Faccio ritorno al concetto di Funzione d'onda , affidandogli un compito davvero straordinario :
L'associazione tra il titolo del blog LENARDULLIER con l'architetto LECORBUSIER tende ad un parallelismo con l'Archè = Principio, che deve misurarsi con la modernità = Technè, quindi un "futuro anteriore" applicabile a diversi specifici di conoscenza
lunedì 25 luglio 2022
FUNZIONE D'ONDA , STRINGHE E SIMMETRIA (SUPERINTEGRAZIONE)
sabato 23 luglio 2022
IL FILOSOFO AL FUTURO ANTERIORE
Allora quando comincia la vera decadenza? Ha ragione Guenon che correlandosi agli Yuga indiani ovvero i cicli in cui tale cultura suddivide la storia umana, da ‘ gia’ una durata di 6000 anni all’ultimo ciclo quello che grosso modo corrisponderebbe all’eta’ dei Servi o del ferro , nominata da Esiodo nel suo Opere e Giorni? oppure e’ piu’ abbordabile Evola che fa capire che per lui l’ultimo ciclo quello appunto dei Servi forse non e’ ancora cominciato e ci troviamo nel momento attuale (per lui ancora il pieno del XX secolo) in una estrema manifestazione dell’Eta’ dei mercanti, ovvero quella eta’ del bronzo contrassegnata dal prevalere del fattore economico e dalla importanza centrale assunta dal denaro? (probabilmente se Evola fosse vissuto un altro cinquantennio e avesse potuto assistere a quello che e’ accaduto con il secondo decennio del XXI secolo – falsa pandemia, terrore sanitario generalizzato, bottegai e loro servi egemoni delle sorti del mondo – avrebbe senz’altro scandito l’inizio di tale ultima eta’, di totale decadenza e prevalenza del fattore servile, magari anche riprendendo la famosa equazione di Hegel del padrone e del servo come dialettica della storia. E' un argomento che ho piu' volte affrontato parlando si di Hegel, ma soprattutto dell'interpretazione che un pensatore russo Alexandre Kojeve' ha dato alla sua opera in particolare alla "fenomenologia della storia" prospettando una sorta di concetto di di «allineare le province», estendere cioè i principi dello Stato liberale o comunista che sia, questo perché l’obiettivo della lotta per il riconoscimento è raggiungere un equilibrio fra morte e vita. Equilibrio inquieto, che si realizza con la formazione delle due figure di signore e servo. Il primo è la coscienza disposta a rischiare la propria vita. Il secondo, avvinto dalla paura per la morte, cede la propria libertà, rifiuta di mettere a repentaglio la propria via, abbandona il proprio desiderio di desiderare, accetta di cedere al signore, riconoscendogli il titolo, o il diritto, di pretendere il soddisfacimento dei propri bisogni pur di riuscire a soddisfare minimamente i propri di bisogni. Detto altrimenti, allo stato nascente, l’uomo non è mai semplicemente uomo. Sempre, necessariamente ed essenzialmente, egli è o Signore o Servo. Se la realtà umana non può generarsi se non come realtà sociale, la società non è umana – almeno alla sua origine – se non a condizione di implicare un elemento di Signoria e un elemento di Servitù, esistenze “autonome” ed esistenze “dipendenti” Quest’equilibro inquieto che è la lotta per il riconoscimento è, secondo Kojève, il motore della storia. Il desiderio di poter desiderare e il desiderio di farsi desiderare innescano e contraddistinguono il rapporto sociale. Se non c’è desiderio non c’è azione; se non c’è azione non c’è rapporto sociale; senza scelte diverse e asimmetriche da parte delle due autocoscienze implicate non c’è conflitto. Questo conflitto è alla base della nascita della storia umana. Rinunciando a rischiare la propria vita, il servo vota la sua esistenza alle dipendenze di un signore perché accetta di accontentarsi del soddisfacimento dei propri bisogni primari; accetta di barattare, per così dire, la propria libertà con la propria sopravvivenza. Al contempo, il signore, per conservare la sua autonomia, non può uccidere l’esistenza che gli si è volontariamente asservita, ma facendo leva sulla paura della morte, induce e costringe il servo a lavorare. Il lavoro nasce perciò da un atto di violenza perpetrato dal signore sul servo e consente al primo di mantenere costantemente vivo il mezzo attraverso cui avviene il suo riconoscimento. Tuttavia – questo è il momento cruciale, che segna un punto a favore dell’interpretazione di Kojève – nel lavoro il servo non fa altro che agire sulla natura, trasformare l’oggetto naturale in un manufatto che gli consente di guadagnare l’appagamento dei propri bisogni primari, e di assicurargli quindi la vita animale. Trasformare la cosa naturale in prodotto di un lavoro significa però rendere umana la natura. Hegel afferma che la coscienza servile sopprime il suo attaccamento all’esistenza naturale in tutti i suoi elementi particolari e isolati, sino a eliminare mediante il lavoro quest’esistenza: e lavorando, il Servo diventa signore della Natura. Ora, egli è diventato il servo del Signore solo perché – all’inizio – era servo della Natura, visto che solidarizzava con essa e si subordinava alle sue leggi accettando l’istinto di conservazione. Liberando il Servo dalla Natura, il lavoro lo libera dunque anche da se stesso, dalla natura di Servo: lo libera dal Signore. Nel Mondo naturale, dato, bruto, il Servo è schiavo del Signore. Nel mondo tecnico, trasformato dal suo lavoro, egli regna – o, almeno, regnerà un giorno – da Signore assoluto. È questa Signoria che nasce dal lavoro, dalla trasformazione progressiva del mondo dato e dell’uomo dato in questo Mondo, sarà tutt’altra cosa dalla Signoria “immediata” del Signore. Dunque, l’avvenire e la Storia non appartengono al Signore guerriero (nella fattispecie del nostro ragionamento che segue questa suddivisione in varie eta' del mondo, non all'argento, ma al bronzo e in ultima analisi al ferro vanno assimilati gli ultimi secoli di non piu' evoluzione, ma vera e propria decadenza), il signore che fondava la sua stessa identita' sull'essere guerriero o muore o si mantiene indefinitamente nell’identità con se stesso, ma la palla del cammino (integrale) passa non solo al mercante bottegaio, ma al Servo lavoratore. Se l’angoscia della morte, incarnata per il Servo nella persona del Signore guerriero, è la condizione sine qua non del progresso storico, è unicamente il lavoro del Servo che lo realizza e lo perfeziona il motore di questa storia, non-storia Ma Hegel a nostra opinione era uno che non aveva capito nulla ne’ della storia, ne’ dello spirito, a cui pure spesso aveva dedicato il suoi scritti, e così tutti i suoi seguaci a cominciare da Marx, Evola al contrario e’ un filosofo vero, uno di quelli il cui pensiero scorre lontano e questo non solo in avanti, ma soprattutto indietro, e’ cioe’ un filosofo al “futuro anteriore” ovvero uno che non si accontenta del generico “sara' ” ma prima di formulare un qualsiasi piano per l’avvenire riesamina punto per punto tutta la tradizione le esperienze di uno “stato” ovvero un participio passato ove il tutto viene rivisitato come possibilita’. Non si tratta piu’ di trarre flussioni o derivate da un calcolo che si configura come infinitesimale con uso di numeri sia reali che immaginari, ma piuttosto di integrare queste in una prospettiva futura, comporre cioe’ un integrale, un integrale sui cammini, del tutto simile a quello ideato da Feynman nel 1948. Quindi se ora, lasciando Kojeve' e lasciando sopratutto Hegel e pensatori del tutto inconsistenti come Marx, Darwin, torniamo al nostro Evola e si ritorno giocoforza a questa prospettiva di alternativita' al mondo come lo abbiamo studiato, come lo abbiamo conosciuto e purtroppo come lo abbiamo vissuto. Quando vogliamo utilizzare o meglio quando vogliamo cominciare a cambiare uno dei tanti possibili cammini e integrarlo in maniera del tutto differente , secondo le possibilita' di una sorta di "slinding doors"
