martedì 28 dicembre 2021

DI NUOVO FERRERO... e SULLA PAURA

Originalissimo questo saggio di Guglielmo Ferrero e perfettamente in linea con lo sconvolgente del precedente saggio da me casualmente e fortunosamente ritrovato che perviene alla tesi che le rivoluzioni francesi furono due. La prima, quella del 1789 cercò di coniugare il principio di legittimità monarchico con le nuove aspirazioni di cambiamento sociale, la seconda, che culminò con la rivoluzione giacobina del 2 giugno 1793, si propose di abbattere violentemente la monarchia e di sostituire il principio monarchico con quello repubblicano. Due rivoluzioni di natura diversa, l'una creatrice, l'altra distruttrice si realizzarono contemporaneamente. Quella distruttrice offuscò e deviò le forze creative paralizzandole e annientandole: "Sta qui il segreto della Rivoluzione francese, la chiave di tutte le sue contraddizioni: la prima rivoluzione scrive Ferrero è nata dal movimento intellettuale del secolo XVIII; la seconda è figlia della Grande Paura" La paura, “anima dell’universo vivente”, è un pilastro portante della concezione di Guglielmo Ferrero della natura umana e della dimensione sociale e politica degli uomini e che oggi più che mai a proposito dell'attuale distopia ingenerata dalla farsa di una immotivata pandemia (un vero e proprio terrorismo sanitario)  Muovendo da una paura ancestrale l’uomo pre-logico perviene alla civiltà, una “scuola di coraggio” capace di dominare i terrori esistenziali e collettivi. Ma la vittoria della civiltà è precaria perché la paura storica, corposa e tangibile accompagna sottotraccia le vicende degli uomini e in certi momenti, come il 1789, si impadronisce delle folle, delle Corti e dei capipopolo e in quanto passione cieca dirige gli eventi in direzioni imprevedibili e contraddittorie. La paura, “il pazzo terrore”, assurge in Ferrero a funzione di vero motore della Rivoluzione francese: una interpretazione originale dell’Ottantanove, refrattaria a schemi precostituiti e di sorprendente attualità.
L’analisi di Ferrero è del tutto estranea a una lunga tradizione politica e accademica di studi soprattutto francesi del primo Novecento, che ha codificato un’idea della rivoluzione in quanto «rivoluzione borghese», che ancora oggi rappresenta l’immagine più o meno consapevolmente condivisa nel sapere comune. Rispetto a tale immagine, il saggio appare come un’incursione indiscreta e dissacrante nel cuore di una chiesa richiusa su se stessa, che evita accuratamente ogni contatto con il mondo esterno, e custodisce gelosamente gli inutili segreti di un magistero isterilito. Non a caso Furet, nella sua violenta polemica revisionista contro la «storiografia classica», allora impersonata dallo storico Albert Soboul, ha denunciato l’egemonia di un autentico «catechismo rivoluzionario». Secondo tale catechismo la rivoluzione è per definizione un evento di rottura radicale rispetto al passato, ma al tempo stesso di forte spinta e propulsione verso il futuro, nell’ambito di un cammino progressivo della storia. E la Rivoluzione francese, madre di tutte le altre rivoluzioni dell’Ottocento e del Novecento,è la «rivoluzione borghese»: negli stadi successivi di una società che progredisce costantemente verso forme più evolute di civiltà, la rivoluzione rappresenta il salto decisivo dall’antico regime delle monarchie assolute alle moderne democrazie parlamentari fondate sulla sovranità dei  popoli.
Questa idea sostanzialmente positiva della rivoluzione si inscrive nell’ambito di una teologia economicista della storia che vede come ineluttabile un certo sviluppo delle forze economiche e sociali, ad esempio dal più arretrato modo feudale di produzione al più evoluto modo capitalistico, a cui viene subordinata tutta la dinamica politica. In questa prospettiva la rivoluzione adempie la funzione di riassestare i rapporti di forza tra le classi, soprattutto della nobiltà in decadenza rispetto alla emergente borghesia, in armonia con le nuove realtà economiche. Si ristabilisce così quel giusto equilibrio tra società e politica che è nell’ordine delle cose e nella logica determinista dello sviluppo progressivo della «ricchezza delle nazioni». Questa concezione della storia, che si inserisce in una linea di pensiero che da Turgot e Condorcet, attraverso Sieyès e Barnave, porta direttamente a Guizot e a Marx, viene ripresa da Jean Jaurès nella sua Histoire socialiste de la Révolution francaise del primo Novecento, che fa della Rivoluzione francese il modello esemplare della «rivoluzione borghese». Da allora, la cosiddetta « storiografia classica» di Albert Mathiez, di Georges Lefebvre, di Ernest Laborusse e di Albert Soboul, diretti eredi della lezione metodologica e ideologica di Jaurès, ha perpetuato e imposto accademicamente questa immagine dogmatica della rivoluzione, che è stata solo in parte scalfita dalla «revisione » di Alfred Cobban, di R. R. Palmer e di F r a n c is Furet degli anni Cinquanta e Sessanta. In realtà, la revisione, al di là di efficaci demolizioni di singoli aspetti della tesi classica,non ha saputo proporre alcun discorso generale sulla rivoluzione e, in mancanza di una nuova valida alternativa, si è continuato a utilizzare i vecchi quadri concettuali. Tuttavia, dietro i concetti tradizionali non vi era più la sostanza di un discorso politicamente pregnante. Non c ’era più quell’idea« forte » di rivoluzione che alimentava e giustificava il « sistema» di Jaurès nell’ambito di una filosofia della storia. Si è creata, così una situazione di impotenza e di sterilità della storiografia, che è il riflesso diretto di una confusione politica e ideologica sul concetto di rivoluzione. 
 Alla Rivoluzione francese si è fin troppo guardatocome all’origine e al modello esemplare di un’esperienzastorica e politica, che il socialista Jaurès aveva vissuto coniugando insieme materialismo e idealismo, rivoluzione e riforme,socialismo e democrazia, e che, nell’Italia del dopoguerra, la sinistra costituzionalista e repubblicana formatasi nella Resistenza, viveva come impegno alla costruzione di unanuova democrazia. Perciò, comunque si interpretasse la Rivoluzione francese, alla Mathiez, esaltando e glorificando il giacobinismo del 1793 in quanto primo archetipo del bolscevismo, o alla Aulard, ponendo l’accento sul 1789 e ritrovando la lezione di  democrazia borghese parlamentare, vi era un accordo generale sull’evoluzione storica di cui tale rivoluzione  era stata l ’inizio e il propulsore: con la distruzionedell’antico regime si erano poste le basi della società contemporanea, laica e progressista, caratterizzata dalla democrazia politica e dall’inarrestabile sviluppo del capitalismo. In questa temperie culturale gli europei antifascisti e democratici erano tutti figli della Rivoluzione francese. Ma da quell’epoca tutto è cambiato. Gli anni della guerra fredda e la lacerazione dell’Occidente nei due blocchi contrapposti del comunismo e dell’anticomunismo, insieme alla crisi dello stalinismo e alla denuncia delle sue gravi responsabilità storiche, per citare soltanto due dei tanti avvenimenti che hanno  completamente mutato e sconvolto i quadri concettuali della opinione corrente, hanno bruscamente spezzato e definitivamente precluso l’unanimità di una valutazione comunque positiva della rivoluzione. La reazione degli storici della «storiografia classica» è stata di pura conservazione accademica e di repressione indiscriminata: chiunque deviasse dal credo del materialismo storico e della centralità nella storia della lotta di classe non era degno della qualifica di storico e di studioso. Così facendo, non solo hanno isterilito e sclerotizzato il loro stesso mestiere di storici, ma hanno monopolizzato il campo della ricerca, togliendo ad altri lo spazio e la possibilità, anche psicologica, di un ripensamento del problema della rivoluzione, che fosse più significativo e adeguato al mutare dei tempi. Era facile essere bollati di reazionarismo, se solo si cercava di suggerire che, non sempre e necessariamente, l’immagine della rivoluzione dovesse essere così positiva.  Non era ancora consentito di chiedersi come mai la grande madre di tutte le rivoluzioni avesse partorito il cesarismo bonapartista e le dittature del proletariato del ventesimo secolo apparentemente così lontane dai valori della democrazia del 1789.
 Abbiamo avuto così, nel 1952, il saggio Le origini della democrazia totalitaria di JacobTalmon, che a torto è stato considerato soltanto come un pamphlet di propaganda anticomunista e il saggio sulla rivoluzione di Hannah Arendt del 1963, che alla riuscita della rivoluzione americana contrappone il fallimento delle altre rivoluzioni moderne, quella francese e quella russa, involutesi entrambe in forme di dispotismo.
Non casualmente, questi studi hanno in comune il fatto di essere estranei alla cultura e accademia francese degli storici della Sorbona e di rivendicare la centralità della politica come
necessario punto di partenza nell’interpretazione della rivoluzione.
Ci voleva, in effetti, per innovare veramente e rompere le resistenze di una tradizione consolidata, un intervento esterno. Esterno alla retorica patriottica e nazionalista francese che alimenta il mito della sua rivoluzione, ed esterno alla comunità scientifica che di tale tradizione è il custode intransigente. A tutto ciò è del tutto estraneo, mentre si
inserisce bene nel contesto di un discorso neoliberale, il libro Le due rivoluzioni di Guglielmo Ferrero, che, tra l’altro, nella sua demolizione del mito napoleonico richiama direttamente
