Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero eccezionali, tipo Al di la’ del principio del piacere di Freud, l’io e l’inconscio di Jung, Fuga dalla liberta’ di Fromm, Rivolta contro il mondo moderno di Evola, il Tramonto dell’Occidente di Spengler, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Jaynes, Terra e mare di Schmitt. In tal senso come sto messo con Aleksander Dugin ? Be’ piu’ o meno come De Benoist, Preve, Badiou: un po’ a mezza strada!...diciamo una cinquantina di volte e magari per stralci; così in questi ultimi giorni del dicembre del 2024 dopo le esaltanti notizie della vittoria di Trump in Usa e le preoccupazioni per la forzata e anche inaudita interruzione delle elezioni in Romania per non far vincere il candidato sgradito al sistema dominante, Calin Georgescu mi sono ritrovato a rileggere il breve ma informante saggio di Dugin “Contro il Grande Reset” del 2022 con la illuminante introduzione di Francesco Borgonuovo, uno dei principali oppositori di casa nostra a tutta la farsa del Coronavirus e altre facezie e malefatte del sistema dei bottegai. Scrive quindi Dugin “Il grande Reset inizia con la vittoria di Biden.” Io magari dico “no! si ratifica con il rimbambito, ma non comincia con lui, tutto aveva avuto inizio qualche mese prima, con la farsa di un virus inventato e con l’aver fatto passare una banale influenza per una micidiale pestilenza, manipolando tutti i dati statistici e correlandoli ad una mortalita’ del tutto ordinaria, spacciata come dovuta al virus, ma in realta’ non suffragata da alcun dato referenziale di spazio/tempo e di diffusione - “i leader mondiali, i capi delle grandi corporazioni – Big Tech, Big Data, Big Pharma, Big Finance, etc. si sono riuniti e mobilitati per sconfiggere i loro avversari, in primis proprio Trump, che, come aveva riconosciuto espressamente il capo del Forum di Davos Klaus Schwab il massimo teorico appunto del “Great Reset”, era in quanto Presidente degli USA il massimo ostacolo alla realizzazione del piano di distruzione dell’umanita’ e questo perche’, sempre per sua ammissione “non e’ possibile alcun Great Reset senza gli Stati Uniti”. Diciamo quindi che l’estromissione di Trump e l’ascesa di Biden, non importa quanto mentalmente ritardato e palesemente inadeguato, permette ai globalismi di riprendere il cammino da dove Trump e altri poli del multipolarismo l’avevano interrotto. E’ proprio in questo momento, osserva Dugin, che la censura, la manipolazione di tutti i social media, le segregazioni in casa, i passaporti sanitari, i cosidetti green pass introdotti in Italia, (la nazione che piu’ di tutte si era andata distinguendosi in misure repressive) grazie all’atmosfera da caccia alle streghe diffusa a bella posta, che il Grande Reset prevede di alterare drammaticamente tutte le strutture di controllo delle elites globaliste sulla popolazione mondiale, e quindi Dugin non manca di rimarcare ( o meglio non mancava perche’ lo scritto e’ del 2022) che il Grande Reset in geopolitica si tradurra’ in una combinazione di “promozione della ipocrita democrazia” e strategia aggressiva neoliberista di dominazione su larga scala, tramite appunto un Presidente degli USA totalmente demente che non sa neppure dove e come si trova, che portera’ al rafforzamento della Nato e all’ingerenza degli USA in tutto il mondo, e quindi allo scoppio di sempre nuove guerre (quella con l’Ucraina era gia ‘ scoppiata appunto nel 2022). Dugin riconosce insomma che la vittoria di Biden non fu un episodio casuale , ma ha segnato appunto l’annuncio di un contrattacco globalista che ha i suoi prodromi nel passaggio dal medioevo al cosidetto umanesimo e poi anche rinascimento, che segno’ la fine della mentalita’ corale e di somma di esperienze quali si espressero nello stile artistico del gotico con le sue cattedrali e che raggiunse la sua maturita’ con la cosidetta Rivoluzione Industriale ( fenomeno eminentemente anglosassone) e l’inaugurarsi dell’era della macchina come sostituto referenziale della stessa essenza umana. Facile riconoscere il modello e l’antesignano del filosofo russo nell’Italiano Julius Evola (1898-1974) che in tutta la sua opera e in ispecie nello straordinario saggio “Rivolta contro il mondo moderno“ del 1934, ha sottolineato con acume e profondita’ questo capitale passaggio. Se quindi avevamo molto da preoccuparci all’epoca della pubblicazione del saggio di Dugin (2022) in quanto prima, il successo della farsa pandemica del covid (cui anche il sottoscritto non ha mancato di ipotizzare che avesse proprio tra i suoi fini principali quello di spodestare Trump dalla Presidenza degli USA, favorendo con la scusa del contagio di promuovere un inusitato ricorso della votazione per corrispondenza infinitamente piu’ manipolabile e falsificabile di quella ordinaria) e poi la vittoria di Biden , stavano chiaramente a indicare che il principale vettore della civilta’ europea in direzione del progresso interpretato pero’ in un ottica liberalista di predominio capitalista e quindi erede dello spirito bottegaio anglosassone, avevano oramai partita vinta. Prima di saltare a pie’ pari questi ultimi due anni e valutare quello che e’ invece accaduto negli USA nel novembre 2024 spendiamo ancora un paio di paroline per affrontare il tema della seconda parte del saggio di Dugin : difatti ecco che la pag.51 cita il titolo del capitolo IV con uno slogan che rappresenta il diretto opposto del precedente : non un “grande reset”, ma un “Grande Risveglio” Questo slogan e’ stato coniato dagli antiglobalisti americani, ben rappresentati dal conduttore Alex Jones del canale Infowars e soprattutto dagli attivisti di QAnon, il Gruppo fondato da Steve Bannon che ha rappresentato il centro di attrazione degli oppositori al micidiale pericolo delle elites globaliste, e di tutti coloro che hanno resistito alle malefatte della cattivita’ Bideniana a tutt’oggi non ancora conclusa (dic.2024) e che, come una serpe velenosa cui non e’ ancora stata schiacciata la testa, continua a spargere il suo veleno (vedi i fatti in Romania sulla ignominiosa sospensione forzata delle elezioni a discapito del candidato anti globali sta Caline Georgescu, in quanto avviato ad una trionfale affermazione). Il Grande Risveglio, afferma Dugin “e’ la risposta spontanea delle masse umane al grande reset…le elite liberali controllano a tutt’oggi tutti i principali processi di civilizzazione , controllano le finanze del mondo e possono fare qualsiasi cosa con esse, dall’emissione illimitata a qualsivoglia manipolazione degli strumenti e delle strutture finanziarie ; nelle loro mani c’è l’intera macchina militare statunitense e della NATO, praticamente tutti i giganti dell’alta tecnologia sono subordinati ai liberisti, computer iPhone, telefoni cellulari e reti sociali sono strettamente controllati dai membri del club globalista, tecnologia, centri scientifici, formazione e informazione, cultura, Media, medicina, sanita’, tutto e’ nelle loro mani, eppure ecco che Dugin ci parla di UN GRANDE RISVEGLIO, un qualcosa cui fare appello da parte di tutte quelle nazioni che non hanno rinunciato del tutto ad avere e coltivare un cervello pensante, una umanita’ che ha capito la farsa di una inventata pandemia e ha cominciato a soppesare i danni che questa ha provocato nella struttura sociale. Ecco pero’ che a due anni dalle speranze scritte di questo ultimo grande pensatore che abbiamo un primo concreto riscontro proprio negli Stati Uniti : il ritorno di Trump con la sua strepitosa vittoria alle elezioni USAdel 5 novembre 2024 contro le elite globaliste e tutto il loro progetto di transumanesimo sempre piu’ infimamente rappresentate da Kamala Harris la vice del presidente rimbambito -- certo assistiamo a quegli squallidi colpi di coda da bestia ferita tipo il citato esempio della truffaldina sospensione delle elezioni in Romania o la grazia concessa al figlio dal rimbambito, l'autorizzazione ai missili a lunga gittata da usarsi nella guerra in Ucraina, tutte manovracce successive all' essere sconferrato dal popolo, ma per una assurda clausola (non l'unica della legislazione USA) mantenuto al potere fino al 20 gennaio successivo. Ritorno che lascia ben sperare che questo famoso Grande Risveglio sara' prassi effettiva a cominciare dal 20 gennaio 2025 . ammettiamolo il mondo non e' mai stato tanto interessante come ora, anche perche' sussiste la possibilita' di interrompere il gran crimine dell'umanita' perpetrato dai bottegai a cominciare dal 1347 e svolto attraverso tutta una serie di iniquita' : la inghilterra della regina elisabetta nel XVI secolo e la compromissione con l'interesse economico, le sette tipo la massoneria, la Rivoluzione industriale, le rivoluzioni continentali, le guerre, il potere crescente del denaro e della meccanizzazione del mondo, il globalismo, lo sconsiderato progressimo, lo scientismo, il Liberalismo, la cosidetta Societa' Aperta di Popper/Soros. Come sara' il mondo a venire ancora non possiamo dirlo, ma di certo la sua modalita' di realizzo nel rispetto dell'umanita', della tradizione, del valore e della ragione non potra'mai essere un qualcosa di semplice che sconfina nel semplicistico tipo l'astratto futuro cui fanno riferimento liberalisti, progressisti e scientisti, ma sempre qualcosa di composto, di complesso come i numeri che dovranno informare un futuro anteriore, quel "sara' stato" che informa il nostro presente in una tradizione che si realizza in un av-venire
LENARDULLIER
L'associazione tra il titolo del blog LENARDULLIER con l'architetto LECORBUSIER tende ad un parallelismo con l'Archè = Principio, che deve misurarsi con la modernità = Technè, quindi un "futuro anteriore" applicabile a diversi specifici di conoscenza
venerdì 20 dicembre 2024
sabato 7 dicembre 2024
C'ERANO UNA VOLTA GLI ALPINI
Ecco lo vedete questo alpino che ebbi modo di conoscere personalmente nel 1963 ad un raduno degli alpini a Milano : credo sia l’unica persona al mondo che si sia visto dedicare un monumento da vivo, e che monumento : quello di un massiccio alpino, lui appunto, che solleva un enorme masso per lanciarlo contro i nemici che in un furioso combattimento stavano oramai conquistando un ridottino denominato “Ridotta Lombardia” in Cirenaica, precisamente presso Derna nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 1912 - azione, dettata dal fatto che i difensori del ridottino erano rimasti senza munizioni e stavano oramai soccombendo, quando quell’alpino che era in quell’ottobre di tanti anni dopo, li’ avanti a me in totale ammirazionecon un bel bicchiere di vino, a raccontare ancora una volta quel suo impulsivo gesto di utilizzare i grandi massi come estrema difesa contro gli assalitori, gesto che fu presto imitato dagli altri commilitoni del btg, Edolo del 5° alpini, e che porto’ al respingere il nemico e salvare così la posizione. La medaglia d’argento col suo un po’ stinto nastrino azzurro spiccava sul bavero della giacca del vecchio signore che aveva una lunghissima barba a due punte facendolo somigliare ad un personaggio preso da qualche antica favola, e per la verita’ mi venne da pensare che quella sola medaglia d’argento era ben poca cosa per uno che aveva segnato una così eroica reazione, addirittura inscritta nella pietra di un monumento; altro che la stampella di Enrico Toti che nessuno, a pensarci bene, avrebbe mai potuto notare nella enorme confusione di un attacco sul Carso (ho anzi letto da qualche parte a proposito del gen.Cigliana, comandante dell’XI Corpo d’armata, unita’ che assieme al VI Corpo di Capello in quell’agosto del 1916 stava avanzando nell’ambito dell’offensiva verso Gorizia, che mentre stava esaminando l’entita’ dei caduti verso la zona di quota 85 sopra Monfalcone, un ufficiale gli fece “e qui pare sia anche morto, sa quel bersagliere senza una gamba, di cui molti anche la stampa hanno parlato, certo Enrico Toti, non un militare effettivo, ma una specie di mascotte, andava all’assalto assieme alle truppe combattenti con la stampella ….” “come come ? “pare ribadisse il Generale “e me lo dice così? - quella stampella… diamine facciamo lanciaglierla in faccia al nemico” ”Ma signor generale” osservo’ il subalterno “ chi vuole che possa aver fatto caso nel corso di un assalto di migliaia di uomini, con gli shrapnels, le pallottole, i gas, alla stampella di un singolo, tra l’altro neppure un militare di linea?” “Ci abbiamo fatto caso noi! “ Sentenzio’ imperioso il Generale “mi trovi il comandante del reparto dove questo Toti si appoggiava e gli faccia preparare la motivazione di una medaglia d’oro al valor militare sul campo”) - come Enrico Toti probabilmente anche tante altre medaglie d’oro con motivazioni quanto mai stiracchiate e spesso e volentieri anche inventate, magari ecco in relazione al grado e all’importanza del personaggio in questione. Ricordavo che anni prima quando ero alle elementari la maestra Mari-nelli ci porto’ ad una conferenza di un grande mutilato di guerra Carlo Delcroix cieco e senza mani, e rimasi stranito che anche lui avesse solo la medaglia d’argento, mentre mi pareva che altri che l’avevano avuta d’oro non avessero poi questi grandi meriti in piu’; anche Menini il cte del battaglione alpini d’africa fu decorato solo di medaglia d’argento mentre un suo sottoposto e non altrettanto conosciuto come nome, anzi quasi del tutto sconosciuto ai piu’, il capitano Pietro Cella, la ebbe d’oro. Diciamo che puo' esserci una sorta di fortuna anche nella concessione delle medaglie, a volta in crescendo , ma a volte anche a decrescere di valore Questa pero’ dell’alpino Antonio Valsecchi da Civate (Como) cl.1888divenuto poi Sergente era forse la piu’eclatante; c’era li’ in piena Milano il monumento in bronzo che lo rappresentava scolpito dallo scultore Emilio Bisi nel 1914, e ristrutturato nel 1948, di cui negli anni successivi ne avrebbero eretto altre copie a Merano (1938) a Edolo (1954), quindi un qualcosa di estremamente concreto quasi un aggiornamento dell’oraziano “Exsegi monumentum aere perennius,,,,” perche’ qui oltre al bronzo del monumento c’era il personaggio vivente che parlava e scherzava, e poteva infiammare noi che gli eravamo dappresso e in ispecie un ragazzetto come me, innamorato della storia militare, di quella degli alpini in particolare per una questione di familiarita’ stante l’appartenenza a tale Corpo del proprio nonno e omonimo Mario Nardulli cl. 1888, come Valsecchi ma che non era vissuto cosi’ a lungo. Per quel che ne ho saputo Antonio Valsecchi mori’ due anni dopo quell’incontro nel 1965 a settantasette anni, ma di certo nessuno piu’ di lui ha incarnato l’eroismo così come me lo ero costruito io nella mia familiarita’ con la figura di mio nonno, anche lui alpino, anche lui con quella medaglia d’argento che non esauriva e forse neppure testimoniava adeguatamente tutto il vissuto di un eroismo che magari poteva anche rifarsi alla teoria di Junger sull'idealismo eroico ed anche alle concezioni in tal senso di Evola. Il punto e’ che in quell’ottobre del 1963 tutto in me aveva come una interazione, che saltellava a mo’ di diavoletto di Maxwell tra il monumento e il personaggio, una sorta di applicazione di “vis viva” leibneziana nel calcolo infinitesimale, per la misurazione non di uno stato, ma di un flusso, in cui si muovevano limiti, derivate e integrali, frammentandosi in tanti cammini che erano tutte possibilita’ di realizzare la probabilita’ piu’ opportuna. Discorso molto complesso e presa di posizione su di una certa direzione, suscettibile pero’ di grande cambiamento, un cambiamento indotto da fatti esterni, dall'evoluzione ovviamente in peggio della situazione sociale (quindi una involuzione, una decadenza) venuta in luce quasi improvvisamente, quasi sessant’anni dopo (2020) quando i metri di giudizio a causa di una diversa
Junger e Evola |
uomo che correva sulla spiaggia a fronte mare per sfuggire alle infami persecuzioni del potere e dei suoi servi e volenterosi carnefici. Eroismo e liberta’, senza neppure quella modesta attestazione di riconoscimento, ma un atto degno, anzi superiore a tutte le Medaglie d’oro,Victorie cross, Legion d’Onore, Pour le meriteproprio come il monumento di Valsecchi, che nella fattispecie si fadinamico e assume l'aspetto dei passi di corsa
del fuggitivo che merita un elogio con il titolo del libro di un famoso saggio di Henry Laborit "Elogio della fuga" che puo ' divenire la piu' alta forma di eroismo, non un idealismo eroico, ma un vero e proprio òpragmatismo eroico
lunedì 2 dicembre 2024
ESTETICA E CLERICALESIMO
La Democrazia Cristiana per quasi mezzo secolo ha dato una impronta baciapile e bacchettona alla politica italiana e stante quel che e’ seguito dopo, non si puo ‘ certo dire che tale fatto costituisca un’onta per il nostro Paese, anzi….persino persone come me, da sempre atea e contrarissima ad ogni religione e persino ad ogni fideismo, ha rappresentato una sorta di onta che si riveste di paradosso. Ma come? abbiamo passato una vita a dir male dei preti, della DC, salvo poi a fare un po’ come don Camillo e Peppone di Guareschi: un alterco pacioccone, quasi giullaresco con sul finale un po’ l’addio alla stazione successiva, abilmente orchestrato da Don Camillo, ma senza il contro paradosso di improvvisarsi facchino . C’eravamo tanto “amati/odiati “ chissa’ ? …. ma a conti fatti e a posteriori i vari Prodi, Ciampi, Napolitano, eh si! anche Berlusconi per non parlare di quelli ancora dopo, Monti Bersani, Renzi e proprio al fondo del barile i politici della farsa pandemica, Conte, Draghi, Speranza, Di Maio, Brunetta, Renzulli e vari cavalier serventi gratificati del titolo di esperti : Bassetti, Burioni, Crisanti, Silieri, piu’ la stragrande maggioranza dei giornalisti e della gente dello spettacolo (davvero un patetico aggiornamento dei volenterosi carnefici di ….) hanno finito per farci rimpiangere i vari “a Fra che te serve?” e le infelici tirate clericali, facendo assurgere il famosissimo detto Montanelliano “Turatevi il naso ma votate DC!” ad un vero e proprio Imperativo categorico di stampo kantiano. Non si puo’ difatti dire “eh certo se non ci fossero state tutte queste clericalate, chi sa che cosa avremmo potuto avere? , perche ci sono belli pronti questi citati personaggi che ti danno subito la risposta super dettagliata : “peggio, mille volte peggio!”. Un qualcosa di simile sempre a riguardo della perniciosa influenza della Religione nel mondo, ho osservato riguardo al fattore estetico proprio della rappresentazione artistica. Non solo il Medioevo, piu’ o meno buio, ma anche rivisitato con i vari Guenon, Evola, Le Goff, e persino Fulcanelli, Cattedrali e stile Romanico e poi Gotico, Dante e Federico II, la renovatio Imperi, ma anche il fior fiore del Rinascimento, con l’Umanesimo ed anche il Barocco e tutto lo stuolo dei sommi maestriche caratterizzarono piu’ di tre secoli , Brunelleschi, Alberti, Bramante, Leonardo, Michelangelo, Piero della Francesca, Bernini, Borromini solo per citarne qualcuno . Come sarebbe stata quella incredibile fioritura artistica se non fosse stata condizionata dal fattore religioso, col suo corredo di Madonne, Cristi in croce, martirii di santi e quant’altro? Immaginiamoci un Raffaello, un Michelangelo,un Bernini, alle prese con fatti di cronaca, eventi realiprefi ati a blandi rituali, che solo ingegni e talenti straordinari impedirono di divenire terribilmente noiosi . Solo nel XVIII secolo la artisticita’ diffusa in pittura, scultura ed anche architettura comincio’ ad abbandonare i temi clericali, ma purtroppo questo passaggio non si espresse in forme di pura liberta’ espressiva, ma anche questo nacque condizionato da un tema che di fatto sostitui’ le tematiche religiose, l’asservimento al tema parimenti deificato, della “macchina” quale si era venuta a delineare con la cosidetta Rivoluzione Industriale , ovvero il prevalere di uno spirito e di una prassi fondati sul fattore economico, sul commercio, sul denaro, una modalita’ di approccio al mondo inaugurata dai mercanti gia’ del XIV secolo che difatti cominciarono a fare piazza pulita della poco economica mentalita’ medioevale e del troppo lento stile di rappresentazione, per operare nei secoli successivi una vera e propria strategia fondata sull’economia della quale si fece principale interprete lo spirito anglosassone, sia a livello nazionale (la Gran Bretagna della Regina Elisabetta del XVI secolo ), sia a livello di una organizzazione per sette (la Massoneria dei primi decenni del XVIII secolo). Importante sottolineare come detta preferenziazione procedurale che investi’ tutto il modo di fare dello spirito anglosassone in tali due accezioni , trovo’ anche un elemento specifico di applicazione e di realizzazione nel mare , ovvero un mondo fluido, senza confini, aperto alle piu’ ardite delle scorribande, che si fece subito alternativo a quel mondo di terra benstretto tra confini della sua territorialita’ e
giurisdizione . “ Terra e Mare ” titola un suo saggio del 1942 il grande filosofo e geo politico Carl Schmitt e ne individua il vero contendere delle potenze del mondo nell’appartenenza ad una di queste due specifiche, quella terricola fondata sulla territorialita’ appunto, su solidi confini, sull’appartenenza e quindi anche sulla tradizione, quella talassica invece, senza confini, quale si addice all’elemento fluido per eccellenza delle distese marine, dove tutto e’ sempre di nuovo in gioco e non v’è alcun limite all’espansione equiparata al nuovo dio denaro, mobile anche esso e in continuo movimento che prende il posto dell’antico dio e ne soppianta anche l’immagine .
venerdì 29 novembre 2024
UMANESIMO E RINASCIMENTO LA PESTE NERA DEL MONDO
La storia che la stragrande maggioranza di libri, soprattutto quelli di scuola e anche di universita' ci hanno propinato sono un lungo e anche profondo inganno, o meglio una grande farsa con tanto di copione di messa in scena: magari ecco non proprio da sempre, ma perlomeno dal 1348 con l'occasione della prima grande pandemia dell'occidente, e' da allora che si e' andati avanti con tale farsa che ha forse avuto, ecco nei tempi odierni, in questo secondo ventennio del terzo millennio la sua manifestazione piu' eclatante e piu' preoccupante. Le revisioni della nostra storia si rendono quindi assolutamente necessarie se vogliamo uscire dall'attuale dittatura ideologica fondata sulla menzogna e anche su tutti quegli pseudo punti di vista che fino ad ieri prevalenti possono ed anzi debbono presentare un carattere decisamente iconoclastico. E' di grande aiuto tornare al pensiero di uno studioso realmente libero e originale quale solo un pensatore di "destra" puo' essere, come Julius Evola che affronta proprio il concetto di evoluzione secondo il suo reale andamento che e' stato di involuzione e decadimento. Giustappunto una delle prime revisione affrontate da Evola fu quella del cosiddetto Rinascimento: questo periodo difatti viene correntemente considerato come una delle massime glorie della storia universale ed in particolare italiana; forse non è stato il Rinascimento, più che una antichità troppo remota, a conferire all’Italia la dignità di madre delle lettere e delle arti? Certo: ma altrettanto vero è che non per ultimo alla “tradizione” del Rinascimento si deve il fatto, che l’Italia fino ad ieri valse sì come un meraviglioso paese delle lettere, dei musei e dei monumenti, però abitato da un popolo, che dal punto di vista etico e politico non godeva proprio della miglior fama. In ogni civiltà “normale” il centro non può cadere nelle lettere e nelle arti: esso cade invece nei valori ascetici ed eroici, in una salda severa formazione della vita aliena da “espressionismi”, nella quale i principii superindividuali, le opere e le azioni stanno al disopra della “genialità” e della soggettività del singolo. Non è detto che in sensibilizzazione intuitiva ai principii generali – in sé stessi superiori al mondo delle arti e della “creatività” – che stanno al centro di una determinata civiltà. Ora, proprio l’opposto si è verificato nella civiltà del Rinascimento. In essa si è avuta una vera e propria orgia della soggettività “mediterranea” liberata da ogni vincolo, un pullulare tropicale di “creazioni” di ogni genere prive, in fondo, di ogni nesso unitario, non obbedienti ad un significato superiore, staccate da ogni forza formatrice politica o spirituale unitaria. Perciò, malgrado il suo splendore esteriore, la civiltà umanistica della Rinascenza rappresenta, da un punto di vista superiore, una caduta di livello, lo spezzarsi delle fila di una più seria e più profonda tradizione. Essa fu la controparte culturale e artistica di un individualismo disordinato, che si espresse politicamente nello stile delle Signorie e nelle eterne liti delle città italiane e dei loro condottieri. Essa contenne i germi, che dovevano dare a conoscere la loro vera natura nell’ illuminismo, nel razionalismo, nel naturalismo e in altri fenomeni della decadenza moderna. Infatti non è un caso che il Rinascimento goda di una predilezione non solo in ambienti letterari “neutri”, ma anche in ambienti massonici. Ancor parlando della famigerata Società delle Nazioni, in un congresso massonico internazionale, nel 1917, a Parigi, si celebrò “la rivolta, di cui l’umanismo della Rinascenza e la filosofia della grande rivoluzione francese sono le fasi salienti, più note e più prossime, e di cui lo spirito massonico esprime la stessa anima”. Il miraggio delle meravigliose creazioni del Rinascimento non deve in realtà far dimenticare il significato profondo relativo al fatto che la sua contemporaneità appunto con l’umanismo, col naturalismo e con la stessa Riforma, né deve far perder di vista la precisa funzione polemica e dialettica che tutti questi fenomeni, nel loro insieme e nella loro sinergia, ebbero di fronte alla precedente civiltà medievale. Chi non conosce la retorica della “affermazione della vita”, della “riscoperta della sacralità del corpo e della bellezza”, del superamento del “despotismo teologale e politico” e di tante altre espressioni di colorito fra l’immanentismo e il massonico che sono state applicate alla civiltà e al pensiero della Rinascenza? E lo stesso termine “Rinascenza” non svela già di per sé stesso l’istanza polemica, rivoluzionaria e antitradizionale ora accennata? Si rinasce da una morte o da un sogno: e ciò sarebbe stato il Medioevo imperiale, ghibellino, feudale e dantesco; il Medioevo, che noi possiamo senz’altro chiamare ario e romano-germanico e che come tale, per noi, fu esso la vera Rinascenza. Là dove forze prima contenute rigidamente in una unità per via di una tensione superiore passano di nuovo allo stato libero, si può aver la sensazione ingannevole di una maggiore vitalità, di un dinamismo, di un risveglio. invece non si tratta che di dissoluzione e di dispersione centrifuga. Questo è il vero senso del Rinascimento. Non è che in esso si manifestasse una vita nuova e giovane: al contrario. Tutte le sue creazioni non si spiegano che sulla base della lesione della tensione metafisica e politica del precedente mondo imperiale feudale medievale: esse rientrano nella via di colui che – per usare l’espressione di Guénon – si e distaccato dai cieli con la scusa di conquistare la terra e, possiamo aggiungere noi, di scoprire l’“uomo”. A chi abbia un senso della “terza dimensione della storia” su tale base si rendono comprensibili altri fenomeni connessi all’epoca del Rinascimento; come per esempio l’intero ciclo delle “scoperte” e lo slancio dell’Europa verso le avventure e le conquiste transoceaniche. Quel potenziale, che prima si concentrava sulla direzione verticale, che trovava cioè il suo oggetto adeguato in valori trascendenti, nel punto in cui perdette contatto con tale punto di riferimento, si scaricò, per dir così, sulla direzione orizzontale, cioè nel dominio umanistico, fisico, naturalistico, particolaristico: da qui uno slancio senza precedenti, da qui l’orgia delle arti, delle lettere, del “pensiero”, della “libera soggettività”; da qui la espansione illimitata verso mari e terre sconosciute: ma, soprattutto, come conseguenza, da qui una fondamentale irrequietezza ed instabilità, una insoddisfazione che nulla varrà più a placare, quell’impulso, che Spengler dirà “faustiano” e che, a parte tutti gli orpelli intellettualistici, tradisce solo un male simile a quello del morso della tarantola. Non si può infatti placare con oggetti di questa terra un impulso cui poteva esser solo adeguata una realtà trascendente e l’approssimazione temporale ad essa, cioè l’Impero. Nel punto in cui l”uomo occidentale tradì la sua più alta vocazione, si è creato in sé stesso, nell’inquietezza e nell’insoddisfazione già indicata, la pena per questo tradimento.Da un altro punto di vista, col Rinascimento va a prender definitivamente il sopravvento una componente “mediterranea”, individualistica, insofferente di ogni superiore principio di ordine, che già nel Medioevo era stata un focolare perpetuo di anarchia e di divisione, resistendo ad oltranza alla renovatio romani imperii, al tentativo romano-germanico di formare l’Occidente cristiano secondo una superiore concezione. Là dove nella civiltà dell`alto ghibellinismo, nell’etica feudale dell’onore e della fedeltà, nell’ideale umano dei grandi ordini Cavallereschi, nel simbolo ascetico-guerriero del crociato e così via tornarono ad imperare, in Occidente, vene della razza “solare” dell’uomo ario, ario-romano e nordico-ario, nella civiltà del Rinascimento venne invece al primo piano la razza obliqua dell’uomo “bottegaio" Chi non ricorda la ballata di Lorenzo de Medici che sottolinea la caducità dell’esistenza e conclude con le parole: «chi vuol esser lieto, sia – di doman non v`è certezza»? Questa è la controparte pratica della “grande parata” dei creatori di quel periodo: è l’antitesi di quel senso dell’eterno e di quella volontà dell’eterno, che caratterizzò l’alto Medioevo. Qui deve anche esser chiarito l’equivoco di coloro che pensano davvero che la Rinascenza sia stata una ripresa dell’antichità classica e “pagana”: ciò che fu ripreso, effettivamente, furono solo gli aspetti negativi, già decadenti e “afroditici”, esterioristici e razzialmente sospetti della civiltà antica, non quelli originari, eroici, sacrali, tradizionali. Non Sparta e non il simbolo dorico, ma Atene e Corinto. Non la Roma sacrale e catoniana, ma la Roma ellenizzata e soprattutto il crepuscolo dell’antichità: il mondo ellenistico-alessandrino. In più, nella Rinascenza mancavano i presupposti per poter cogliere e discriminare quel che di valido, malgrado tutto, poteva sussistere perfino in questa parte del mondo antico Oltre che di un uomo “afroditico”, abbiamo parlato di un uomo prometeico. Ad esso si riferisce propriamente l’umanesimo della Rinascenza. Contro quel si è or ora detto, qualcuno, a testimoniare la ripresa di elementi spirituali e perfino iniziatici del mondo antico da parte della Rinascenza, potrà citare nomi, come quelli di Bruno, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola. La funzionalità di simili elementi nella Rinascenza, peraltro, si connette proprio a quanto di più oscuro ha agito in una tale epoca. Noi abbiamo infatti un vero e proprio processo di inversione consistente nel materializzare lo spirituale per divinificare la materia, Dio divenendo l’uomo e l’uomo divenendo Dio. Questo, in fondo, è il senso ultimo dell’Umanesimo. Questo è l’oscuro mistero che fu celebrato in sette e in gruppi occulti, i quali dovevano continuarsi proprio nella massoneria e qui tradurre senz’altro in termini di una azione sovvertitrice politica metodica e cosciente la “tradizione” da essi ricevuta. Si ricordi che la stella sia dei Massoni che dei Soviet, simbolo dell’uomo bottegaio e anche collettivizzato e materializzato onnipotente e senza Dio, è un simbolo magico che proprio nei gruppi iniziaticidei quali non pochi esponenti della Rinascenza subirono direttamente o indirettamente l’influsso, è un segno, tra i tanti, della inversione propria all’“umanismo”, culto terrestre dell’uomo divinificato. Bisogna rendersi dunque conto che la sovversione combattuta oggi nelle sue forme estreme dalle nostre rivoluzioni restauratrici, ha avuto origine nella Rinascenza, secondo le intime connessioni di essa con l’umanesimo, la riforma e il naturalismo. Non siamo partiti dal punto di vista artistico, quindi il valore che nel dominio tecnico delle arti hanno la creazione della Rinascenza resta del tutto impregiudicato. A chi esplora la “terza dimensione” della storia, ciò non impedisce tuttavia di riconoscere, che lo splendore apparente, l’opulenza e la genialità di simili creazioni sono valse, un po’, come le cortine di fumo che in una guerra moderna talvolta si usano per coprire una avanzata. E l’avanzata è stata di forze, nelle quali chi oggi si sente compenetrato da una nuova serietà, da una nuova volontà di formazione ario-romana tradizionale e virile del carattere e della vita, difficilmente saprebbe riconoscersi.
giovedì 28 novembre 2024
LA DISTORSIONE FONDAMENTALE
La grande distinzione nella percezione di un evento, qualsiasi evento buono o brutto che sia, ma soprattutto brutto, e’ la tendenza dell’individuo e spesso e volentieri di un gruppo, di una comunita’, financo di un intero Paese e come abbiamo visto in tempi recenti (2020) di una quasi totalita’ del mondo conosciuto, ad attribuire la causa di tale evento al proprio comportamento, cioe’ all’interno di se’ o piuttosto alle condizioni del fuori da se’, ambientali, sociali, insomma esterne. In psicologia si parla di luogo del controllo e fu sancito verso la meta’ degli anni cinquanta da uno psicologo comportamentale statunitense Julian Rotter che sviluppo’ la “teoria dell’apprendimento sociale” giustappunto imperniata su questo luogo di controllo interno/esterno denominandolo “Locus of control. In verita’ in filosofia si e’ sempre argomentato su questa sorta di alternativa tra interno ed esterno , un po’ la res cogitans e la res ex-tensa di Cartesio, o anche il diverso approccio al calcolo infinitesimale di Leibniz (la vis viva come dentro di se’) e la modalita’ tutta esteriore dal mondo delle cose di Newton, Kant con le sue distinzioni tra cosa in se’ noumeno e fenomeno. Ovviamente questo distinguo e’ vivissimo nel caso della malattia che e’ con tutta probabilita’ l’evento che maggiormente incide sulla vita delle persone in quanto pregiudicativo della salute e quindi del benessere della persone e di conseguenza; una inusitata diffusione della malattia, una epidemia o pandemia, come che la si voglia chiamare, e’ giocoforza la quintessenza del diverso modo di approcciare questo “locus of control” . Dicevo che lo abbiamo toccato con mano in questi ultimi anni con quanto accaduto al mondo intorno al 2020 e protrattosi acutamente per due anni, per declinare progressivamente, ma con ancora degli strascichi in questo preciso momento in cui si scrivono queste note (novembre 2024). Hanno dato un nome diverso, a chi si rapportava riguardo alla epidemia: non piu’ di “diretto dall’interno” o “diretto dall’esterno” come Leibniz o Newton, o come un qualsiasi esempio di test di psicologia, usando terminologie spesso e volentieri sprezzanti che richiamavano esempi di precedenti e similari conflittualita’ sanitarie, anche molto indietro negli anni, tipo “untori” “monatti”, rispolverando diverse “colonne infami” e quant’altro, divenuti “negazionisti” “complottisti” “no vax”, per coloro che non riconoscevano la causa esterna al proliferare del presunto virus e meno che mai ne riconoscevano la cura nei cosidetti “vaccini”. Piu’ che mai questi ultimi 4 anni hanno dunque provocato una netta distinzione in merito a questo “Locul of control” lasciando pero’ trasparire precise indicazioni di merito e di giudizio: dalla parte della res Extensa cioe’ dal “diretto di fuori” la gran massa delle popolazioni di tutto il mondo irretite dai mezzi di comunicazione servi di un potere oligarchico di stampo iper capitalista ha fatto quadrato sulla veridicita’ della malattia, attenendosi solo a un certo “sentito dire” una sorta di significante maligno, quale appunto quello dei cosidetti “media” e soprattutto ne ha avallato con fanatico pecoronismo la indiscriminata somministrazione favorendo così i fortissimi interessi economici delle classi di potere, e probabilmente anche di egemonia e controllo sulla popolazione, indubbiamente un qualcosa di forte stampo distopico, alla romanzo di Orwell o di Huxley. Dall’altra, una minoranza che ha contrastato con vigore tali intenzioni e per questo e’ stata fatta oggetto di un ostracismo e di un’avversione di livore estremo, che probabilmente per i caratteri di universalita’ della cosa, non ha riscontri nella storia del genere umano. L’inciso di tutto l’assunto di quanto finora descritto, lascerebbe pensare che alla fin fine il potere e la maggioranza, niente affatta silenziosa, ma anzi livorosa e prevaricatrice abbia avuto partita vinta, ma per uno di quei casi misteriosi del destino, della storia, possiamo anche chiamarla provvidenza, ad un certo livello dell’intera operazione mediatica qualcosa e’ venuto a mancare e i fautori del “controllo esterno” ovvero di tutto cio’ che veniva dal di fuori della persona “virus, batteri, esperimenti di laboratorio e altre idiozie del genere” hanno cominciato a indietreggiare. Cosa e’ veramente successo? Nessuno puo’ dirlo con esattezza , io personalmente propendo per la tesi che “non si sono messi d’accordo!” non credo difatti alle tesi del “pueblo unido” che non saraì mai battuto, mai e poi mai una rivoluzione, una sommossa,una guerra, un qualsiasi cambiamento sociale e politico, non e’ stato manovrato dall’alto, da poteri piu’ o meno occulti che hanno fatto della storia solo un teatrino a loro uso e consumo con copione prefissato: anche questa farsa del “corona virus” non e’ stata differente da altri eventi similari, solo che probabilmente la posta in gioco (un controllo attraverso l’emergenza sanitaria dell’intera popolazione mondiale) era davvero troppo e tra gli stessi artefici di tutto il meccanismo non si e’ trovato il necessario accordo di come gestire questo enorme e, diciamolo pure, inusitato investimento. Ma io andrei ora a investigare quella differenza tra interno ed esterno, scegliendo appunto lo specifico della malattia ispirandomi magari ad un articolo dell’amico Mauro Sartorio tra i piu’ rilevanti seguaci di Rick Geerd Hamer e delle sue 5 Leggi Biologiche in merito a cosa significa schierarsi da una parta interna invece che cedere alle lusinghe delle componenti esterne di un evento diffatti sostiene giustamente Mauro, il modello delle 5 Leggi Biologiche introduce numerosi elementi di novità nella scienza e nella cultura odierna per cui possiamo oggi operare una revisione del concetto fornendogli una accezione nuova e applicata all'ambito della salute. Finora diffatti la cosiddetta "malattia" era un male che dapprima si pensava inviato dalla malasorte o come punizione dagli dei, poi si pensava provocato dalla malignità di certi organismi microscopici e invisibili, poi da un malfunzionamento della macchina biologica, poi da un "difetto di fabbrica" genetico ereditato. Diciamo quindi che il male il "male" aveva sempre una origine esterna e poteva essere controllato e vinto solo proteggendosi da esso con strategie che non a caso incontravano, o meglio si sposavano integralmente con gli interessi economici, industriali e finanziari dei vari Rockfeller, Rotschild, Morgan, Gates, Soros, e quindi grandi societa’ multi finanziarie come Big Pharma, Vanguard, per cui riprendendo la teoria di Rotter il locus of control della malattia è sempre stato esterno senza eccezioni. Ora il paradigma 5LB impone un ribaltamento prospettico: prima di tutto la "malattia" non è un male ma come sostiene Hamer la manifestazione di un programma biologico sensato; in secondo luogo i sintomi sono risposte dell'organismo alla percezione che esso ha di situazioni ambientali, ovverose passiamo dalla res extensa alla Res cogitans , cioe’ all’interno di noi la malattia e vieppiu’ una epidemia che e’ malattia di molti non è più qualcosa fuori controllo da cui difendersi, ma ha a che fare con un conflitto tra percezione interiore e condizione situazionale, e ciò sposta completamente il baricentro della concezione di salute. Se è pur vero che l'elemento ambientale improvviso e inaspettato, quindi esterno, è essenziale ad attivare il processo, esso prende il significato di traumatico e scioccante solo per una disposizione percettiva interiore del soggetto. Infatti non è vero, per esempio, che tutte le persone avranno un tumore a causa di una separazione da un proprio caro; è vero invece che la risposta tumorale si innesca quando la separazione è percepita drammaticamente con un significato soggettivo specifico, il quale attiva la risposta sensata di un organo altrettanto specifico per la situazione. Ecco dunque che dalla scoperta delle 5 Leggi Biologiche il locus of control della malattia si sposta per la prima volta e inderogabilmente all'interno. Poiché siamo a cavallo di una importante rottura epistemologica nell'evoluzione scientifica, è ovvio e comprensibile che oggi le procedure sanitarie procedano per inerzia e necessità con un locus totalmente esterno, nella lotta contro virus e batteri, ma vieppiu’ contro cancro e affezioni genetiche Possiamo concludere quindi, assumendo il
DISTORSIONE COGNITIVA = BIAS |
punto di vista di Hamer riportato da Mauro Sartorio, che la tendenza di attribuire la causa della malatta a fattori esterni e’ una grandissima distorsione cognitiva (secondo Rotter : BIAS) anzi un vero e proprio errore fondamentale di attribuzione, che applicato al paradigma delle 5 Leggi Biologiche si ha in tutte quelle circostanze in cui ad un sintomo si attribuiscono cause esclusivamente esterne, e si cercano ossessivamente solo quelle, ignorando completamente gli aspetti interiori della risposta mente-corpo. Va notato però che l'errore fondamentale di attribuzione si pone per la "malattia" ma anche per la "guarigione" che non e ‘ mai determinata dall’esterno (quindi ne’ farmaci, ne’ medicine, ne’ tantomeno vaccini ) ma sempre e solo da una corretta interpretazione di quel rapporto tra mente e corpo, che dovrebbe essere sempre il primo dei nostri intendimenti .
lunedì 25 novembre 2024
UNA TRADIZIONE MORTIFICATA
Oggi 25 novembre anniversario della nascita di mio nonno Mario Nardulli (1888) , riadatto un mio vecchio articolo, rivedendo un tantino la storia di una tradizione : quella degli alpini: E’ nel contesto di dopo la terza guerra di Indipendenza del 1866 che aveva visto una nostra non esaltante prova militare (la prima del nuovo Regno) sconfitti per terra (Custoza) e per mare (Lissa) ma che grazie alla vittoria dell'esercito Prussiano su quello austriaco a Sadowa, ci aveva portato all'annessione del Veneto, che nel 1872 il capitano Giuseppe Perrucchetti propose la costituzione di un nuovo corpo militare con peculiarità assai specifiche, quello della difesa dei valichi alpini, fidando sulla appassionata benevolenza di un politico come Quintino Sella allora Capo del Governo che era un appassionato montanaro, tra i fondatori del Club Alpino (il Cai) e del Ministro della Guerra il Gen. Cesare Ricotti Magnani anche lui appassionato montanaro: fu proprio quest’ultimo che avendo particolarmente apprezzato un articolo del capitano Perrucchetti sulla Rivista Militare in merito alla costituzione di reparti addetti alla difesa alpina, trovò l’escamotage per la costituzione del nuovo corpo, predisponendo la costituzione di 15 compagnie di soldati a reclutamento regionale presso i 10 corpi d’armata in cui era suddiviso il territorio nazionale, con compiti mascherati da militari distrettuali, per ovviare alle opposizioni che sarebbero certamente arrivate se fosse stato proposto chiaramente l’istituzione di un nuovo Corpo militare, in un periodo di forti ristrettezze economiche e dove appunto per bocca dello steso Capo del Governo le tali economie dove essere “fino all’osso” La caratteristica principale del nuovo Corpo che in prima istanza si doveva contentare di sole 15 compagnie, era appunto il tipo di reclutamento, non nazionale, ma regionale, anzi addirittura locale, perché, e su questo punto il Perrucchetti era stato chiaro, la cosa più importante per un impiego tempestivo a livello di difesa montana doveva essere la velocissima mobilitazione dei complementi, quasi con il fucile da portare a casa, come faceva l’esercito svizzero. Nascevano così gli alpini nell’ottobre del 1872 con un Regio Decreto di Vittorio Emanuele II in data 15 ottobre 1872 , abbiamo detto, quasi di soppiatto: 15 sperimentali compagnie che però pochissimi anni dopo nel 1878, con il nuovo Re Umberto I venivano portate a 36 inquadrate in 10 battaglioni che assumevano la denominazione dei luoghi di reclutamento. In quanto all’uniforme era del tutto identica a quella della fanteria, con l’adozione del colore verde come sorta di distintivo, qualcuno dice per il verde delle montagne, ma le montagne specie ai confini sono per lo più ammantate di neve e quindi a rigore il colore avrebbe dovuto essere il bianco, però, e forse qualche dotto studioso era andato a ritrovare che ai tempi di Augusto esisteva una “Legio” , detta dal nome della famiglia dell’Imperatore Augusto: Julia, con peculiarità di difesa montana che adottava il verde come colore distintivo. E verde sia, per le bande dei pantaloni, per le filettature della giubba ed infine anche per le mostre nel 1883 in correlazione con il nuovo simbolo dello stesso Esercito italiano: le stellette. Gli ufficiali continuavano a portare il kepì con le strisce argentee del grado e i Generali la Greca su fondo rosso, ma i soldati, ecco i soldati non ne vollero quasi subito sapere del banale kepì; volevano distinguersi anche e soprattutto nel copricapo da quella che proprio allora cominciavano a chiamare “la buffa” ovvero la fanteria. Cento penne ha il bersagliere” diceva una delle prime canzoni degli alpini “ma l’alpin ne ha una sola, penna d’aquila, penna nera….” bhe magari proprio all’inizio la penna non fu d’aquila, ma di corvo e comunque la sua origine di adottarla come corredo necessario e imprescindibile del cappello, dato che si voleva enfatizzare la costituzione del nuovo corpo militare, il primo del nuovo Regno d’Italia con un richiamo a qualcosa del Risorgimento, fu scelto il copricapo del protagonista dell’Opera Ernani di Verdi, che aveva giustappunto una bella penna sul lato, così come enfatizzato dal famoso quadro “Il bacio” di Hayez, anche se il cappello ivi ritratto somiglia più a quello che fu scelto una quarantina di anni dopo piuttosto che quello detto “alla calabrese” in feltro nero a tronco di cono con la tese rialzate,che fu adottato come copricapo delle nuove truppe, per motivi anche essi legati al Risorgimento, dato che nel 1848 era stato addirittura proibito in un’ordinanza della Polizia di Milano per il suo carattere sovversivo, cui i patrioti solevano mettere, proprio dal lato sinistro della tesa rialzata, piume, pennacchi, penne appunto, per aumentare lo sbeffeggiamento delle autorità. Come fregio fu dapprima disposta una stella a cinque punte , ma ben presto una quanto mai fastosa aquila ad ali a metà tra spiegate e abbassate, con croce sabauda e cornetta e fucili incrociati. Dieci anni dopo la loro costituzione nel 1882, furono istituiti i primi sei reggimenti alpini, di cui uno dei comandanti fu il futuro Generale e Capo del Governo, all’epoca Colonnello Luigi Pelloux. Oramai gli alpini erano entrati nell’oleografia militare dell’epoca, ne parla De Amicis nel libro “Cuore” e fece scalpore una marcia attraverso i monti dell’allora Capitano Davide Menini con la sua compagnia per rendere puntuali omaggi alla Regina Margherita nel 1881.Proprio questo ufficiale Davide Menini, divenuto Tenente Colonnello doveva caratterizzare il battesimo del fuoco del Corpo, non tra le montagne o le valli alla cui difesa gli alpini erano stati predisposti, ma tra le ende, gli acrocori i tondeggianti colli e gli sterminati valloni etiopici, giù in terra d’Africa. Era difatti stato nominato Comandante del primo battaglione alpino d’africa, un organico di circa 1000 uomini con 20 ufficiali. Gia’ in precedenza degli alpini erano stati inviati in Africa, ad esempio il famoso Galliano, distintosi in più occasioni e divenuto leggendario nella difesa del forte di Makallè, era un ufficiale proveniente dagli alpini, ma era la prima volta in quell’inverno del 1895, che un intero battaglione tutto di alpini veniva impiegato in operazioni belliche. Anche in Africa gli alpini non avevano rinunciato alla loro penna e l’avevano applicata sul casco coloniale, che era ricoperto di panno colore bianco, ingiallito, come d’altronde le uniformi coloniali, in bagni di foglie di tè. Battesimo del fuoco quanto mai tragico in quanto il battaglione che era stato inquadrato nella Brigata di Riserva del Gen. Ellena, tentò di tamponare la avanzata abissina nell’infausta battaglia di Adua, presidiando il Colle Rajo e opponendo una strenua resistenza che costò la vita a oltre 400 alpini, ivi compreso il suo comandante e a numerosi ufficiali tra cui uno dei comandanti di compagnia, il capitano Pietro Cella, che fu la prima medaglia d’oro al valor militare, ovviamente alla memoria, della storia del Corpo. Perché gli alpini abbiano nuovamente a che fare con battaglie si dovrà attendere una quindicina di anni e nuovamente in Africa, non in Etiopia, ma in Libia e Cirenaica, ma in questi 15 anni molte cose erano cambiate: anzitutto le uniformi, non più turchine o blu per gli ufficiali con gradi a fiore sulle maniche, ma grigioverdi e anche il cappello si era modificato, non più alla calabrese, ma sul tipo di quello usato tra i montanari, con le falde assai più larghe, grigioverde anche questo, di panno e floscio con la penna che i veci portavano in genere molto lunga a “bilanci’arm” come si diceva in gergo. A rigore anche gli ufficiali potevano utilizzare lo stesso cappello con penna nera d’aquila fino al grado di Capitano, bianca d’oca da Maggiore in su, ma per la verità preferivano il berretto a tuba, che era un chepì assai più rialzato, sempre con i gradi a fettucce, lasagne e greca tutt’attorno, aboliti i gradi sulle maniche “ a fiore” si portavano ora sulle controspalline a stellette, una due e tre fino a capitano, mentre gli ufficiali superiori portavano la controspallina bordata, sempre con le stellette e i Generali interamente bianco argenteo dove solo il Re arrivava a tre stelle in quanto Generale d’esercito, mentre anche il Capo di Stato Maggiore e i comandanti di Corpi d’Armata e poi d’Armata arrivavano solo a due che contrassegnava il grado di Tenente Generale, dove il ruolo di Superiore Comando era dato da una corona dorata e bordata di rosso situata tra le due stelle. Una evoluzione che era cominciata proprio dagli alpini nel 1906 con il cosidetto “plotone grigio”; la risonanza dei terribili massacri della guerra Russo Giapponese avevano difatti sollevato la questione della mimetizzazione e del colore troppo vistose delle nostre uniformi. Non era un problema solo nostro, i francesi iniziarono la grande guerra con i famosi “pantalons rouges” che erano una pacchia per le mitragliatrici tedesche, e anche le altre nazioni europee non erano da meno in quanto a rutilare di colori. Fu un borghese certo Luigi Brioschi, presidente della sezione milanese del Cai, che perorò con fervore la causa dell’adozione di un colore più mimetico per le truppe , riuscendo a portare dalla sua parecchi ufficiali tra cui il Tenente Colonnello Donato Etna che era il comandante del battaglione alpino Morbegno, che a sua volta riuscì a farsi autorizzare a eseguire una sperimentazione di un plotone vestito con la nuova uniforme mimetizzata che venne “provata” al poligono di tiro in relazione a quella ordinaria. La divisa non era ancora il grigio verde che verrà però adottato di li’ a poco, ma aveva una tinta più color creta, con giacca chiusa bottoni coperti e colletto rivoltato, pantaloni sbuffati con calzettoni o le celebri e famigerate fasce mollettiere che costituiranno la disperazione di tutte le leve a venire fino alla seconda guerra mondiale. L’esperimento suffragò le tesi di Brioschi che nel suo fervore era andato anche a scomodare Dante Alighieri perché nel suo inferno aveva fatto assumere a dei dannati che dovevano perdersi nel panorama, lo stesso colore delle rocce; ad una distanza stabilita difatti il manichino con indosso la vecchia uniforme veniva centrato 8 volte da tiratori scelti del plotone, mentre quello con la nuova uniforme una volta sola. Le sagome erano state disposte in vari modi, a terra, in ginocchio e in piedi, inoltre dopo 500 metri, mentre la vecchia uniforme soprattutto in piedi era ancora perfettamente individuabile, quella grigia si confondeva col terreno e in piedi era stata colpita solo tre volte contro le 24 di quella turchina. Ovvio e naturale che di lì a poco, l’esempio di quel cosidetto “plotone grigio” fu seguito per tutto l’Esercito, influenzando tutti gli eserciti del mondo che presero spunto dal modello italiano. In Libia dunque l’esercito si presentava nella nuova tenuta, certo qualche ufficiale adottava ancora la vecchia uniforme , molto più marziale e oggettivamente assai più bella , ma oramai erano una minoranza e anche i Generali indossavano il grigio-verde, che alla fine era stato giudicato il colore mimetico più adatto al tipo di terreno italiano. Coll’inizio della guerra con la Turchia, gli alpini vennero inviati un pò alla spicciolata, ma l’anno seguente si fecero le cose più in grande, non più compagnie o battaglioni, ma un intero reggimento: l’8° posto agli ordini di un Colonnello che diverrà una leggenda Antonio Cantore, e questa volta non ci sono disfatte, anzi l’8° rgt° alpini si era distinto in numerose occasioni e il suo irruento comandante anche se costantemente tenuto a bada dal Gen.Tommaso Salsa comandante della Divisione che era uno dei migliori ufficiali dell’Esercito, già Ispettore delle Truppe alpine, si guadagnerà la promozione a Maggior Generale alla fine della campagna. Un’altra medaglia d’oro per un un alpino, e questa volta non alla memoria, il tenente Giovanni Esposito, che ritroveremo in Grecia nel 1941 Comandante della Divisione Pusteria e un fatto passato alla leggenda e ratificato in un monumento che ancora oggi è presente in Milano e in copia anche a Merano, quello di unmastodontico alpino Antonio Valsecchi che durante un assalto alle difese avanzate di Derna in un Ridottino denominato Lombardia, esaurite le munizioni sollevò un grande masso scagliandolo contro gli assalitori, presto imitato dai suoi commilitoni che riuscirono a respingere e mettere in fuga il nemico. Questo alpino Antonio Valsecchi di Civate (Como) cl.1888 venne decorato solo di una medaglia d'argento al v.m. come si vede nella foto che lo ritrae ad un raduno, dove la medaglia spicca sul bavero della giacca, ma e' stato l'unico uomo che si e' visto dedicare un monumento ancora vivente. Gli alpini nella prima guerra mondiale sono oramai troppo inseriti nell’immaginario collettivo di quella guerra, per aggiungere qualcosa. Solo alcune precisazioni: anzitutto quella del Gen. Cantore che dopo appena pochi mesi di ritorno dalla Libia, si trovò Cte di Brigata in Trentino e subito diede un diverso impulso alle direttive rigorosamente difensive affidate alla 1^ Armata dal Gen.Cadorna: conquista di Loppio, Mori e soprattutto della importante cittadina di Ala; tanto era bastato per il famoso “promoveatur ut moveatur” ovvero nomina a Cte di Divisione e trasferimento in Cadore all’8^ Armata , ma anche qui, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: la sua fissa era la cima del Castelletto e dilagare per la Val Travenzes, così non passava giorno che non facesse ispezioni, controlli di postazioni e soprattutto non cessasse di guardare lontano col suo cannocchiale, oltre i Monti, l’Antelao, le Tofane, le vallate, alla ricerca di un varco dove far avanzare gli uomini della sua Divisione. Un po’ troppo, forse soprattutto per i suoi sottoposti, costretti a tenere il passo di quella specie di invasato. Il cecchino che si dice lo abbia centrato in piena fronte quel giorno del 20 luglio alla Forcella Negra dellaTofana di Rozes, non e' mai stato identificato e fin dall’inizio le perplessitàsu quella strana pallottola con il foro sulla visiera, ha sollevatonon pochi dubbi. Cantore era un ufficiale espertissimo e se si esponeva così platealmente oltre le trincee è perché sapeva bene che i cecchini in quel punto erano fuori tiro, tant’è che prima del colpo fatale, ci fu un colpo che arrivo’ oramai innocuo a 20 metri dalla posizione del Generale, ma se i cecchini in quel punto erano fuori tiro non altrettanto si poteva dire dei numerosi costoloni a ridosso della trincea , posti a pochi metri e saldamente in mano italiana: da lì sarebbe stato uno scherzo per chicchessia centrare in piena testa il Generale, e neppure servendosi di un fucile, ma di una semplice Beretta o Glisenti, le pistole in dotazione agli ufficiali italiani. Ci fu anche un indagine pochi giorni dopo il fatto con tanto di venuta di un ufficiale dei carabinieri, ma fu conclusa in tutta fretta, appena dopo il funerale del Generale a Cortina, dove specie gli ufficiali superiori erano in preda ad una curiosa euforia e come disse un testimone oculare, l’unica nota di tristezza della cerimonia era il cavallo bianco del Generale tutto bardato, ma senza cavaliere. La voce che Cantore potesse essere stato ucciso da “fuoco amico” e con piena intenzione specie da qualche immediato sottoposto che era stato particolarmente vessato dalla severità del Generale (pare che pochi giorni prima incrociando un ufficiale gli avesse fatto una tale ramanzina da costringerlo alle lacrime!) fu subito molto diffusa e la inchiesta si era conclusa troppo rapidamente per non dare adito a dicerie di sorta, dicerie che sostanzialmente non giovavano a nessuno e che quindi furono presto bandite con la concessione della medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e l’annovero della figura del Generale nell’Olimpo degli Eroi. A tingere di giallo il mistero, contribuì anche il fatto della immediata scomparsa del berretto del Generale, quello con il foro della pallottola sulla visiera, da cui si sarebbe potuto stabilire il calibro, un pò quello che doveva succedere per John Fitzgerald Kennedy, di cui scomparve addirittura il cervello da cui si sarebbero potuto fare delle congetture sulla provenienza dei colpi mortali. In verità il berretto lo aveva prelevato prima dell’inumazione della salma, un nipote che lo aveva conservato per decenni, ignaro delle ipotesi sulle uccisioni del nonno, e quando finalmente nel secondo dopoguerra lo consegnò alle Autorità per effettuare le indagini si stabili’ che era impossibile valutare, dato il tempo passato, se il foro sulla visiera che era di cuoio e quindi si era deformato, potesse essere provocato da un arma austriaca o italiana. Una cosa è certa di Cantore si è detto che era severissimo e brutale, esigentissimo, ma soprattutto vero i suoi immediati sottoposti, ufficiali superiori e difficilmente inferiori al grado di capitano; con i soldati anzi era di una certa bonarietà tant’è che loro, i semplici alpini, lo elessero ad una sorta di novello San Pietro , custode di un particolare paradiso quello delle “penne mozze” ovvero di tutti gli alpini caduti in battaglia. E questo non è una cosa che gli alpini, i semplici alpini , concedano tanto facilmente, è molto molto di più di una, cento medaglie d’oro , è cosa che va oltre tutte le citazioni, i bollettini di guerra, è un qualcosa che va anche oltre ogni retorica . Questi erano i Generali di quando gli alpini erano gli alpini, poi sono venuti altri tempi in cui i Generali non si aggirano piu' nelle trincee a fronte del nemico, non saltano sulle camionette per incitare i loro uomini a rompere l'accerchiamento del nemico, come Luigi Reverberi cte della Tridentina a Nickolayewka, ma comandano eroiche spedizioni contro inermi cittadini che non vogliono indossare museruole o non vogliono farsi iniettare sieri o vaccini per compiacere le lobbies farmaceutiche. Se questi sono gli eredi dei generali che erano i guardiani del Paradiso delle "penne mozze" , oggi non ci sono piu' penne ne' nere, ne' bianche ne' tronche e il Paradiso e' diventato il piu' sordido degli inferni perche' e' stato messo in vendita, alla merce' dei bottegai, servi o padroni che siano, infima gentina che non ha mai avuto valori da scambiare, ma solo un unico, squallido, infame valore di scambio, e il coraggio che un tempo era il distinguo del cappello con la penna si e' trasformato nella paura di una paura inesistente, che si cerca di diffondere con l'inganno e il mercimonio
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