giovedì 21 luglio 2022
LA (RI-) -NASCENZA COME DECADENZA
Sgarbi da quel grande e anticonformista uomo di cultura che e', porta una mostra dei dipinti di Julius Evola nel paese da lui amministrato Sutri (quello della famosa donazione su cui quanto prima ci sara' da spendere qualche parola) Oramai e' piu' che scontato che la storia e' tutta una grande farsa con tanto di copione di messa in scena, e non e' che la cosa sia un fatto recente; io dico che è perlomeno dal 1348 con l'occasione di forse la prima grande pandemia dell'occidente che continua questa farsa che ha forse avuto, ecco nei tempi odierni, in questo secondo ventennio del terzo millennio, la sua manifestazione piu' eclatante e piu' preoccupante: le revisioni della nostra storia si rendono quindi assolutamente necessarie se vogliamo uscire dall'attuale dittatura ideologica fondata sulla menzogna e anche su tutti quegli pseudo punti di vista fino ad ieri prevalenti che possono ed anzi debbono presentare un carattere decisamente iconoclastico. E' di grande aiuto tornare al pensiero di uno studioso realmente libero e originale quale solo un pensatore di "destra" puo' essere, ecco come Julius Evola che affronta proprio il concetto di evoluzione secondo il suo reale andamento che e' stato di involuzione e decadimento: Giustappunto una delle prime revisione affrontate da Evola fu quella del cosiddetto Rinascimento. Il Rinascimento viene correntemente considerato come una delle massime glorie della storia italiana. Forse non è stato il Rinascimento, più che una antichità troppo remota, a conferire all’Italia la dignità di madre delle lettere e delle arti? Certo: ma altrettanto vero è che non per ultimo alla “tradizione” del Rinascimento si deve il fatto, che l’Italia fino ad ieri valse sì come un meraviglioso paese delle lettere, dei musei e dei monumenti, però abitato da un popolo, che dal punto di vista etico e politico non godeva proprio della miglior fama. In problemi del genere bisogna del resto partire da una questione di principio. E tale questione si riferisce al significato che lettere ed atti hanno, in genere, nell`insieme di ogni civiltà da dirsi “normale”. In ogni civiltà “normale” il centro non può cadere nelle lettere e nelle arti: esso cade invece nei valori ascetici ed eroici, in una salda severa formazione della vita aliena da “espressionismi”, nella quale i principii superindividuali, le opere e le azioni stanno al disopra della “genialità” e della soggettività del singolo. Non è detto che in sensibilizzazione intuitiva ai principii generali – in sé stessi superiori al mondo delle arti e della “creatività” – che stanno al centro di una determinata civiltà. Ora, proprio l’opposto si è verificato nella civiltà del Rinascimento. In essa si è avuta una vera e propria orgia della soggettività “mediterranea” liberata da ogni vincolo, un pullulare tropicale di “creazioni” di ogni genere prive, in fondo, di ogni nesso unitario, non obbedienti ad un significato superiore, staccate da ogni forza formatrice politica o spirituale unitaria. Perciò, malgrado il suo splendore esteriore, la civiltà umanistica della Rinascenza rappresenta, da un punto di vista superiore, una caduta di livello, lo spezzarsi delle fila di una più seria e più profonda tradizione.Essa fu la controparte culturale e artistica di quell’individualismo disordinato, che si espresse politicamente nello stile delle Signorie e nelle eterne liti delle città italiane e dei loro condottieri. Essa contenne i germi, che dovevano dare a conoscere la loro vera natura nell’ illuminismo, nel razionalismo, nel naturalismo e in altri fenomeni della decadenza moderna. Infatti non è un caso che il Rinascimento goda di una predilezione non solo in ambienti letterari “neutri”, ma anche in ambienti massonici. Ancor parlando della famigerata Società delle Nazioni, in un congresso massonico internazionale, nel 1917, a Parigi, si celebrò “la rivolta, di cui l’umanismo della Rinascenza e la filosofia della grande rivoluzione francese sono le fasi salienti, più note e più prossime, e di cui lo spirito massonico esprime la stessa anima”. Il miraggio delle meravigliose creazioni del Rinascimento non deve in realtà far dimenticare il significato profondo relativo al fatto che la sua contemporaneità appunto con l’umanismo, col naturalismo e con la stessa Riforma, né deve far perder di vista la precisa funzione polemica e dialettica che tutti questi fenomeni, nel loro insieme e nella loro sinergia, ebbero di fronte alla precedente civiltà medievale. Chi non conosce la retorica della “affermazione della vita”, della “riscoperta della sacralità del corpo e della bellezza”, del superamento del “despotismo teologale e politico” e di tante altre espressioni di colorito fra l’immanentismo e il massonico che sono state applicate alla civiltà e al pensiero della Rinascenza? E lo stesso termine “Rinascenza” non svela già di per sé stesso l’istanza polemica, rivoluzionaria e antitradizionale ora accennata? Si rinasce da una morte o da un sogno: e ciò sarebbe stato il Medioevo imperiale, ghibellino, feudale e dantesco; il Medioevo, che noi possiamo senz’altro chiamare ario e romano-germanico e che come tale, per noi, fu esso la vera Rinascenza. Là dove forze prima contenute rigidamente in una unità per via di una tensione superiore passano di nuovo allo stato libero, si può aver la sensazione ingannevole di una maggiore vitalità, di un dinamismo, di un risveglio. invece non si tratta che di dissoluzione e di dispersione centrifuga. Questo è il vero senso del Rinascimento. Non è che in esso si manifestasse una vita nuova e giovane: al contrario tutte le sue creazioni non si spiegano che sulla base della lesione della tensione metafisica e politica del precedente mondo imperiale e medievale: esse rientrano nella via di colui che – per usare l’espressione di Guénon – si e distaccato dai cieli con la scusa di conquistare la terra e, possiamo aggiungere noi, di scoprire l’“uomo”. A chi abbia un senso della “terza dimensione della storia” su tale base si rendono comprensibili altri fenomeni connessi all’epoca del Rinascimento; come per es. l’intero ciclo delle “scoperte” e lo slancio dell’Europa verso le avventure e le conquiste transoceaniche. Quel potenziale, che prima si concentrava sulla direzione verticale, che trovava cioè il suo oggetto adeguato in valori trascendenti, nel punto in cui perdette contatto con tale punto di riferimento, si scaricò, per dir così, sulla direzione orizzontale, cioè nel dominio umanistico, fisico, naturalistico, particolaristico: da qui uno slancio senza precedenti, da qui l’orgia delle arti, delle lettere, del “pensiero”, della “libera soggettività”; da qui la espansione illimitata verso mari e terre sconosciute: ma, soprattutto, come conseguenza, da qui una fondamentale irrequietezza ed instabilità, una insoddisfazione che nulla varrà più a placare, quell’impulso, che Spengler dirà “faustiano” e che, a parte tutti gli orpelli intellettualistici, tradisce solo un male simile a quello del morso della tarantola.
Non si può infatti placare con oggetti di questa terra un impulso cui poteva esser solo adeguata una realtà trascendente e l’approssimazione temporale ad essa, cioè l’Impero. Nel punto in cui l'uomo occidentale tradì la sua più alta vocazione, si è creato in sé stesso, nell’inquietezza e nell’insoddisfazione già indicata, la pena per questo tradimento.
