sabato 20 agosto 2022

COPIONI IN MUSICA

 

Sembrerebbe proprio che la truffa, la manipolazione di fatti e dati non sia una peculiarità solo delle classi al potere e della moderna informazione di massa. E' Stata sempre molto utilizzata ad esempio nella composizione di canti, musiche, di cui forse uno degli esempi piu' eclatanti e' il falso di "Bella Ciao" come canzone simbolo della Resistenza  messo in atto nel lontano 1964 al Festival dei Due mondi di Spoleto, dal Nuovo Canzoniere Italiano in correlazione ad un altro falso quello della canzone di protesta della guerra 1915-18 previa la musica e parole decisamente "costruite a tavolino " della crudissima "Gorizia tu sei maledetta" C'è da dire che la vicenda di Bella Ciao sia stata però alquanto più "di successo"  per cui le versioni sulla sua origine, siano state più oggetto di diverse attribuzioni. Una  versione  decisamente fantasiosa è quella dell’adattamento elaborato nel 1888 dal famoso agente segreto del Risorgimento Costantino Nigra come ballata delle mondariso (“Alla mattina appena alzata / o bella ciao o bella ciao ciao ciao / alla mattina appena alzata / laggiù in risaia debbo andar”). Ammessa la genuinità dell’elaborazione di fine Ottocento dovremmo scoprire dove Costantino Nigra aveva ascoltato la musica che ispirò la sua ballata per le mondariso. Le ipotesi sono diverse, ma nessuna convince in pieno: Nigra era un giramondo, si sa fu assieme alla Contessa di Castiglione inviato da Napoleone III per convincerlo a entrare in guerra in favore del Piemonte, fu quindi  ambasciatore a Parigi, San Pietroburgo, Londra e Vienna, un uomo decisamente "per tutte le stagioni" per cui niente di strano che oramai vecchio si sia messo a rielaborare non solo storie ma anche musichette. Abbiamo detto della, non solo consacrazione, ma addirittura prima  rappresentazione della canzone nel 1964 grazie allo spettacolo Bella ciao con il Nuovo canzoniere italiano sul palco del Festival di Spoleto sponsorizzato dall’editore e discografico Nanni Ricordi, ma come detto di versioni ce ne sono altre. Un’altra indagine di musicologi aveva in seguito individuato una fonte originaria precedente, non più emiliana bensì abruzzese, un coro germogliato sul massiccio montuoso della Majella. Ora in un saggio pubblicato da Castelvecchi “Bella ciao, la storia definitiva della canzone partigiana che dalle Marche ha conquistato il mondo”, il ricercatore maceratese Ruggero Giacomini mostrò una lettera datata 1946 che cita Bella ciao come canto dei partigiani della Brigata Garibaldi accampati sul monte San Vicino. Chi si aspettava un sussulto d’orgoglio marchigiano è rimasto sorpreso dalla fulminea replica di Annalisa Cegna, direttrice dell’Istituto storico della Resistenza di Macerata, che ancora prima dell’uscita del libro ha commentato dalle colonne de Il Resto del Carlino: “Un solo documento non è sufficiente per avere garanzie storiche. Come studiosa andrei cauta ad affermare che la canzone Bella ciao sia nata nel Maceratese” confutando l’anticipazione del concittadino ricercatore. Majella e Reggio Emilia restano pertanto in gioco per l’origine delle parole “oh partigiano portami via”. La genesi della struttura musicale del brano è ancora più confusa: forse ispirata alla filastrocca trentina per bimbi La me nòna l’è vecchierella, forse alla nenia piemontese La daré d’côla môntagna ereditata da un canto francese del Cinquecento. Un altro tassello arriva dalla ricerca divulgata negli anni Duemila dall’ingegnere fiorentino Fausto Giovannardi: la musica di Bella ciao è molto simile a quella di Oi Oi di Koilen, una melodia yiddish registrata dal fisarmonicista di origini ucraine Mishka Ziganoff nel 1919 a New York.


La forma ritmica di 
Bella ciao si sposa in effetti alla perfezione con il klezmer, il genere musicale degli ebrei dell’Est Europa: persino in Hava Nagila (in italiano Rallegriamoci) la più nota tra le canzoni popolari ebraiche, si colgono analogie armoniche con Bella ciao. . La Bella ciao arrivata a noi, come la maggioranza degli inni, tanto vale andrebbe forse risolutivamente attribuita a Omero, che ha ideato i primi
poemi, scritti in una lingua che possiamo comprendere senza  lasciarci fuorviare da interpretazioni  alla "test di Roschach"  messo in atto per opere precedenti di cui le forzature, come giustamente osserva Julian Jaynes nel suo libro "il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza" non consentono di fare un distinguo tra realtà e fantasia. Tanto vale, insomma, riferirci ad un inequivocabile archè, così per uno scritto, quanto per una musica, che tra l'altro non può essere oggetto di verifica,  ovvero ad una sorta di  tradizione popolare, con i contributi di tanti che hanno tramandato e aggiornato melodia, armonia, ritmo e testo, quindi non solo emiliani, abruzzesi e marchigiani e neppure un Costantino Nigra e magari una qualche associazione tra Elena e la Contessa di Castiglione, che però al noto funzionario era sfuggita. Comunque non e' solo per Bella Ciao e con meno enfasi per Gorizia tu sei maledetta, che la diatriba si applica alle canzoni, prendiamo il celeberrimo 
Bandiera rossa: anche per il canto dei lavoratori si narra di complesse trasformazioni: ideata nei primi dell’Ottocento come aria popolare lombarda Ven chi Nineta sotto l’ombrelin, divenne cinquant’anni dopo canto repubblicano (“Avanti popolo con la riscossa / bandiera rossa, bandiera rossa/ bandiera rossa la trionferà / viva la repubblica e la libertà”). Risale al 1908 la versione socialista di Carlo Tuzzi che dopo la rivoluzione bolscevica, con nuove variazioni al testo, diventò il più ricorrente inno ufficiale del Partito comunista italiano (“Avanti o popolo, alla riscossa / bandiera rossa, bandiera rossa / bandiera rossa la trionferà / Evviva Lenin, la pace e la libertà”). La stessa confusione per le origini degli inni della sinistra, la ritroviamo in quelli della destra. Giovinezza l’inno caro a Benito Mussolini non era nato per il Regime. Bensì era stato composto da Giuseppe De Blanc nel 1909 per una cena di laureandi del Politecnico di Torino, con le parole di Nino Oxilia, l’autore che con Camasio avrebbe poi scritto la commedia Addio giovinezza, e cominciava con le parole “Son finiti i giorni lieti”.
Poi gli Alpini nella guerra 1915-18 avevano portato il brano in trincea, galeotto l'autore originario Giuseppe De Blanc richiamato alle armi come ufficiale del 5° alpini, dove un suo comandante il Capitano Corrado Venini, appassionato di composizioni musicali ne aveva fatto l'inno della compagnia alpini sciatori del btg. Vestone Fu soltanto qualche anno dopo che 
Giovinezza, il cui refrain era rimasto sempre uguale (“Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”), divenne con le nuove parole iniziali di Salvator Gotta, “Salve o popolo di eroi”, l’inno ufficiale del fascismo. La musica di Giovinezza, caduto da tempo il regime, fu copiata sfacciatamente nell’America del Sud e registrata su disco come pezzo sinfonico col titolo Casamento Maroto – Marcia brasileira. L’autore De Blanc dovette intraprendere una causa internazionale di plagio per riottenerne i diritti. Di procedimenti giudiziari, per contraffazione e illeciti vari, fu bersagliata soprattutto Faccetta nera, la canzone più famosa del Ventennio, interpretata da Carlo Buti con il testo del poeta Renato Micheli.

Le grane maggiori toccarono all’autore della musica, il maestro palermitano Mario Ruccione compositore di altre famose marce di regime come 
La sagra di Giarabub e Camerata Richard, sempre affidate alla stabile intonazione di Buti, ma anche di brani delicati e longevi come Vecchia Roma e Serenata celeste. A denunciare Ruccione per plagio furono Vincenzo Raimondi, un musicista dilettante e l’attore Gustavo Cacini “un comico poveraccio d’avanspettacolo con arie da Giggi er bullo” lo ricordò nella sua autobiografia l’attore Paolo Stoppa. I querelanti chiesero al pretore di Roma il sequestro conservativo della canzone dimostrando che la frase musicale “Faccetta nera – bella abissina – aspetta e spera che già l’ora s’avvicina” risultava identica a quella di un loro lavoro precedente, intitolato La vita è comica, che recitava “La vita è comica – presa sul serio – perciò prendiamola davver poco sul serio! – La vita è comica – ognun lo sa – perciò prendiamola davver come ci va”. Il magistrato accolse il ricorso e i nomi di Cacini e Raimondi vennero aggiunti nei crediti del brano accanto a quello di Renato Micheli. Scomparve in molti bollettini il nome di Ruccione seppure nella memoria di tutti è rimasto l’unico vero autore dell’inno dell’Italia coloniale. Altri ancora in seguito avanzarono pretese riguardo alla paternità del brano, come Giulio Razzi, dirigente dei programmi della Rai del dopoguerra, o tentarono di contrastarne la proprietà editoriale. La confusione all’origine degli inni sociali non dispensa gli inni religiosi. Il motivo natalizio che tutti almeno una volta abbiamo intonato, Tu scendi dalle stelle, è un plagio. Prima metà del Settecento: i compositori contendenti erano entrambi prelati. Uno vescovo di Tropea, monsignor Felice de Paù, il quale dette origine a La Pastorella terlizzese come canto religioso della novena di Natale. L’altro, il monsignore napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, che si attribuì nello stesso periodo un’identica melodia con un testo in partenopeo e il titolo Quanno nascette Ninno, poi pubblicata in italiano come Tu scendi dalle stelle. Gli studiosi impegnati nel confronto tra le due opere, sembrano concordare per la paternità pugliese. Ma si avverte un problema di fondo: i periti a loro volta appartengono a ordini religiosi. Monsignor de’ Liguori già vescovo della diocesi di Sant’Agata de’ Goti, nel 1839 è stato canonizzato e in seguito proclamato dottore della Chiesa, nonché patrono dei confessori e dei giureconsulti. È dunque comprensibile il disagio per un ecclesiastico di affibbiare la patente di plagiario a un santo, tanto più se patrono degli avvocati.

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