lunedì 29 novembre 2021

RICOMINCIAMO DALL'ONDA

 

Ho citato in precedenti articoli su questo blog, ma anche in altre sede , il mio spasmodico interesse  per quella sorta di cambiamento che si verifica quando da un certo stato di acquisizione di esperienza, diciamo così fissa “, di stato“  si passa ad un’altra prospettiva che non può più definirsi di stato, ma piuttosto “di divenire”, quando e l’ho detto molto chiaramente nel precedente articolo sul ballo dove ho preso l’immagine di Fred Astaire e Ginger Rogers,raccordandola con un’opera di architettura la cosidetta “tancici Dum o Casa danzante” di Praga  dell’architetto Ghery, si passa dalla considerazione di un singolo punto ad un flusso continuo che per molti versi si rifa’ ai famosi paradossi di Zenone, che tanto mi colpirono al primo anno di studio della filosofia  cioè intorno ai 15 anni: “ la freccia che vola sta ferma”  e “il piè veloce Achille non può mai raggiungere la tardigrada tartaruga”
Come dimenticare quei primi fremiti di fervore intellettuale, che dovevano portare all’esaltazione del Panta  rei” del grande Eraclito detto l’oscuro e alla ricusa pressocche’ totale del “concetto” platonico ovvero “quell’uno che sta per molti” origine di tutti i dualismi e di tutti i giudizi di valore  stabilendo il distinguo tra una cosa che vale (il mondo delle idee, dove per Platone risiederebbero gli originali delle nostre rappresentazioni) e una cosa che non vale, ovvero il mondo terreno delle nostre rappresentazioni immediate, che sarebbero solo copie di quel mondo che Platone chiama Iperuranio. L’anno seguente ritrovai lo stesso dilemma  previo l’esame di un altro filosofo Leibniz e lo studio non scolastico del calcolo infinitesimale che veniva a dar man forte a quella mia esigenza di trovare una sorta di passaggio tra stato e divenire, tra atomo o come la vuoi definire , particella, corpuscolo,   a   continuum, flusso, onda, e poi ma questo c i arriverò dopo, stringa. Per la verità non era solo Leibniz che incanalava  tale curiosità, perche  l’essenza stessa  del procedimento matematico del calcolo infinitesimale fu inventato anche da un altro grande pensatore piu’ famoso come scienziato che come filosofo Isac Newton. Il punto  non punto, ma ecco diciamo flusso era ritrovare la velocità di ogni punto nello spazio, una sorta di procedimento inverso di quello di Zenone  e come misurarne il tempo che comportò come espediente quello di utilizzare la proiezione di numeri negativi  per accedere ad una nuova accezione di insiemi numerici, quello dei numeri immaginari. Numeri immaginari che, attenzione se moltiplicati per l’inverso di segno davano luogo ad un altro insieme di numeri quello dei coniugati che restituiti alla loro parte reale consentivano di operare calcoli in limiti, derivate e integrali. E’ giustappunto con il secentesco calcolo infinitesimale messo in atto dai due  matematici sopracitati, che si arriva ad una nuova possibilità quella di definire la velocità di un qualcosa in relazione ad ogni tratto di spazio/tempo del suo percorso, ovvero quando la distanza tra due punti  e l’intervallo di tempo  per andare da un punto all’altro  diventano sempre più piccoli (infinitesimali)  e tendono a zero (limite) . Anche in matematica come trecento anni dopo in fisica , il problema è anzitutto scoprire cosa succede quando si passa  dal moto tra due punti, ovvero dalla considerazione di due particelle infinitesimali di spazio, tempo e velocità  a quel movimento fluido che in linea teorica  individua un punto ben preciso , In verità  ci si rese subito conto che quando si scende a scale sempre più piccole, la misurazione  diventa aleatoria . Ecco quindi la grandezza di Leibniz e di Newton che ognuno per suo conto del tutto autonomamente pervenne  ad un risultato anticipatore anche del famoso effetto della doppia fenditura in fisica quantistica: il punto, il singolo punto non esiste,  esso è un concetto  della realtà del tutto immaginario e così i vari punti  non esistono nella realtà fisica, ma solo nell’immaginazione dei matematici, lo stessa dicasi della singola particella che si trasforma in un movimento fluido tra i punti, un flusso  che fu Newton per primo a a chiamare “flussione” Tale termine di flussione   fu di lì a poco cambiato con quello di “derivata” ...quindi possiamo affermare che  la “derivata o flussione” rappresenta  quello spazio/tempo misterioso e ineffabile in cui dal movimento passo per passo  si passa al fluire del cambiamento continuo. Il compito del terzo procedimento base del calcolo infinitesimale è quello dell’integrale, ovvero reintegrare il flusso in un vero e proprio cammino (esempio canonico l’integrale sui cammini di Feynman ) fino a definire tutte le possibilità insite in ognuno dei diversi percorsi della ex particella fattasi flusso e ricomposta in area. E’ piuttosto evidente come con l’invenzione del calcolo infinitesimale e l’uso dei numeri immaginari, ovvero proiezioni di numeri negativi restituiti alla loro parte reale tramite l’impiego dei numeri coniugati (segno positivo) siamo passati  da una impostazione fissa  degli spostamenti ad una concezione che deve tutto al continuo fluire di una  valutazione di percorso fatto di spazio tempo e velocità, ivi compresa la accelerazione e rallentamento, in altre parole siamo passati da una concezione statica del movimento ad una misurazione impostata sul processo; ed ecco che fa prepotentemente il suo ingresso la danza: per imparare a ballare  bisogna memorizzare i passi, una alla volta, un qualcosa di preciso, una volta però imparati tali passi, si comincia del tutto impercettibilmente a ballare sul serio, si entra cioè nel movimento  ed è un qualcosa di molto differente dal ripetere i movimenti giusti….ci si dimentica di tutte le istruzioni  non si è più consapevoli dei singoli passi, uno per uno, si cambia modalità, da uno stato si passa ad un flusso e si entra quindi in un’altra consapevolezza: quella di colui che balla  : Fred Astaire, Ginger Rogers...., in architettura la Casa danzante dell’architetto Ghery a Praga. . La consapevolezza del flusso, che per ora abbiamo circoscritto al calcolo infinitesimale, ai numeri immaginari e coniugati, ai limiti, derivate (flussioni) e integrali e che abbiamo posto non solo in matematica, ma altresì al cuore della fisica quantistica con l’effetto della Doppia Fenditura, e al trasferimento di singoli elettroni colti nel loro porsi sia come particelle che come flusso, quindi onde, si riferisce quindi al movimento, simboleggiata nel ballo, ma anche nell’architettura e un po’ in tutto nel processo di apprendimento umano, la musica, l’arte, il pensiero tutto. In tempi recenti (per la verità sono passati quasi cent’anni da quel 1924) fu l’aristocratico e grandissimo fisico quantista  Louis De Broglie  che per primo postulò la dualità tra particella e onda della materia , asserendo appunto che ad ogni particella in movimento  sia essa un atomo, un elettrone, un fotone è associata un’onda e quindi non resta che assegnare alla materia, tutta la materia  un duplice aspetto corpuscolare e ondulatorio. Ovviamente su tale postulato doveva riversarsi di lì a pochi anni tutta la compagine dei più geniali fisici che  sarebbero stati definiti quantistici . Il giovane Heisenberg approfondì la cosa con il suo famoso Principio di Indeterminatezza pervenendo all’altrettanto famoso assioma che  è impossibile per la materia  rivelare contemporaneamente tutte le sue caratteristiche , aggiungendovi anche la questione del disturbo dell’osservatore, che sempre condiziona l’atto stesso di osservare il fenomeno  (più conosciamo la posizione meno sappiamo quanto è la quantità di moto e viceversa) . Bohr col suo principio di complementarietà arrivò alla conclusione  che è impossibile  propendere per un qualsiasi stato o divenire in assenza di parametri di misurazione, evidentemente non pago della possibilità di accedere al reale attraverso la coniugazione dei numeri immaginari , e quindi non poteva mancare Einstein , di cui tra l’altro l’americano Compton  dimostrò l’esistenza dei fotoni che lui aveva ipotizzato. Einstein è famoso per quella sua celeberrima risposta appunto a Bohr che “dio non gioca a dadi con l’universo” proprio perché non era assolutamente d’accordo a dare la qualifica di probabilità allo studio dell’andamento della materia, così come la “interpretazione di Copenaghen” che altro non era che la scuola di Bohr e dei suoi seguaci ovvero Heisenberg, Pauli, aveva sancito ed anche categorizzato in quell’oramai mitico congresso della Solvay del 1927 ovvero  che non esiste realtà in assenza di misurazione  e qualsivoglia particella o flusso  sarà sempre influenzata dalla nostra osservazione. La probabilità che la scuola di Copenaghen aveva negletta con la scusa della misurazione, e consegnato alla indeterminatezza e complementarietà, tornava però prepotentemente alla ribalta grazie ad un altro fisico, non giovanissimo e neppure particolarmente accreditato, che fino ad allora si era tenuto un po’ di riserva:  Erwin Schrodinger, quello del celeberrimno gatto vivo o morto dentro la scatola, che si inventò l’equazione d’onda, definendola “onda di probabilità”  ovvero la descrizione  dell’evoluzione temporale di una grandezza appunto in termini di probabilità, laddove la probabilità non va considerata in termini di misurazione  come volevano Heisenberg e Bohr e quindi l’interpretazione di Copenaghen, neppure stessimo  a fare il verso a Protagora e al suo “uomo misura di tutte le cose”  bensi’ in termini di relativismo (che anche se non è a rigore  la relatività, in qualche modo vi si associa ) ovvero la Funzione d’onda  ammette che non sappiamo tutto, ed è in sostanza quello che dovrebbe essere sempre, in ogni tempo,  la scienza: La lettera greca  psiΨ)    che giustappunto Schrodinger scelse come  espressione della funzione d’onda indica quale è la probabilità  che una misurazione quantistica abbia un certo risultato, tenendo conto però che prima che avvenga tale misurazione , il sistema osservato si trova in uno stato di sovrapposizione , ovvero tutti gli stati  sono possibili ed è solo quando viene fatta la misurazione  che avviene il crollo della funzione d’onda e il sistema collassa, per cui il risultato sarà uno solo in tale stato .
Qualche anno dopo nel 1948 il grande Richard Feynman riprese tale ragionamento in termini di integrale in un calcolo infinitesimale che fu  chiamato “ Integrale sui cammini  “ e rappresenta un univoca misurazione appunto integrale in un sistema dalle infinite probabilità. Limite e derivate concorrono alla equazione d’onda di Schrodinger  laddove non è che venga negato che l’oggetto dell’osservazione  è sia preda del principio di indeterminazione (Heisenberg)   sia di quello di complementarietà (Bohr) , ma semplicemente che il confine non è netto , ma sempre relativo , e in verità è la soggettività che è un inganno , nessuno può pretendere di raggiungere un punto di vista  assolutamente oggettivo perché già quell’espressione “punto di vista” lo esclude. Scartiamo le tracotanti presupponenze di un Hegel, tipo cio’ che è razionale è reale e viceversa,  e rifacciamoci piuttosto al molto più onesto Kant che asseriva appunto che non c’è modo di accedere alla “cosa in sé” stante le nostre limitate strutture mentali, semmai ecco prendiamo il limite a nostro beneficio,  utilizziamo i meccanismi antichi e moderni di cui siamo arrivati a disporre  e valutiamo che la nostra mente non è la sola a modificare l’osservazione, ma anche il percepito la modificherà, perché quello che sopratutto la fisica quantistica ci ammaestra che sia la mente sia l’intero universo sono  composti dagli stessi elementi , non c’è differenza tra percepito e percipiente , la distinzione tra soggetto e oggetto  è sbagliata , dire che l’osservazione modifica l’ambiente è sbagliato perché la barriera non c’è , non c’è mai stata , ce la siamo costruita noi, non è mai stata reale né tanto meno razionale, semmai ecco è immaginaria, si proprio come l’escamotage del calcolo infinitesimale  e dell’impiego dei numeri proiezione di negativi  tramite moltiplicazione della radice quadrata di -1 = 1i con il suo coniugato -1i. Notiamo per inciso che siamo pervenuti in un accezione non più reale, non più immaginaria , ma simbolica  che ha molto a che fare con il meccanismo di funzionamento dell’inconscio …. eh si! …Come un sogno, come un lapsus, una fantasia, un atto mancato, una svista. Vuoi scommetterci che arriveremo ad una certa simmetria tra fisica quantistica e meccanismi inconsci? E’ quanto mi ripropongo nei prossimi articoli e penso che non ci sia meglio che iniziare proprio dalla funzione d’onda di Schrodinger e dal suo collasso  