la lezione di Lo spirito di conquista e d ’usurpazione di Benjamin Constant. Il suo approccio alla storia è quello di un sociologo della politica che nella storia cerca la verifica di un sistema di categorie.  E' un sistema molto semplice basato sul concetto di legittimità del potere che Ferrero aveva già collaudato nell’ambito della storia romana, dove, esaminando « la rovina della civiltà antica», ne aveva individuato la causa nell’incapacità di conciliare due principi d’autorità tra loro antagonisti: « Il principio monarchico che aveva avuto un grande sviluppo in Oriente... e il principio repubblicano che si era sviluppato in Europa, soprattutto in Grecia e in Italia, nelle istituzioni della città antica Questo antagonismo aveva trovato una temporanea conciliazione nella figura dell’imperator, ma era sempre stata difettosa perché non era riuscita a definire il principio costituzionale donde doveva uscire l’autorità suprema di quella monarchia repubblicana, questo principio non essendo né l’eredità, come nelle monarchie, né una regolare elezione... come nelle repubbliche... Da questo nacque il gran tumulto di rivoluzioni e di guerre che... ha tutto distrutto». E , conclude Ferrero « in fondo a questa
immensa crisi storica, troviamo dunque la lotta di due princìpi opposti, che invece di conciliarsi, come si vorrebbe, finiscono per distruggersi...».
Sono già delineate la sociologia politica e la concezione della storia che ne deriva in quest’opera del 1926 dove Ferrero, con la sua tipica audacia comparativista, stabilisce un
diretto parallelo tra la decadenza dell’impero romano nel III secolo e la crisi dell’Europa del ventesimo secolo. In ambedue i casi l’idea della «decadenza» non è legata a un regresso,
ma anzi a una crisi di sviluppo, particolarmente sentita nella società contemporanea: qui, di fronte al crollo dei vecchi princìpi monarchici di autorità, la civiltà europea rivela la sua incapacità di costituire un nuovo ordine politico basatosul principio democratico, subendo le conseguenze negative dell’essere diventata una «civiltà quantitativa». In effetti, una «civiltà quantitativa» non può, per definizione, essere «una vera forma di civiltà», ma solo «una transizione tumultuosa, una parentesi più o meno lunga», nell’ambito della storia di una «civiltà che non può essere che qualitativa» .
A questa «formula politica»,  manca soltanto un’altra componente, quella della paura umana nei confronti della morte, che, come viene spiegato è la sua passione fondamentale, il «contraltare della passione di vivere», che impegna la maggior parte della sua energia in
una «lotta contro il tempo e contro la morte ». Dalla dolorosa consapevolezza di questa paura, non come paura della natura, ma come paura che l’uomo fa a se stesso in quanto da sé, nasce l’esigenza delle prime forme di civiltà e disistemi di potere ad esse corrispondenti: sono tentativi di creare una situazione di stabilità che neutralizzi la paura.
Così, osserva Ferrerò, « il Potere», fin dal suo nascere, « è la manifestazione suprema della paura che l’uomo fa a se stesso, malgrado gli sforzi per liberarsene. E questo forse il segreto
più profondo e più oscuro della storia.
In questo segreto è riassumibile tutta la storia della civiltà, che è la storia di un potere collettivo, creato per esorcizzare la paura, e organizzato nella forma di uno Stato che « è
uno solo e sempre e dappertutto lo stesso: dei capi che comandano e che giudicano, dei soldati e dei poliziotti che impongono con la forza la volontà e le sentenze dei capi, la massa che spontaneamente e forzatamente obbedisce »Ma perché questo sistema funzioni, e non accada che la paura si riproduca e si moltiplichi, nella forma della «paura del Potere... a cui i soggetti sono sottoposti», e della paurache « il Potere ha... dei soggetti a cui comanda», occorre che tale Potere abbia il requisito della «legittimità». Infatti, il potere di un governo non è riducibile al fatto di «una piccola minoranza ben organizzata che riesce a imporsi a una
maggioranza non organizzata», è anche questo in relazione a quella che è stata definita la sua «effettività » . Ma è qualche cosa di più, e consiste nel «principio di legittimità», cioè nel principio che costituisce la giustificazione del potere, e stabilisce « a chi spetta il diritto di comandare e a chi il dovere di obbedire». Esso, puntualizza Ferrero, «non è necessariamente
razionale, anzi è spesso e volentieri assurdo e irrazionale. Tale è, ad esempio, il principio dell’ereditarietà. Quale garanzia abbiamo, infatti, che colui che ne è il beneficiario avrà le qualità che si richiedono per l’esercizio del potere? Ma una volta che sia stato accettato, il principio di legittimità diventa una cosa seria, addirittura sacra. Bisogna applicarlo lealmente e
accettarne gli inconvenienti, se non si vuole gettare la società nel caos più spaventoso». È questa la ragione per cui Ferrero chiama «geni invisibili della città » i princìpi di legittimità
e li definisce come passioni « di origine mistica, di cui l’intelletto non può rendere ragione» Si tratta di «reggitori invisibili del nostro destino», che «non sono come gli esseri viventi visibili e tangibili», ma ricordano piuttosto «quelle essenze intermedie fra le divinità e gli uomini che i
romani chiamavano “ geni” »  Ed è solo in virtù della vigilanza di tali geni che il Potere riesce a imporsi come legittimo, liberando se stesso « e i suoi soggetti dalle reciproche paure», e «sostituendo sempre più nei loro rapporti il consenso alla coercizione» E la fine di un potere legittimo è sempre una catastrofe che fa di colpo ricadere gli uomini nella barbarie e nella paura. E questo il dramma dell’antico regime, il cui «genio » tradizionale, vale a dire il «principio di legittimità aristocratico monarchico», non corrisponde più allo spirito dei tempi, cioè ai nuovi costumi, abitudini e interessi, mentre comincia invece a farsi luce « l ’idea che il Potere abbia bisogno della sanzione del popolo per essere legittimo». Inizia così quel «contrasto tra il principio della legittimità aristo-monarchica che invecchiava e il principio democratico che lentamente si irrobustiva», il cui esito è la Rivoluzione francese, o meglio le due rivoluzioni in contraddizione tra di loro: la prima, quella del 1789, che nasce dal movimento dei lumi e tenta, senza riuscirci, di fondarsi come nuovo potere legittimo della sovranità del popolo; la seconda, definita da Ferrero come « la rivoluzione del 1799 e del Diciotto Brumaio», ma in realtà iniziata fin dal «colpo di forza del 2 giugno» del 1793, che, «figlia della Grande Paura», ha generato « il primo governo totalitario dell’Europa"
 Nell’opera Le due rivoluzioni si cerca di dimostrare lavocazione irrimediabilmente totalitaria della rivoluzione in quanto tale, che, proprio in quanto nasce dalla distruzione
della legittimità esistente, è destinata a produrre «un risultato esattamente opposto a quello che ci si attendeva», cioè la dittatura di una minoranza sempre più esigua il cui potere si fa progressivamente più illegittimo, diventando ogni giorno più violento e meno fondato sul consenso popolare.
 La legge non esiste più e la sua latitanza scatena quel movimento di panico e terrore collettivo che ha coinvolto tutti i francesi indistintamente, dai contadini alla nobiltà, e che è stata chiamata la «Grande Paura». Con la scomparsa della legalità monarchica e con la grande paura il destino della rivoluzione è irrimediabilmente segnato: il suo governo cercherà di costituirsi come una autentica democrazia, che vuole creare un potere legale basato sulla indiscutibile volontà sovrana del popolo, il cui ampio consenso è garantito dal leale e solidale
confronto di una maggioranza al potere e di una minoranza all’opposizione. E questo, per Ferrero, il corretto funzionamento di una «democrazia legittima», dove «Potere e opposizione
sono... gli organi solidali dell’unica volontà collettiva, ma si scontra invece con la resistenza e riluttanza del popolo stesso all’esercizio effettivo della sua sovranità, e con l’impossibilità politica di una sua attuazione, dato che, come sostiene Ferrero, «se si fosse applicato lealmente il meccanismo della maggioranza e della minoranza, il principio aristocratico
e monarchico avrebbe trionfato». E' così che  i rivoluzionari, travolti e dominati dalla paura e dall’insicurezza, si avviano fin d’ora a creare invece un «governo rivoluzionario», illegittimo
per definizione, il cui «potere viene attribuito ed esercitato secondo regole nuove, poco precise, imposte da una minoranza, il più delle volte con la forza, a una maggioranza che non vuole affatto saperne». E un governo che, osserva Ferrero, diventa «rivoluzionario per la forza delle cose», in una situazione storica in cui la «rottura della legalità precedente» e la costituzione di un «potere illegittimo», insieme allo «stato di paura generale» che ne consegue e che coinvolge sia chi deve obbedire che chi deve comandare, rendono inevitabili l’impiego e l’abuso della forza. Allora «il potere non riconosce più alcun limite alla sua forza e diventa assoluto». È questa la realtà di tutte le rivoluzioni, che finiscono sempre coll’essere coinvolte in quello che Ferrero chiama un «cerchio infernale», della «paura che provoca
gli abusi della forza», e degli «abusi della forza che esasperano la paura». E evidente il richiamo a «cerchi infernali» del nostro presente che pone una sorta  di assioma sulla rivoluzione che sempre e comunque comporta lo stesso esito fallimentare