Da un altro punto di vista, col Rinascimento va a prender definitivamente il sopravvento una componente razziale “mediterranea”, individualistica, insofferente di ogni superiore principio di ordine, che già nel Medioevo era stata un focolare perpetuo di anarchia e di divisione, resistendo ad oltranza alla renovatio romani imperii, al tentativo romano-germanico di formare l’Occidente cristiano secondo una superiore unità gerarchica e virile. Là dove nella civiltà dell`alto ghibellinismo, nell’etica feudale dell’onore e della fedeltà, nell’ideale umano dei grandi ordini Cavallereschi, nel simbolo ascetico-guerriero del crociato e così via tornarono ad imperare, in Occidente, vene della razza “solare” dell’uomo ario, ario-romano e nordico-ario, nella civiltà del Rinascimento venne invece al primo piano la razza obliqua dell’uomo “afroditico” e prometeico.
Uomo afroditico è, in termini di razza dello spirito colui che ha per estremo orizzonte l’esistenza materiale, come oggetto di un godimento fra l’estetico e il sensuale e di un estremo raffinamento. E' l’uomo afroditico che dette il tono alla vita spicciola dell’epoca della Rinascenza, legata al godimento della bellezza e all’ebbrezza del momento. Chi non ricorda la poesia che sottolinea la caducità dell’esistenza e conclude con le parole: «chi vuol esser lieto, sia – di doman non v`è certezza»? Questa è la controparte pratica della “grande parata” dei creatori di quel periodo: è l’antitesi di quel senso dell’eterno e di quella volontà dell’eterno, che caratterizzò l’alto Medioevo. Qui deve anche esser chiarito l’equivoco di coloro che pensano davvero che la Rinascenza sia stata una ripresa dell’antichità classica e “pagana”: ciò che fu ripreso, effettivamente, furono solo gli aspetti negativi, già decadenti e “afroditici”, esterioristici e razzialmente sospetti della civiltà antica, non quelli originari, eroici, sacrali, tradizionali, davvero ariani. Non Sparta e non il simbolo dorico, ma Atene e Corinto. Non la Roma sacrale e catoniana, ma la Roma ellenizzata e soprattutto il crepuscolo dell’antichità: il mondo ellenistico-alessandrino. In più, nella Rinascenza mancavano i presupposti per poter cogliere e discriminare quel che di valido, malgrado tutto, poteva sussistere perfino in questa parte del mondo antico Oltre che di un uomo “afroditico”, abbiamo parlato di un uomo prometeico. Ad esso si riferisce propriamente l’umanesimo della Rinascenza. Contro quel si è or ora detto, qualcuno, a testimoniare la ripresa di elementi spirituali e perfino iniziatici del mondo antico da parte della Rinascenza, potrà citare nomi, come quelli di Bruno, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola. La funzionalità di simili elementi nella Rinascenza, peraltro, si connette proprio a quanto di più oscuro ha agito in una tale epoca. Noi abbiamo infatti un vero e proprio processo di inversione consistente nel materializzare lo spirituale per divinificare la materia, Dio divenendo l’uomo e l’uomo divenendo Dio. Questo, in fondo, è il senso ultimo dell’Umanesimo. Questo è l’oscuro mistero che fu celebrato in sette e in gruppi occulti, i quali dovevano continuarsi proprio nella massoneria e qui tradurre senz’altro in termini di una azione sovvertitrice politica metodica e cosciente la “tradizione” da essi ricevuta. Si ricordi che la stella dei Soviet, simbolo dell’uomo collettivizzato e materializzato onnipotente e senza Dio, è il pentagramma, un simbolo magico che proprio nei gruppi “iniziatici”, dei quali non pochi esponenti della Rinascenza subirono direttamente o indirettamente l’influsso, ebbe una parte speciale: simbolo, che però in origine significava tutt’altro, la sovranità dell’uomo come essere sovrannaturale. È un segno, tra i tanti, della inversione propria all’“umanismo”, culto terrestre dell’uomo divinificato. Bisogna rendersi dunque conto che la sovversione combattuta oggi nelle sue forme estreme dalle nostre rivoluzioni restauratrici, ha avuto i primi giorni nella Rinascenza, secondo le intime connessioni di essa con l’umanesimo, la riforma e il naturalismo. Intendiamoci. Non siamo partiti dal punto di vista artistico, quindi il valore che nel dominio tecnico delle arti hanno la creazione della Rinascenza resta del tutto impregiudicato. A chi esplora la “terza dimensione” della storia, ciò non impedisce tuttavia di riconoscere, che lo splendore apparente, l’opulenza e la genialità di simili creazioni sono valse, un po’, come le cortine di fumo che in una guerra moderna talvolta si usano per coprire una avanzata. E l’avanzata è stata di forze, nelle quali chi oggi si sente compenetrato da una nuova serietà, da una nuova volontà di formazione ario-romana tradizionale e virile del carattere e della vita difficilmente saprebbe riconoscersi.
mercoledì 20 luglio 2022
ALTRE OPERE, ALTRI GIORNI
ho sempre detestato, specie in storia, in psicologia, in filosofia, gli schemi, le griglie, i metodi, le categorie,,,,per intenderci da Cartesio a Kant ma soprattutto ad Hegel con la sua risibile dialettica, enfatizzata manco a dirlo da un pensatore ancora piu' confuso come Marx e tutta una serie di epigoni tra cui i livelli piu' infimi sono stati raggiunti da Popper . L'unica eccezione di questa mia repulsione per lo schematico la pongo nel libro di Esiodo
Ἔργα καὶ Ἡμέραι" Le Opere e i giorni , dove lo schematico applicato alle "eta' del mondo" risulta parte integrante di una intera storia della civilta' che ha somiglianza con i racconti di tutte le zone del mondo
Età dell'oro: Gli uomini vivevano senza preoccupazioni, perennemente giovani, nutriti spontaneamente dalla terra. La morte li rapiva nel sonno e dopo la loro estinzione vennero trasformati in spiriti protettori degli uomini.Vissero sotto Crono, che era sovrano del cielo: vivean di Numi al pari, con l’animo senza cordoglio,senza fatica, senza dolor; né su loro incombevala sconsolata vecchiaia; ma forti di piedi e di mani,scevri di tutti i mali, passavano il tempo in conviti, morian come irretiti dal sonno
Età dell'argento: Zeus. Gli uomini vivevano per cent'anni presso le madri; stolti, anche una volta cresciuti non si astenevano dalle liti tra di loro e non veneravano gli dei. Per questo vennero fatti estinguere da Zeus e divennero demoni inferiori
Età del bronzo. In questa età vissero uomini possenti, ma prepotenti e violenti la cui unica preoccupazione è la sopraffazione dell'altro, lo scontro e l'annientamento dei propri simili; si estinsero per la loro stessa scelleratezza. "care essi avean, di pianto feconde, e le ingiurie. Non pane era il lor cibo: il cuore feroce, nel sen, d’adamante: informi: aveano immane vigore: indomabili mani su le gagliarde membra sporgevan dagli omeri: l’armi avean tutte di bronzo, costrutte di bronzo le case: solo foggiavano il bronzo, ché il cerulo ferro non c’era. Ed anche questi, gli uni domati per mano degli altri, entro la squallida casa disceser del gelido Averno, senza ricordo lasciare: sebbene tremendi, li colse livida morte, e del sole lasciaron la fulgida luce.