giovedì 25 novembre 2021

CI TOCCHERA' SEMPRE BALLARE

 

E’ piuttosto noto l’esperimento della Doppia Fenditura che sancì inequivocabilmente  che gli elettroni si comportano  come particelle nel caso che vengano sparati  attraverso una fenditura ed invece come onde se vengono sparati attraverso due fenditure; in realtà ciò non fece che confermare l’essenza stesso del procedimento matematico del calcolo infinitesimale inventato  verso la metà del ‘600 da due grandi scienziati Leibniz e Newton. Il punto era ritrovare la velocità di ogni punto nello spazio  e come misurarne il tempo che comportò come espediente quello di utilizzare la proiezione di numeri negativi  per accedere ad una nuova accezione di insiemi numerici, quello dei numeri immaginari. Numeri immaginari che, attenzione se moltiplicati per l’inverso di segno davano luogo ad un altro insieme di numeri quello dei coniugati che restituiti alla loro parte reale consentivano di operare calcoli in limiti, derivate e integrali. E’ giustappunto con il secentesco calcolo infinitesimale messo in atto dai due  matematici sopracitati, che si arriva ad una nuova possibilità quella di definire la velocità di un qualcosa in relazione ad ogni tratto di spazio/tempo del suo percorso, ovvero quando la distanza tra due punti  e l’intervallo di tempo  per andare da un punto all’altro  diventano sempre più piccoli (infinitesimali)  e tendono a zero (limite) . Anche in matematica come trecento anni dopo in fisica , il problema è anzitutto scoprire cosa succede quando si passa  dal moto tra due punti, ovvero dalla considerazione di due particelle infinitesimali di spazio, tempo e velocità  a quel movimento fluido che in linea teorica  individua un punto ben preciso , In verità  ci si rese subirto conto che quando si scende a scale sempre più piccole, la misurazione  diventa aleatoria . Ecco quindi la grandezza di Leibniz e di Newton che ognuno per suo conto del tutto autonomamente pervenne  ad un risultato anticipatore anche del famoso effetto della doppia fenditura in fisica quantistica: il punto, il singolo punto non esiste,  esso è un concetto  della realtà del tutto immaginario e così i vari punti  non esistono nella realtà fisica, ma solo nell’immaginazione dei matematici, lo stessa dicasi della singola particella che si trasforma in un movimento fluido tra i punti, un flusso  che fu Newton per primo a a chiamare “flussione” Tale termine di flussione   fu di lì a poco cambiato con quello di “derivata” ...quindi possiamo affermare che  la “derivata o flussione” rappresenta  quello spazio/tempo misterioso e ineffabile in cui dal movimento passo per passo  si passa al fluire del cambiamento continuo. Il compito del terzo procedimento base del calcolo infinitesimale è quello dell’integrale, ovvero reintegrare il flusso in un vero e proprio cammino (esempio canonico l’integrale sui cammini di Feynman ) fino a definire tutte le possibilità insite in ognuno dei diversi percorsi della ex particella fattasi flusso e ricomposta in area. E’ piuttosto evidente come con l’invenzione del calcolo infinitesimale e l’uso dei numeri immaginari, ovvero proiezioni di numeri negativi restituiti alla loro parte reale tramite l’impiego dei numeri coniugati (segno positivo) siamo passati  da una impostazione fissa  degli spostamenti ad una concezione che deve tutto al continuo fluire di una  valutazione di percorso fatto di spazio tempo e velocità, ivi compresa la accelerazione e rallentamento, in altre parole siamo passati da una concezione statica del movimento ad una misurazione impostata sul processo; prendiamo ad esempio la danza: per imparare a ballare  bisogna memorizzare i passi, una alla volta, un qualcosa di preciso, una volta però imparati tali passi, si comincia del tutto impercettibilmente a ballare sul serio, si entra cioè nel movimento  ed è un qualcosa di molto differente dal ripetere i movimenti giusti….ci si dimentica di tutte le istruzioni  non si è più consapevoli dei singoli passi, uno per uno, si cambia modalità, da uno stato si passa ad un flusso e si entra quindi in un’altra consapevolezza: quella di colui che balla  : Fred Astaire, Ginger Rogers...., in architettura la Casa danzante dell’architetto Ghery a Praga. . La consapevolezza del flusso, che per ora abbiamo circoscritto al calcolo infinitesimale, ai numeri immaginari e coniugati, ai limiti, derivate (flussioni) e integrali e che abbiamo posto non solo in matematica, ma altresì al cuore della fisica quantistica con l’effetto della Doppia Fenditura, e al trasferimento
 di singoli elettroni colti nel loro porsi sia come particelle che come flusso, quindi onde, si riferisce quindi al movimento, simboleggiata nel ballo, ma anche nell’architettura e un po’ in tutto nel processo di apprendimento umano, corrisponde all’essere consapevoli di un flusso: le parole possono solo avvicinarsi a tale processo di consapevolezza, la loro  natura orientata
agli agli stati può dire molte cose, ma non riusciranno mai a descrivere  l’esperienza di esser-ci: essere nel flusso  del processo 

