La vita, fin dal suo apparire si è configurata sempre come traumatica: il trauma dalla nascita alla morte, è parte integrante di tutti i percorsi vitali, sia vegetali che animali, con una certa accentuazione dovuta al grado di presenza e di interferenza con i fenomeni del mondo naturale, che raggiunge il suo apice quando l’evoluzione porta alla comparsa di un essere dotato di razionalità e che sotto la pressione di tale fenomenologia, configura un linguaggio che consente di costruire reattivamente un mondo metaforico di quello concreto, costruito per analogie, fino a pervenire ad una analogo-io, cioè un qualcosa che mette in situazione l’individuo con il contesto e gli permette di narratizzare sé stesso in relazione alle pressioni dell’ambiente. Del tutto ovvio che questo “analogo-io” che contestualizza la presenza umana nel mondo, abbia delle precise peculiarità e cioè appaia subito come un qualcosa in stretta correlazione con gli avvenimenti del mondo, ne indichi una sorte di reazione, che correla appunto le sue azioni, il suo comportamento, il suo atteggiamento e il suo pensiero a dare una risposta più o meno efficace alle continue sfide e pressioni ambientali ; sia in altre parole, sintomatico , ovvero che costituisce un sintomo (dal greco antico σύμπτωμα: evenienza, circostanza; a sua volta derivato da συμπιπτω: cadere con, cadere assieme) . Quindi è quanto mai sequenziale che la psicoanalisi sostenga che l’io funziona come un sintomo, anzi sia “il sintomo per eccellenza” . Ora l’Io è tradizionalmente identificato con la coscienza, che è proprio quel meccanismo, derivato dal linguaggio (vedi l’eccezionale libro di Julian Jaynes “il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”) che ha “messo in situazione” l’individuo, costringendolo a prendere atto del suo rapporto con il mondo sia naturale che successivamente sociale, sostituendo quel suo “analogo-io” a tutti gli analoghi prima individuati, ovvero suggestioni animistiche, allucinazione di supposti esseri superiori, che potevano indicare schemi di comportamento reattivo attraverso il meno controllabile dei sensi umani : l’udito e quindi voci, le “voci degli dei “ che sostanzialmente erano basate sull’abitudine, su comportamenti ripetuti, diremmo oggi “su di una prassi consolidata” Costruire un argine per un torrente, rispondere ad una situazione di pericolo, uniformarsi a direttive del gruppo, poi tribù, villaggi ed infine anche città, era un qualcosa che poteva benissimo rientrare nelle possibilità di un linguaggio sempre più articolato, anche se non ancora in possesso di un io, cioè di un analogo che attraverso il sintomo potesse rapportarsi col trauma, proprio mettendo l’individuo “in situazione” senza bisogno di intermediari, senza bisogno di sentire la voce di qualche dio che gli dicesse cosa fare. Un mondo senza analogo io, ovvero senza coscienza, non è “il mondo spaesato del tacere” di Heidegger, anzi semmai è il netto opposto , è un mondo dove su pressioni sempre più variegate e complesse dell’ambiente e del sociale, c’è il rischio che le voci si sovrappongano, si accavallino ed allora ci si ritrova in un mondo ove tutti parlano, ma nessuno ascolta , detto in altre parole ciò significa che quel mondo si è fatto troppo complesso, i rapporti tra gli individui troppo articolati, perché una voce possa più indicare il da farsi , perché un totem dagli occhi dilatati per aumentare la suggestione ipnotica possa fornire soluzioni, perché un dio possa assumersi ogni iniziativa decisionale attraverso allucinazioni auditive come ad esempio nell’Iliade: ecco allora che su questa incalzante pressione dell’ambiente , una nuova metafora, derivata dal linguaggio, e strutturata per analogia, appunto un analogo-io, prende il posto di tutte queste molteplici analogie . Diceva Nietzsche “tutti gli antichi dei morirono... a cominciare da Pan come annunciavano i naviganti “il grande dio Pan è morto!” ...morirono dal ridere, quando udirono che c’era un dio che sosteneva di essere il solo” Non è un caso che Jaynes nel suo citato libro oltre a indicare determinati fatti traumatici, ovviamente di portata epocale (l’invasione dei Dori, in Grecia, l’inabissamento della leggendaria Atlantide , identificata con l’isola di Santorini) ritenga i Fenici (popolo di naviganti) gli “inventori della coscienza” : difatti sulle navi, in mare, si presenta una troppa pronunciata ridda di eventi imprevisti e inaspettati (tempeste improvvise, un uragano, onde di trenta metri, la collisione con un capodoglio, acque infestate di squali, etc.) perché un dio possa avere una voce, costituita sull’abitudine, che possa indicare il da farsi . Ecco allora che il linguaggio umano elabora una nuova metafora, ma questa volta l’analogia non è su cose, fatti e animismi vari, la proiezione non è di carattere ex-sistenziale, reperita cioè all’esterno da sé, ma all’interno di sé (in-sistere) , ovvero se stesso in relazione all’evento: l’analogo-io, cioè la coscienza che nasce strutturalmente come sintomo , e quindi hanno pienamente ragione i vari psicoanalisti (Freud, Jung, Klein, Lacan, Bion, Mattè Blanco e pragmaticamente Bateson, Watzlavitch, Milton Erickson) a ribadire “l’Io è strutturato come un sintomo!” e ha altresì una qualche ragione, sia George Groddeck, l’inventore della psicosomatica che sul sintomo individuava la sua prassi conoscitiva e anche operativa, sia il controverso medico, anche lui tedesco Ryke Geerd Hamer che ha ideato le sue cosidette “leggi biologiche” proprio sul rapporto tra trauma e sintomo andando a ridefinire la stessa accezione di malattia. Ho chiamato questo articolo “prolegomeni” in relazione al suo carattere di prefazione, di antecedente, in merito ad una riflessione in soggettiva innescato da un banale trauma con sequel appunto sintomatologico, e su una mia convinzione del fenomeno “vita”; parlo sempre in rigorosa soggettiva, improntato alla, un po’ provocatoria, accezione di “pessimismo biologico” Attenzione non pessimismo cosmico alla Leopardi, o esistenziale alla Kirkeegard o alla Sartre e neppure alla Biswanger, o magari il pessimismo intellettuale di Schopenauer coi vari pendoli e veli di Maya...no! Biologico, in quanto prende in esame proprio il contesto fin dall’origine presentatosi con particolare enfasi, all’animale uomo, strutturalmente correlato al trauma, la cui risposta segue determinate reazioni a loro volta correlate all’evoluzione del linguaggio articolato, ma ha sempre e comunque la caratteristica del “sintomo” sia quando nella costruzione ancora originaria l’Io tende a costituirsi attraverso metafore di analogia proiettiva, reperite esternamente gli dei, le voci, i tabù, i totem , sia quando la pressione ambientale, cui si aggiunge anche quella di maggiore complessità sociale (dal clan di pochi individui, alla tribù, alla città, alla Nazione), fattasi più articolata, costringe l’individuo a ripiegarsi su se’ stesso alla ricerca di un analogo sempre a disposizione che possa di volta in volta offrire una pluralità di comportamenti più adeguati alla bisogna (il famoso “Kairos” ovvero tempo opportuno in quella lingua, il greco antico che costituisce il principio , l’archè, di ogni rappresentazione conoscitiva, direi il tratto distintivo della cultura occidentale. Prendendo il posto delle precedenti metafore/analogie, l’Io umano proietta su di sé tutte quelle rappresentazioni, la cui valenza era tenuta fuori di sé “piove, c’è una tempesta? E’ un dio irritato da qualche nostra azione che ci punisce!, c’è un terremoto che distrugge le abitazioni? E’ la terra che si prende la sua vendetta! Si diffonde un pestilenza? Anche qui siamo in presenza di un qualcosa che ha fatto irritare un non meglio precisato dio” insomma c’è il trauma ricorrente, ma il “sintomo” è sempre tenuto fuori si sé (ex-siste) . Semmai ecco! si tratta di riparare al supposto mal fatto, placare la collera degli dei, o di non meglio precisate entità naturali : ed ecco che nascono i sacrifici rituali, gli auguri, le sibille, gli sciamani che ti dicono come fare, persone un po’ a cavallo tra divino e umano, degli intermediari, che hanno un correlato in un livello appena più alto, con il proliferare di demoni, folletti , ninfe, con cui si dà corpo ad una sorta di moltiplicazione del dio originario, la cui valenza, proprio a causa del complicarsi dei compiti e anche dei traumi indotti dalla natura e sempre più anche dalla Società, viene allentata. “Perché gli dei non ci parlano più!?” È la litania quasi obbligata di tutto il pensiero greco appena post Omerico , una sorta di rimpianto e disperazione che ha una sua magistrale esplicazione proprio in Freud l’inventore della psicoanalisi nel suo saggio “Totem e Tabù”. E’ anche il proliferare di Miti che prendono a motivo, proprio questo passaggio di proiezione, dall’esterno all’interno: il Mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei, ma ne paga il fio (vedi soprattutto Il Prometeo incatenato di Eschilo) , Adamo ed Eva e il “Voi sarete come dei” del serpente tentatore, con la cacciata dal paradiso terrestre, il Vaso di Pandora e il taglio operato da Zeus al genere umano, prima “amphiteroi” poi suddivisi in genere maschie e femminile, con l’emergere della figura del Simbolo, in prima battuta personificato in Eros, che dovrebbe rimettere le cose insieme (sum-ballein) , ma sempre in perenne contrasto col “dia-ballein” ciò che separa, disgiunge e ha invece una personificazione nel Dia-volo”. La nostalgia “sempre dal greco “nostòs = ritorno” e “algos =dolore” ritorno ad uno stato precedente “Il Mito dell’età dell’oro su cui insiste Esiodo e ne fa cenno persino Virgilio nella quarta egloga delle Bucoliche dando adito alle risibili congetture del Cristianesimo di identificazione del famoso “puer” che a quell’oro avrebbe fatto tornare, con Gesù Cristo, quando e’ invece palese che quel “puer” era riferito alla persona di Ottaviano Augusto, o tutt’al più al figlio che sarebbe dovuto nascere dal matrimonio della sorella Ottavia con Marc’Antonio,ed anche in tempi recenti Il Mito dell’eterno ritorno di Mircea Eliade, il già citato Totem e Tabù di Freud e a consuntivo di nuovo un saggio già citato “il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” di Julian Jaynes, che come i Religiosi hanno la loro Bibbia, il sottoscritto ha appunto tale scritto come principale riferimento, senza farsi mancare i relativi Vangeli (solo come modo di dire) che tra sinottici, apocrifi e quant’altro, informano metodologicamente il proprio intendimento, sostituendo tutte le assurdità, illazioni, falsi e imprecisioni storiche contenuti in quelli, con la verifica di contenuti : saggi, romanzi, financo poesie, che di volta in volta sono assunti o ri-assunti nel tentativo di comprensione