Età degli eroi. In quest'età vissero appunto gli eroi, uomini-dei o semidei, stirpe giusta e coraggiosa pronti a perire per le loro cause. Alcuni di loro furono condotti da Zeus nelle Isole dei Beati dove vissero in pace in terre fertili e ricche di greggi. Questa età è l'unica a non essere definita con il nome di un metallo. "E questi, anche, la Guerra maligna e la Rissa odïosa strussero, alcuni sotto le porte settemplici, nella terra di Cadmo, mentre pugnavan pei greggi d’Edipo; ed altri, entro le navi, sui gorghi infiniti del mare, quando li addussero a Troia"
Età del ferro: è la stirpe che tuttora vive sulla terra caratterizzata dalla sofferenza, dall'ingiustizia e dal fatto di dover lavorare per sopravvivere. Esiodo non intravede alcuna possibilità di salvezza per l'uomo. "Deh, fra la quinta stirpe non fossi mai nato, ma prima io fossi morto, oppure più tardi venuto alla luce! Poiché di ferro è questa progenie. Né tregua un sol giorno avrà mai dal travaglio, dal pianto, dall’esser distrutta e giorno e notte; e pene crudeli gli Dei ci daranno " Esiodo pone 5 eta' o cicli dove solo una di tali eta' non e' contrassegnata da un metallo, ed e' grosso modo l'epoca in cui comincia la coscienza con la scrittura , ma le interpretazioni successive piu' qualificate tipo quella di Guenon e di Evola aggiungono o tolgono interi cicli contrassegnandoli con una temporalita' differente. Guenon porta le Ere a quattro, come nella tradizione indu' e parla dell'ultima era quella del Ferro (nella tradizione indiana il Kali Juga" che ha anche la denominazione di "eta' dei servi" in termini estremamente dilatati, che sarebbe cioe' iniziata 6000 anni fa, mentre Evola si mantiene piu' prudente e ammette una sorta di sotto-era corrispondente alla eta' degli eroi piu' come eccezione dell'eta' del bronzo o dei mercanti in termini di nostalgia per l'argento e la stirpe dei guerrieri (per intenderci un po' il Sacro Romano di Carlo Magno Impero fino Federico II di Svevia, stabilendo quinte tempi un po' meno allungati per ogni eta' e piu' rispondenti ad un giudizio piu' circostanziato . Ora in questo mio articolo mi rifaccio ad una sola età di quelle elencate dalla teoria dei Cicli, quella del bronzo (o acciao) , l’età dei mercanti ovvero del predominio economico e del principio del baratto e poi dell’accumulazione di denaro che è il leit motive del suo svolgersi, laddove la successiva quella dei Servi o del ferro la vedo piu' come appendice di tale età dei mercanti che sta sta alla base della liquidazione definitiva dell’età dei guerrieri (la tradizione greco/romana) e di quella di tentativo di recupero degli eroi (il medioevo con il Sacro Romano Impero , le caste e la tradizione corale), il cui svolgimento e deterioramento sta alla base della recente anzi quotidiana distopia che stiamo vivendo. Viviamo quindi in una sorta di passaggio: passaggio ad una età dove ai pochissimi magnati che hanno accumulato buona parte di tutto il denaro del mondo, (le lobbies farmaceutiche con il loro terrorismo mediatico sanitario diffuso a bella posta grazie al servilismo della loro faccia nascosta quella di un buonismo sinistrorso e il mercimonio dell’informazione rappresentato dai cosidetti Media ) fa riscontro una massa spaventata e ignorante pronta a farsi ridurre allo stato di Servi. La mia preoccupazione e inquietudine e’ data appunto dal riscontrare come questa tabella di marcia dell’ipercapitalismo consumista e comunista, stia procedendo col vento in poppa e giustappunto mi rivolgevo ad un saggio di sicura affidabilità quale il “Cavalcare la tigre” di Julius Evola per trovare indicazioni sul da farsi in questi tempi oscuri .In tale articolo ne è scaturito appunto su consiglio di Evola, questa antica formula dello Zen giapponese ed in genere della cultura orientale più che occidentale, riflessa anche dalla parole del dio Krisna al guerriero/eroe Arjuna nella Baghvadad Gita: adattarsi, non affrontare direttamente l’avversario. Le forze nemiche sono troppo forti, quindi non conviene contrapporglisi contro in maniera diretta, per il momento glissare, ma nel contempo mai dismettere l’azione, agire d’astuzia e mostrare quel tanto di ardire per montare su il dorso della tigre, come dei tigrotti più intrepidi. Questo consiglia Evola nel suo “Cavalcare la tigre” in questo tristissimo periodo laddove nel mio caso lo studio, l’analisi, senza ricercare assurde compensazioni dialettiche alla Hegel o alla Marx (non solo ronzini, ma anche cialtroni della filosofia e della economia), l’approfondimento, la verifica, l’apertura alle tesi più ardite, si rivela nel dettaglio di un calcolo che ha i tratti del calcolo infinitesimale e che ho definito narcisistico in quanto passante in rassegna tutte le componenti di un integrale sui cammini, proprio come quello individuato da Feynman . Per il chiarimento di ognuno di questi “cammini “si profilano magari non solo come integrale, ma anche come limite e come derivata, per cui affrontando il tutto da un punto narcisistico si profila l’occasione di pervenire con maggiore precisione e chiarezza ad una loro rappresentazione Ho manifestato il sospetto che ad ogni cambiamento epocale di ciclo, o era, o età, come la si voglia definire, corrisponda una qualche improvvisa e quanto mai roboante malattia che colpisce l’intera comunità. Le ragioni di tale manifestazione possono essere spiegate razionalmente ma solo fino ad un certo punto, difatti nella seconda fase di quella del primo contagio assistiamo in genere al passaggio da una fase di affezione di tipo dermatologico- esempio più marchiano la peste bubbonica del 1348, ad una di tipo polmonare che si rivela estremamente più letale, come in effetti successe nei due anni successivi (impressionanti sono gli addentellati con la seconda Legge Biologica di Hamer, quella delle due fasi , attiva o simpaticotonica la prima, risolutiva o vagotonica la seconda) L’affezione del derma ha una spiegazione abbastanza logica, sempre restando alla grande pandemia di metà trecento, dovuta all’inurbamento delle città a causa della spopolazione delle campagne motivata da una micidiale carestia della metà degli anni quaranta e anche da oggettivi fatti di disagio tipo guerre, assedi, che aveva quindi spinto la popolazione delle città a vivere molto più ammassata con collasso delle misure igieniche, ma quella delle vie aeree del corpo, polmoni, bronchi, alveoli ???? Sempre da Hamer traiamo l’assioma che ogni affezione del corpo ha la sua ferrea motivazione: così il bubbone rappresenta un forte disagio della vita fattasi all'improvviso di troppa comunanza, ma la tosse, la malattia polmonare, che è tra l’altro molto più letale, anzi è proprio quella che nel 1348, ma anche a Roma nel 1528 dopo il Sacco della città da parte dei Lanzichenecchi, nel 1630 dopo la lunghissima guerra dei trent’anni che si era particolarmente fatta sentire nei Ducati lombardi di Milano, Mantova e in genere dell’Italia Settentrionale ????? la matrice della malattia dell’apparato aereo del corpo è sempre una : la paura. Paura! che ha si elementi oggettivi, ma anche la peculiarità di poter essere facilmente indotta, creata a bella posta, per favorire certi interessi che stiamo pur sicuri… ieri come oggi, non sono mai a favore del popolo e della povera gente, ma sempre e solo di chi detiene il potere ed è in grado di esercitarlo facendo leva su volenterosi “cavalier serventi” che si prestano a far da diffusori di tale paura. Per ogni ciclo o età del mondo si è cercato di trovare qualcosa di corrispondente (i guerrieri e l’argento per la grande stagione greco/romana fatta di olimpici, epiche battaglie (Termopili, Maratona, Alessandro il Grande, formazione di un grande Impero con personaggi d’eccezione tipo Giulio Cesare, Augusto) i mercanti e il bronzo, con il loro rintuzzo di “eroi” da Carlo Magno a Federico II e la grande stagione della coralità medioevale, fino al precisarsi della vocazione bottegaia e commerciale nel corso di sette secoli, e la minaccia di essere pervenuti all’ultima era, quella del ferro e della definitiva divisione in pochi magnati (i mercanti evolutisi ) e servi, si è fatta la inquietante scoperta che ad ogni cambiamento o passaggio epocale fa riscontro un qualcosa di “indotto” non naturale, ma fortemente pilotato, giustappunto di questa classe di mercanti, si da imporre la propria concezione di servilismo al resto della popolazione mondiale. Un qualcosa che ha inquietanti rassomiglianze nel corso del tempo appunto degli ultimi settecento anni, e che proprio la recentissima e coeva farsa di un supposto micidialissimo virus con relativa inesistente pandemia ha riportato drammaticamente in evidenza, fornendo la oramai lampante prova che quando quei famosi mercanti hanno convenuto di operare una accelerazione ai loro piani di assoggettamento delle masse si sono serviti di tutto il loro potere per provocare guerre, carestie, disagi di varia entità, ma soprattutto, vera e propria ciliegina sulla torta, di una malattia o morbo elevata al grado di pestilenza, e quindi di pandemia, che fosse in grado di catalizzare tutta la paura del cosidetto livello di immaginario collettivo delle genti. E’ per questo che ritroviamo una malattia e quindi il suo innalzamento a livello di pandemia, ogni qual volta ci sono stati davvero cambiamenti epocali: tutti gli strumenti di informazione e di diffusione di massa sono stati impiegati per convincere il più possibile la popolazione, così se prima era solo un sentito dire (a mò della famosa aria del venticello della calunnia), unita ad una manipolazione di dati sempre con la tendenza alla esagerazione, fatta a livello di documentazione storica (gli irrealistici 50 milioni di morti della peste nera di metà trecento, quelli più circostanziati, ma drammaticamente rappresentati della peste di Roma del 1528, e ancor più, di quelli dei Ducati di Milano e Mantova all’indomani della guerra dei trent’anni del 1630, con tanto di “Colonna Infame” celebrata dal Manzoni, fino ad arrivare alla vera e propria cantonata statistica della cosidetta Spagnola dopo la Grande Guerra del 1914-18, dove si è strombazzato fino alla noia che c’erano stati più morti di un solo anno di pandemia (1919) che dei caduti di tutti gli eserciti combattenti nei cinque di tutta la guerra - un misero 2/3 % dei reparti richiamati, contro il 100 % di una intera popolazione, quindi un indice referenziale del tutto erroneo, solo emozionale atto a fare impressione e diffondere paura - lezione quanto mai appresa e ripetuta in questi nostri tempi iper tecnologici, dove le conoscenze cosidette scientifiche, il tanto decantato progresso, la democrazia, le pseudo libertà, non ci hanno evitato di cadere nella trappola delle elites di potere, come e anche più di settecento anni fa; un qualcosa, attenzione .... meticolosamente ordita con la servile collaborazione dei “media” e il supporto di una mentalità ipocrita e buonista come quella della ideologia falsamente egualitaria di sinistra che in quanto faccia nascosta della stessa medaglia del capitalismo e iperconsumismo si è assunta ben volentieri il compito di volenterosa carnefice di quella libertà, che poteva essere l’unico antidoto alla sopraffazione di pochi magnati. Orbene per tutti questi cicli di cambiamenti abbiamo più di un integrale sui cammini, che come ho fatto cenno può essere rappresentato da una nuova forma di conoscenza che si è aggiunta a quella di prima riesamina (nella fattispecie la Teoria delle Ere del mondo vista come involuzione e non come evoluzione, appunto dall’oro al ferro ) Noi, e lo abbiamo chiaramente premesso fin dall’inizio della serie di questi articoletti di ragguaglio sui cicli assimilati ai cammini e quindi suscettibili della loro riduzione ad integrale, ci atteniamo alla versione evoliana ricercando quindi i parallelismi tra la situazione odierna e quella di settecento anni fa, (1348), effettuando una prima riesamina a proposito del tanto strombazzato Umanesimo e seguente Rinascenza, visto/i come equivalente dell’altrettanto strombazzato “Great reset” odierno, ovvero la prospettiva di Brunelleschi equivalente di un microchip odierno, il codice Dorico/Jonico/Corinzio come codice binario, la macchina a vapore della rivoluzione industriale come presupposto al drone di oggi e via dicendo. Solo così mantenendo cioè “umana” la interpretazione, servendoci magari di raccordi al simbolismo, a metafore un tantino esagerate sulla scansione temporale, possiamo davvero azzardare qualche inusitato nuovo “integrale sui cammini” prendendo a sugello le stesse parole di Feynman : “una possibilità può essere una traiettoria che vada fino al comò di casa nostra, un’altra quella di andare e venire nello stesso tempo alla galassia di Andromeda”, e quindi adottare numerosi riferimenti, anche quelli dell’impiego di numeri immaginari : i = radice quadrata di -1, e cioè proiezioni di negativi, per demolire quella pretestuosa formula del più presuntuoso dei filosofi Hegel “ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale” e far paccottiglia di tutti i suoi spiriti della storia che lo stesso filosofo credeva di veder incarnati nel primo caporaluccio di passaggio solo perché aveva vinto una scaramuccia, per ritrovare la complicità dei mercanti (banchieri, oligarchi, magnati di ipercapitalismo etc) in tutti i grandi eventi di una storiografia per la quasi totalità gonfiata, artefatta, falsa, quale si conviene sia stata la cosidetta età del bronzo: abbiamo in altre parole una sorta di grimaldello per aprire tutte le porte di una dilagante falsificazione, che ci consente di passeggiare sui famosi cicli delle età del mondo, tutte, o meglio quasi tutte : l’argento dei guerrieri, il bronzo dei mercanti, il ferro dei servi, però ecco che non abbiamo nulla o quasi nulla per capire qualcosa dell’età dell’Oro ovvero quella degli Dei. Chi erano questi dei???? E come mai, come lamenta Esiodo questi dei ci hanno abbandonati, non ci parlano più ? Dobbiamo far fede che erano immortali, che non conoscevano vecchiaia e che possedevano poteri che mai più alcun essere vivente ha avuto nel nostro pianeta; come dice Evola rappresentavano un qualcosa che “mediante un passaggio dalla derivata all’integrale desume da attributi e titoli, gli elementi di assoluta incommensurabilità alla storia conosciuta” Ecco allora che prendono corpo le teorie delle Quattro Lune di Horbiger, quella degli Elohim di Biglino, o comunque della visita in tempi ancestrali di misteriosi esseri da altri pianeti. C’è al contrario degli altri cicli, un deciso trascendere delle modalità di ordinaria razionalità, dobbiamo per così dire “cambiare registro”, fare come in fisica quantistica : doppia fenditura, ma anche principio di indeterminazione (Heisenger) ovvero particella o flusso, equazione d’onda con tanto di collasso (Schrodinger), dobbiamo spostarci dal reale che tutto è tranne che razionale, percorrere l’immaginario (quel famoso “i”) che però resta in attesa dell’ulteriore ultimo passaggio, ovvero il Simbolico. L’età degli dei, o Età dell’oro, possono essere affrontati, dalla nostra mente solo facendo ricorso al simbolico, rinunciando cioè alla più peculiare delle caratteristiche umane : la coscienza. La coscienza : c’è chi la ritiene connaturata alla stessa specificità umana, una sorta di kit che ha sempre fatto parte del bagaglio del suo pensiero, un qualcosa di atavicamente biologico, diciamo una “essenza” e in tal senso, spesso e volentieri, storia, mito e scienza, perfino religione, sono andati a braccetto: che cos’è difatti il famoso “albero della conoscenza del bene e del male”? e la “famosa mela?” se non l’apparire di una coscienza ovvero la capacità di narratizzare se’ stessi, il situazionarsi in relazione all’ambiente ? “ aprirono gli occhi ed entrambi e s’accorsero che erano nudi” (Genesi 3:6-7). “...e la scintilla che Prometeo rubò agli dei dalla fucina di Vulcano? tutte le ulteriori varianti dei miti dell’origine : l’intelligenza pietrificata di Schelling, i protocolli neurologici che vanno anche alla ricerca di una localizzazione di questa fantomatica coscienza? C’è sempre sottesa la ipotesi di una infrazione, una disubbidienza, un furto, e come di un qualcosa che deve essere mantenuto nascosto, occultato: certamente custodito..., dove? ovviamente la parte privilegiata è quella più recente dell’encefalo, nella corteccia cerebrale, nel foglietto embrionale dell’ectoderma, in sinapsi non meglio identificate, financo in qualche neurone specchio, ma la discussione è sempre aperta. Ho già fatto più volte cenno ad uno psichiatra americano Julian Jaynes, che intorno alla metà degli anni ’70 dello scorso secolo pubblico’ un libro davvero epocale che per sua stessa ammissione rappresentava il frutto di tutta una vita di intuizione e studio “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” che dell’assunto che la coscienza sia un qualcosa di biologicamente innata e connessa alla stessa evoluzione dell’essere umano, non se ne dà per inteso; per lui la coscienza è un derivato del linguaggio articolato e quindi incredibilmente più recente di tutte le precedenti argomentazioni, altro che specifica connaturata alla biologia umana: per ipotizzare un’origine della coscienza non si va a più di tremila anni da oggi. Il suo libro sollevò un enorme scalpore: Accuse di antiscientificità, biologia e neurologia all’unisono per contraddire tale ipotesi “la coscienza vecchia di appena tremila anni?” Ma siamo matti? e prima che c’era? come funzionava l’essere umano?” La coscienza è un derivato del linguaggio “ insisteva Jaynes “ha le stesse impostazioni linguistiche di condensazione e di spostamento, quelle che Freud aveva stabilito per il sogno, ovvero anche lo stesso sogno è una manifestazione di un linguaggio, come ha osservato Lacan, mettendo sul piatto la concezione di inconscio e quelle che De Saussure aveva sancito nel suo “corso di Linguistica Generale, come assi portanti di una lingua ovvero la metafora e la metonimia, che debbono essere intese come un trattato di retorica strutturale La straordinaria importanza di un linguaggio, spiega Jaynes nel suo libro risiede nella sua capacità di conformare analoghi, analoghi tra la volizione e il comportamento “com’è quella data cosa? bhe e’ proprio come quel…. “è come…” è così che il lessico di una lingua si arricchisce, nomina le cose, le fa più vicine o più distanti, più a portata, meno a portata, le fa ….“come..” .ovvero immettendo una esperienza precedente come a collaudo di una nuova, inserendo tra di esse un giudizio di rassomiglianza; l’uomo nomina le cose attraverso la metafora e la metonimia, tutte le cose che fanno via via parte del suo ambiente, ma solo piuttosto tardi nella storia della sua evoluzione riesce a cogliere la sua presenza in relazione a quelle date cose, prima difatti non disponeva di un analogo riguardante sè stesso da mettere in relazione all’ambiente, in una parola diciamo che non era in grado di “narratizzare”. Ecco appunto! la coscienza è questo tipo di narratizzazione di sè stesso in relazione a... è in altre parole : un “analogo io” Si risponde così a quella domanda “cosa c’era prima della coscienza?” non c’era una analogo io, c’era qualcosa altro, qualcos’altro in grado di assolvere a tutte quelle funzioni eminentemente pratiche, si da assicurare un perfetto adattamento e inserimento nell’ambiente circostante, sia a livello naturale, che a livello di aggregazione, di gruppo, un qualcosa che rappresentava una sorta di codifica e amalgama di tutte le prescrizioni, tutti gli ammonimenti, tutti gli accorgimenti che nel corso del tempo e dell’evoluzione, l’ambiente esterno aveva richiesto all’individuo e alle sue successive aggregazioni: da clan, a gruppo, a tribù, a città, appunto quel qualcosa che appunto Jaynes denomina “mente bicamerale” In cosa consiste quindi questa Mente Bicamerale???? Detto così alla buona in una vera e propria formazione neuronale che aveva la sua topica nell’emisfero destro del cervello e in stretta corrispondenza di quello sinistro, in quelle aree che ancora adesso si ritengono deputate al linguaggio: la corteccia motoria supplementare, nella parte alta del lobo frontale sinistro, l’area di Broca, più in basso sempre nello stesso emisfero ed infine l’area di Wernicke, la più estesa che occupa la quasi totalità della parte posteriore del lobo temporale sinistro e che si ritiene fondamentale ai fini della formazione del linguaggio articolato. La domanda che Jaynes si fa e la cui risposta costituirà il paradigma della sua straordinaria ipotesi è “come mai le aree del linguaggio, una peculiarità così fondamentale per la nostra stessa essenza di esseri umani, si trovano tutte e solo nell’emisfero sinistro? Perchè questa marcata settorializzazione e sopratutto cosa c’è nelle corrispondenti parti dell’emisfero destro? la famosa plasticità del cervello, oggi consente di verificare che in individui che hanno subito danni all’emisfero sinistro, data l’assoluta importanza della funzione del linguaggio, questa si sposta appunto sulle corrispondenti aree dell’emisfero destro, ma ecco!... si tratta pur sempre di casi eccezionali, sporadici e non probanti ai fini di una vera risposta alla domanda di fondo: cosa c’è, o magari cosa c’era, nell’emisfero destro in alternativa al linguaggio? L’emisfero destro è notorio, è tradizionalmente, ma anche un pò fumosamente e misteriosamente, ritenuto il ricettacolo della intuizione, delle emozioni, della fantasia; se stimoliamo le aree corrispondenti a quelle individuate nell’emisfero sinistro, non abbiamo nessun effetto di vistosa sintomatologia, tipo afasia, arresto, imbrigliamento di parole, dimenticanza o quant’altro, niente di niente, anzi si è altresì rilevato che in casi di asportazione chirurgica di vaste aree di detto emisfero, a volte dell’intera area corrispondente a quella di Wernicke nell’emisfero sinistro, non si sono riscontrati che deficit sorprendentemente esigui per l’intera funzione mentale e nessuno di entità linguistica, pertanto si è arrivati alla conclusione che l’emisfero destro è perlopiù un emisfero “muto” o perlomeno suscettibile di essere topicizzato come appunto ricettacolo di tutte quelle “fumose” manifestazioni riferibili genericamente all’emozione, alla fantasia, ad una non meglio precisata “intuizione”, che restano un qualcosa di poco catalogabile, senza precisi riscontri di causa effetto, nè tanto meno di ripetibilità. La tesi di Jaynes è che non avendo oggi le aree dell’emisfero destro, alcuna manifestazione importante osservabile, con tutta probabilità l’avevano un tempo, in una fase dell’evoluzione umana antecedente all’attuale, una fase in cui l’uomo non disponeva di quella funzione di narratizzare se’ stesso in relazione all’ambiente e al sociale, non disponeva cioè di un “analogo io” , e pertanto aveva bisogno che un altro analogo, gli desse indicazioni sul da farsi, su come far fronte alle necessità, ai bisogni che un mondo non certo accogliente, gli poneva costantemente di fronte. La mente bicamerale altro non è che tale paradigma: da una parte una funzione eminentemente operativa, strumentale, ovvero un linguaggio sempre più articolato che consente attraverso la metafora, quel …. “è come…” di nominare le cose e raggrupparle per per associazione di rassomiglianza si va ad allocare in una sola parte del cervello; dall’altra, nell’emisfero opposto, abbiamo una funzione, meno circostanziata, meno sintomatica, ma parimenti importantissima, eminentemente simbolica (nel senso proprio del termine: che ri-mette insieme comportamento e ambiente) dove la somma di tutte le situazioni, tutte le esperienze si vanno a codificare in un qualcosa di analogale si, ma con caratteristiche di ammaestramento: un linguaggio anch’esso, ma profondamente diverso e con elementi di ineluttabilità. Tali peculiarità si vanno a topicizzare nelle aree dell’emisfero destro del cervello, presumibilmente corrispondenti a quelle opposte del linguaggio articolato, e questo perchè, anche in questo caso si tratta di un linguaggio, anche se l’analogia non è incentrata su acquisizioni di nuovi termini, messi in relazione dalla metafora , quel “è come…” che opera per meccanisni di paragone e rassomiglianza, ma per prescrizioni di carattere comportamentale che è necessario che siano il più possibile categoriche. Un linguaggio e quindi una voce si, ma una voce un pò particolare, che più che per metafora operi per metonimia, ovvero non per condensazione di significazione di termini, ma per trascinamento di significante, un “sentito dire” che si fa prescrizione, norma , ammaestramento, ovvero una voce con carattere allucinatorio, non portata da apparati fonetici, ma evocata mentalmente da una formazione neuronale che si assume il compito di sostituirsi a quella ordinaria quando sono in gioco fattori di sopravvivenza dell’individuo e del gruppo. La componente allucinatoria e’ resa necessaria dal carattere prescrittivo del messaggio, che non può limitarsi al fatto di essere “udito”, ma deve essere “ubbidito” cioè “ob-audito”: non si tratta dell’acquisizione di un nuovo termine che arricchisca il linguaggio articolato, ma di un suggerimento, una prescrizione, una norma che non può essere elusa, una sorta di imperativo categorico, che non abbisogna di spiegazione, ma di esecuzione, pronta esecuzione: “vai a costruire quell’argine!” “porta arco e frecce quando ti indentri nella foresta!” “lascia delle tracce nel tuo cammino!”, un qualcosa che solo una voce allucinatoria, che promana però dal profondo della tua mente, può importi. Con tutta probabilità il primo referente di questo tipo di comunicazione altra, non metaforica, ma metonimica, con carattere prescrittivo,dovette essere il Capo del Gruppo, il membro dominante, il soggetto appunto preposto alla guida e alla conduzione del gruppo, le cui indicazioni assumevano un che di efficiente, di consolidato e di non discutibile, appunto quell’’ob-audire=ubbidire, da parte dei membri del gruppo, in quanto in gioco la sopravvivenza stessa di tale gruppo e nel suo farsi clan, tribù, comunità, città, stato. Però in seguito, con la morte fisica, di questo capo, di questo Re, le sue voci, i suoi precetti avrebbero rischiato di venire dimenticati se non fossero stati messi in atto determinate procedure che favorissero invece una costante rammemorazione : ecco che assistiamo quindi ad una serie di procedimenti riscontrabili in tutte le antiche civiltà: l’abitazione del capo morto viene dipinta di rosso, spesso e volentieri dotata di un parapetto rialzato dove viene acceso un fuoco che una classe sacerdotale è incaricata di mantenere acceso, lo stesso successore al suo ruolo di capo, viene investito di una funzione di interprete degli antichi ammaestramenti, finche’ alla sua morte fisica si stabilisce una sorta di continuità: l’antica abitazione, diviene la dimora non del singolo Re, ma di tutti i Re, dove continuano ad assommarsi tutti precetti, finchè ad un certo punto il Re morto impersonando se’ e i suoi successori, diviene un Dio vivente, il sepolcro diviene una statua da adorare, la casa un tempio, il più distinguibile, il più visibile possibile, quasi sempre al centro dell’abitato, in posizione rialzata e tutti quegli ammaestramenti, quei consigli, quelle voci non sono più ascrivibili ai singoli re, ma diventano un’unica grande voce, la voce del dio, degli dei viventi. E’ così che nell’uomo nel Gruppo si forma la idea degli dei, da una serie di stimoli visivi, ma sopratutto da stimoli auditivi, da una sorta di codice neuronale che localizzato attraverso termini in sempre continua evoluzione /specializzazione (il”come se…” della metafora) potessero essere tradotti nell’emisfero opposto in prescrizioni con la peculiarità di ricezione non metaforica, di condensazione di significato, ma come trasferimento di significanti, una comunicazione non esterna, portata da un linguaggio di attribuzione, ma interna con caratteristiche di voce non articolata, ma allucinatoria, che più che udita dovesse essere obbedita. Ho un po’ insistito su tali precisazioni : metonimia ovvero spostamento di significanti e non metafora o condensazioni di significati, allucinazioni auditive nell’accezione però di ob-audire e non semplice au-dire, una formazione neuronale degli dei prima che l’uomo arrivasse a quell’analogo io che gli consente di narratizzare se’ stesso, mettersi in situazione rispetto ad un ambiente che lo impegna …., cosa succede se applichiamo tutto questo paradigma a quella famosa, misteriosa, sconosciuta eta’ dell’oro (un simbolo anch’esso) e a degli dei, che proprio perché soppiantati da una coscienza derivata dal linguaggio, non ci parlano più, se non attraverso meccanismi che questa coscienza la eludono?????? Gli dei dell'età dell'oro diventano loro : dei meccanismi neuronali e delle voci che agiscono per metonimia; il tutto in una accezione che con la formazione della coscienza per pressioni di adattamento selettivo, opera per antitesi simmetrica tra emisferi cerebrali in maniera simbolica, che è la peculiarità di comunicazione dell'inconscio
domenica 17 luglio 2022
RELIGIONE E SCIENZA : MADRE E FIGLIA
L'IDENTIFICAZIONE TRA SCIENZA E RELIGIONE MI SEMBRA MOLTO PROBANTE IN QUANTO E' UNA SORTA DI MECCANISMO EREDITARIO FIN TROPPO RICONOSCIBILE : IL TORQUEMADA DI IERI E' IL FAUCI DI OGGI E LO STUOLO DEI CARDINALI DEL SIDONO E' RAPPRESENTATO OGGI DAI VARI SOROS, GATES, SCHWAB. Tutte malefiche persone che non si discostano gran che dall'istituzione chiesastica di antico lignaggio rappresentata chessò dalle grandi famiglie tipo Rochfeller, Rotschild e da tutto l'apparato liturgico che oggi fa parte delle lobbies farmaceutiche e anche delle più avanzate società di High Tech. Terrorismo mediatico-sanitario e tecnologia digitale avanzata, una miscela ideale per soggiogare l'intera umanità, come mai era riuscito prima a nessun feroce dittatore del tipo di Stalin, Hitler, Mussolini, Mao, Ceauscescu, Pinochet, Bokassa e l'eredità dell'oppressione religiosa anche se come dice Scoglio "Non c’è più religione…o meglio, c’è ormai un’unica e ultima religione: la religione del Virus! Una religione a cui anche tutte le altre confessioni -dal cristianesimo al buddismo passando per l’Islam- si sono sottomesse. Papa Bergoglio per parte sua è stato fra i primi a riconoscere la supremazia della religione del Virus. Per questo “coerentemente” ha fatto cessare le messe cristiane, perché la messa non può garantire il distanziamento e rischia dunque di sollecitare l’ira del Divino Virus; ha fatto cessare le comunioni perché l’ostia, che un tempo era portatrice del corpo di Cristo, ora può diventare portatrice del Virus, “entità suprema” che ha quindi scacciato la divina presenza del suo predecessore; ed è sempre per questo che ha invitato tutti i fedeli ad abbandonare la fiducia nel potere salvifico della comunione, riponendola invece nell’unico e ultimo strumento di salvezza: il “santo-vaccino, in questo seguito subito a ruota niente popò di meno che dallo stesso Dalai Lama (il “profeta delle star di Hollywood”). In effetti e a ben vedere, il Virus ha tutte le caratteristiche del Dio-di-prima. Come quello è invisibile, tanto che l’unico modo per relazionarsi con lui è attraverso un Credo fideistico sostenuto dalla Casta dei Sacerdoti Virali! Come il Dio-di-prima, anche il Virus è Uno e Trino: quando si è rivelato ai sacerdoti virologi di Wuhan, Esso infatti si manifestò da subito (e senza prove) in 3 forme diverse e in 3 diversi pazienti, e tuttavia era sempre Uno e come Uno fu adorato! In verità però, questo nuovo essere divino sembra molto più potente del Dio-di-prima, che si incarnò una sola volta: questo, in appena poco più di un anno ha manifestato circa 1 Milione e 300.000 incarnazioni (quelle che i sacerdoti della religione virologica chiamano “sequenziamenti”).Come il Dio-di-prima, il Virus è insieme buono e terribile, come quello-di-prima risparmia i suoi fedeli e punisce i suoi nemici. Esso è mite fino alle ore 18 o al massimo le 22, per poi scatenare la sua ira nelle ore successive. Colpisce quelli in piedi, non i seduti ai tavoli. Ma soprattutto “egli” sa riconoscere i suoi Fedeli: quelli che i Sacerdoti e i Regnanti Virologici chiamano “vaccinati”. E’ vero che ci sono numerosi deceduti post-vaccinali, ma anche il Dio Virus, come quello di prima, chiama sempre i migliori a Sé! Ma a tutti gli altri vaccinati “Egli” accorda il privilegio di essere sottoposti a prove di “fede” differenti dai non toccati dal “sacro crisma” dell’inoculazione: infatti per i “vaccinati” i test molecolari PCR sono più benevoli, con meno di 28 cicli, mentre per tutti gli altri –apostati!- servono i “canonici” 40 e più cicli. In questo modo “Egli” libera i suoi fedeli dallo stigma reclusivo della positività al virus, che riserva, assieme all’esclusione sociale, a chi non si converte alla Sua religione vaccinale!E come quello di prima che, nella sua manifestazione come Figlio di Dio, fondò sulla pietra che era Pietro la sua Chiesa, così anche il Dio Virus mantiene una grande e potente Chiesa fatta di Sacerdoti Virologi, che, nella più pura tradizione della priorità del potere spirituale su quello temporale, travasano il loro esoterico sapere -che definiscono “scientifico”- su Regnanti che possono solo sottomettersi, dato che fondano la loro legittimità di fronte al Popolo proprio sulla benedizione e del sigillo dei Sacerdoti viro-farmacologici. Anche il modo della comunicazione della nuova Chiesa Virologica non è molto diverso da quello della Chiesa precedente: in entrambi i casi il linguaggio e altamente esoterico, assolutamente incomprensibile al popolo e a chiunque altro non faccia parte della Casta dei Virologi. Il loro nuovo Linguaggio è altrettanto inaccessibile di quello in uso quando la (ex) Santa Messa era in Latino, e veniva recitata a un popolo che per lo più sapeva nulla di Latino. Ora che anche il Papa della vecchia religione si è convertito alla Religione Virologica, i nuovi Sacerdoti Virologici adottano le stesse tecniche della precedente Casta Sacerdotale per apparire come gli unici che possono comunicare col Dio Virus e interpretarne gli editti!E così come con la Chiesa di prima la Comunione -sacramento che, una volta introdotto nel corpo diventava fonte di salvezza, facendovi entrare proprio il Corpo di Dio- ora con la nuova Chiesa accade lo stesso: il suo sacramento, il Vaccino, viene iniettato nel corpo del fedele introducendovi il Sacro Corpo del Dio Virus che, entrando in una forma meno terribile e più amica (almeno così raccontano i sacerdoti virologici), dovrebbe rendere il fedele immune dalla futura ira del Dio, donando così al fedele la “certezza” di essere da esso risparmiato e poi salvato.Come quello di prima il Dio Virus è il Signore di un Paradiso, chiamato dai nuovi Sacerdoti “immunità” o immunizzazione”; e non di meno di un Inferno, detto “infezione” e/o “contagio”. E come spesso con la religione del passato la paura dell’Inferno era usata per tenere il popolo sottomesso e vendere indulgenze, lo stesso accade con questa nuova religione, che controlla il popolo col terrore dell’Inferno virale, mentre vende a caro prezzo le nuove indulgenze: mascherine, disinfettanti, certificati di immunità. Questa nuova religione è talmente universale che non eredita i suoi caratteri centrali da una sola religione, ma le include tutte. Dalla tradizione monastica buddista ha preso la reclusione nella propria cella per dedicarsi completamente alla visione televisiva del Dio Virus. E cosa è la mascherina, simbolo della devozione al Dio Virus, se non una versione moderna e più universale del chador o del burka di tradizione musulmana? Nella tradizione musulmana coprire il volto delle donne era strumento di salvezza, perché la pubblica visibilità della donna poteva scatenare impulsi aggressivi e dunque potenzialmente violenti e distruttivi nell’uomo. Oggi, il Dio Virus pretende la stessa rinuncia alla pubblica visibilità, perché Egli non ama la socialità e non sopporta che gli esseri umani si dedichino gli uni agli altri, perché richiede fedeltà assoluta, e vuole i suoi Fedeli pienamente concentrati sulle terribili conseguenze che Egli può lanciare su chi non gli è Fedele, scatenando la sua sacra ira. Gli “Infedeli” affermano che questo Dio in effetti non esiste, che non può arrecare nessun danno, e che i danni semmai derivano tutti dalla somministrazione dei suoi presunti sacramenti vaccinali. Ma gli Infedeli sono una minoranza, silenziata con il solito mix di indifferenza e repressione, e così i contestatori sono resi innocui. Questo anche grazie alla conversione dei contestatori di prima: sinistri e femministe mai avrebbero accettato la discriminante e umiliante copertura musulmana del volto delle sole donne; ma il Dio Virus, più equo e politicamente corretto, impone la copertura di tutti, donne e uomini indistintamente. E poiché tale rinuncia a mostrarsi ha come premio non la promessa di una astratta salvezza ultraterrena, come faceva la religione di prima, ma la promessa di una concreta salvezza terrena (che gli Infedeli gridano essere un trucco), tutti i politicamente corretti, e persino le femministe, accettano con convinzione di vestire questa nuova versione del chador o burka. Veramente, insomma, non c’è più religione…
Queste osservazioni le ho tratta dal libro "Apandemia" di Stefano Scoglio , una delle pochissime persone sulla quale in questi tempi oscuramento della ragione, si puo' far riferimento. Io per la verità, in tempi recentissimi avevo provato ad accostare, per rassomiglianza di nulla essenza, il virus con le Stringhe e magari le Super Stringhe della M- Theory supposta da scienziati del calibro di Veneziano, Feydman, Susskind, Witten, Greene che ponevano a fondamento ultimo del tutto appunto delle microscopiche stringhe di energia che risuonavano per strane associazioni spazio temporale in svariate diverse dimensione (fino a 11) utilizzando spazi/tempi del tutto inusitati fatti di accartocciamenti, con super simmetrie in anti materia tipo ad esempio il promettente spazio di Calabi-Yau per esperire un sequel di insiemi di multiuniversi, che per certi versi ricorda l'inconscio come insiemi infiniti di Mattè Blanco e per altri decifra quella "M" della sopracitata Theory con le parole di Mistero e anche di Magico.
sabato 16 luglio 2022
CON HAMER SI O NO?
IL RISVEGLIO DELLA RAGIONE NEL FUTURO ANTERIORE
Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero ...
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Dopo il 25 aprile e le sue magagne parliamo del 29 che e’ il giorno in cui venne ufficializzata la morte di Benito Mussolini (inutile anda...
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I Kazhari chi sono questi giudei dell’Apocalisse, citati nella lettera all’Angelo della chiesa di Smirne, che si pretendono giudei senza e...