 

lunedì 15 novembre 2021

I QUESITI DELLA SUSY

 

L’ho detto in precedenti articoli : sono attratto da tutte quelle parole che vengono qualificate dal prefisso “Super” : il Super uomo di Nietzsche, ma anche quello del fumetto USA che ai miei tempi noi ragazzini conoscevamo come Nembo Kid, la benzina di Mattei Supercortemaggiore, la Supercazzola del film Amici miei, le super Stringhe della più avanzata e promettente fisica quantistica, la cui armonia va intesa in una super simmetria e ovviamente un Super Universo, che le comprende ma comprende anche un numero elevato di mondi per non dire infiniti, un po’ a somiglianza di quegli insiemi infiniti che caratterizzano l’inconscio dello psicoanalista cileno Ignacio Mattè Blanco, mondi che, chissà come , chissà quando, potremmo anche percorrere sulla scia di quell’integrale sui cammini che il fisico Richard Feynman ideò nel lontano 1948.
Il Il quadro che risulta dalle più avanzate ricerche è assolutamente sorprendente, io per la verità non ho mai creduta alla teoria di un unico primordiale Big Bang, semmai ecco un po’ alla maniera degli integrali sui cammini di Feynman, sono propenso ad ipotizzare una serie multipla, anzi una serie pressocchè infinita di tante origini, tanto da giustificare quella tesi di “inflazione cosmica” C’è da dire che l’universo dell’origine, o meglio delle multiple origini, abbia attraversato questa pochissima precisata inflazione cosmica è a tutt’oggi ancora materia di accesissime discussioni. Il punto è che se accettiamo tale idea dell’inflazione cosmica (ed io sono uno di questi) bisogna porci proprio come il Feynman dell’integrale sui cammini in relazione ad altrettanto numerose fenditure, che potrebbero benissimo venire intese come tante realtà, ognuna con un suo sviluppo, un suo processo, giustappunto un suo cammino. In verità l’inflazione cosmica e l’integrale sui cammini potrebbe essere la dimostrazione che il nostro universo possa essere solo una piccola infinitesimale parte di una realtà sterminata il cui solo pensarla fa girare la testa; il punto è che noi tutti abbiamo un orizzonte alquanto limitato e la sola idea di comunicare o entrare in contatto con regioni al di fuori del nostro Universo ci induce a dei salti vertiginosi per la nostra ragione. Il solo ammetterne la possibilità, fa subito vacillare la idea di unicità del nostro stesso essere e ci rende partecipi di una realtà fatta appunto di un numero molto vicino all’infinito di universi il cui numero e’ stato teoricamente calcolato in uno spaventoso “uno seguito da cinquecento zeri” , e neppure ciò esaurisce il problema perché nessuno può contraddire che il meccanismo che ha prodotto l’inflazione sia sempre attivo e quindi ingenerare un continuum spazio temporale che agisce praticamente sempre, ovvero una ipotesi da vertigine da far girare la testa, di un Super Universo fatto da quasi infiniti multi universi. Questo Super Universo inoltre proprio nei suoi oscuri, misteriosissimi, sconosciuti meccanismi iper segreti, l’ho detto per molti versi equiparabili a quell’inconscio come insiemi infiniti di Mattè Blanco che funziona per simmetria, può nascondere altro, molto altro: ad esempio potrebbe essere stabilita una equiparazione tra i funzionamenti della nostra mente di conscio e inconscio e il moto delle Galassie: se ammettiamo difatti che noi non siamo solo parte di un tutto, ma siamo il tutto, in totale interazione con ogni manifestazione dell’intero Universo o multi universi che siano, di tale interazione farà parte la nostra modalità di rappresentazione, ovvero una rappresentazione visibile, esterna, addirittura metaforica e logica come la coscienza, ma anche quella modalità non logica, metonimica e sempre oscura e misteriosa del nostro inconscio : dalla prima traiamo l’osservazione che le varie galassie a spirale come la nostra via Lattea oltre alla materia visibile, fatta di stelle, polveri, comete, asteroidi, nebulose e buchi neri, debbono contenere un altro elemento non meglio identificato, una forma di materia invisibile, inspiegabile, oscura senza luce che appunto viene chiamata “”MATERIA OSCURA”
Tale materia oscura, cioè senza luce, ha straordinarie somiglianze con quello che perlomeno da Freud in poi siamo abituati a chiamare inconscio e proprio come l’inconscio sfugge a qualsivoglia rappresentazione e può essere riconosciuta solo attraverso i suoi effetti . Proprio come l’inconscio di gran lunga più vasto del conscio schematicamente rappresentato dalla parte sommersa dell’iceberg, la materia oscura avvolge completamente le galassie, riempiendo lo spazio che occupano con modalità completamente sconosciute. Continuando la nostra assimilazione di mente e universo scopriamo che le galassie si comportano un po’ come noi, amano infatti vivere in comunità, famiglia, tribù, città, nazioni, ovvero a livello cosmico in ammassi sempre più vasti composti di migliaia, milioni, probabilmente infiniti membri , tanto per rifarci al solito inconscio come insiemi infiniti. Nel vederli l’etologo, il biologo, lo psicologo ed in ultimo anche l’astrofisico si chiedono : cosa li tiene insieme? La risposta sembra ovvia: per i primi una sorta di attrazione, un affiato tra esseri umani alle prese con un ambiente comune poco propenso a lasciarsi abitare, per il fisico la forza di gravità , con cui le galassie si attraggono l’un l’altra. Ma ecco che quando si fanno i debiti calcoli, i conti non tornano: la massa visibile delle galassie, quella luminosa che possiamo osservare, un po’ come i pensieri della nostra logica, è ben poca cosa rispetto alla immensità del cosmo : bisogna ipotizzare una forma invisibile di materia per spiegarci la stabilità delle immense formazioni cosmiche , una materia misteriosa presente ovunque che permea ogni cosa della nostra e altre galassie, filamenti di “materia oscura” che sono come una ragnatela cosmica che avvolge ogni regione in cui è presente la materia visibile,e noi con la nostra piccola infinitesimale coscienza siamo come una torcia che fa luce solo nello spazio del suo raggio, lasciando nel buio la sterminata vastità di tutto quello che ci circonda: Gli studi più recenti ci dicono che questa enorme, sterminata massa di materia oscura e invisibile che ci circonda rappresenta il 27% della massa totale del nostro universo e chissà quanto dei multiniversi che potremmo enumerare. Da quando le prove di questa presenza di “materia oscura” si sono moltiplicate , i fisici teorici hanno elaborato una serie di possibili spiegazioni, una delle più suggestive è quella che alla simmetria che regola il meccanismo di funzionamento dell’inconscio come insiemi infiniti secondo la interessante teoria di Mattè Blanco, viene aggiunto quel prefisso “super” sicchè si perviene alla “supersimmetria” è una teoria che parte dall’ipotesi che la materia conosciuta sia solo una parte di quella materia primordiale ingenerata da quella inflazione cosmica che avrebbe prodotto quel Super Universo fatto di infiniti multiuniversi . La teoria prevede che ogni particella conosciuta abbia un partner super simmetrico , ovvero un’altra particella che le somiglia in tutto e per tutto salvo essere molto più pesante ed avere un diverso spin (che cosa è lo spin? È una proprietà molto simile alla rotazione attorno ad un asse, intrinseca di tutte le particelle). Tutte i partner supersimmetrici hanno lo stesso nome delle particelle conosciute, con però l’aggiunta di una “s” sicchè l’elettrone diventa il selettrone, il protone sprotone il quark top , stop, e così via. Per rendere sempre riconoscibile una teoria contemplante la supersimmetria è stato convenuto di usare l’acronimo “Susy” . Il punto dolens è che per rendere credibile ogni teoria Susy, bisognerebbe trovare particelle Susy, cosa che nessuno c’è mai riuscito; è stata avanzata l’obiezione che tali particelle popolavano il Super Universo in eguale proporzione rispetto alla materia ordinaria al verificarsi di ogni inflazione cosmica , tra le quali ad esempio è stato fatto rientrare il nostro Big Bang, ma poi con il rapidissimo raffreddarsi del fenomeno di inflazione si sarebbero istinte in massa, impossibilitate a sopravvivere e quindi disintegratesi. C’è però una escamotage di Susy che sostiene che una particella particolare quella che rappresenta la partner supersimmetrica del neutrino ed eccezionalmente è denominata non sneutrino, ma neutralino, in quanto molto pesante non interagisce con le altre forze di materia e quindi può costituire enormi ammassi capaci di intensa attrazione gravitazionale. Quindi la materia oscura potrebbe essere un gas di pesanti neutralini , residui fossili di un’epoca primordiale in cui la materia supersimmetrica, Susy, dominava l’universo

venerdì 5 novembre 2021

PIU' KOJEVE CHE HEGEL

Una nuova diversa  concezione culturale innescata dal libro di Ferrero alla ri-lettura storica, come ho detto infinitamente più approfondita di quella fatta negli anni sessanta di opere di Guenon, Evola, Mircea Eliade e persino di saggi decisamente più esoterici tipo Il Mattino dei maghi di Pauwles e Bergier, le opere di Biglino sulla Bibbia e gli Elohim, e il puntuale riscontro con la sempre consideratissima psicoanalisi , soprattutto la seconda topica Freudiana, l’inconscio come insiemi infiniti di Mattè Blanco, una riesamina di molte istanze Lacaniane  ed infine una sorta di verifica alla luce di tutto il quadro della Fisica Quantistica più nella  sua specifica di equazione d’onda (Schrodinger-De Broglie-Dirac-Bell-Pauli ) che in quella particellare e matriciale di Heisenberg e Bohr, sono pervenuto in estrema vecchiezza (2021 cioè 73 anni)ad una concezione estremamente relativa in merito ad un pensiero del tutto, che ovviamente richiama la teoria di Einstein, ma anche un analisi veramente integrata dei vari cammini che la nostra mente opera di continuo, trovando una sua decisa puntualizzazione in quell’integrale sui cammini di Feynman, che si presta ad un continuo confronto con giustappunto quel “pensiero di tutto” Poteva mai essere eluso in uno di tali integrali quel confronto  con la prima istanza che catturò l’interesse di me ragazzetto ? Parlo ovviamente della filosofia così come comincio’ a presentarmisi  nel La Manna del 1 liceo classico  con le figure di Talete, Anassimede , Anassimandro, i paradossi di Zenone, Eraclito e il suo Panta Rei, ma soprattutto l’enantiodromia o Legge degli opposti. Suggestioni potenti ma non riscontrate nella figura di quello che generalmente veniva indicato come il più importante filosofo di quelle origini del pensiero  del tutto “a me questo non convince” avevo detto al professore di filosofia “mi pare troppo schematico, troppo costruito” Ora siccome quel professore era uno proprio in gamba, aperto ad ogni confronto mi si rivolse in tali termini “orbene Nardulli sai cosa facciamo? Ora in questo secondo e terzo trimestre ti chiedo solo di seguire per un po’ Aristotele che già mi pare di capire non incontrerà il tuo favore così come non lo ha incontrato Platone, ma per il resto non ti interrogherò più su nessuno degli autori del resto del programma annuale, Patristica , Scolastica tutte facezie per le quali non vale la pena di spendere il tuo talento , per fine anno ti chiedo solo di presentarmi una tesi su Platone, voglio che lo sciorini in ogni suo aspetto e vediamo se alla fine le tue critiche avranno un minimo di costrutto” Detto fatto, in quei successivi mesi feci incetta di altre fonti filosofiche Abbagnano, Spirito, persino Russel nel suo Storia della filosofia occidentale  e soprattutto i testi originali del filosofo La Repubblica, il Fedone , Apologia di Socrate, lo Ione, il Protagora, il Gorgia (detto per inciso su questi ultimi due personaggi mi si sviluppava una forte propensione che faceva  da contraltare rispetto alla filosofia di Platone ed anche di Socrate e la pretenziosità della sua maieutica).   Arrivai così al giugno con una tesi incentrata su di una feroce critica del “Concetto” e di tutte le, a mio modo  di vedere,  le panzane dell’Iperuranio, gli originali del Mondo delle idee e le copie di questo mondo terreno
“l’albero è l’albero ma chi ha mai visto l’albero in sé? Dove sta l’albero in sé?” Ma questo altro non è che un “uno che sta per molti” asserivo convinto è l’origine di tutti i dualismi, il netto opposto dell’enantiodromia Eraclitea, è anche origine di una nozione di valore : una cosa che vale e una che non vale : supposizione e anche saccenza. Non ci crederete ma anche se il professore non era della mia stessa opinione, come votazione finale, ai quadri esposti nella bacheca del Virgilio in via Giulia a Roma, figurava un eclatantissimo “dieci” Questo il mio esordio nello studio della filosofia, che avrà una sua ancora più eclatante ripetizione con un'altra figura di filosofo che proprio non sono mai riuscito a mandare giu’ Hegel e che fu oggetto di un similare meccanismo tra me e professore “d’accordo tu dici che Hegel è un baggiano, ebbene ti sfido a stilare una tesi su di lui esentandoti dal perdere tempo coi filosofi successivi, vediamo se riesci a convincermi ?“ Ed eccomi quindi appena un paio d’anni dopo alle prese con un altro grande  pretenzioso schematico che ha la presunzione di sistemizzare tutto il sapere in nome di qualche astratto principio informatore. Non mi piace neppure un po’ , d’altronde come non mi era piaciuto Platone e anche parecchi altri  Cartesio, Locke, mentre mi ero fatto molto più ricettivo con Leibniz , con Hume e soprattutto con Kant che si d’accordo la sua filosofia categoriale  può rientrare in quest’ordine di costrizione, ma perlomeno c’è la scappatoia della distinzione tra Cosa in sé e Noumeno. Con Hegel e il suo cosidetto Idealismo facciamo però ritorno alla presupponenza : la forzata dialettica , tutte quella razionalizzazione e quel suo porre sempre ogni cosa in termine di fine , fine dell’arte, fine della storia e la cosa peggiore quella sua formuletta “cio’ che è reale e’ razionale e cio’ che è razionale è reale” che balla colossale un po’ come quel suo famoso incontro con Napoleone dopo la battaglia di Jena, visto come spirito della storia: “attento Nardulli “mi aveva fatto il solito
professore, che come ho detto era uno proprio tosto, che non lo potevi certo prendere in castagna “hai toccato un tasto davvero scottante, infatti quell’episodio che hai citato dell’incontro tra Hegel e Napoleone  dopo Jena è oggetto di un profondo dibattito  dato che lo spirito incarnato della storia si identifica con quello della fine della storia,  per cui io ci andrei cauto prima di parlare di  spirito ecco in proposito ti consiglio di misurarti  con un pensatore che alla fenomenologia della storia come fine  ha dedicato una buona fetta del suo pensiero:  parlo di Alexandre Kojève, che probabilmente ti farà inorridire perche’ la sua analisi di Hegel  è indubbiamente dualista, ma molto,  molto differente dal mondo di Platone, quello delle Idee e quello delle copie terrene 
a mie richieste di ragguagli, su questo pensatore di origine russa, ma formazione francese , che lo ammetto non avevo mai sentito nominare, il buon professore si limitò a rispondere  “vedi mio caro, da un lato c’è la dialetticità della dimensione umana, abitata dalla Differenza che è la tesi e dalla Negazione  che è l’antitesi e questa è la temporalità storica, ma dall’altro c’è la sintesi conclusiva propria del sistema dialettico di una identità spaziale e statica della natura.” Kojeve all’epoca di questa  indicazione era ancora vivente  (morì nel 1968 nel pieno della contestazione giovanile di cui ebbe appena il tempo di valutarne l’impianto eminentemente ludico)
e giustappunto  era rimasto famoso  proprio per una serie di lezioni tenute alla Sorbonne di Parigi su di una analisi della Fenomenologia di Hegel:  ebbene lo ammetto all’epoca la mia integrazione di Hegel con Kojovè non fu per nulla espletata, mi limitai infatti a scoprire che  tali lezioni sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel  erano state tenute dal filosofo di origine russa 