lunedì 27 dicembre 2021

IL FASCINO DEI MULTIUNIVERSI STRINGATI

 

Eh si! lo ammetto la teoria dei multi mondi o addirittura degli Universi paralleli è la più entusiasmante delle possibilità della fisica quantistica che ho sempre sognato : altro che i raggi X, il transistor, i microchips, i circuiti integrati, il silicio e andando ancora più indietro la stessa bomba atomica di Hiroschima, questi sono semmai sono i fattori che mi porterebbero ad un vero e propria repulsione in una generale negativissima accezione del moderno. Nel precedente articolo ho tributato la mia riconoscenza a Stephen Hakwing che di tale teoria ne ha dato l’ultima ipotesi, sulla base di precisi calcoli matematici non a caso basati sul calcolo infinitesimale con numeri complessi e non solo reali e immaginari, ma anche simbolici, ovvero con quel tantino di irrazionale, che hanno dato come una sintesi delle più stimolanti ipotesi della fisica quantistica , dalla teoria della relatività di Einstein alla equazione d’onda di Schrodinger e alle varie formulazioni su tale scia dei più stimolanti fisici quantistici da Dirac, De Broglie, Feynman; Veneziano, Grheene,Susskind, fino al primo modello vero e proprio dell’argomento che si deve al fisico Hugh Everett alla fine degli anni cinquanta con successiva ratifica e l’ufficiale denominazione di “interpretazione a molti mondi” di Bruce De Witt. Secondo tale modello teoria di questi due studiosi conosciuta anche come Teoria Everett-De Witt, appena si osserva qualcosa il suo aspetto si scompone in un numero infinito di possibilità, ciascuna delle quali si manifesta simultaneamente in un arco di tempo identico ma in Universi differenti : in merito alla questione dell’origine dell’Universo, il famoso Big Bang, secondo tale teoria non ci sarebbe stato un solo Big Bang, ma altri ne sarebbero occorsi in numero infinito, dando vita ad altri Universi la cui esistenza è generata dal fatto che l’osservatore che fa l’esperimento diventa giocoforza parte dell’esperimento e quindi ogni universo rappresenta un aspetto specifico della relazione osservatore/osservato. Secondo Everett e De Witt ogni universo si divide in una serie di nuovi universi, quando viene effettuata una misurazione quantistica ed è proprio dall’interazione tra questi mondi, soprattutto repulsiva, che nascerebbero i fenomeni quantistici”. “In un panorama di multi universi praticamente infinita ogni volta che facciamo una scelta si realizzano anche le altre, perché i nostri doppi negli universi paralleli le compiono tutte”. Una idea stimolante e affascinante che richiama un po’ tutti i pensatori citati e il meccanismo della simmetria che ingenerebbe ogni esperienza, a somiglianza del funzionamento dell'inconscio (ad esempio come postulato da Mattè Blanco nel suo inconscio come insiemi infiniti ) e evidenziato in special modo da quell’integrale sui cammini di Richard Feynman, che appunto analizzava le probabilità che stante gli infiniti percorsi ogni possibile alternativa abbia l’opportunità di realizzarsi. Quello che viene soprattutto ripreso è quel concetto di collasso dell’equazione d’onda , difatti noi con la nostra osservazione in ogni qualsiasi momento facciamo collassare tutti gli altri universi cui la credenza che ce ne sia una sola li esclude; insomma ogni decisione che ciascuno di noi prende in questo universo ne creerebbe automaticamente degli altri. Ma come provare queste teorie e legarle a fenomeni fisici osservabili? Secondo Lisa Randall, prima donna a ottenere la cattedra di Fisica teorica alla Harvard University, una possibile strada è il legame con le ricerche sulla natura della forza di gravità. In base ai suoi studi, tra i più citati degli ultimi anni, gli altri universi, vicinissimi al nostro anche se invisibili, sarebbero immersi in uno spazio a più dimensioni, come un arcipelago di isole sparse nell’oceano. Su uno di questi isolotti sarebbero concentrate le particelle che trasportano, come fanno i fotoni con la luce, la forza di gravità. Si chiamano gravitoni e sarebbero gli unici in grado di saltare da un universo all’altro. Ma solo alcuni riuscirebbero a “visitare” il nostro universo. Ecco perché la forza di gravità ci appare così debole, poiché diluita su più universi, che la assorbono come una spugna. Come mai la forza di gravità è così debole in confronto alle altre forze fondamentali della natura ? Un piccolo magnete, infatti, può attirare una graffetta, nonostante la Terra nella sua interezza eserciti su di essa la propria attrazione gravitazionale”. Il battesimo sperimentale a queste ricerche teoriche potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno, al Cern di Ginevra, con la riaccensione alla sua massima energia di Lhc, l’acceleratore di particelle più potente del mondo. Questa macchina, una pista magnetica di 27 chilometri capace di sondare la struttura più intima della materia, potrebbe essere in grado di vedere i gravitoni, fino ad ora mai osservati direttamente. “Con Lhc potremmo trovare particelle o flussi che non esistono più dai tempi del Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa – sottolinea la Randall -. Tra loro potrebbero essercene alcune che vivono solo su altre dimensioni, o persino su altri universi. La loro osservazione, quindi, sarebbe una prova importante dell’esistenza di altri mondi”. Queste particelle, infatti, lascerebbero una sorta d’impronta gravitazionale sul nostro universo. Come un’ombra che si allunga su un muro in un giorno assolato,come spesso accade nella scienza, gli studiosi vivono e si muovono ai bordi della conoscenza. “Non sappiamo come questi studi cambieranno la nostra percezione del mondo – afferma Randall -. Sapere cosa cercare è spesso difficile, ma questo non deve scoraggiare. Ciò che ancora non si conosce deve servire da stimolo per porsi nuovi interrogativi. È questo – conclude la scienziata di Harvard – che rende la scienza accattivante”. Di tutti gli studiosi e teorie citate, la teoria che maggiormente si presta a far viaggiare sull'onda del desiderio è senza dubbio quella delle stringhe e meglio quella delle Superstringhe così come determinate non più da una semplice simmetria, che potrebbe dar adito ad appunto ad un lasciarci cullare dalle sue possibilità, ma da una Super simmetria.
In un articolo pubblicato nel «Journal of High Energy Physics», il defunto Stephen Hawking e Thomas Hertog dalla KU Leuven hanno presentato un modello che riduce il multiverso sconfinato a una gamma più gestibile di possibili universi. L’articolo è stato inviato per la pubblicazione pochi giorni prima della morte di Hawking a marzo. Il nuovo modello parla di un concetto chiamato inflazione eterna. Secondo la teoria dell’inflazione eterna, per una frazione di secondo dopo il Big Bang, lo spaziotempo deve aver subito un’espansione a una velocità enorme. Si ritiene che una volta iniziata, questa rapida espansione – chiamata inflazione – vada avanti per sempre. Ma in alcune regioni l’inflazione si blocca, formando locali universi tascabili con stelle e galassie. Secondo questa teoria, ogni cosa nel nostro universo osservabile è contenuta all’interno di una di queste tasche. Nel loro articolo, gli autori suggeriscono che il modello attuale dell’inflazione eterna del Big Bang sia sbagliato. Questo accade perché esso basa l’evoluzione dell’universo esistente sulla teoria della relatività generale di Einstein, che collassa al Big Bang. «Prevediamo che il nostro universo, sulle scale più grandi, sia ragionevolmente tranquillo e globalmente finito. Quindi non è una struttura frattale», ha affermato Hawking in una intervista con l’Università di Cambridge l’anno scorso. Hawking e Hertog hanno usato la teoria delle stringhe come base per il loro nuovo modello. Il loro approccio all’inflazione eterna ruota attorno a un principio della teoria delle stringhe chiamato principio olografico. In base a questo principio, la realtà fisica che percepiamo in tre dimensioni può essere scritta su una superficie bidimensionale, come un ologramma. I ricercatori hanno sviluppato una variante del principio olografico per proiettare la dimensione del tempo in inflazione eterna. Questo approccio ha consentito loro di descrivere l’inflazione eterna senza utilizzare la relatività generale. Essi l’hanno invece ridotta matematicamente a uno stato senza tempo su una superficie spaziale all’inizio del tempo. La loro nuova teoria implica una struttura globale molto più gestibile dell’universo, in cui le regioni possono differire tra loro, ma nulla in confronto a quanto avveniva nella vecchia teoria del multiverso, «Ritengo che il punto fondamentale riguardo al nostro modello non sia tanto che le superfici con densità costante nell’universo siano finite, quanto piuttosto che la variazione nel multiverso sia limitata. In altre parole, che la gamma di differenti universi tascabili sia molto più piccola
Nell'ambito della teoria delle superstringhe, troviamo un quarto tipo di multiverso, le membrane. Secondo la teoria delle stringhe, la materia è composta da minuscole corde vibranti in uno spazio di 11 dimensioni (10+1), 7 in più dello spazio 3 D a noi noto (più la dimensione temporale). Le stringhe potrebbero essere aggregate a membrane 3 D (o più) immerse in uno spazio molto più ampio (iperspazio): ogni membrana è un universo distinto. Alcuni ritengono che il Big Bang all'origine del nostro universo sia stato causato da uno scontro tra due o più membrane. Secondo la teoria delle Superstringhe , le ipotesi di natura corpuscolare e ondulatoria della materia non sono alternative. A livello microscopico, la materia appare composta da particelle, in realtà aggregati di cariche energetiche. Ad una dimensione di analisi crescente, queste particelle si presentano composte da energia. Il costituente primo della materia sono stringhe di energia che vibrano ad una determinata determinatta frequenza o lunghezza d'onda caratteristica, e che si aggregano a formare particelle. Gli infiniti universi paralleli potrebbero coesistere nello stesso continuum di dimensioni, vibrando a frequenze differenti. Il numero di dimensioni necessarie è indipendente dal numero di universi, ed è quello richiesto per definire una stringa (al momento 11 dimensioni). Questi universi potrebbero estendersi da un minimo di 4 a tutte le dimensioni in cui è definibile una stringa. Se occupano 4 dimensioni, queste sono il continuo spazio-temporale: nel nostro spazio-tempo, coesisterebbero un numero infinito o meno di universi paralleli di stringhe, che vibrano entro un range di lunghezze d'onda/frequenze caratteristico per ogni universo. Coesistendo nelle stesse nostre 4 dimensioni, tali universi sarebbero soggetti a leggi con significato fisico analogo a quelle del nostro universo. La novità di questa teoria è che gli infiniti universi non vivono in dimensioni parallele, e non necessitano di postulare l'esistenza di più di 4 dimensioni di spazio-tempo. Ciò che consente di definire una pluralità di universi indipendenti non è un gruppo di 4 o più dimensioni per ogni universo, ma l'intervallo di lunghezze d'onda caratteristico. L'intervallo teorico di frequenze/lunghezze d'onda per le vibrazioni di una stringa determina anche il numero finito/infinito di universi paralleli definibili. Dobbiamo immaginarci una superstringa come una corda di pianoforte o di chitarra, compatta, che rappresenta la componente primordiale dell'universo invece della classica particella di materia. La superstringa tuttavia deve sottostare alle leggi della fisica quantistica, il che significa che anche per lei deve esistere una indeterminatezza, come si afferma nel principio di Heisenberg. Per la superstringa questo significa vibrare perennemente, come se qualcuno avesse pizzicato la corda. Una simile vibrazione non ha una sola possibilità, ma tutta una serie di frequenze armoniche. Dai calcoli dei fisici è emerso che per ciascuna di queste diverse frequenze armoniche risulta esattamente una delle particelle elementari oggi note, per esempio un elettrone, un quark, un fotone, un neutrino ecc. I fisici si sono sorpresi quando una di queste frequenze ha portato ad una particella di cui nessuno prima era mai riuscito a dimostrarne l'esistenza, il gravitone: l'ipotetico trasmettitore della forza gravitazionale.Quella delle superstringhe è quindi la prima teoria che non solo non è in contrasto con la gravitazione, ma che addirittura la presuppone. Tutto risolto, quindi? Nient'affatto. Per almeno due motivi. I fisici teorici riescono a descrivere solo con equazioni approssimate l'universo delle stringhe. E inoltre nel corso degli anni sbocciano una, due, cinque diverse teorie di stringa: troppe per poter parlare di "teoria ultima". La seconda svolta avviene nel 1995, quando l'americano Ed Witten, in forze a quell'Istituto di Studi Avanzati di Princeton ove Albert Einstein spese oltre venti anni a cercare la "teoria del tutto", dimostra che le cinque teorie di stringa e un'altra teoria, quella della gravità quantistica, sono espressioni diverse di una medesima e più fondamentale teoria soggiacente: la teoria che egli battezza "M-6".
Secondo Witten la "M" può significare "Magia, Mistero o Matrice, a seconda dei gusti". L'universo di M-6 ha undici dimensioni, dieci spaziali e una temporale, e in esso vibrano non solo corde unidimensionali, ma anche membrane o "brane" a due, a tre e a più dimensioni. L'universo elegante di M-6 è una sinfonia suonata da un'orchestra a infinite dimensioni. È dunque l'armonia di M-6 la teoria finale? Viviamo davvero in un universo pitagorico? No. O almeno, è ancora presto per dirlo. M-6 indica che forse i fisici hanno imbroccato la strada giusta verso la teoria in grado di fornirci una visione unitaria e coerente del mondo. Ma si tratta di una strada lunga e ancora tutta da percorrere. Le equazioni di M-6 sono ancora tutte equazioni approssimative. E, soprattutto, M-6 è un'elegante costruzione matematica che non fa ancora previsioni verificabili sperimentalmente.

venerdì 24 dicembre 2021

UNIVERSI SIMMETRICI E/O PARALLELI!?

 

Sulla scia o meglio sul flusso di tutte le riflessioni fatte negli ultimi articoli del Blog, comincia ad essere legittimo ipotizzare che l’intero Universo possa obbedire alle leggi che il gruppetto di geni dei primi trent’anni del XX secolo era andato formulando, soprattutto Einstein, De Broglie, Dirac e infine lui Erwin Schrodinger che sancì l’equazione d’onda, ovvero una unica, ma reiterata funzione d’onda con tanto di collasso, per l’intero Universo. Avete sentito bene l’intero Universo e cioè Galassie, nebulose, pianeti, stelle, comete, asteroidi, buchi neri, materia oscura, tutto coinvolto in una unica equazione d’onda che non collassa una sola volta, ma infinite volte dando ogni volta origine ad un inizio, che quindi coinvolge anche noi, infinitesimi abitanti di un minuscolo pianeta, equiparati all’intero universo o ad una particella o giustappunto ad un flusso caratterizzato da onde. Lo abbiamo detto la funzione d’onda è un numero complesso, ovvero caratterizzato da una parte reale e da una parte immaginaria con la peculiarità quest’ultima di essere restituita alla sua parte reale previa moltiplicazione per il suo coniugato ovvero il numero negativo cambiato di segno, che però perde la sua implicazione razionale, assorbendo anche l’irrazionale e quindi andando a comprendere il simbolico che come hanno osservato parecchi filosofi e psicoanalisti (Freud, Lacan, ma con più precisa formulazione Mattè Blanco) è la modalità di funzionamento dell’inconscio o Es, come forse più correttamente dovremmo denominarlo (alla Groddeck) . Va notato difatti che questo allargamento al simbolico dei numeri complessi consente di interpretare le funzioni d’onda al massimo come le intendeva Heisenberg ovvero “tendenze” a trovare il sistema di riferimento in una certa posizione ad un dato istante; ma ecco che sorge subito il problema che tali funzioni d’onda in quanto esperienze senzienti non possono essere valutate perchè le tendenze così riflesse nella coniugazione di un negativo con un positivo sono equiparate al reale, ma un reale che accoglie nella sua accezione non più solo il razionale ma anche l’irrazionale, per cui con buona pace di Hegel, la realtà partecipa, deve partecipare, di quell’irrazionale che va comporre il simbolico. Torniamo quindi all’ipotesi davvero geniale cui è pervenuto Hakwing e di cui abbiamo già fatto cenno nel precedente articolo su questo stesso Blog: la funzione d’onda di un grande oggetto come un pianeta e persino dell’intero universo può essere paragonata alla funzione d’onda o tendenza riflessa di un qualcosa di abbastanza familiare : un gruppo in una città; ecco dato che siamo in questo periodo in cui ciò tende ad avvenire frequentemente stante la situazione distopica che impone a gente ancora dotata di intelletto e ragione di radunarsi per protestare e manifestare il proprio dissenso a tutte le imposizioni liberticide e di terrorismo mediatico sanitario di una sorta di individui che fanno leva sulle più ancestrali paure dell’umanità – terrore della malattia, senso di conformismo e uniformità di massa, dipendenza dai cosidetti media che oramai stravolgono impunemente qualsiasi informazione – Il gruppo che andiamo a prendere in esame è giustappunto quello, molto determinato e molto attuale, di tali persone che tendono a radunarsi in un dato punto della città a forte impatto emozionale, ecco ad esempio a Roma Piazza del Popolo, piazza della Bocca della Verità, a Parigi Place de la Concorde, a Vienna la Hofburg, a Londra Trafalgar Square….la funzione d’onda è questa tendenza a trovarsi in un dato punto in un dato tempo, analogamente la funzione d’onda per un insieme di pianeti è la tendenza a raggrupparsi in una certa zona dell’Universo che potrebbe avere anche essa una determinata caratteristica di opportunità: la descrizione della tendenza a trovarsi in un certo posto e in un certo istante è appunto la funzione d’onda che altro non è che la tendenza di una certa circostanza a verificarsi , quando viene coniugata con la riflessione del segno cambiato (quindi una simmetria) che ci dice dove è più probabile trovare le proprietà consensuali di un oggetto, di una persona, di un elettrone, di una particella, di un pianeta, di una folla, e alla fin fine dell’intero universo. Ecco è proprio su questo ultimo passaggio che Stephen Hawking ha compiuto il suo vero “balzo” intellettuale : sostituendo l’entità più piccola – la particella o anche il flusso con quella più vasta l’Universo intero. Invece di pensare ad una particella o ad un flusso la cui funzione si estende ovunque , ha pensato ad un Universo dove la funzione d’onda è dappertutto. Il ragionamento si presta quindi a dilatarsi ulteriormente andando a comprendere non più un solo Universo , ma una pluralità di Universi, tutti con un loro inizio e quindi una loro origine.
E’ questa la premessa logica e necessaria per intendere l’ipotesi del principio degli Universi paralleli che in Hawking affianca quella di Everett e De Witt, stabilendovi però una differenza : nella concezione di Everett e De Witt gli universi paralleli sono indipendenti e non hanno nessun collegamento tra di loro, in Hakwing che si trova ad applicare le equazioni di Einstein della Relatività generale, gli universi paralleli sono localizzati nella discontinuità di tali equazioni e hanno quindi interconnessioni tra di loro attraverso condotti spazio-temporali che, d’accordo nessuno è mai riuscito finora a trovare, ma come diceva l’ultimo film di Sean Connery su James Bond : “mai dire mai”; va sottolineato inoltre che concordando con Hakwing, ma anche con tutti i fisici quantistici specie quelli della teoria del flusso e quindi
dell’onda (Einstein, De Broglie, Dirac, Feynman e appunto Hawkings) più di quelli particellari (Bohr, Heisenberg, Pauli) l’Universo sembra dotato di una tendenza ad esistere per se stesso ed è una tendenza che non si verifica una sola volta , ma molteplici, anzi infinite, presupponendo qualcosa o qualcuno che ha cominciato a osservarlo coniugando la sua funzione d’onda , ovvero riflettendo la sua essenza senziente, trasformando la sua tendenza in realta’ non solo reale, ma soprattutto simbolica. Come alcuni dei suoi abitanti, cioè noi essere umani dotati di intelletto e non tutti, ma solo alcuni, del tipo dei personaggi sopracitati, cui qualcun altro potremmo anche aggiungere e non solo fisici quantistici, ma poeti, artisti, filosofi, romanzieri, sciamani, l’Universo è curioso, ovvero è un Universo senziente, sognante e capace di riflettere su se stesso: più si espande e più si autoriflette. Proprio come noi quando ci svegliamo la mattina, chiedendoci chi siamo, cosa facciamo, cosa vogliamo, dove andiamo e la curiosità ci costringe a guardarci allo specchio , dove ci riflettiamo e considerando la nostra immagine riflessa acquistiamo la nostra personalità, la nostra essenza. Analogamente il nostro universo è il suo stesso osservatore , il suo riflettente, il suo auto creatore. Tutte le antiche mitologie le credenze primigenie hanno questo principio: il dio Awanawilona dei nativi americani Zuni ha concepito se stesso attraverso il pensiero e si è dato forma di nebulosa, il dio indù si è pensato e diviso in maschio e femmina, i greci  immaginavano le parti dell’universo riflettersi in un uovo cosmico diviso
in due, anche i Navajo delle americhe pensavano ad una divisione tra cielo e terra che crea il mondo. Ogni mito cosmologico è caratterizzato da una simmetria di opposti e da una diagramma simile a quella dell’equazione d’onda con una parte reale, una parte immaginaria ossia “a+ib” ed una parte coniugata “a-ib” che fa accedere al simbolico e quindi ad una realtà composita che riflette sia l’essere che il non essere


venerdì 17 dicembre 2021

SIMBOLICO : CONIUGATO DI REALE E IMMAGINARIO E L'ORIGINE DELL'UNIVERSO

 


La matematica ha cominciato ad attrarmi quando ho cominciato a coniugarla con la fisica
  e ho scoperto il calcolo infinitesimale, più in particolare, quando ho cominciato a proiettare i numeri negativi scoprendone la valenza immaginaria che poi attraverso la moltiplicazione per il suo coniugato ovvero lo stesso numero ma di segno invertito, mi restituiva la sua parte reale si, ma, come ho detto nei precedenti articoli qui su questo stesso blog, spurgata da quel razionale che mi ha sempre dato tanto fastidio in quanto correlata a quello che ho sempre considerato il peggiore dei filosofi : Giorgio Hegel. Con un reale non più razionale, ma anzi marchiatamente irrazionale si ha, a mio parere,  il destro per pervenire al registro del simbolico e quindi al linguaggio specifico dell’inconscio. Ricordiamo che è proprio grazie al calcolo infinitesimale che passiamo da uno stato ad un flusso e quindi a quella funzione d’onda che con la coniugazione  del numero negativo riflesso produce appunto quei numeri reali nel registro simbolico, dove ci si misura anche con l’irrazionale (chi potrebbe negare che nel funzionamento dei sogni, delle fantasie, e di tutto l’armamentario dell’inconscio non sia presente un dato di irrazionalità?) .Tanto per rimanere in tema di Fisica, i numeri immaginari sono rilevantissimi nella teoria della relatività ristretta  in quanto giocano  un ruolo  significativo nel calcolo  della separazione spazio/temporale e quindi si rivestono sempre per la solita moltiplicazione col loro coniugato, di irrazionalità che gioca una parte fondamentale nel registro simbolico, anzi per la precisione  nella relatività il fattore temporale è immaginario  ed è dato appunto da “ i”    x  “c” dove “c” è la velocità della luce. Diciamo quindi che  il fattore immaginario è coniugato a quello riflesso di segno ed è sempre inferiore a quello spaziale, ovvero  per quanto riguarda gli eventi  in cui c’è molto movimento  spaziale in intervalli di tempi brevi  i numeri che descrivono la separazione spazio/temporale  sono reali e quelli immaginari possono essere omessi per tornare nei calcoli una volta restituiti al reale, ma irrazionale, ed ecco quindi che abbiamo  l’ambito precipuo della relatività : fu il fisico Stephen Hawking.
Condannato da una terribile malattia alla paralisi progressiva Hawking riusciva a comunicare solo con una macchina che trasferiva gli impulsi in parole,
 che applicò la teoria della relatività e quindi il calcolo infinitesimale, con tanto di equazione d’onda e un forte riferimento alla teoria delle stringhe, anzi delle Super stringhe, all’origine dell’Universo: il punto è che, lo ammetto, ho avuto anche io , sempre una forte attrazione per i numeri negativi quel “ -1” mi ha sempre dato l’idea di contrastare la spocchia dei razionalisti e super positivisti, per non dire peggio progressisti e modernisti  come un mio vecchio ex amico, che oggi mi guarderei bene  persino da rivolgergli la parola, stante che da buon sinistroide è ovviamente oggi un convinto e fanatico scientista, vaccinista inde-fesso, seguace dei vari Soros, Gates, Fauci, Draghi etc. e del loro tentativo di deciso affossamento della Libertà  che diceva  sempre “non siamo mica all’anno zero!” “già !...” rispondevo io a quella sua asserzione presuntuosa, presupponente e sostanzialmente ignorante  “non siamo all’anno zero, infatti siamo all’anno meno uno”  :  fascino dei negativi, delle mancanze che debbono essere ricolmate, di quel che manca al reale per divenire non razionale, ma comprendere nella sua varietà soprattutto l’irrazionale che per me e per tutti coloro che amano il dubbio, l’incertezza, la non sicurezza si identifica con il “simbolico” quel ri-mettere insieme le cose del mondo che la coscienza ha diviso e separato : il caro vecchio “-1”, che diventa ancora più fascinoso e stimolante se poi usi la proiezione, giustappunto  la radice quadrata, entrando quindi nel mondo dei numeri immaginari, che sostanzialmente rappresentano una ulteriore possibilità per i numeri reali di comprendere, se non il tutto, perlomeno molto di più della cosidetta realtà, indagando le sue accezioni immaginarie e quindi pervenendo alla complessità del conscio e dell’inconscio, resi calcolabili grazie all’inversione coi coniugati  e l’accesso al simbolico.
Riprendiamo però da Stephen Hawking che come sopraccennato fu il primo a coniugare la teoria della relatività di Einstein (direi più quella ristretta) all'origine dell'Universo: quale fu il suo ragionamento? bhe  considerando il fatto che all'inizio di un processo di origine  la materia è molto condensata, si suppone che non ci sia questo gran movimento  e quindi la separazione spazio/temporale  può essere assimilata ad una entità immaginaria, per cui è del tutto legittimo usare numeri immaginari ovvero proiezioni di numeri negativi.
In particolare Hawking si accorse che tale separazione spazio/temporale  diventava immaginaria quando le  le distanze spaziali erano meno significative di quelle temporali e questo può applicarsi non solo ad un inizio tipo l'universo, ma a tutti gli inizi di un qualcosa , moltiplicandosi quindi all'infinito tale processo, persino al quotidiano della nostra vita : consideriamo ad esempio una distanza tra Londra  e New Jork  presa la prima alle 17,07 la seconda alle 17,00: è chiaro che la distanza di circa 8000 chilometri  è più significativa di quella temporale che è di soli 7 minuti - se ora  calcoliamo la separazione spazio/temporale tra una stessa città di un solo minuto , la dimensione spaziale diventa prossima al nulla, mentre quella temporale è giustappunto di un minuto. Questo significa che abbiamo viaggiato nel tempo, ma non nello spazio, per cui il termine spaziale non è reale, ma immaginario. Il colpo di genio di Hawking fu di ipotizzare  che anche gli intervalli di tempo di questi primissimi istanti di ogni inizio, potessero essere immaginari (proiezioni di negativi), egli ipotizzò infatti che  i fattori temporali coinvolti  all'inizio dell'Universo  fossero molto molto piccoli, ecco....infinitesimali!
Dato che a causa di tale infinitesimale non si può misurarli ecco che scatta il procedimento della proiezione di negativi, ovvero accedere al fattore immaginario: sostituendo il tempo dell'inizio con un numero immaginario, la separazione spazio/temporale  risulta reale se moltiplicata per il coniugato dell'immaginario, accedendo all'insieme dei numeri complessi spurgato di quell'accezione di razionale, ovvero un  conscio che non consentiva di pervenire al simbolico e quindi all'inconscio. Una volta tornato reale con il suo correlato di irrazionale, ecco che simbolicamente anche  l'inizio dell'Universo, come tutti gli inizi,  poteva essere assimilato ad una realta'.

venerdì 10 dicembre 2021

PUNTUALIZZAZIONI ONDA/SOGNI

 

Con l’aumentare dell’interesse verso i più noti esperimenti della fisica quantistica  - doppia fenditura, entanglement, equazione d’onda e suo collasso,  sono aumentati esponenzialmente i sogni in qualche modo riflettenti  di spazi/tempi reali, ma non accreditati di altrettanta razionalità, come ad esempio voleva Hegel, ma al contrario  del tutto irrazionali in quanto immotivati e non confortati da alcun riscontro con la ragione. Era Freud che diceva che il sogno era la via Regia per l’inconscio e difatti il meccanismo più investito in questa sorta di collasso della razionalità, ma non della realtà che assume un aspetto immaginario, è proprio il sogno:  molto più di un lapsus, di un atto mancato, di una fantasia in quanto del tutto scollegato dalla coscienza.  Tutti i meccanismi dell’inconscio debbono un obolo al loro assunto immaginario, ovvero un qualcosa che si aggiunge al reale in termini di un processo di proiezione che deve alla radice  quadrata di un negativo  come fin dal “seicento” matematici come Leibniz e Newton avevano sperimentato, ovvero una proiezione  di un qualcosa di mancato, tipo un debito, una carenza, un negativo da rimettere a qualcuno o a un qualcosa.
Diciamo quindi che la radice quadrata di un numero negativo è una radice inconscia, onirica, ovvero sempre simbolica, ma nel senso proprio del termine che cioè cerca di ri-mettere insieme  quello che la ragione e la coscienza hanno proditoriamente
 separato. E’ un altro modo   di pervenire al simbolico dell’inconscio che neppure Freud aveva considerato e che gente  come Leibniz con a seguire altri matematici e soprattutto fisici del calibro di Plank, Maxwell, Einstein, Bohr, Schrodinger, Feynman hanno perseguito, inseguendo le manifestazioni di una sorta di spirito della materia, tutta la materia, invisibile, misterioso, contraddittorio che si riverbera nella nostra essenza e ha manifestazioni simboliche ovvero non raccordabili ad una coscienza che cerca di interpretare il vissuto. Così la matematica è al servizio dell’inconscio come contraltare di percezione  laddove quei numeri immaginari  che si sono individuati come proiezioni di negativi sono divenuti oltremodo complessi, ovvero l’insieme dei numeri complessi che però per poter essere impiegarti abbisognano che la parte immaginaria venga restituita alla sua parte reale attraverso la moltiplicazione della parte immaginaria  per il suo  coniugato,
e quindi accedono al simbolico che difetta però del razionale
  e quindi estromettono dal consesso del reale proprio quel razionale  che filosofi come Hegel  avevano cercato di attribuirgli. Difettando di razionalità, il reale, restituito dal coniugato per l’immaginario, si presta all’accesso al simbolico di cui è intessuto l’inconscio. Usando la matematica come metafora e come metonimia (condensazione di significato, trascinamento di significanti) l’insieme dei numeri complessi (reali, immaginari e loro coniugati) accedono al simbolico  attraverso due modalità di percezione: la prima come  percezione senziente  che avviene paradigmaticamente nel sogno, ma a tratti anche nelle altre manifestazioni dell’inconscio, la seconda come percezione riflessa in uno stato di distinguo e di approfondimento della coscienza. In altre parole possiamo sostenere che moltiplicare un numero immaginario per il suo coniugato si ottiene un numero reale senza parte immaginaria, ma anche senza più alcuna parte razionale e quindi tale da consentire l’ingresso al simbolico e questo è particolarmente importante  sia per la fisica che per la psicologia:   moltiplicare nell’ambito degli insiemi dei numeri complessi un numero immaginario per il suo coniugato da’ luogo al simbolico, proprio come  la riflessione lucida di un sogno favorisce la consapevolezza dell’intero processo (per questo nel precedente articolo abbiamo detto che il sogno lucido, addirittura guidato come propugnava Desoille, è il corrispettivo del collasso dell’equazione d’onda di Schrodinger, difatti si possono equiparare  gli elettroni della materia e le loro funzioni d’onda ai sogni (anche agli altri meccanismi inconsci, ma con i sogni, che non a caso sono definiti la via Regia per l’inconscio, con molta maggiore incisività).
Le funzioni d’onda sono una sorta di codice
  che rappresentano il comportamento degli elettroni ad esempio nell’esperimento della Doppia Fenditura, nello stesso modo in cui il “sognato”  se amplificato e sottoposto ad un processo di simbolizzazione, descrive il nostro vissuto

 

domenica 5 dicembre 2021

SOGNO O SON DESTO

 

Debbo riflettermi nel sogno di questa notte dove c'era una ragazza che sprofondava sempre più in una buca piena d'acqua e io le facevo "attenta signorina che va giù!" Il luogo era quasi allo slargo del Colosseo su via dei Fori Imperiali e accompagnata da gridi di donne dappresso la ragazza sprofondava nell'acqua fino a rimanere sommersa....allora mi lanciavo in suo aiuto per averne però in risposta una respinta che però non era lei, ma mia moglie cui nel sonno mi ero slanciato addosso. Collasso l'equazione d'onda o magari, diciamo più correttamente “di pozzanghera” maledettamente profonda, laddove il coniugato del reale si mescolava allo immaginario non più in termini numerici ma onirici. Ecco quello che voglio chiarire nel presente articolo : la connessione tra fisica quantistica, nella fattispecie il collasso della funzione d'onda con l'interferenza tra brusco risveglio e sogno. Siamo in una similarità tra la traiettoria invisibile delle particelle che si trasformano in onde, ovvero da tanti piccoli stati che si fanno flusso come ho cercato di esprimere in più di un articolo precedente, e che non si limita a quella coniugazione tra reale e immaginario secondo i dettami del calcolo infinitesimale ma giustappunto va a sfrondare in un nuovo registro , tanto per usare un termine lacaniano, e diventa simbolico, che è indubbiamente un qualcosa che va oltre anche la definizione di complessità. Il simbolico è il registro dell’inconscio e lo è anche della fisica quantistica e di tutti i suoi più celebrati effetti : dall’entanglement, alla doppia fenditura ai neuroni specchio, alla non località e a tutti i vari principi, che continuiamo a definire misteriosi e spesso e volentieri assurdi. Come l’inconscio di cui ci è dato valutare gli effetti di significanza, da sue manifestazioni che per larga parte della storia della nostra conoscenza sono state giudicate marginali addirittura anche l’equazione d’onda, tanto per prendere una delle funzioni più controverse si presta a non poche perplessità , anzitutto diciamo che nessuno è mai stato in grado di vedere tali onde e meno che mai il loro collasso; d’accordo la matematica spiega molto bene la figura che appare dopo aver attraversato la celeberrima doppia fenditura, c’è una perfetta corrispondenza tra le bande che si formano sullo schermo e i numeri (ovviamente anche immaginari) che esprimono la funzione, ma v’è anche qualcos’altro che si carica di quelle valenze simboliche che ci dicono che forse siamo ad un passo dal disporci sul significato corretto del termine simbolo ovvero quel “sum ballein = rimettere insieme “ che gli antichi greci assegnavano alla tesserina del mosaico (simbolo) per arrivare finalmente alla compressione dell’intera rappresentazione. E’ insomma con l’accedere al simbolico, che il tipo di fisica meccanica passando da particellare ad ondulatoria pone le sue credenziali per una interpretazione della intera materia . In sostanza la equazione d’onda non risponde alla domanda sulla realtà della materia che si configura come insieme quantico, ovvero non ci dice quale è la natura del viaggio dell’elettrone dal momento in cui viene sparato dal cannone elettronico allo schermo, ma si fa cenno ad un possibile senso che non può ritrovarsi né nell’insieme dei numeri reali né in quello dei numeri immaginari ma solo in quello di riacquisizione di un simbolo di realtà attraverso la moltiplicazione con il coniugato dell’immaginario, che si concede non più al razionale, ma anzi con maggiore pregnanza, al’irrazionale E’ in tale accezione che ad esempio la configurazione degli elettroni dopo il passaggio per la doppia fenditura e’ di fatto una riproposizione per altri tratti del simbolismo con il quale funzionano tutti i meccanismi dell’inconscio. Tali meccanismi siano essi sogni, lapsus, atti mancati, fantasie sono del tutto simili ad un elettrone, ovvero appartengono ad una realtà non consensuale, non codificata in alcuno schema e quindi si prestano ad una congerie di interpretazioni. La funzione d’onda è un codice di rappresentazione di un determinato aspetto della realtà nella fattispecie un elettrone colto nel suo trasformarsi da una particella ad un flusso del tutto equivalente ad un sogno nel suo passare attraverso uno stato di sonno e veglia, proprio come il sogno di cui all’inizio ho fatto cenno dove i due stati si riflettono. Proprio come la descrizione di ciò che avviene sullo schermo degli elettroni passati attraverso una doppia fenditura non è la stessa cosa degli eventi che accadono prima dell’osservazione, così le immagini di un sogno o il sotteso di un lapsus, di una fantasia, financo di una malattia e in ultima analisi anche della morte che funziona come summa del desiderio (al di là del principio del piacere) in una accezione di “super inconscio” non sono di fatto equivalenti ai processi che l’inconscio cerca di significare attraverso il simbolico. E’ difficile verbalizzare un sogno, un atto mancato è soprattutto difficile verbalizzare la morte, specie prima che Freud si accingesse a formulare la sua teoria di una pulsione di morte, quindi potremo concludere che dato che i numeri complessi (reali + immaginari) sono quelli che meglio descrivono i fenomeni ondulatori periodici ne consegue che la funzione d’onda è a sua volta un numero complesso che però va trasformandosi in un processo simbolico. E’ chiaro che se entriamo nell’ottica di simili interpretazioni del tutto trascendenti la ordinaria rappresentazione potremo cogliere ulteriori connessioni tra inconscio e materia , quale ad esempio l’interferenza che in psicologia esprime la cancellazione o l’amplificazione delle esperienze: ricordiamo si ha una interferenza psicologica quando due diversi processi interni hanno luogo simultaneamente, un po’ quello che in fisica quantistica avviene con l’esperimento della doppia fenditura. Una classica interferenza era quella proposta alla scuola di Palo Alto di Grigory Bateson e altri maestri della pragmatica comunicazionale, laddove al soggetto si chiedeva di visualizzare, immaginando di trovarsi in un ristorante la frase “a volte il pranzo non viene servito” L’ambiguità della comunicazione ha un doppio riflesso sia logico che emozionale (ad esempio posso aver fame e nel contempo sono distratto dal compito assegnatomi di visualizzare il fatto che a volte il pranzo non viene servito) : risultato la mia impressione è ambigua, magari contraddittoria e sono in gioco diversi messaggi comunicazionali, che spesso e volentieri possono ingenerare una assenza di risposta ; l’interferenza ondulatoria tipica del passaggio nella doppia fenditura e’ analoga a quella che in psicologia possiamo chiamare “assenza” ovvero una incongruenza di rappresentazione, dovuta appunto allo sperimentare due processi contemporaneamente : potremmo anche ipotizzare che una sola fenditura può essere equiparata alla mente conscia che cerca di dare una risposta alla frase/quesito, mentre una doppia fenditura rappresenta i processi involontari come la fame che interferiscono sulla rappresentazione generale. Forse la natura delle cose , tutta la materia opera nello stesso modo del nostro cervello suddiviso in conscio e inconscio , forse gli elettroni che passano attraverso due fenditure diventano incongruenti, si cancellano l’un con l’altro: hanno in sintesi delle assenze. Questa faccenda di trovare delle connessioni tra oggetti e quantici e meccanismi inconsci, l'ho detto iniziando questo articolo, è una delle mie più pressanti ambizioni, direi anche necessità intellettuali, tra l'altro è quanto mai stimolante il fatto che la decisione relativa a quale esperimento fare , ossia usare una o due fenditure, determina se il risultato sarà particellare o ondulatorio, insomma è davvero eccitante pensare che il comportamento della materia possa dipendere dalla nostra decisione di effettuare un tipo di esperimento invece che un altro. C'è un'altra connessione tra meccanismi inconsci e oggetti quantici che si presta ad ulteriori considerazioni : diceva Freud che il sogno è la "via regia per l'inconscio" e questo probabilmente per quel surplus di informazioni a livello di tutti e tre i registri di comunicazione : reale, immaginario, simbolico, che fa si che si possa maggiormente soffermarsi su quell'intervallo di spazio/tempo invisibile durante i quali gli oggetti quantici non possono essere osservati - quando si sogna ci si trova in genere in un posto e in un tempo qualsiasi, dipendente ma nel contempo anche svincolato dai famosi registri, al contrario di quando ci si sveglia dove la consapevolezza è invece precisa; insomma il sogno, solo il sogno ci induce al famoso adagio "sogno o son desto" che è giustappunto uno spazio/tempo inusitato non appartenente al conscio, ma neppure all'inconscio, è come il momento di scelta dei famosi percorsi di un elettrone che sopratutto Feynman approfondì col suo "integrale sui cammini" (vedi il mio articolo in merito) La matematica fa collassare meccanicamente la funzione d'onda attraverso la moltiplicazione di un numero immaginario per il suo coniugato e questa operazione corrisponde alla osservazione e la fisica interpreta questo passaggio come probabilità di trovare un oggetto quantico in un determinato percorso punto/flusso, giustappunto come transizione da particella invisibile nello spazio dei numeri complessi a onda e numero restituito al reale e quindi al misurabile nel registro del simbolico. E' questa operazione, la moltiplicazione della parte immaginaria della funzione d'onda per il suo coniugato che fa collassare la funzione d'onda nel senso di permettere ad una particella che prima dell'osservazione poteva essere ovunque, di ritrovarsi in un punto preciso, misurabile matematicamente. Se ne evince che l'operazione cdi moltiplicazione di un niumero immaginario per il suo coniugato è analoga ai processi di sogno e risveglio, sognare è paragonabile ad un numero complesso con una parte reale e una parte immaginaria, svegliarsi e indagare su quel che si è sognato significa pervenire al simbolico, una sorta di "riflessione su...." ovvero un sogno lucido, proprio come propugnava Desoille nel suo libro "il sogno da svegli guidato"
Quando si applica il sogno lucido al sogno nel sonno, ovvero nell'inconscio numeri immaginari e numeri coniugati riacquistano la loro parte reale e i processi connessi ingenerano segnali, intuizioni, espressioni, che si possono riscontrare nella vita quotidiana. Come dice Arnold Mindell nel suo libro "Quantum mind , sognare è l'esperienza senziente che permea le nostre osservazioni consensuali della realtà e della materia e quindi il collasso della funzione d'onda in fisica è analogo al processo di sogno e della sua riflessione con il risveglio.

IL RISVEGLIO DELLA RAGIONE NEL FUTURO ANTERIORE

  Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero ...