domenica 7 febbraio 2021

DUE MARIO ANZI TRE


Un mini saggetto davvero fatto bene questo di Nico Valerio, che mi affretto a condividere e anzi a integrarlo con mie considerazione e ascrivere in questo mio blog principale per ritrovarmelo e consultarlo tanto è fatto bene e quindi può sempre servire. Non conosco di persona Nico Valerio ma tanti e tanti anni fa , nei primi anni ottanta conobbi al mare in una combriccola suo fratello che me ne parlo' a lungo, sopratutto della sua esperienza in tema di alimentazione naturale, ma precisandomi altresì che era un soggetto interessato a molteplici scibili e quindi mi disse che avremmo dovuto conoscerci noi "EH SI!!!! SIETE MOLTO SIMILI VOI DUE " in verità comperai negli Oscar Mondadori due testi che divennero una sorta di Bibbietta in merito di alimentazione ed ora andandoli a ricercare su Amazon vedo che sono prezzati 150 Euro l'uno (alla faccia! e pensare che a Palermo avrei dovuto lasciarli al mio caro amico Beppe Brignola e magari ora se lo ritrovano i suoi figli Pietro o Gabriele)
Così ora che ho ritrovato quel saggetto che non ho successivamente mai incontrato, anche perchè io fui per oltre 10 anni in giro, qui su FB mi compiaccio spesso e volentieri di aver incrociato suoi pareri, opinioni e quant'altro. Questo articolo su Mario Draghi, differenziato da quel cialtrone di Mario Monti (di quest'ultimo non ho alcuna considerazione neppure come economista ) mi è particolarmente gradito, anche perchè sottolinea l'origine cultural economica di Draghi da quel Federico Caffè di cui ho scritto più di un articolo qui sul Blog, in particolare uno correlato alla sua misteriosa scomparsa del 1987 che io misi in relazione anche al romanzo di Carlo Levi L'Orologio e alla fugace esperienza del primo governo del dopoguerra quello capeggiato da quel gran signore di Ferruccio Parri e l'ispirazione prevalente del Partito d'Azione, di cui Caffè fu collaboratore.
L'articolo lo ha titolato I DUE MARIOS, io l'ho riportato integralmente : "Antipatici mi sono entrambi, perciò sono nella condizione ideale per paragonarli tra loro. Tutti e due sono stati chiamati come medici d’urgenza. Quindi non si può pretendere che siano delicati, ma che facciano con efficacia il loro lavoro, spesso brutale. Si spera solo che tipi del genere siano bravi e che gli effetti collaterali delle loro terapie siano minimi. Loro sono uniti dal fatto di essere stati chiamati in epoche diverse al capezzale d’un malato irresponsabile e ignorante, dedito a stravizi, che ha copiato i comportamenti dei peggiori soggetti, e che ora si trova sotto ossigeno. Molti li confondono. Ma quali differenze ci sono tra i due? Provo a chiarirmi le idee, per quel poco che ne so, grazie alla psico-politica. Con alcune considerazioni alla grossa. E il taglio con l’accetta, si sa, porta a qualche errore. Parto da questa “bozza” che correggerò man mano seguendo gli economisti amici.Dunque, Mario Monti, grand commis d’Etat come Draghi, appare (e che lo sia o no, poco importa) un tipico “liberista” duro e puro prestato alla revisione contabile, quindi un pratico, oppure per altri un teorico scientifico “senza cuore”, che ha fatto delle regole del mercato e ancor più dei voleri della alta e bassa Finanza la propria vera unica ideologia-religione; propenso perciò, senza nessuna concessione alla Politica, a tagliare con drastici “tagli lineari” senza pietà, “ndo’ coijo coijo” [dove tocco è lo stesso, anche a caso: espressione romanesca antica per “chi tira o spara senza mirare, senza precisione”], secondo il metodo dell’economia conservatrice d’emergenza che si occupa più di salvare la correttezza formale dei bilanci che la produzione, i consumi, i bisogni, la società, anche perché – va nuovamente sottolineato – vi si ricorre spesso in extremis, quando ormai c’è poco da rilanciare o costruire, siamo al “si salvi chi può”, e perfino i keynesiani illuminati potrebbero fare poco. perciò appare, lui sì, per niente un Politico, ma un vero e puro “Tecnico”.L’altro Mario, il Draghi, la cui firma ancora campeggia su tutti i biglietti degli euro, il cattolico educato nella costosa scuola gesuitica, uno che “passava il compito ai compagni”, in politica economica “l'ultimo dei Keynesiani”, quindi un liberale “di Sinistra” che vede nella spesa statale non un delitto, ma anzi un potente incentivo al rilancio dell’economia, purché in emergenza e con investimenti seri capaci di moltiplicare la ricchezza nazionale, potrebbe essere anche un Politico (per la discrezionalità politica e sociale di tale impostazione); non dovrebbe essere quella fredda carogna “scientifica” capace di tagliare teste umane senza pietà, come dicono i miei amici anti-capitalisti di Sinistra, Destra e del cinque volte Niente. E infatti la sua politica economica alla Banca Europea è stata non taccagna, ma “politica”, propulsiva, addirittura “spendacciona”, secondo i conservatori tedeschi, che lo hanno in antipatia. Perciò non appare, un vero, implacabile, ottuso “tecnico” puro, come temono molti. Ma potrebbe – perfino lui – indirizzare il risanamento in una direzione che non tiene conto degli interessi degli Italiani, o fallire proprio perché più “politico”, costretto a inserire al Governo parecchi politici coi soliti vizi, e a tener conto per avere la maggioranza di molti avversari in Parlamento e fuori, tra cui gli acerrimi ex-nemici Grillini, Comunisti e una metà dei Leghisti. Che lo voterebbero tra atroci dolori e pronti a tradirlo, dopo averlo osteggiato per anni come il “grande privatizzatore” del Ministero del Tesoro che aveva “svenduto” patrimoni economici dello Stato con “privatizzazioni” sbagliate (accusa, però, fatta anche da alcuni liberali), e poi come “uomo della grande Finanza e delle banche d’affari” (cominciò con la Goldman Sachs). Se fai l’interesse delle ultra-élites della ricchezza mondiale, dicevano i critici, non puoi fare Politica in democrazia liberale, che i conflitti d’interessi cerca d’evitare in ogni modo. Riuscirà a rassicurare gli alleati di comodo? Paradossalmente, a me liberale doc (non ho detto “liberista-doc”), molto impensierito dalla distruzione di ricchezza e di imprese che c’è stata in Italia per le pessime politiche economiche, liberalizzazioni e privatizzazioni comprese, di Sinistra e Destra, toccherà sperare nella coscienza del Draghi cattolico e anche nel Draghi allievo del grande Federico Caffè (docente universitario di economia, liberal-socialista), un uomo che ogni mattina vedevo affrettarsi a piedi proprio sotto la mia terrazza, unico nel suo vestito blu e nella sua statura minima, che sparì di colpa senza lasciare tracce, come Majorana. Forse Draghi, nonostante Goldman Sachs, a differenza di Monti, ha un’anima, un’idea ardita di libertà (di tutti, non solo delle grandi Agenzie e Corporations) unita a un senso di giustizia. Se fosse così, pur tra le ombre e i segreti, a noi pochi Liberali risorgimentali potrebbe anche piacere. Ma se così fosse, il suo intervento terapeutico sarebbe tardivo: non basterà a cancellare gli errori gravi degli ultimi vent’anni.

Mi riaggancio quindi col mio articolo su Federico Caffè, dove faccio il paio con un libro di uno scrittore che è stato anche un valentissimo e originale pittore, cui più di un’opera figura a tutto titolo tra le opere letterarie più importanti del XX secolo: sto parlando di Carlo Levi, e tra tali opere basta citare dei titoli come “Cristo si è fermato a Eboli” “Le parole sono pietre”,”il futuro ha un cuore antico” che immediatamente innescano nel nostro immaginario un posto di tutto rilievo; il libro di cui voglio parlare forse non ha lo stesso impatto a livello di fama e di immaginario collettivo, però lo ha fortissimo a livello individuale come per chi come me ha sempre avuto una sorta di attrazione, passione, quasi struggimento in quanto velato desiderio , di quel “mancato” che sottende un sequenziale e melanconico “avrebbe potuto essere…” Si tratta de “L’Orologio “ un libro che ha un incipit del tutto emozionale su l’impressione di una Roma che “non c’è piu’ : “ La notte a Roma….” , così comincia la narrazione “ ...sembra di sentire il ruggito di leoni” ed ecco che subito siamo trascinati ad una città che il traffico delle automobili non aveva ancora soffocato i suoi suoni, e con tutta probabilità era la ripresa della marce dei tramvai che si inerpicavano per le numerose salite degli antichi “Sette Colli” e di nuovi (si fa per dire) “monti”: Verde, Mario, Sacro, producevano quel sommesso rumore . Le pagine di descrizione di un mondo che non c’è più rimanda al mondo incantato dell’infanzia, quando un giorno durava mille anni e il sole su nel cielo sembrava non voler calare mai e quel mondo era là, sotto il balcone, che bastava allungare una mano per afferrarlo tutto quanto. L’infanzia quella che Freud ha definito il paradiso terrestre di tutti noi, una sorta di “intelligenza pietrificata” della natura, per dirla con Schelling, è descritta nel romanzo in maniera poetica e struggente, ma non è tutto! Il romanzo è ambientato nel primissimo dopoguerra, nell’atmosfera di grande, grandissima speranza del Governo Parri: nessun compromesso con l’orrido passato, piazza pulita con tutte le collusioni, niente “se” e niente “ma” : Ferruccio Parri veniva dal Partito d’Azione ed era stato il comandante ed uno dei più fulgidi eroi della Resistenza, antifascista da sempre era anche stato un valorosissimo combattente della Grande Guerra dove a soli 28 anni si era guadagnato il grado di Maggiore, la Croce di Savoia e una sfilza di medaglie al valore e non solo italiane, ma anche inglesi e francesi. Eppure tutto questo non era sufficiente ad accreditare tale splendida persona come traghettatore verso una nuova Italia: le pagine del libro di Levi, riportano con particolare crudezza, tutte la serie di operazioni messe in atto da una società, che temeva come la peste, proprio le istanze di cui Parri si faceva paladino: rinnovamento, ma anche riesamina del recente passato, senza indulgenze e senza patteggiamenti: una parola faceva soprattutto paura : Epurazione! Epurazione verso chi aveva favorito, appoggiato o anche solo tollerato il Fascismo, soprattutto chi ne aveva tratto benefici, vantaggi e fatto carriera; Ed ecco un qualcosa che il libro di Levi puntualmente registra : il fatto che si aveva subito assistito al tentativo di discredito del personaggio, l’epiteto di “fessuccio” storpiando il nome di battesimo Ferruccio, l’adamantina e integerrima onestà, comune a tutto il movimento di provenienza, il Partito d’Azione e quindi la sua indisponibilità a compromessi, quali perfino un uomo come Palmiro Togliatti si stava rivelando, per ragioni di stato, disponibile. Insomma per farla breve uno spaccato di quel “mancato” cui l’Italia di allora, stava appunto tessendo le fila, un mancato di assurgere a Nazione “corretta” che andava traendo sempre più sostenitori e “cavalier serventi”, con una stampa addomesticata alla ragion di stato, a quelli che avrebbero dovuto essere gli esecutori, dall’alto dirigente, al medio funzionario, fino all’ultimo usciere, che facevano in modo che ogni singola pratica si impantanasse, fino a scomparire del tutto, nei meandri di una burocrazia, che cominciava a rialzare la testa. Siamo nel periodo degli Aiuti del Piano Marshall, della scelta di campo tra occidente e oriente e ne vedremo il seguito, i prodromi della Guerra Fredda, De Gasperi e la Democrazia Cristiana, i comunisti fuori dal Governo, dopo aver fatto in modo che proprio loro (Togliatti Guardiasigilli) togliessero la patata dal fuoco della pacificazione nazionale, con quella passata alla storia come “amnistia Togliatti”, insomma un po’ l’Italia di sempre, quella che abbiamo sempre conosciuta. Un grande libro l’Orologio, un libro che quasi si ha paura a rileggere per non trovarsi troppo al cospetto di quel “mancato” di “quell’avrebbe potuto essere” e proprio in ultimo, così quasi come boutade, un’accezione molto soggettiva, molto personale, che investe l’antitesi uomo-macchina e che però giustifica il titolo dato al romanzo, dove l’autore è portato a ritenere che giustappunto si stabilisca una sorta di affiato o di ripulsa tra l’uomo e uno dei suoi oggetti apparentemente più neutrali, come un orologio: dalla città ancora coi suoi sommessi rumori notturni, tipo il peregrino ruggito di leoni, che rimanda anche a misteriose e interminabili carovane sotto la luna del deserto, si rientra alla cronaca e alle abitudini di quel lontano periodo, il Governo oramai condannato, addio a Parri, l’interno delle case con quell’inveterata abitudine di dare camere in affitto, un po’ come quasi “vendersi l’anima” dice l’autore del libro e in quelle camere, con i mobili “rimediati” l’odore di polvere la cui consistenza e’ resa manifesta da miliardi di granelli che un raggio di sole che filtra dalla spessa tenda fa animare in quello spicchio di stanza, le lancette del nostro “orologio” si fermano inesorabilmente. Chissà forse è venuto un inquilino che pensa che non è poi così importante raccordarsi con il tempo ad ogni istante, tutto sommato anche delle lancette ferme, indicheranno due volte al giorno l’ora giusta. Si insinua a questo punto un filo, quasi magico, diciamo di posposta sincronicità che correla il libro di Levi con un saggio del giornalista scrittore Ermanno Rea che è incentrato sul grande economista Federico Caffè e l’insoluto mistero della sua volontaria scomparsa nella notte tra il 14 e 15 aprile 1987. Il libro si chiama “L’ultima lezione” e fa appunto cenno alla lezione del giugno 1984, che il professor Caffè tenne di commiato dall’insegnamento all’Università e che, per l’autore rappresenterebbe la piena esplicazione della sua scomparsa . Fa da trait d’union sincronico dei due libri, giustappunto il titolo del primo che è anche uno degli oggetti da cui Caffè non si separava mai : L’Orologio. Orologio che invece fu ritrovato nel tavolino accanto al letto dopo la sua scomparsa assieme a chiavi di casa e documenti; come osserva giustamente Rea “ c’è qualcosa che più di un orologio sia dotato di forza simbolica? l’orologio scandisce il tempo della nostra giornata , delle nostre abitudini, delle nostre ansie : cosa può vuol dire il rinunciarvi. se non che uno ha deciso di rinunciare a tutte queste cose e quindi alla vita stessa? L’orologio abbandonato da Caffè si carica di rinuncia o forse proprio di quel mancato di cui si è fatto cenno parlando del romanzo di Levi : un mancato della storia nel primo, un mancato di tutta una vita nel secondo, che assume le valenze di rinuncia totale a somiglianza di una altrettanta famosa improvvisa e misteriosissima scomparsa, quella del fisico Ettore Majorana, nel 1938. L’orologio che titola il romanzo di Carlo Levi ha difatti un correlato storico ben preciso e un riferimento circostanziato a fatti e misfatti di quei 5 mesi del 1945 che riguarda l’atmosfera “mancata” di quei pochi mesi del governo Parri e che, guarda caso rappresenta l’unica partecipazione alla politica attiva di Caffè come capo di gabinetto del Ministero della Ricostruzione retto da Meuccio Ruini : col ruggito dei leoni a Roma provocato dai cambi di marcia dei tramvaji, il paradiso perduto dell’infanzia e l’atmosfera di una possibile ma resa impossibile rinascita d’Italia il libro di Levi ci consegna dei paradigmi di struggente rimpianto su quell’avrebbe potuto essere , quel “mancato “ alla storia, che diviene nel libro di Rea ultima e definitiva rinuncia, non alla storia, ma alla stessa vita tramite l’elisione dello specifico che si era scelto per referenziarla : la scienza dell’economia per Caffè, come parimenti era successo 50 anni prima la scienza della fisica per Majorana .

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