tra il 1933 e il 1939, pubblicate solo nel 1948, col titolo di Introduction à la lecture de Hegel, a cura di R. Queneau, e avevano provocato un profondo scalpore nella cultura filosofica francese e anche lasciato una profonda impronta negli anni a venire dato che buona parte dell’intellettualità parigina – fra cui Lacan, Merleau-Ponty, Breton, Bataille e anche Benjamin, allora esule a Parigi – aveva frequentato con più o meno assiduità le lezioni di Kojève). Cogli esami di maturità classica oramai in dirittura d’arrivo ed un interesse incentrato piuttosto in Schopenauer e Nietzsche, la puntualizzazione su Kojeve ed Hegel era rimasta nelle intenzioni e solo la re-visione innescata dal libro di Ferrero su di una certa fetta di storia, assunta come paradigmatica della farsa e di tutte le menzogne che dal marzo del 2020 si erano fatte, loro si, pandemiche ed endemiche della ragione, avevano risollevato la questione postami dall’antico professore di filosofia . Una re-visione intesa anche come risposta enormemente differita nel tempo che appunto dopo oltre mezzo secolo imponeva una nuova presa di posizione. Diceva Jung che i gradienti non li scegliamo noi, sono loro che ci scelgono e potrei elencare non meno di un centinaio di questi gradienti esplosi improvvisamente e apparentemente senza alcun nesso logico che hanno contrassegnato molte mie acquisizioni non solo culturali: eventi a-casuali attribuiti all’emozione, al sentimento, a misteriosi impulsi che sempre attenendoci al solco Junghiano, rientra a tutto titolo in quell’accezione di Sincronicità arricchito dalla cooperazione con Pauli uno dei più geniali fisici quantistici del secolo. La cattività sociale della distopia del 2020, ha tra le altre cose riportato in auge quella disposizione di interesse verso il sociale e quindi anche la politica interrottasi nel 1964, certo un interesse tutto in negativo, diciamo “per disperazione” ed anche disgusto con l’emergere di squallidissimi personaggi, asserviti in toto al consumismo di forzata sanità e iper tecnologia, perseguito da pochi magnati, estremi rappresentanti di quell’Età del Bronzo bramosa di passare all’Età del ferro , ovvero l’epoca dei Servi al cui stato l’intera umanità dovrebbe soggiacere : i politici sono in prima fila di questa sub umanità desiderosa di compiacere i pochi padroni, seguita a ruota dalla classe dei medici fattasi interprete nello specifico appunto sanitario/farmaceutico, per comprendere anche tutta la gente dedita alla informazione e comunicazione anche a livello di spettacolo, che purtroppo va a comprendere anche molti intellettuali e artisti pronti ad ubbidire alla lettera al copione prefissato di un mondo come messa in scena , manierata e costretta ai dettami della menzogna e della falsificazione. La sincronicità che annovera un nuovo episodio in questo frangente di cattività (ovviamente per lo stato di oppressione indotto) riguarda quindi anche la filosofia : si precisano, anzi si intensificano le antipatie della giovinezza Platone, Aristotele, Cartesio, ma soprattutto Hegel e così come d’incanto torna in auge la indicazione del vecchio professore di precisare proprio l’odiosissimo Hegel alla luce dell’interpretazione di Kojevè sulla fenomenologia dello Spirito in riferimento alla Storia. L’errore o perlomeno la leggerezza di me diciottenne di non aver distinto tra Spirito e Fine, appena accennata dal famoso professore, tornava fuori oggi, oltre mezzo secolo dopo e con tutto il bagaglio di conoscenza acquisita in una contingenza di vera e propria distopia alla Orwell/Huxley e compagnia. Eccomi dunque , in questo finire dell’estate impegnato nella lettura proprio del saggio sulla fenomenologia di Hegel cui il professore mi aveva fatto cenno e che un mio caro amico mi aveva prontamente prodotto, per cercare di porre questo distinguo tra Spirito e Fine in relazione alla tematica storica. Troppo spesso mi ero abituato a considerare negativamente la filosofia di Hegel proprio da questa sorta di ossessione per la Morte di un qualcosa, a conclusione del suo processo dialettico: prima l’arte con la quale mi ero misurato negli anni di studio di architettura, fin quasi ad arrivare allo scherno, alla boutade “suvvia signorina “ fecevo nel mio periodo di assistente agli esami di Storia dell’architettura a qualche bella ragazza “lasciamo perdere lo stile dorico jonico o corinzio, mi parli piuttosto della morte dell’Arte in Hegel , o meglio del suo suicidio a favore de…..” domanda sospesa a cui pochissimi/e riuscivano a dare risposta; il passaggio successivo però quello che investiva la Storia in generale come Spirito e/o come Fine, si caricava in questi tempi così drammatici e cupi della nostra quotidianità (Parlo in questo novembre del 2021) molto ma molto più dirompente: anzitutto il famoso episodio dell’incontro Hegel – Napoleone dopo la battaglia di Jena : lo ammetto forse fu un tantino superficiale la mia opinione di un abbaglio del filosofo lasciatosi meramente convincere dalla gonfiatissima immagine del personaggio e non capace di guardare oltre le apparenze, e le mistificazioni di una politica e di un sociale addomesticati, insomma una sorta di ”notte nera delle vacche nere” espressione che non a caso fa da prefazione alla Fenomenologia dello Spirito che giustappunto Hegel usò e che quasi sembra ritorcerglisi contro Dedicandomi al testo originale delle lezioni degli anni trenta di Kojeve, bhe debbo ammettere che sono immediatamente rimasto colpito dalla originalissima e creativa interpretazione che egli fa del testo di Hegel concentrata soprattutto sulla famosa sezione di esso in cui si tratta della dialettica fra il servo e il signore. Anzitutto c’è da rimarcare come il termine di «fenomenologia» assume per Kojeve un significato ben più ampio e attuale di quello che ha nel testo hegeliano: egli sottolinea come il desiderio infinito, che caratterizza l’uomo e lo distingue dall’animale, non può essere soddisfatto che dal riconoscimento di un altro uomo; ma ciò non può che dar luogo a una lotta a morte, poiché solo affrontando il rischio della morte, uccidendo o venendo ucciso, l’uomo è veramente uomo. Morte, violenza sono dunque l’altra faccia della libertà dell’uomo, che deve esercitarle sia contro sé stesso, reprimendo autoritariamente la sua individualità e i suoi istinti, che nei confronti degli altri: solo la ferrea disciplina sociale, culminante nel lavoro forzato e nel Terrore può portare al completo soggiogamento della natura: come dire: ricostruendo la genesi del mondo storico e l’articolazione dello Spirito, Kojève riesce a metterne in evidenza alcuni nuclei roventi nelle figure del «Signore» e del «Servo» e il gioco fra queste e le nozioni di «Desiderio» e «Riconoscimento». Immensa è la carica eversiva di questi temi quali Kojève li fa emergere dal testo di Hegel, e quasi cogliere per la prima volta nella loro pienezza, così ha detto qualcuno dei molti studiosi del filosofo russo più che Hegel stesso, ha permesso l’affiorare in me di una sorta di revisione per interposta persona, soprattutto in merito a quell’istanza della “fine” o morte che forse un po’ troppo banalmente io avevo identificato con la parola “spirito” quasi a interpretazione del senso volgarizzato e folcloristico di tale parola che lo usa per fantasmi, folletti, revenant. Un esito a sorpresa di una sfida tra professore e allievo dilazionata per mezzo secolo e riattivatasi in un contesto sociale di contingenza che nella sua più totale irrazionalità contraddice vistosamente uno degli assiomi più perentori del filosofo giustappunto dello Spirito, quel “ciò che è reale e’ razionale e ciò che è razionale è reale” Ecco quindi che da una riesamina di Hegel attraverso Kojeve  in prima istanza  mi ha confermato quel pensiero  ferocemente avverso a certe aporie del concetto popperiano di Società Aperta identificandomi  con fierezza come uno dei suoi più acerrimi nemici, dei quali fa cenno il titolo del suo saggio più famoso “ “La Società aperta e i suoi nemici” e questo non solo in linea  teorica, ma anche pratico stante che uno dei più viscidi e subdoli allievi di Karl Popper, George Soros è senza dubbio uno di quei pochi magnati che ne ha innescato il suo inverarsi proprio nel momento presente.  L’irrazionale fa il suo ingresso nella storia proprio quando tali  pochi magnati, tipo Soros, Getes, Schwab o di lignaggio più arcaico Rotschild, Rockfeller con il supporto di   quella mentalità sinistrorsa che è solo la faccia nascosta di quella liberista bottegaia Il mito del connubio di socialismo e liberalismo (l’ho detto che queste due apparentemente antitetiche concezioni, sono in realtà le facce di una stessa medaglia ) è che una volta raggiunto  il pieno sviluppo delle forze produttive, tutte le disuguaglianze potranno essere tolte e, in un mondo in cui il lavoro è stato ormai completamente sostituito dalle macchine, gli uomini potranno tornare a una condizione preculturale, conducendo una vita pressoché animale: è la prospettiva della fine della storia, che in Hegel ha avuto probabilmente il suo primo  rappresentante. Ma il tempo storico non è però segnato soltanto, in termini marxiani, dall’escatologia del futuro, ma anche da quella finitudine che Heidegger ha indicato come propria dell’esistenza umana. È la storia stessa a essere invocata da un futuro che è fine nel duplice senso del termine: termine e compimento, conclusione e realizzazione. L’aspirazione del sistema hegeliano a cogliere il vero, cioè la totalità, diventa possibile solo quando il futuro si è estinto e la storia è giunta al suo termine. Nella rilettura che Kojève fa della Fenomenologia, la dialettica della storia si fonda sul desiderio di riconoscimento. Il desiderio è desiderio dell’altro,un po’ come l’inconscio di Lacan, che difatti come fatto cenno era un assiduo frequentatore delle lezioni di Kojevè , desiderio di ciò che l’altro desidera e insieme desiderio che l’altro ci desideri: «umano è desiderare quel che desiderano gli altri»” A questa dottrina della «fine della storia» il nome di Kojève resta legato. È Caillois che ricorda che, nella conferenza tenuta al Collegio di Sociologia nel 1937, Kojève si era soffermato su  quell’immagine di Hegel e Napoleone a Jena, che anche a me ha sempre colpito, lasciandomi però solo l’idea della spesso pronunciata  tendenza di cosidetti grandi geni di rimanere  suggestionati da cose di poco conto, palesemente  banali , quando non addirittura false, lo «spirito del mondo» a cavallo, “Dio che idiozia ! un presuntuoso arruffone, quasi totalmente gonfiato nelle sue azioni militari , preso a simbolo dello Spirito della Storia, un’altra piece di idiozia per il filosofo di questo Spirito, come le vacche nere, come il reale e razionale, come l’astuzia della ragione e altre balle del genere. Già ma è proprio con Kojeve e quindi con finalmente  l’attuarsi di una sfida lanciata oltre mezzo secolo prima che sono stato costretto ad approfondire significato e soprattutto significante di quella parola “Spirito”: La battaglia di Jena segna per Hegel una sorta di trionfo degli ideali della Rivoluzione francese, preludio dell’imminente formazione dello «Stato universale e omogeneo» prima ancora che Marx venisse ovviamente percorrendo il solco della dialettica Hegeliana, desse consistenza scientifica (cosidetta scientifica)  all’emancipazione delle masse a livello globale e di assoluta necessità. Se difatti  la Storia è la progressiva soddisfazione del desiderio di riconoscimento, quando l’intera umanità sarà riunita sotto uno Stato garante dei principi di legalità e libertà non resterà altro che rendere universale tale  assioma ovvero dare pratica concretezza ad una concezione unitaria di tutti i popoli, contrassegnato dal diffondersi globalizzato delle norme giuridiche e dall’omologazione degli stili di vita, ridotti ad uno standard che può essere inteso sia come dittatura del proletariato,  sia anche come  “american way of life  ovvero uno standard che è comune sia al comunismo che al liberismo cioè al capitalismo consumista , disvelando una sorta di omonomia . Una  «storia degli effetti»  quella suggerita da Kojève Attraverso Hegel  che approda al fin troppo discusso La fine della storia e l’ultimo uomo di Francis Fukuyama (Rizzoli, 1992). Una prospettiva che certo Kojève avrebbe guardato con il distacco del Saggio a cui non resta che giocare con le sorti del mondo: anch’egli sdoppiato, come i protagonisti de I fiori blu di Queneau, fra il duca d’Auge, in cerca dell’azione fra i rimasugli della storia, e Cidrolin che, disteso sulla sua chiatta immobile sulla Senna, vive la «domenica della vita» e osserva il passato con l’occhio di un turista disincantato. Il concetto di «allineare le province», estendere cioè i principi dello Stato liberale o comunista che sia, questo perché l’obiettivo della lotta per il riconoscimento è raggiungere un equilibrio fra morte e vita. Equilibrio inquieto, che si realizza con la formazione delle due figure di signore e servo. Il primo è la coscienza disposta a rischiare la propria vita. Il secondo, avvinto dalla paura per la morte, cede la propria libertà, rifiuta di mettere a repentaglio la propria via, abbandona il proprio desiderio di desiderare, accetta di cedere al signore, riconoscendogli il titolo, o il diritto, di pretendere il soddisfacimento dei propri bisogni pur di riuscire a soddisfare minimamente i propri di bisogni. Detto altrimenti, allo stato nascente, l’uomo non è mai semplicemente uomo. Sempre, necessariamente ed essenzialmente, egli è o Signore o Servo. Se la realtà umana non può generarsi se non come realtà sociale, la società non è umana – almeno alla sua origine – se non a condizione di implicare un elemento di Signoria e un elemento di Servitù, esistenze “autonome” ed esistenze “dipendenti” Quest’equilibro inquieto che è la lotta per il riconoscimento è, secondo Kojève, il motore della storia. Il desiderio di poter desiderare e il desiderio di farsi desiderare innescano e contraddistinguono il rapporto sociale.. Se non c’è desiderio non c’è azione; se non c’è azione non c’è rapporto sociale; senza scelte diverse e asimmetriche da parte delle due autocoscienze implicate non c’è conflitto. Questo conflitto è alla base della nascita della storia umana. Rinunciando a rischiare la propria vita, il servo vota la sua esistenza alle dipendenze di un signore perché accetta di accontentarsi del soddisfacimento dei propri bisogni primari; accetta di barattare, per così dire, la propria libertà con la propria sopravvivenza. Al contempo, il signore, per conservare la sua autonomia, non può uccidere l’esistenza che gli si è volontariamente asservita, ma facendo leva sulla paura della morte, induce e costringe il servo a lavorare. Il lavoro nasce perciò da un atto di violenza perpetrato dal signore sul servo e consente al primo di mantenere costantemente vivo il mezzo attraverso cui avviene il suo riconoscimento. Tuttavia, – questo è il momento cruciale, che segna un punto a favore dell’interpretazione di Kojève – nel lavoro il servo non fa altro che agire sulla natura, trasformare l’oggetto naturale in un manufatto che gli consente di guadagnare l’appagamento dei propri bisogni primari, e di assicurargli quindi la vita animale. Trasformare la cosa naturale in prodotto di un lavoro significa però rendere umana la natura. Hegel afferma che la coscienza servile sopprime il suo attaccamento all’esistenza naturale in tutti i suoi elementi particolari e isolati, sino a eliminare mediante il lavoro quest’esistenza: E lavorando, il Servo diventa signore della Natura. Ora, egli è diventato il servo del Signore solo perché – all’inizio – era servo della Natura, visto che solidarizzava con essa e si subordinava alle sue leggi accettando l’istinto di conservazione. Liberando il Servo dalla Natura, il lavoro lo libera dunque anche da se stesso, dalla natura di Servo: lo libera dal Signore. Nel Mondo naturale, dato, bruto, il Servo è schiavo del Signore. Nel mondo tecnico, trasformato dal suo lavoro, egli regna – o, almeno, regnerà un giorno – da Signore assoluto. È questa Signoria che nasce dal lavoro, dalla trasformazione progressiva del mondo dato e dell’uomo dato in questo Mondo, sarà tutt’altra cosa dalla Signoria “immediata” del Signore. Dunque, l’avvenire e la Storia non appartengono al Signore guerriero che o muore o si mantiene indefinitamente nell’identità con se stesso, bensì al Servo lavoratore. Se l’angoscia della morte, incarnata per il Servo nella persona del Signore guerriero, è la condizione sine qua non del progresso storico, è unicamente il lavoro del Servo che lo realizza e lo perfeziona. Lo ammetto a tutte queste cose non avevo pensato e se non fosse stato per la distopia che  ci ha attanagliato in questa estrema vecchiezza di 73 anni, mai più ci sarei arrivato, dovermi anche misurare con un libraccio che ho sempre considerato immondo ovvero quel La società aperta e i suoi  nemici di Popper  che ho citato e ammettervi un qualche principio di effettivo riscontro, in particolare nel suo esplicarsi in pratica grazie al suo allievo Soros, mi inquieta al massimo grado e mi rimanda anche alle geremiade intellettuali di un Guenon e di un Evola, di un Mircea Eliade di un Drieu de la Rochelle.

Il punto è che Kojève, come aveva tra le righe indicato quel famoso mio antico professore,  tira fuori dalle sue elucubrazioni sulla fenomenologia dello Spirito di Hegel, un’epopea. Pensa alla lotta e al lavoro come princìpi-chiave che Hegel avrebbe estratto dalla vita per far nascere l’essere umano. La lotta e annessa vittoria del Signore la chiama antropogenesi. È l’inizio, il vero inizio della storia. Il resto è noto: il servo lavora, il signore comanda. Il servo prende confidenza con la realtà, il signore la perde. Il servo si appropria dei mezzi di produzione, impara infine a lottare e fa la rivoluzione. Stravince e fa lo Stato finale – Kojève lo chiama «universale e omogeneo», pensa a Napoleone e alla Rivoluzione Francese quando commenta Hegel, pensa a Stalin quando proietta sul contemporaneo. Pazienza per le purghe. L’obiettivo è lì, a portata di mano: cittadini tutti uguali, che si riconoscono e agiscono in base a un principio di equità. Fine della storia.

Ma conta anche quel che è stato in mezzo. Conta, prima e dopo il lavoro, la lotta. E qui Kojève vede Hegel sotto una lente strana, mai vista prima. Punta tutto sul Desiderio – mette sempre la maiuscola, un profluvio di maiuscole. Il desiderio del desiderio dell’altro: ecco il segreto, il motore della dialettica e della storia. Perché chi perde dimostra angoscia, dimostra mera animalità, attaccamento alla vita, non vi istituisce un rapporto negativo – vi aderisce e basta. Invece chi vince – chi ha l’Autorità,  è colui che ha dimostrato di non temere (non avere angoscia) la morte in battaglia, ma di volere impiantarsi nella mente altrui come un «valore» a sé: volere essere riconosciuti come valore autonomo. A generare l’autonomia, a generare l’uomo è una «lotta a morte di puro prestigio».

Kojève vede Hegel sotto lenti speciali, d’impianto recente: Marcel Mauss col suo Saggio sul dono, dove aveva fissato lo spreco come costante antropologica nella rivalità tra capi-tribù - Carl Schmitt, col suo amico-nemico – prelude però allo spettacolo  banale che più banale e pittoresco non si può quel Dr. NO  capo della Spectre contro cui si batte James Bond , visto come sorta di condensato di tutti i magnati che oggi si disputano l'arena del mondo

 Prelude, come fatto cenno, anche al deterioramento estremo, senza qualità di Popper  e il pragmatismo Sorioriano, riassume di getto tutte le produzioni fanta/distopiche dei vari Orwell, Huxley, Breadbury, Dick, Matheson e proprio come sequel dei film di James Bond sempre con un Dr.No interpretato da un nuovo sgradevolissimo interprete a tutta una serie di innumerevoli filmetti e serie televisive recentissime, Quella scena dell’incontro Hegel-Napoleone appare quindi emblematica di un confronto un crudo confronto bellico, dove sono in gioco dominio e obbedienza, minaccia e sottomissione. E questo, proprio questo, sarebbe specificamente politico, un politico asservito a pochi pochissimi, in una società oramai senza storia 

lunedì 1 novembre 2021

SUPER-TUTTO


 

L’attuale distopia mondiale che da oramai 20 mesi ci opprime ha prodotto nella gente tutta una serie di sconvolgimenti, che nel mio caso si sono appuntate su differenti modalità di conoscenza e comportamento. La prima più vistosa e permeante è quella di una sorta di “eterno ritorno”, con tanto di implicazioni più mitiche ed emozionali che storiche, alle idee, convinzioni e anche passioni della primissima giovinezza, quasi infanzia (14-17 anni) ovvero una visione filosofica di destra, estrema destra, reazionaria e aristocratica, a volte anche esoterica, che specie ora fattomi più grandicello(inverti quel 17 e aggiungici anni qualche altro anno : 71 + 2 ) e arricchita di più di uno specifico all’impostazione originaria (filosofia, psicoanalisi, calcolo infinitesimale, fisica quantistica, pragmatica comunicazionale) si compiace di una aggiunta del prefisso “super” ad ogni sua manifestazione : SUPER DESTRA quindi e non estrema o altra definizione (meno che mai fascista), ma proprio quel “super” tanto diffuso proprio negli specifici di mio maggior interesse e dedizione - il famoso Super-io della psicoanalisi da me arricchito da un contrastante Super-es, per chiudere lo schema della seconda topica freudiana quella di Al di là del principio del piacere fondata sulla scoperta della pulsione di morte, il Super attribuito alle stringhe in fisica quantistica, ipotizzate da Gabriele Veneziano nel 1968 e quindi la Super Simmetria che, qualche annetto più tardi, va a comporre la sconvolgente M-Theory (Susskind-Greene-Witten), per intenderci quella che pone l’affascinante ipotesi dei multi universi, quindi il Super uomo di Zarathustra , ovvero Nietzsche con Schopenauer da sempre uno dei filosofi da me prediletto, ancora il Super man del fumetto che però ai miei tempi era stato italianizzato in Nembo Kid (anni cinquanta) , le Super Nove della fisica astronomica, financo la benzina SuperCorteMaggiore, col suo cane a sei zampe che incanalava la mia scelta di rifornimento anche per via dell’associazione con un personaggio come Enrico Mattei da sempre uno degli uomini d’azione da me più stimati. Super destra di recupero quindi, recupero dopo tanti anni anche di quella istanza politica, che dopo la uccisione di Kennedy nel novembre 1963 e la sconfitta di Barry Goldwater nelle elezioni del novembre 1964 era stata negletta e aveva portato ad una pronunciatissima e diffusa indifferenza di tale istanza ( a mò della demondizzazione professata da Carl Gustav Jung) anche per non incorrere in quella sindrome di Mephisto esposta da Klaus Mann nel suo famoso romanzo che ha contaminato la quasi totalità della intellettualità e anche artisticità di tanti illustri esponenti in relazione ieri al Fascismo, Nazismo e regimi dittatoriali in genere, oggi, e c’è da dire con ancora maggiore diffusione e partecipazione, rispetto alla distopia in atto del potere economico e finanziario con l’avallo incondizionato di tutta la mentalità cosidetta di sinistra. Un’altra componente di scoperta indotta dall’attuale cattività è stata quella di una profondissima revisione di tutto il fenomeno della storia, intesa nel senso proprio di una storiografia, laddove galeotto e’ stato il ritrovamento di un vecchio libro che parlava della campagna d’Italia del 1796/97 del Generale Napoleone Buonaparte : un saggetto di uno storico molto poco conosciuto Guglielmo Ferrero che con dati alla mano e profonda conoscenza elencava dati e battaglie di quella campagna dove veniva fuori senza ombra di dubbio che tutte le strombazzate vittorie sul territorio italiano altro non erano state che dei veri e propri falsi, marchiani errori dell’inesperto generale che aveva avuto il comando dell’Armata solo per “meriti di letto” avendo sposato Josephine Beauharnais l’ingombrante amante del più influente membro del Direttorio Barras, errori tattici e strategici rimediati sul campo di battaglia solo dalla perizia dei suoi Generali sottoposti, ma molto più esperti, ovvero soprattutto Massena, ma anche Augereau e Serurier e sostenuti da un Piano studiato dal Direttorio gia’ dal 1795 e commissionato a uno stuolo di Generali, di cui Buonaparte faceva parte parte, ma che di certo se non avesse ottemperato ai desideri di Barras di togliergli dai piedi l’amante , mai più ne sarebbe stato incaricato di eseguire; piano si badi bene dal quale Napoleone non si discosterà in nessuna delle sue indicazioni (in questo Ferrero fornisce delle prove inconfutabili) cambiate solo da eventi inaspettati e spesso fortuiti, tipo la defezione e resa del Piemonte che in verità non aspettava altro che togliersi dall’alleanza con l’Austria o tipo la piena adesione di Napoleone alle teorie piuttosto rivoluzionarie di un ufficiale di qualche decennio prima Guibert che propugnava una guerra senza orpelli tipo magazzini, salmerie, artiglierie pesanti, improntata alla massima rapidità d’azione e soprattutto al principio di una guerra che si alimentava da se’ , ovvero rifornirsi tramite razzie, saccheggi, un po’ a somiglianza delle compagnie di ventura di trecento quattrocento anni addietro. Una teoria controcorrente alla concezione stanziale dei grandi eserciti del recente passato, quella per interderci del Principe Eugenio di Savoia ed anche di Federico il Grande, teoria di cui uno dei sottoposti dell’Armata d’Italia il Generale Serurier era uno dei maggiori esperti e in tal senso aveva catechizzato Napoleone, di cui, in questo bisogna convenirne, il giovane Generale fu un esecutore esemplare, come d’altronde la condotta delle operazioni soprattutto della seconda fase della campagna, dopo gli scontri sul Mincio e le proditorie violazioni di neutralità della Repubblica di Venezia e altri Statarelli, dimostrarono in maniera lampante .

Eh si ! lo devo ammettere:  il libro di Guglielmo Ferrero che si chiama “Avventura”  e che cominciai a rileggere con maggiore attenzione  nel giugno 2020, riportandone impressioni e una sorta di riassunto in parecchi articoli di questo Blog, è stato la primigenia occasione per una capillare ri-lettura di tutta una serie di letture volte ad una profonda ri-assunzione di originarie e archetipiche istanze culturali e direi  anche di vera e propria impostazione  ideologica e caratteriale.  Tale istanza unita a determinate peculiarità fisiche - il ritrovamento di una forma eccellente, il peso di 35 anni prima – a miglioramenti caratteriali, a acquisizione di recenti impostazioni teoriche di carattere scientifico e culturale tipo la teoria di Hamer, gli studi di calcolo infinitesimale e una vera e propria passione per la fisica quantistica, e quant’altro che faceva come da contrappasso alle distopia sociale dilagante , cominciato a prendere in seria  considerazione la tesi di un “vantaggio secondario” si da bilanciare in soggettiva quanto perduto in collettività

IL RISVEGLIO DELLA RAGIONE NEL FUTURO ANTERIORE

  Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero ...