venne chiarita con l'alleato austriaco la strategia da adottare: un primo sfondamento sarebbe dovuto avvenire a Plezzo   con direzione Saga e Caporetto, per conquistare  M. Stol e puntare verso l'alto  Tagliamento; contemporaneamente da Tolmino si sarebbe dovuto risalire l'Isonzo e imboccare la valle del  Natisone fino a  Cividale del Friuli; un altro attacco frontale sarebbe partito invece contro il massiccio dello Jesa  per impossessarsi successivamente di tutta la catena del Kolovrat,  da cui era possibile dominare la valle dello Judrio, accerchiando così l'altopiano della Bainsizza.   Sappiamo tutti come andò a finire, con pero’ il famosissimo fermo sul fiume Piave e sul  monte Grappa proprio quando ci si sarebbe aspettati la debacle totale. Numerosi motivi, nel dopoguerra  furono addotti a spiegazione di tale resistenza:  il cambiamento di comando e in genere piu’ umano delle truppe, l’aiuto dei contingenti francesi e inglesi, una diversa strategia o forse piu’ concretamente un cambiamento del tutto naturale della logistica, difatti va notato che il fronte dell’Isonzo ere decisamente troppo lungo e di difficile mantenimento proprio in relazione all’approvvigionamento delle truppe, per cui un accorciamento di oltre 100 chilometri quale fu quello al Piave  con cerniera il Grappa, cambio ‘ radicalmente il tipo di guerra (abbiamo visto quanto i tedeschi contassero sull’elemento logistico in occasione del famoso cerchio di Dellmensingen sullo schieramento ddella Bainsizza). Abbiamo visto che sul Piave operarono sulla sua difesa con particolare efficacia prima  Andrea Graziani, poi Antonino  Di Giorgio che venne nominato comandante di un corpo d’armata apposito,  denominato “di sgombro”   Meno efficace fu la ritirata della IV armata dal Cadore al Grappa, in quanto avvenne con un certo ritardo che costo’ la cattura di oltre 10.000 soldati , pero’ poi ci fu non semplicemente una resistenza, ma addirittura una epopea, l’epopea del Grappa appunto, con tanto di canzone (cui concorse alla stesura anche il generale Emilio De Bono all’epoca cte di un corpo d’armata, in  futuro Quadrumviro della Marcia su Roma, rilevantissimo
gerarca fascista ma anche il primo Maresciallo d’Italia  nel 1935 dopo il gruppo dei Generali della Grande Guerra) - canzone che ancora noi oggi cantiamo al pari del celeberrima La leggenda del Piave di A.E.Mario. Mario Nicolis  Di Robilant era il
Generale che comandava la IV armata e come fatto cenno ebbe alcune incertezze e ritardi durante la ritirata , ma poi, a mio modesto parere, si rifece alla grande:  fu lui a comandare le truppe durante la vera epopea , quella del novembre-dicembre 1917 e non Gaetano Giardino che era all’epoca imboscato negli uffici di Sottocapo di Stato Maggiore in condominio con il piu’ discusso dei generali di Caporetto , quello che avrebbe dovuto essere il primo colpito della Commissione d’inchiesta istituita sotto la Presidenza del  Gen. Caneva nel gennaio 1918 e che invece risulto’ estraneo ad ogni responsabilità’ anche per via che le tredici pagine che riguardavano il suo XXVII Corpo d’armata furono stracciate. La mia domanda e’ la seguente: come e’ possibile che il vero difensore del Grappa, il generale che ne era stato al comando per tutto il periodo della piu’ fiera e eroica resistenza, della vera e unica grande epopea,  e vi era rimasto nel 1918 per  altri quasi quattro mesi  (24 aprile 1918)  sia a mala pena ricordato e non abbia avuto ne’ statue, ne’ encomi,  ne’ bastone di maresciallo che sarebbe spettato di diritto ai generali che avevano comandato un’Armata in guerra. Giardino era arrivato al comando dell’armata del Grappa, quando la unita’ non aveva piu’ quella rilevanza strategica della fine del 1917 di quando era in pericolo l’integrita’ nazionale, ma quando altre armate, la 3^ e soprattutto la 8^ erano diventate piu’ determinanti ai fini del quadro generale delle operazioni “ Mmmmm…. a pensar male si fa peccato, ma…., ecco qui non so perche’ ma mi fa solletico nell’orecchio quel famoso “paradigma  non scritto di affidabilità’ di cui abbiamo parlato fin dal primo dei presenti articoletti, sulla classe generalizia italiana . Il generale Gaetano Giardino ex Ministro della Guerra fino a Caporetto, poi Sottocapo di S.M. con Badoglio, quindi dal febbraio 1918 addetto militare a Versailles al posto di Cadorna....  piu’ in paradigma di lui, difficile trovarne e difatti eccolo nominato Cte dell’Armata del Grappa al posto di De Robilant e noi ancora qui ad ammirare la sua pomposa
statua nella citta’ di Bassano che domina il massiccio del Grappa, con la scritta nel piedistallo dei versi della canzone che lui non aveva cantato. Giardino lo troveremo qualche anno dopo, in una diatriba che lo vedra' rappresentante dei ceti piu' conservatori dell'Esercito ( quelli del paradigma) in opposizione al  Ministro della guerra  Antonino Di Giorgio per scongiurare un piano  di grande rinnovamento delle Forze Armate. Tornando alla nostra Guerra Mondiale, quella dopo Caporetto e la grande resistenza sul Piave e sul Grappa,  Di Robilant non e' il solo Generale che  rappresenta un mistero  in relazione al suo ruolo di comando  e questa volta la situazione non ha i caratteri  dell'Armata del grappa.Cioe' non siamo in un situazione dove si contrappongono due generali  uno operativo e l'altro di quel famoso paradigma di affidabilita', questa volta siamo al cospetto di due fior foore di generali  fattisi siul campo di battaglia: il Gen. Giuseppe Pennella eroico comandante della divisione Granatieri alla presa del Monte san Michele nell'agosto del 1916 giuseppe Pennella, combattente tra i combattenti tre volte decorato sul campo con  medaglia d'argento e commendatore ddell'Ordine di savoia  e il generale Enrico Caviglia che quasi non ha bisogno di presentazioni, eroico e sopratutto leale ufficiale in Africa durante la battaglia di Adua si autodenuncio' convinto di dover
il gen. Pennella 
pagare sia pure con solo il grado di Capitano della disfatta, quindi distintosi sull'altopiano di Asiago come cte di Divisione  tanto da meritare la nomia a Cte di Corpo d'armata e riportare la vittoria della Bainsizza, quindi unico ufficiale Generale della 2^ armata ch non si fece travolgere dalla offensiva austriaca di caporetto. Oggetto del contendere e' la 8^ armata quella che era subentrata alla dissolta 2^ armata di Capello e si ritrovava nel giugno 1918 investita  in pieno dalla grande offensiva  austriaca che mirava a  impadronirsi della pianura Padana e al cui comando si trovava il Pennella:  ebbene dopo un primo successo  dell'offensiva austriaca che penetro' sul Montello per ben 9 km, fu proprio l'energia di tale generale che consenti' una efficacissima controffensiva con il recupero di tutto il territorio perduto e i primi segni di una energica controffensiva  - a tre giorni della chiusura delle operazioni, dei contrasti con il Capo di S.M. Diaz portarono alla sua sostituzione con il Gen.Caviglia che dunque si trovo' a concludere la contraffensiva a giochi pero' oramai fatti (una seconda edizione di quanto era successo sul Grappa con Di Robilant. Certo Caviglia non era Giardino e difatti fu poi l'assoluto protagonista e vincitore de facto della battaglia di Vittorio Veneto  sempre alla guida della 8^ Armata.  Pennella fini' retrocesso a cte di Corpo d'Armata per il resto della guerra dove sul fronte della Valsugana un po' paradossalmente gli fu conferita una medaglia di bronzoal v.m. laddove pero'   il Comune di Pergine Valsugana  che aveva liberato volle conferirgli la cittadinanza d'onore  di certo  valutando con maggiore gratitudine il suo operato. Sappiamo anche da notizie del dopoguerra che era rimasto profondamente amareggiato e  deluso, per come l'Esercito lo aveva trattato.

lunedì 7 luglio 2025

GRECA E GUERRA MONDIALE

 

Durante la guerra di Libia erano emersi al comando di grosse unita’ Generali che non facevano parte di quell’entourage di affidabilità’di cui abbiamo fatto cenno per accedere a  comandi superiori, tipo Tommaso Salsa che si era messo in luce nella precedente campagna africana  sia come combattente e comandante di reparti in battaglia (seconda Adorgat nel 1894 )   sia come  consigliere preferenziato di Baratieri di cui sebbene avesse solo il grado di maggiore ne fu Capo di S.M. del corpo di spedizione, sostuito da un Colonnello alla vigilia della battaglia di Adua, e tornato in auge sotto le direttive di Baldissera, per trattare con Menelik la pacificazione, Fu tra i protagonisti della spedizione in Cina contro la rivolta dei Boxer per poi partecipare alla campagna di Cina della Rivolta dei Boxer, quindi torno’ a mietere rilevanti successi sul campo di battaglia in Libia, in particolare la conquista del campo trincerato di Ettangi nel 1913 che gli valse come premio sia per il valore che per la perizia dimostrata, la medaglia d’oro al v.m. vivente   e la promozione per merito di guerra a Tenente Generale. Purtroppo pochi mesi dopo, stroncato da una malattia tropicale contratta in servizio  mori’ privando così la nostra storia di un Generale tanto capace forse il piu’ capace che fino allora si era prodotto nelle alte sfere militare. Eppure malgrado tutti questi  tributi sempre per il solito discorso di quella sorta di paradigma di affidabilità’ , io non credo che Salsa sarebbe asceso agli alti vertici della conduzione della Grande Guerra , certo la nomina a Tenente Generale per merito di guerra lo poneva perlomeno nei papabili al comando di un Corpo d’armata, ma ecco non troppo dissimile dai vari Reisoli, Morrone, Briccola, Aliprandi, Ruelle, Gaetano Zoppi, Frugoni, Cigliana, Lequio, Nicolis Di Robilant , forse le operazioni militari lo avrebbero portato a essere papabile per il comando di una Armata, collega di un Brusati, di un Nava, oppure a causa della sua mentalita’ offensiva  sarebbe incorso in uno dei primi siluri del gen. Cadorna come successe ad esempio al cte della 1^ armata Roberto Brusati che fu sostituito col gen. Pecori Giraldi a pochi giorni dall’inizio della famosa Straf Expedition. I Generali  con mentalità troppo autonoma e pieni di iniziativa non erano molto popolari nel famoso paradigma  di affidabilità’ (mia personale illazione) - così lo stesso famosissimo generale  Antonio Cantore detto il San Pietro degli alpini in quanto custode del cimitero delle “penne mozze” ovvero tutti gli alpini caduti in battaglia, venne promosso per essere rimosso dal fronte Trentino dove  fin dai primi giorni del conflitto aveva mostrato un po’ troppo ardire  (conquista di Loppio, Mori, il Monte Altissimo e sopratutto di Ala) tanto da far dire agli alpini della sua Brigata, nel momento del commiato   del "ora ghe non c'è piu' Cantore, Trento la vedrem col canocial". Stessa musica con altri Generali  che si andavano distinguendo un po' troppo, esulando da quel famoso paradigma di affidabilita' : cosi anche  Luigi capello che arrivato al comando del VI Corpo d'armata, non godeva dell'appoggio del paradigma,  pero suppliva con la appartenenza alla Massoneria,  pur avendo conseguito la prima e piu' appariscente vittoria della guerra fino a quel momento ovvero la presa di Gorizia e anche dei due monti  che ne sbarravano l'accesso
il Sabotino e il san Michele  (agosto 1916) fu subito dopo relegato in comandi secondari e ci volle quasi un anno perche' fosse nominato Comandante della seconda Armata (giugno 1917) con tutto che la maggior parte dell'opinione pubblica, gia' dai tempi di Gorizia  lo considerasse molto piu' idoneo alla guida dell'intero esercito dello stesso Cadorna.  Quando mancava l'appartenenza alla lista di affidabilita' da me ipotizzata, senza dubbbio giovavano altre credenziali tipo appunto l'appartenenza alla Massoneria di cui capello era affiliato e che probabilmente alla fin fine riuscirono a portare su il proprio esponente. Se invece le due cose si combinavano, paradigma e massoneria allora non v'era praticamente limite alle possibilita' di un candidato : proprio quello che era accaduto ad un colonnello di S.M. che da quell'agosto 1916 e in correlazione con Capello che era si suo superiore in grado, ma sembra meno accreditato sotto il profilo massonico, aveva visto le sue changes di carriera prendere letteralmente il volo: giudicato autore di un geniale piano di costruzione di gallerie che avevano ridotto sensibilmente il campo scoperto  sotto il fuoco nemico, ci fu pero'  chi mise in dubbio che tale piano fosse farina del suo sacco, attribuendolo ad un maggiore del genio, cui Badoglio dopo essersi impadronito delle sue carte lo fece sostuire in tutt'altra parte del fronte, di poi vi fu la riprovazione ad azione compiuta del suo diretto superiore, ovvero il comandante della divisione  Gen. Giuserppe Venturi, cui Capello  chiese di  proporre Badoglio per la promozione per merito di guerra sul campo a Maggior generale,  laddove questi voleva invece denunciarlo per abbandono del posto di comando, suscitando quella famosa affermazione del Capello  "Ah si!? be' se non vuoi promuoverlo tu, lo promuovero' io!" il che accredita quella tesi di differenza di livello nella gerarchia massonica. In effetti  in nessun altro uffiìciale della Grande Guerra  si riscontra una accellerazione così marcata dei gradi generalizi , in meno di un anno era gia' Cte di Corpo d'armata e sebbene la sua condotta durante i giorni di caporetto fossse stata totalmente deficiente (addirittura scomparve, lasciando le divisioni del suo XXVII Corpo d'armata in balia di se stessi, i cui resti furono cooptati e tratti in salvo dal Gen. Caviglia che comandava il XXIV corpo d'armata contiguo al suo ), venne nominato Sottocapo di S.M. in condominio con il Gen. Giardino che era un'altro Generale  di quel famoso paradigma di affidabilita'.  Poco dopo Badoglio fu  reputato meritevole della nomina a Generale d'Esercito a fine guerra  e poi nel 1926 di Maresciallo d'italia contravvenendo alla regola  che per conseguire tale nomine si dovesse aver comandato una Armata in guerra. Di eccezioni comunque  alla regola del paradigma proprio grazie alle esigenze  della guerra che accellero'  fortemente promozioni e relativi incarichi di rilievo ce ne furono parecchie,  anche se a mio parere non dell'entita' tale da inficiare  la prassi  generale: si e' vero che generali fortemente operativi e poco ligi alle regole arrivarono a detenere ed esercitare incarichi di rilievo, ma fino ad un certo punto : esercitato difetti il ruolo che l'emergenza richiedeva questi rientravano nelle maglie di una burocrazia che ne impediva una ulteriore esplicazione, con incarichi tutto sommato di secondo piano . Un altro caso emblematico e' quello del generale Andrea Graziani, un ufficiale assai discusso per via della sua estrema severita' che lo porto' ad essere protagonista di un caso che sollevo' nel
dopoguerra un enorme scalpore : la fucilazione nei giorni della ritirata di caporetto di un soldato che gli era passato davanti non togliendosi il sigaro di boccca. Ora Graziani a parte tale  dolorosa vicenda e una fama di ufficiale severissimo, era in realta' un comandante di tutto rispetto, che rientrava a tutto tondo nella schiera di quei militari super efficaci: gia' distintosi nell'opera di soccorso al terremoto di Messina nel 1909 da maggiore, replico' tale opera  con piu' potere e grado piu' elevato  nel gennaio 1915 al terremoto della Marsica, provvedendo a cure e soccorsi per ben 12 comuni della zona e mettendo fine alla piaga  dei cosidetti "avvoltoi" che profittando della tragedia razziavano i beni delle vittime nel 1916 nel pieno della Straf Expedition da Maggior Generale fu il cte della 44^ divisione una unita' che aveva l'organico di un Corpo d'Armata e fu il difensore del Pasubio tanto che fu appunto denominato l'eroe del Pasubio . Eppure  malgrado aver comandato così brillantemente una unita'  ebbe si' medaglie al valore, ma nessuna promozione, Maggior generale era e maggior Generale lo troveremo ancora nel 1918 comandante della Divisione Cecoslovacca, dopo aver diretto  nel novembre 1917 il movimento  di sgombro sul Piave subito dopo la rititrata di caporetto dove avvenne la famosa fucilazione del soldato con il sigaro: il fatto della severita' non e' da considerare certo un  deterrente ai fini della carriera, perche' molti altri Generali della Grande Guerra non furono da meno di lui:  la severita' e il rigore sono anzi ricorrenti in generali molto capaci e non tale nomea non risparmio' ad esempio il Gen. Cantore, il Gen, Carlo Giordana, il Gen. Giacinto Ferrero e neppure  Capello 
che anzi durante la guerra di Libia chiamavano  il cimitero di derna Villa capoello . A queste numerose componenti che disciplinavano incarichi e carriere degli uffiìciali impegnati nel conflitto, ne va aggiunta un'altra del tutto soggettiva e caratteriale del generale Luigi Cadorna 
che si era ritrovato a comandare l'esercito in guerra,  giusto alle soglie della pensione per la morte improvvisa del suo predecessore Gen. Alberto Pollio,  pochi giorni dopo l'attentato a Francesco ferdinando nel giugno 1914 : la spasmodica quasi maniacale sostituzione di un Generale in corso d'opera, in gergo militare "il siluro" Le motivazione di detta risoluzione erano delle piu' disparate e molto spesso dettate non da specifiche defaillances di comando, ma anche da antipatie personali, da vecchie ruggini di carriera, da rivalse di vario genere , pero' senza dubbio tra le motivazioni di siluro piu' esilaranti va annoverata quella del Gen. Ettore Mambretti un ufficiale stimato da Cadorna e che faceva parte della sua schiera di cordata, ma che aveva una peculiarita' del tutto imponderabile nell'esercito : portava sfiga ! Lasciamo alla parola allo stesso Cadorna che nelle sue lettere alla moglie all'epoca degli avvenimenti in cui si consumo' la vicenda del povero Mambretti, ovvero la battaglia dell'Ortigara di cui era stato designato come comandante  «Il tempo — scrisse Cadorna il 17 giugno — è bello e caldo. Domani M. ritenta l’operazione. Speriamo che egli riesca anche a sfatare la deplorevole leggenda di jettarore che gli hanno fatto. E’ una stupidaggine, ma in Italia compromette la reputazione e il prestigio. 
Tre giorni più tardi Cadorna dovette comunicare alla moglie che l’operazione si era risolta in un fiasco, anche se gli alpini erano riusciti a conquistare la cima dell’Ortigara (177) Il 25 giugno, con un attacco di sorpresa, gli austriaci riuscirono a riprendersi anche quella cima.
«La jettatura — scrisse Cadorna che cominciava a crederci —ha voluto esercitarsi fino all’estremo. Gli Austriaci, dopo una gran preparazione di artiglieria, hanno assalito e ci hanno preso l’Ortigara, malgrado una difesa strenua. Ieri l’ho telegrafato a Lello [il figlio Raffaele] e dice anche lui di non più ricominciare perché, quando i soldati vedono M. fanno gli scongiuri. In Italia purtroppo questo pregiudizio costituisce una grande forza contraria»
   il In verita' il povero Mambretti  aveva un lungo curriculum che aveva avallato tale nomea: nel 1896 aveva preso parte, come capitano, all’infausta battaglia di Adua; nel 1913 era andato in Libia e, quasi appena giunto, aveva diretto lo sfortunato combattimento di Sidi Garbaa, poco prima dell'offensiva dell'Ortigara era scoppiata prematuramente una mina e tutti avevano addotto la causa alla sua sfortuna  
«La fama di M. cresce tutti i giorni osservava Cadorna il 13 luglioed ormai non può comparire in alcun luogo senza che soldati ed anche comandanti facciano i più energici scongiuri. Ne sono seccatissimo perché se gli affido una operazione offensiva non può riuscire perché tutti sono persuasi che non riesce. E capirai che non posso cambiare un comandante solo perché ha questa fama. Certo si è, per chi ci crede, le ha avute tutte: il mal tempo, scoppio della mina il giorno prima, che uccise quasi tutti gli ufficiali di due battaglioni che dovevano andare all’assalto, pare  dei tiri corti della nostra artiglieria che colpirono le nostre stesse posizioni ecc. Pare che si era già fatto quella fama in Africa.... ».
Due giorni più tardi  suo malgrado Cadorna dovette lanciare un suo ennesimo "siluro" 
«Ed ora vi devo dare una notizia ben dolorosa, cioè devo liquidare M. dal comando. Dall’inchiesta che ho fatto sull’ultima offensiva, che fu un vero fiasco malgrado la grande abbondanza di mezzi, emergono delle responsabilità anche sue. Egli ha perduto la fiducia delle truppe anche per quella sua maledetta iettatura» . 
Un episodio contrassegna il mancato dell’Esercito di Cadorna  in quei  due primi anni e mezzo di guerra riflettendovi tutte le magagne specie della classe generalizia ed e’ l’occasione mancata di Carzano (proprio così e’ titolato il libro del protagonista della vicenda  il Ten. Col. Cesare Pettorelli Lalatta  che nel dopoguerra ne riporto’ il minuzioso resoconto). L’abitato
Carzano e il Monte Salubio che lo sovrastava nel cuore dell’Altopiano di Asiago erano dei
punti nevralgici dello schieramento difensivo austriaco del trentino, ebbene nell’estate del 1917 si profilo’ l’occasione di scardinare tali punti grazie alla defezione di un intero battaglione cecoslovacco preposto alla difesa della posizione che  a cominciare dal suo cte, un maggiore certo Pviko, erano tutti acerrimi nemici dell’Impero Asburgico e fautori dell’indipendenza della loro terra.  Tale maggiore Pviko uomo di cultura e ingegno  era riuscito a contattare il capo del servizio informazioni di quel settore della 1^ armata , dato che dopo il disastro dell’Ortigara la VI armata era stata sciolta,  un brillante ufficiale Cesare Pettorelli Lalatta,  e proporgli un piano di neutralizzare il settore della zona preposta sotto il suo comando tramite narcotizzazione delle sentinelle dei reparti limitrofi, interruzione della corrente elettrica nei reticolati e assoluta cooperazione in una incursione  nel cuore dello schieramento difensivo  austriaco. Il piano era tale da indurre le piu’ ardite prospettive : da un relativamente piccolo infiltramento di truppe a livello di compagnia si poteva via via  incanalare l’organico di un battaglione, di un Gruppo , di una intera Divisione e perche’ no di un intero Corpo d’armata, risalire la Val  Lagarina , la Val Sugana e spuntare alle spalle del Campo trincerato di Trento…. roba non dico di vincere la guerra, ma di certo imprimergli un andamento molto piu’ incisivo e tutto a nostro favore. IL Pettorelli Lalatta dopo le prime  perplessità’ dovute alla delicatezza della posta in gioco, si era sempre piu’ andato convincendo della sincerita’ del  suo interlocutore  e soprattutto dell’eccezionale occasione che si stava presentando e così caricandosi di entusiasmo era riuscito ad avere un abboccamento con il Generale Cadorna a Udine  e prospettargli nei minimi dettagli tutte le favorevoli prospettive del piano. Era implicito che per la perfetta esecuzione e quindi riuscita del piano occorrevano Generali di grande ardimento, pronta decisionalità’ e grande esperienza sul campo, e il Lalatta si era persino permesso  di fare alcuni nomi  per portare avanti una simile impresa ; il Graziani che aveva comandato la 44^ divisione sul Pasubio  oppure il Di Giorgio che sempre sull’altopiano di Asiago sia pure nel recente disastro dell’Ortigara aveva comandato un raggruppamento alpino, con particolare brillantezza, insomma occorreva un generale che fosse espressione della non appartenenza a quel famoso paradigma di cui fin dai tempi della prima costituzione del nostro esercito  era affidata la scelta dei Generali comandanti di grandi unita’ o di ruoli di Stato Maggiore. Ma cadorna subito dopo la XI battaglia dell'Isonzo dell'agosto 1917 che aveva portato ad un soffio dal far crollare tutto lo schieramento austriaco sull'Isonzo grazie ad un Generale che si era aggiunto alla lista  dei  Salsa-Cantore-Graziani-Giordana-Di Giorgio, ovvero Enrico Caviglia il quale  appena assunto il comando di un Corpo d'armata  aveva conquistato la Bainsizza impadronandosi di importantissimi bastioni quali il Kobilek e lo Jelenik: certo un Caviglia sarebbe stato l'ideale a Carzano, ma il generale Cadorna con un  seco e perentorio "non posso fabbricare i generali per lei" decisosi finalmente a dare via al piano aveva nominato comandante della Divisione che avrebbe dovuto seguire la prima infiltrazione di avanguardie lungo la breccia di Carzano un maggior Generale di fresca nomina, certo Zincone assolutamente non avvezzo all'ardimento e alle decisioni tempestive, che si diceva fosse addirittura in attesa del battesinio del fuoco, insomma uno del paradigma oramai ben noto,   il tutto aggravato dal fatto che il generale che era al comando di tutto il settore un po' l'equivalente di quello che era stata la 6^ Armata,  era un Generale famoso per la sua prudenza e assoluta fedelta' sempra al paradigma:  il pacioso Donato Etna, figlio illeggittimo di Re Vittorio Emanuele II. Disperato il povero Pettorelli Lalatta che era stato promosso Tenente Colonnello e che aveva insistito per comandare il prumo nucleo di infiltrazione si dispose all'azione nella notte del 18 settembre con uno speranzoso "che dio ce la mandi buona"  Decisanente dio non la mando' buona, il Gen. Zinconde che in ossequio alla sua inesperienza e relativa esagerata prudenza  aveva disposto che  che le truppe destinate all'incursione  fossero 
dotate di un equipaggiamento pesante (coperta, telo, tenda, razioni, viveri per più giorni, armamento pesante)  quando invece avrebbero dovuto essere equipaggiate con un armamento il piu' possibile leggero, proprio per azioni improntate alla massima velocita' e destrezz, perdipiu'  inspiegabilmente furono incanalate attraverso un camminamento largo 80 centimetri anziché sulla strada larga 4 metri, sempre per questioni di prudenza del Generale, pertanto le operazioni subirono un forte rallentamento e solo dei bersaglieri del 72º Battaglione, inviati per primi oltre il confine, raggiunsero il paese. Pettorelli Lalatta, che si
CARZANO : PVIKO E PETTORELLI LALATTA 

trovava già a Carzano, accortosi del disguido, percorse il tragitto a ritroso e, soltanto a Spera, trovò un buon contingente di soldati, fermi, sdraiati a terra. 
Nel frattempo, con il trascorrere delle ore e ai primi colpi esplosi dall'artiglieria avversaria, il generale Zincone terrorizzato  fece impartire l'ordine di ritirata, annullando con il permesso di Etna l'intera operazione. Ordine che pero' non pervenne al nucleo dei bersaglieri che oramai si erano incuneati nello schieramento nemico  che però non pervenne al 72º Bersaglieri che rimase pertanto  intrappolato. Fallì così miseramente per la criminale insipienza dei nostri cimandi  il piano meticolosamente studiato da Pivko e Lalatta. 

CONTI CON MARX (E NON SOLO)

  Diciamo che ho tratto occasione  della lettura di Costanzo Preve che come ho piu’ volte detto e’ un filosofo che trovo particolarmente sti...