mercoledì 24 febbraio 2021

IL REALE E' IRRAZIONALE e STRINGATO



Non è da oggi che giro attorno al concetto di simmetria adattandolo al funzionamento simbolico dell'Es , in verità dal 1983, quando impattai con la teoria di Ignacio Mattè Blanco e il suo inconscio come insiemi infiniti, che è stata una di quelle poche teorie che mi hanno davvero cambiato la vita(dalla pulsione di morte di Freud, all'Individuazione di Carl Gustav Jung, ai Seminari di Lacan, all'Origine della coscienza di Julian Jaynes, alla pragmatica comunicazionale della Scuola di Palo Alto, alla terapia non direttiva di Milton Erickson, fino all'ultima piece rappresentata dalle Leggi Biologiche di Hamer, e a tutta la revisione dell'impianto statistico/casualistico della cosidetta medicina ufficiale)
La simmetria come osserva Mattè Blanco è strettamente interrelata al funzionamento dei meccanismi dell'inconscio (ES), da cui se ne evince che tutta la logica aristotelica e i suoi principi (Identità, non contraddizione e terzo escluso) se ne vanno a farsi benedire e emerge una nuova modalità di funzionamento, che appunto propongo quindi di trattare simmetricamente  Nel 1962 lo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn pubblicò il saggio " La struttura delle rivoluzioni scientifiche", in cui sosteneva che ogni rivoluzione scientifica è caratterizzata da un momento di crisi, dal quale sorge una nuova visione scientifica, ovvero un nuovo paradigma, secondo la terminologia di Kuhn. È curioso come proprio negli anni della pubblicazione del saggio di Kuhn, stava nascendo in fisica un nuovo paradigma, frutto di un'autentica rivoluzione scientifica. Mi riferisco alla comprensione del ruolo chiave che giocano le simmetrie nelle leggi fondamentali della natura e, in particolare, ai diversi modi in cui le simmetrie possono manifestarsi. Il premio Nobel per la fisica assegnato quest'anno a Francois Englert e Peter Higgs celebra appunto la scoperta di un particolare modo in cui una simmetria può essere presente nelle leggi fisiche che descrivono certi tipi di forze, pur non essendo per nulla evidente nelle proprietà delle particelle che risentono di queste forze. Questo fenomeno avviene quando lo stato di minima energia, cioè quello che i fisici chiamano vuoto, non gode del medesimo grado di simmetria delle leggi fisiche. In questo caso, la simmetria si manifesta in modo più complesso dal punto di vista matematico, più recondito dal punto di vista fisico, ma altrettanto efficace nel determinare la struttura delle leggi fisiche. In gergo tecnico, si dice che siamo di fronte a una rottura spontanea di simmetria. 
All'inizio degli anni sessanta si pensava che la rottura spontanea di simmetria implicasse per forza l'esistenza di particolari particelle di spin zero e massa nulla, di cui però non vi era traccia in natura. Per complicare le cose, i fisici di allora si erano convinti che le particelle capaci di trasmettere forze, nel contesto delle cosiddette teorie di gauge, fossero necessariamente di massa nulla. Entrambi i risultati rappresentavano seri ostacoli alla possibilità di utilizzare la simmetria per descrivere le forze nucleari e subnucleari. I successivi studi di Schwinger, Anderson, Brout, Englert, Higgs, Guralnik, Hagen e Kibble mostrarono che i due problemi si annullavano a vicenda. In una teoria di gauge in cui il vuoto non rispetta le stesse simmetrie delle leggi fisiche (cioè in presenza di rottura spontanea di simmetria) non esistono le problematiche particelle di massa nulla, e i mediatori delle forze sono particelle massicce. I due problemi avevano trovato una soluzione comune.
Questo risultato aprì nuove opportunità per l'utilizzo delle simmetrie in fisica, che sono state utilizzate prima da Weinberg e poi da un'intera generazione di fisici per svelare i segreti dei principi della natura e affermare il paradigma delle simmetrie (per usare un linguaggio alla Kuhn). Infatti, oggi sappiamo che tutte le forze in natura - la gravità, l'elettromagnetismo e le altre interazioni che agiscono a livello nucleare e subnucleare - sono espressioni di un unico principio che poggia sul concetto di simmetria. Inoltre, la simmetria della forza nucleare debole è realizzata con rottura spontanea, ovvero non è rispettata dallo stato di vuoto. Speculazioni teoriche più recenti sostengono che il fenomeno della rottura spontanea di simmetria sia molto più vasto. Anziché coinvolgere solo la forza debole, il vuoto potrebbe nascondere nelle sue pieghe simmetrie molto maggiori, forse legate a una completa unificazione di tutte le forze in natura. La scoperta del bosone di Higgs è stata un coronamento del paradigma delle simmetrie, ovvero della concezione che le simmetrie governano le proprietà delle forze fondamentali. Va sottolineato però che, nonostante un nuovo elemento fosse necessario per il completamento della teoria della forza debole, l'esistenza di una particella con spin zero, quale il bosone di Higgs, non è una necessaria conseguenza della rottura spontanea di simmetria in una teoria di gauge. Per esempio, la superconduttività è un esatto analogo del fenomeno presente nella forza debole, pur senza coinvolgere alcuna particella con spin nullo. La conferma che il completamento della teoria della forza debole è realizzato da un semplice bosone di Higgs rappresenta un successo del paradigma delle simmetrie ma, al tempo stesso, ne apre una falla. Infatti, spingendo all'estremo il paradigma delle simmetrie, i fisici teorici si attendevano che nuovi fenomeni e nuove particelle dovessero accompagnare il bosone di Higgs. Le ricerche attuali non hanno, per il momento, messo in evidenza i fenomeni aspettati, anche se la questione è ancora sotto indagine sperimentale : Il premio Nobel per la fisica a Englert e Higgs è un riconoscimento alle prime fasi di una rivoluzione scientifica che ci ha fatto comprendere un profondo principio della natura: il paradigma delle simmetrie. Secondo Kuhn, a una rivoluzione scientifica segue un fase di lento progresso che poi sfocia improvvisamente nell'affermarsi di un nuovo paradigma. Forse oggi siamo di fronte ai primi indizi che favoriranno l'emergere di un nuovo, e ancora sconosciuto, paradigma. 
E se questo vale per la fisica dove di certo ha una sua pregnanza la confluenza nella ricerca della la Teoria delle stringhe (1968) e poi delle Super Stringhe con la misteriosa M-Theory (1995)
C'è anche il riaccostamento alla equazione d'onda di Schrodinger dove si cerca di mettere al servizio del famoso collasso dell'equazione quella famosa funzione PSI e l'ancor più famoso gatto dello stesso Schrodinger col suo "vivo o morto" che potrebbe anche essere una sorta di disvelamento dell'asterisco posto sulla lapide del fisico, che potrebbe anche intendersi come l'uso incondizionato sia di numeri immaginari "i" (proiezioni di numeri negativi), sia di loro coniugati dove non ci sarebbe più traccia di immaginario, e si tornerebbe si ad un reale, ma di certo non razionale come voleva Hegel, anzi decisamente irrazionale


martedì 23 febbraio 2021

CREDENZE

 A VOLTE LE CREDENZE NON SONO IN CUCINA !

Ah no!? e dove?... bhe!, in salotto, in ingresso, su di un terrazzo, persino nel bagno. Tu parli di credenze antiche, quelle della nostra infanzia, dove si andava a rubare la marmellata!? Credenze antiche, antiche credenze, fai un pò tu; una cosa è certa, c’era di tutto in credenza, ci trovavi di tutto, marmellata, biscotti, cioccolata, anche quella colle nocciole, il barattolo della Nutella, ma non solo dolce, anche salato, rustico: scatolette di tonno, di sardine, cetrioli sotto aceto, buatte di pomodoro e anche estratto, pane in cassetta e bottiglie di olio che venivano da una regione dove l’olio è eccezionale. A proposito di questa regione , ecco mi ricordo proprio di un paesetto di un suggestivissimo paesetto con tanto di monticiattolo e pineta sulla sommità del monte, dove la sera avevano messo gli altoparlanti collegati con un giradischi e si ballava in una estatica atmosfera, propiziata dallo scenario, ma anche da un paio di ragazzette davvero super “uh! ma guarda ti chiami come un fiore, che è anche il nome della più bella novella di Hermann Hesse!” Certo ne è passato di tempo, ma poi non tanto, se il cantante di cui proprio in quel momento attaccava la canzone “accoccolati ad ascoltare il mare….” ce lo ritroviamo ancora oggi, d’accordo un pò mummificato, a presentare il festival di Sanremo. Atmosfera estatica, trasognata, a ballare con la ragazzetta tra i pini che svettavano su nel cielo, con una grande luna piena, irrealmente luminoso, quasi fosforescente screziato da allungate ombre nere. Magnifico no? bhe si, ma….c’era un ma, ed era occasione di grande sfottò dei miei amici, che seminascosti dietro una siepe, continuavano a pigiare sul pulsante di quella dannata Nikon F col Photomic, in cui ogni scatto, rumorosissimo, un vero e proprio “kataclang” era una specie di colpo per il mio blasone di Casanova. “proprio un bel Casanova il nostro amico”, riferivano al nuovo arrivato “ma lo sai della sua ultima conquista? ce l’hai presente quel film con Manfredi e Mario Carotenuto che si beve l’acido muriatico?” “si certo un film di un paio d’anni Girolimoni il mostro di Roma!” “ecco appunto altro che Casanova, lo abbiamo soprannominato Girolimoni, la sua ultima conquista avrà oltre 10 anni meno di lui”” che stronzi che siete” ero intervenuto piccato “ tra l’altro se l’aveste visto bene quel film, sapreste che Girolimoni era del tutto innocente, il nome è rimasto nell’immaginario popolare come sinonimo di mostro, semplicemente perchè il fascismo non voleva ammettere di aver preso una cantonata e quindi vietò alla stampa di dar rilievo alla sua scarcerazione e alla sua conclamata estraneità ai terribili fatti dell’uccisione e violenza di ragazzine, tra l’altro molto ma molto più piccole,di cui voi tanto ironizzate che sono invece quelle delle fotografie di David Hamilton, ecco andate a vedervi il film Bilitis, oppure ispiratevi al Proust de “all’ombra delle fanciulle in fiore” “si ha ragione “ confermò il nuovo arrivato “quel nome è rimasto erroneamente come epiteto di mostro anche perchè quel coglione di Mussolini, quando gli fu riportato il nome disse perentoriamente “e’ lui! di sicuro è lui! anche questo suo nome “giro - limoni” da’ subito l’idea di contorto, di perverso” ; bhe! meno male che era venuto Marco, colla sua intelligenza e anche cultura, forse si sarebbe un pò arginata la montante campagna di sfottuta di quegli amici di Rieti e difatti aveva fatto subito di più “ma poi scusate chi dite quella ragazzina mora, coi capelli lunghi, piccolina si, ma davvero stupenda???””eh si proprio lei!”Bhe!? ma l’avete visto il fratello?” Ecco ora “annamo proprio bene...” e chi glielo levava più dalla mente a quei ragazzi di Rieti, quasi tutti un pò fascistelli, che tutti i romani non sono solo maniaci, ma anche froci!
Credenze sempre credenze che come detto, specie quelle più antiche, non stanno solo in cucina, ma a volte altrove, persino fuori di casa, in un terrazzo o anche in un cortile, così quella credenza in quel paesino di mezza montagna, dove, ancora lei, veniva a prendere, patate, fagioli in scatola e pur essendo tutt’altro che biondina, l’insalata alla ricciolina. Caldo pomeriggio d’estate, atmosfera pesante e umida, tipo quella di un film di più di 10 anni dopo con Elena Sofia Ricci, laddove però la credenza era posta si in cucina, ma una cucina posta in una veranda che si apriva in una sorta di orto . Galeotto non fu il libro, ma piuttosto quella irreale circostanza di quasi assoluto silenzio dove l’unica cosa che da lontano si udiva, era la voce del telecronista della partita di pallone dei campionati del mondo in Germania; si d’accordo l’Italia era stata malamente eliminata e c’era stata anche quella incriminata scena del giocatore Chinaglia che stizzito aveva lasciato il campo rifiutando di stringere la mano al compagno che lo stava sostituendo, ma tutti erano inchiodati davanti allo schermo, avendo traslato il tifo sulle squadre dell’Olanda e della Germania, per vedere chi dei due rispettivi osannati campioni Crujff o Beckenbauer, l’avrebbe avuta vinta. Tutti, ma non io, che del calcio non me ne è mai fregato alcunchè, io e la ragazzetta che giustappunto armeggiava nella credenza. il ricordo l’ho amalgamato ad un film di 16 anni dopo, per via di una identità di atmosfera, il caldo, il vestitino a fiorellini appiccicato alla carne per il sudore, i peli non tagliati delle ascelle, l’odore, i piedi nudi e quei lunghi capelli, e anche di situazione dove vicino alla credenza là nella veranda a ridosso dell’orto, era posizionato un ruvido tavolo in legno.
“Ha vinto la Germania!””Ah si!?” bhe non era il caso di sbandierarlo così ai quattro venti “ma tu, non puoi neppure immaginare quanto me ne possa fregare di meno!” la credenza, quella che davvero contava, si era amalgamata col tavolo, sparse le patate, i fagioli e l’insalata alla ricciolina e confusa, forse anche perduta, ma ecco lo vedi, anche ricordata all’infinito, nei suoi profondissimi occhi neri.
C’è ovviamente il “però”, quello postulato da una certa Scuola in America, che ha un nome che è tutto un programma, anzi una programmazione, anche questa roba di qualche anno dopo (e’ proprio vero l’Es se ne sbatte del tempo) , che concorre alla ri-assunzione e con il quale c’è sempre da fare i conti “nulla è mai successo davvero!” e io ci aggiungerei anche il “....proprio così”. sicchè è piuttosto scontato “le credenze a volte non stanno in cucina” ….. stanno appena più in là

LA CONOSCI LA MASCHERINA?

 

Discorso sulle mascherine, ma quelle vere, non le museruole che oggi spacciano appunto per mascherine : sul che cosa e per che cosa, ti conosco mascherina... eh bhe!!! il discorso si fa trubolo: anzitutto viene da riflettere sul mezzo specifico di tale comunicazione ovvero Facebook, che ha sostituito il vecchio diario, che per me poi non è stato mai così definito...i quaderni neri quali quelli accennati nel post precedente, quelli con le Regioni d'Italia, poi quelli a colori sgargianti, con foderina cartonata, gli spazi vuoti delle pagine dei libri (quelle interamente bianche dell'inizio e della fine erano decisamente irresistibili).... ancora oggi il quaderno di turno ce l'ho, magari è un blocco tipo quello preso a Praga con il disegno dei piedi sulla balaustra che danno su un ponte Carlo e un Hradcany stilizzati, la tazzina di caffè; sulle pagine dei libri non ho certo smesso di apporre note, commenti per andare poi sulla tangente dei miei pensieri e scrivere scrivere scrivere. Però, ecco! oggi c'è FB, e se ci pensi è infinitamente superiore, infinitamente più variegato (ci puoi mettere foto, musiche, non solamente gli schizzi improntati là per là di cui sono pieni i miei libri e quaderni,,,che , tranquilli.... sono tutti perduti, tutti stracciati, dai giornaletti che facevo dal '57 di mia ideazione di soggetti e trama, a tutte le osservazioni che mi ricapitava di rileggere)
FB come vedi non si cancella, rimane, anche se poi non è interamente vero, che c'è la possibilità di quell' "elimina" di cui non si può dire certo che non mi sia avvalso, specie negli ultimi tempi, dopo l'amara scoperta dell'autunno scorso quando ebbi la riprova che 5 anni prima ci avevo visto fin troppo giusto e che come diceva mia nonna Lucia "chi nasce quadro non muore tondo" Però lo vedi come sono? cincischio e prendo sempre per altre strade da quella principale, vado non solo per la tangente, ma anche per la secante e la parallela; ho sempre amato i vicoli, gli scorci, la visione obliqua, detesto lo stradone, gli Champs Elysees, la Myladi Horakovè, e financo l'asse Flaminia -Corso, meglio le viuzze: via del Vantaggio, via delle Carrozze, via della Frezza, e a Parigi, rue de l'ancienne comedie, a Praga Mala Stuparska e a palermo, Vicolo Ragusi, o la Discesa dei Giudici. Dicevamo di FB: bhe la funzione è la stessa, ma ampliata, dilatata enormemente e non solamente per oggettiva complessità del mezzo, ma anche, sopratutto per una sottile, ma profondissima questione psicologica: 
ordunque qual'era la peculiarità del vecchio diario? la segretezza no? ce ne erano pure corredati di piccolo lucchetto, tanto per garantire tale segretezza, peccato però che tutta questa supposta segretezza in verità sia una bugia, il senso del diario, degli appunti sul quaderno, sulle pagine dei libri e di tutti i lucchetti di questo mondo, è nell'essere scoperto, è un pò come il vestito più bello, qual'è la sua funzione primaria? quello di essere tolto (mi pare lo dicesse Coco Chanel), così tutte le nostre riflessioni, scritte così nel timore che vengano scoperte, in realtà sottendono un desiderio profondo che vi sia qualcuno, che magari con fatica, con sotterfugi, alla fin fine vi acceda. Parlo sulle generali e mi avoco il ruolo di pontefice, va bhè, ne prendo atto e allora volto la cosa solo a livello soggettivo, i miei appunti, specie quelli sulle pagine dei libri, non sono forse una sorta di FB ante litteram? difficile che possa trovare delle mie note su i romanzi di Liala o Love story, li troverai su La montagna incantata, sul Castello, sul Crollo della mente bicamerale, quindi vi è sotteso che se una persona legge simili testi, già si tratta di una persona di un certo calibro e quindi interessante e con il quale vale la pena di interagire. Lo stesso qui su FB, dice mia moglie Mariella "mai e poi mai io mi metterei su FB, è come uno stare in piazza" Eh no! è tutta là la differenza! io con i miei argomenti "il mito individuale del nevrotico""l'inconscio è strutturato come un linguaggio" "psicologia delle masse e analisi dell'io" o magari un solo nome ma di quelli che sottendono un bel malloppone "Ulisse""il Castello""Demian"...non sono in piazza, nè su uno stradone, sono su una via laterale, anzi in vicolo stretto e anche corto , come quelli del Monopoli

mercoledì 10 febbraio 2021

GIOCO COME STORIA (ARCHE' DISCRETO E CONTINUO)

 

Avevo un amico carissimo, parecchio più grande di me, quindi un po’ fratello maggiore che un certo giorno cominciò ad inculcarmi la sua passione per il gioco…. dice il gioco come passatempo? con le carte? come costrutto e con regole? No, no …che avete capito, lui il gioco lo considerava nei suoi risvolti di approccio alla conoscenza, sia la conoscenza diciamo così letteraria/filosofica, sia quella scientifico/matematica. Era per lui sempre una questione di “gioco” con uno svolgimento però tipo” solitario” che per qualsivoglia scibile partiva da una configurazione iniziale di propria scelta per applicarvi via via una serie di regole inderogabili che andavano alla ricerca di una successione di strutture la cui dinamica aperta, periodica, ricorrente, rimandava all’andamento di tutti i fenomeni, sia quelli culturali che tecnici, andando ad appuntarsi su una sorta di necessità biologica che però si piegava ad accogliere anche dati non prettamente biologici, ma emozionali e di fantasia, tipo schemi, rituali, costrutti logici ma anche illogici. Come ho detto tutto rientrava in tale “gioco” e forse per questo era così facile per lui attrarre, portare sulla sue posizioni le persone che giudicava sufficientemente competenti da seguirlo. Be’ lo ammetto, dall’età di 13 anni io ero diventato una di queste persone, un ragazzetto studente della terza ginnasio, con qualche problemino psicologico di passaggio che mi portava ad essere fortemente ricettivo rispetto a discorsi, ragionamenti, riflessioni, ecco, non proprio convenzionali. Ripeto lui era parecchio più grande di me e lo avevo sempre visto affacciarsi nella mia vita, praticamente dalla mia nascita in quanto abitava al piano sopra casa mia, quello che non aveva più gli oblunghi e limitati balconi, ma un vero e proprio terrazzo sul quale si poteva andare in bicicletta o coi pattini tanto era sviluppato. “vuoi venire a fare un giro su da me “ mi aveva detto un pomeriggio vedendomi colla Legnano 28 “eh bum, questa è una Legnano 28 mica un triciclo!” gli avevo risposto, per convenire però appena dopo che quel terrazzo era davvero ampio sicchè potevi tranquillamente andarci anche a velocità in bicicletta, facendo solo attenzione a non andare a sbattere nella fontana coi pesci o nelle piante. Lo vedi anche quello con la bicicletta è un gioco e così lo aveva inteso lui cercando poco dopo di farmi passare dal divertimento ludico e tutto fisiologico di girare i pedali, staccare le mani dal manubrio, ad un gioco invero differente ove più che il fattore fisico di sperimentazione, mettici pure di allenamento corporeo, si passa a quello mentale, ove certo e’ sempre in primo piano il biologico, ma in una accezione più variegata, come ho detto all’inizio di approccio a tutti i fenomeni culturali e tecnici riconoscendovi sempre una sorta di esigenza biologica che dalla scelta del tema da affrontare e dalla sua referenziazione si piegava ad accogliere ogni valenza di settorialità “Vuoi che parliamo della bicicletta? No, piuttosto noioso vero? in bicicletta ci si va non se ne parla….ed allora passiamo a qualcosa di più interessante. Come vai in matematica? Male!? lo supponevo, va meglio in latino vero? Ebbene cominciamo a giocare , facciamo in modo di utilizzare lo schema che usi quando devi fare una versione e applichiamolo ad un teorema di geometria o ad uno di quegli odiosi problemi di matematica”. In famiglia non era da un giorno che si diceva che quel ragazzo che abitava al piano di sopra era una sorta di genio. Era venuto a stare ovviamente con la famiglia, una decina di anni prima, la madre tedesca di Germania alta bionda, il padre un ufficiale dell’esercito in servizio effettivo che era diventato amico di mio nonno essendo all’epoca, grosso modo ai tempi del ritiro dei tedeschi da Roma, come lui Colonnello pur avendo una quindicina di anni in meno, ma con l’aquila dello Stato Maggiore sul berretto. Eh si il ragazzo era in fama di genio, ma il padre era uno di quegli ufficiali che contano molto, a 43 anni si era guadagnato appunto il grado di Colonnello e non certo per merito di guerra, ma sembra che facesse parte di importanti uffici dello Stato Maggiore a livello tecnico, ma anche politico. Baistrocchi lo aveva considerato il suo pupillo e lo stesso dicasi di Pariani, ovvero i Capi di Stato Maggiore di prima della guerra, però lui sebbene avesse sposato una tedesca, oh dio se vogliamo andare per il sottile, non una tedesca di Germania, ma una austriaca, addirittura pare di un paese vicino a quello misteriosissimo dove era nato Hitler, nazista non lo era stato mai, anzi…. aveva fatto una certa fronda rispetto all’alleanza Italia Germania gia’ dal 1938, in cui paradossalmente era stato scelto come interprete per la visita di Hitler a Roma, dato che parlava perfettamente tedesco. Classe 1901 era entrato all’accademia militare di Torino con la Grande Guerra non ancora finita , uscendone Sottotenente del genio nel 1920, ma successivamente si era laureato in matematica ed era uscito tra i migliori ai corsi di Scuola di Guerra nei primi anni trenta , per essere inviato addetto a Berlino nel 1935 dove aveva appunto conosciuto la moglie che veniva da un paesetto austriaco . Tornato in Italia nel 1937 come ufficiale superiore, aveva via via accentuato la sua opposizione al nazismo senza nascondere le sue fortissime perplessità sull’alleanza, contrarissimo all’entrata in guerra era stato chiamato da Balbo in Africa Settentrionale, ma dopo la morte di questi era tornato in patria per assolvere solo a uffici tecnici di Stato Maggiore . Non aveva stima neppure della tanto strombazzata efficienza militare germanica e non aveva nessuna considerazione dei grandi generali tedeschi, Rommel in primis che considerava solo un passabile giocatore tipo “carta vince carta perde” Di concerto con alcune leve dello S.M. nell’ottobre 1943 aveva fatto finta di aderire al famoso discorso dell’Adriano del Maresciallo Graziani (anche di questi non aveva alcuna stima , per la verità gli unici Generali che degnava di una qualche considerazione erano il vecchio Maresciallo Enrico Caviglia e il suo ex superiore Federigo Baistrocchi ) e quindi si era trovato a dar di gomito con il comando tedesco, ma solo per favorire i programmi degli Alleati e di quel tanto di parvenza di Comando Italiano, sicchè appena liberata Roma era stato nominato Colonnello per meriti straordinari e il Luogotenente Generale del Regno Principe Umberto lo aveva insignito della croce di Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia . Ecco e’ proprio in questo periodo che si era stabilito nel palazzo dove abitavo io, al piano di sopra con la famiglia, la moglie austriaca trentatreenne con il figlio di 6 anni e una bambina di tre, ed è anche in questo periodo che aveva fatto grande amicizia con mio nonno che era un vecchio combattente dell’altra guerra, richiamato anche in quella presente, prima in Grecia come ufficiale superiore e poi con compiti non più di linea stante l’età, ma l’assegnazione a compiti di ufficio al Quartier Generale di Lubiana, dove pure non ce l’aveva fatto a passare scartoffie e avuto notizia che un convoglio, pieno di vettovaglie ma anche armi, munizioni e incartamenti proveniente da Udine era stato bloccato da forze partigiane titine, si era spinto nell’interno della foresta slovena per raggiungerlo e con una ardita manovra di sganciamento portarlo in salvo. In quella che era stata una perfetta ritirata strategica però la camionetta sulla quale esercitava la sua azione di guida e comando, era stata raggiunta da una granata e lui era rimasto gravemente ferito. Tra la vita e la morte per parecchi giorni il Comandante del Corpo d’Armata Generale Gastone Gambara che era stato suo commilitone negli alpini durante la Grande Guerra ed essendo rimasto suo intimo amico, malgrado la differenza di grado, dando per scontata la sua morte, lo aveva proposto per la medaglia d’oro al valore militare.
Le cose erano andate differentemente, l’edema cerebrale era rientrato e sia pure con molta lentezza andava rimettendosi per venire nell’estate trasferito all’Ospedale Militare prima di Udine e poi al Celio di Roma dove con la nomina per meriti eccezionale a Colonnello del Ruolo d’Onore era stato collocato in congedo, non ritenuto più idoneo a rivestire incarichi militari sia pure di sussistenza. I due Colonnelli con i loro 13 anni di differenza d’eta’ (mio nonno del 1888, il padre dell’amico di cui sto parlando del 1901) abitando nello stesso palazzo avevano fatto amicizia, ma c’era stato un ulteriore evento con relativo episodio che aveva cementato tale amicizia e che si collocava giusto a coincidenza con l’evento che aveva portato il secondo a venire a sistemarsi a Roma : la ritirata dei tedeschi da Roma, in particolare la ritirata lungo la via Aurelia.
Un carro armato della Wermacht si era infatti bloccato lungo la parte alta della via consolare nel tratto in cui dava di fianco ad un dirupo che accoglieva la ferrovia che si dipartiva dalla Stazione di san Pietro , in particolare si era bloccato a ridosso di una Villa patronale che affacciava per metà sulla via Aurelia e per metà sulla via Nicolò V, la Villa della famiglia Morelli, un facoltoso costruttore edilizio che era in società con un altro costruttore Sensi il cui figlio sarebbe divenuto nel dopoguerra un personaggio piuttosto famoso per essere a lungo Presidente della Società di Calcio Roma. Fu proprio questo ragazzo assieme al figlio del socio e proprietario della villa che si chiamava Morello e che era un Sottotenente della PAI , che si presentarono in casa di mio nonno ancora in convalescenza per indurlo a cercare di aiutarli a fare opera di convinzione verso l’ufficiale tedesco che stava cominciando a far minare il carro armato, dato che il suo ingombro nel mezzo della via pregiudicava non poco la ritirata lungo la via delle truppe. Tutti nel quartiere conoscevano le gesta ed anche il prestigio, la prestanza e l’imponenza del vecchio Colonnello degli alpini col suo oltre metro e ottanta di altezza, i baffi, lo sguardo fiero (somigliava ad un Vittorio De Sica più alto e robusto) laddove il cappello a larghe falde colla penna bianca, l’ampia mantella che portava fuori ordinanza fino a sfiorare gli speroni degli stivali, contribuivano non poco ad enfatizzare tale impressione, e quasi automaticamente i due giovani avevano pensato di rivolgersi a lui
“presto presto Colonnello, che quel capitano sembra non sentire ragioni, se fa brillare quel carro armato tutta la villa va giù e probabilmente anche i palazzi limitrofi” “e’ un capitano della Wermacht avete detto non delle SS !?” “si della Wermacht ha due croci di ferro” “Bene, andiamo!” fece non mancando di avvolgere, malgrado il caldo , con uno scenografico gesto l’ampia mantella attorno al corpo. Quello che il vecchio Colonnello disse al giovane capitano nessuno riuscì ad intendere per intero, ci fu chi disse che aveva fatto cenno appunto al fatto che un signor ufficiale della Wermacht non poteva uniformarsi ad un parvenu delle SS e portarsi come un volgare criminale, di certo la imponente presenza del vecchio combattente, il distintivo di invalido di guerra, i fregi delle ferite, i nastrini delle decorazioni, quella penna bianca che svettava sul cappellaccio d’alpino, un po’ tutto concorse al miracolo, il Capitano fece togliere gli esplosivi dal carro armato e con una serie di improvvisati pali ordinò di farlo rotolare lungo il dirupo, disponendo però una serie di argini per non farlo ruzzolare fino ai binari. Il giovane Colonnello di Stato Maggiore prese dimora sopra l’appartamento del vecchio Colonnello degli alpini all’incirca una settimana dopo questo episodio e fu tanta l’impressione che ne ebbe, che volle andare ad omaggiarlo, d’altronde bastò scendere una rampa di scale e così nacque quella conoscenza ch
e in breve si cementò in amicizia. Non essendo morto nel 43, mio nonno si vide declassata la medaglia d’oro in una medaglia d’argento e con il congedo oltre la nomina a Colonnello gli venne conferita la croce al merito di guerra; ora il nuovo amico che come detto era piuttosto influente nel nuovo consesso di Stato Maggiore fece in modo che per quell’azione di salvataggio della villa e dei caseggiati prospiciente gli venisse conferita nell’ottobre la stessa decorazione che Il Principe Umberto aveva conferita a lui : La croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia.

domenica 7 febbraio 2021

DAL BRITANNIA AD OGGI (29 anni)

 

FEBBRAIO 2021  Eh si. Ne sono sempre stato convinto ... quel famoso episodio del Britannia nel 1992, in netta correlazione con quella buffonata iperpilotata di Tangentopoli, che hanno segnato la fine del patrimonio industriale, economico e monetario d’Italia  IN EFFETTI PIÙ CI SI DOCUMENTA, PIÙ SI APPROFONDISCE....ecco che PIÙ SI EVINCE CHE SIAMO SEMPRE STATI pilotati, ingannati, raggirati, schiavizzati. Quello cui siamo arrivati oggi ha un cuore antico, proprio come diceva Carlo Levi 'il futuro ha un cuore antico ' e questo mannaggia mi dà proprio fastidio, perché allora davvero non c'è speranza.
Ecco prendiamo ad esempio cosa sono riusciti a fare in questo ultimo anno: inscenare la farsa e il colossale inganno di un virus, di una pandemia del tutto inesistenti e diffonderli così capillarmente  nella paura della gente da assicurarsi la messa fuori gioco di un personaggio che contravveniva al loro progetto di schiavizzazione dell ‘intero pianeta, in nome di una diabolica alleanza tra consumismo e comunismo, che in verità si sono rivelati le due facce di una stessa medaglia.  
Parlo di 
Trump, che al di la' del suo aspetto un pò pittoresco e folcloristico da Capitan America si è rivelato uno dei pochissimi individui nella storia del mondo capace di contravvenire agli squallidi dettami di alcuni magnati e le forze di cui facevo cenno poc'anzi(un consumismo e comunismo irrelati e un ipocrita buonista mentalità sinistrorsa come grimaldello per scardinare storia tradizione e libertà ) quindi  uno dei grandi di ogni epoca, ma quelli veri non "i recitante di parte"  tipo Smith, Napoleone, Cavour, Garibaldi, gli inglesi, io intendo i grandi che non si sono piegati al mercimonio, ovvero Metternich, Teyllerand, Radetzsky, Franz Joseph, Rodolfo d'Asburgo, Roosevelt Teodoro e Franklin Delano, Freud, Jung, Einstein, Bohr, Schrodinger, Keynes, Balbo, Grandi, Parri, Caffè , Merzagora, Mattei, Kennedy, Havel, Kuhn,  Hamer e sai anche chi ci aggiungo a pieno titolo FRANCESCO COSSIGA  
L’ULTIMO VERO Grande Presidente del nostro Paese, tornato in questi giorni all’onore delle cronache per il lapidario giudizio che a suo tempo diede di Mario Draghi,  l’uomo che oggi molti vedono come carismatico salvatore di una situazione apparentemente disperata
Quel giorno i massimi vertici dell’economia italiana – il presidente della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, il ministro del bilancio Beniamino Andreatta (i due che dieci anni prima avevano siglato il tragico “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro), il direttore generale del Tesoro Mario Draghi, i vertici dell’Eni, dell’IRI, delle grandi banche pubbliche e delle varie aziende e partecipate di Stato – si incontrarono al largo di Civitavecchia sul panfilo della regina Elisabetta, il “Britannia”,con la crème de la crème della grande finanza internazionale per pianificare a tavolino il saccheggio dell’economia italiana, in primis attraverso la privatizzazione e la liquidazione, a prezzi di saldo, degli straordinari patrimoni nazionaliAll’inizio degli anni Novanta, infatti, la quasi totalità del settore bancario e oltre un terzo delle imprese di maggiore dimensione in Italia erano ancora in mano pubblica: un’eresia intollerabile nel momento in cui si andava imponendo in tutto l’Occidente il dogma del liberismo e del mercatismo selvaggio. L’Italia aveva bisogno di una “terapia shock”, alla sudamericana, per essere ricondotta sulla retta via.Questo momento storico coincise con il “golpe bianco” di Tangentopoli, che poco prima aveva spazzato via praticamente tutti i partiti della prima Repubblica, spianando così la strada alla peggiore classe politica che questo paese abbia mai avuto, ovverosia a quegli esponenti dell’establishment italiano – Ciampi, Draghi, Amato, Andreatta, solo per citarne alcuni, che a loro volta erano espressione di uno “Stato nello Stato”, comprendente anche grandi aziende economiche ed editoriali, figure tecniche, movimenti della società civile, intellettuali e pezzi della magistratura – che da tempo sognavano di liquidare una volta per tutte il modello Stato-centrico italiano per mezzo del vincolo europeo, anche al costo di ridurre l’Italia a colonia dei centri di comando europei. 
Pochi mesi prima dell’incontro del “Britannia”, infatti, era stato siglato il famigerato trattato di Maastricht, che impegnava l’Italia a una drastica politica di austerità fiscale e di abbattimento del debito pubblico. Ed è proprio facendo appello alle pressioni europee in tal senso che i privatizzatori nostrani giustificarono lo smantellamento dell’apparato industriale e di pianificazione pubblico italiano.
Fu Prodi artefice dello smantellamento dell’IRI in qualità di presidente dello stesso nel 1993-Erano obblighi europei! Mi [era] stato dato il compito da Ciampi che privatizzare era un compito obbligatorio per tutti i nostri riferimenti europei. In questa frase di Prodi è contenuto tutto il senso del vincolo esterno europeo, che ha agito (e continua ad agire) sia come pressione reale per riformare l’economia in senso neoliberale, sia come giustificazione per le élite nazionali, che a loro volta auspicavano quelle stesse riforme ma erano consapevoli che non sarebbero mai riusciti ad ottenerle «per le vie ordinarie del governo e del Parlamento», come disse Guido Carli, ministro del Tesoro al tempo della firma del trattato di Maastricht, cioè senza una pressione esterna che gli permettesse di aggirare i normali canali democratici.È così che in pochi anni venne svenduto un patrimonio inestimabile accumulato in quasi mezzo secolo di politiche pubbliche, privando l’Italia di una delle principali basi materiali della sua Costituzione: ovverosia ciò che fino a quel momento aveva permesso allo Stato di perseguire (con tutti i limiti del caso) politiche di sviluppo industriale, di orientamento dei consumi, di innovazione strategica, di coesione territoriale, di salvaguardia dell’occupazione. Non a caso è proprio in quegli anni che inizia il lungo declino dell’Italia, a cui verrà dato il colpo di grazia con l’ingresso nell’euro. A distanza di quasi trent’anni da quel tragico 2 giugno del 1992, sarebbe il caso di chiudere una volta per tutte questo triste capitolo della storia italiana, restituendo al popolo ciò che è suo: dai monopoli naturali come la rete autostradale e le reti energetiche – che negli anni sono stati smembrati e consegnati nelle mani di spregiudicati “prenditori”, che ne hanno ricavato rendite e profitti a scapito della qualità e dei costi dei servizi, e dunque a scapito di tutta la collettività – alle banche.Fino ad arrivare al bene pubblico per eccellenza: la moneta.

DUE MARIO ANZI TRE


Un mini saggetto davvero fatto bene questo di Nico Valerio, che mi affretto a condividere e anzi a integrarlo con mie considerazione e ascrivere in questo mio blog principale per ritrovarmelo e consultarlo tanto è fatto bene e quindi può sempre servire. Non conosco di persona Nico Valerio ma tanti e tanti anni fa , nei primi anni ottanta conobbi al mare in una combriccola suo fratello che me ne parlo' a lungo, sopratutto della sua esperienza in tema di alimentazione naturale, ma precisandomi altresì che era un soggetto interessato a molteplici scibili e quindi mi disse che avremmo dovuto conoscerci noi "EH SI!!!! SIETE MOLTO SIMILI VOI DUE " in verità comperai negli Oscar Mondadori due testi che divennero una sorta di Bibbietta in merito di alimentazione ed ora andandoli a ricercare su Amazon vedo che sono prezzati 150 Euro l'uno (alla faccia! e pensare che a Palermo avrei dovuto lasciarli al mio caro amico Beppe Brignola e magari ora se lo ritrovano i suoi figli Pietro o Gabriele)
Così ora che ho ritrovato quel saggetto che non ho successivamente mai incontrato, anche perchè io fui per oltre 10 anni in giro, qui su FB mi compiaccio spesso e volentieri di aver incrociato suoi pareri, opinioni e quant'altro. Questo articolo su Mario Draghi, differenziato da quel cialtrone di Mario Monti (di quest'ultimo non ho alcuna considerazione neppure come economista ) mi è particolarmente gradito, anche perchè sottolinea l'origine cultural economica di Draghi da quel Federico Caffè di cui ho scritto più di un articolo qui sul Blog, in particolare uno correlato alla sua misteriosa scomparsa del 1987 che io misi in relazione anche al romanzo di Carlo Levi L'Orologio e alla fugace esperienza del primo governo del dopoguerra quello capeggiato da quel gran signore di Ferruccio Parri e l'ispirazione prevalente del Partito d'Azione, di cui Caffè fu collaboratore.
L'articolo lo ha titolato I DUE MARIOS, io l'ho riportato integralmente : "Antipatici mi sono entrambi, perciò sono nella condizione ideale per paragonarli tra loro. Tutti e due sono stati chiamati come medici d’urgenza. Quindi non si può pretendere che siano delicati, ma che facciano con efficacia il loro lavoro, spesso brutale. Si spera solo che tipi del genere siano bravi e che gli effetti collaterali delle loro terapie siano minimi. Loro sono uniti dal fatto di essere stati chiamati in epoche diverse al capezzale d’un malato irresponsabile e ignorante, dedito a stravizi, che ha copiato i comportamenti dei peggiori soggetti, e che ora si trova sotto ossigeno. Molti li confondono. Ma quali differenze ci sono tra i due? Provo a chiarirmi le idee, per quel poco che ne so, grazie alla psico-politica. Con alcune considerazioni alla grossa. E il taglio con l’accetta, si sa, porta a qualche errore. Parto da questa “bozza” che correggerò man mano seguendo gli economisti amici.Dunque, Mario Monti, grand commis d’Etat come Draghi, appare (e che lo sia o no, poco importa) un tipico “liberista” duro e puro prestato alla revisione contabile, quindi un pratico, oppure per altri un teorico scientifico “senza cuore”, che ha fatto delle regole del mercato e ancor più dei voleri della alta e bassa Finanza la propria vera unica ideologia-religione; propenso perciò, senza nessuna concessione alla Politica, a tagliare con drastici “tagli lineari” senza pietà, “ndo’ coijo coijo” [dove tocco è lo stesso, anche a caso: espressione romanesca antica per “chi tira o spara senza mirare, senza precisione”], secondo il metodo dell’economia conservatrice d’emergenza che si occupa più di salvare la correttezza formale dei bilanci che la produzione, i consumi, i bisogni, la società, anche perché – va nuovamente sottolineato – vi si ricorre spesso in extremis, quando ormai c’è poco da rilanciare o costruire, siamo al “si salvi chi può”, e perfino i keynesiani illuminati potrebbero fare poco. perciò appare, lui sì, per niente un Politico, ma un vero e puro “Tecnico”.L’altro Mario, il Draghi, la cui firma ancora campeggia su tutti i biglietti degli euro, il cattolico educato nella costosa scuola gesuitica, uno che “passava il compito ai compagni”, in politica economica “l'ultimo dei Keynesiani”, quindi un liberale “di Sinistra” che vede nella spesa statale non un delitto, ma anzi un potente incentivo al rilancio dell’economia, purché in emergenza e con investimenti seri capaci di moltiplicare la ricchezza nazionale, potrebbe essere anche un Politico (per la discrezionalità politica e sociale di tale impostazione); non dovrebbe essere quella fredda carogna “scientifica” capace di tagliare teste umane senza pietà, come dicono i miei amici anti-capitalisti di Sinistra, Destra e del cinque volte Niente. E infatti la sua politica economica alla Banca Europea è stata non taccagna, ma “politica”, propulsiva, addirittura “spendacciona”, secondo i conservatori tedeschi, che lo hanno in antipatia. Perciò non appare, un vero, implacabile, ottuso “tecnico” puro, come temono molti. Ma potrebbe – perfino lui – indirizzare il risanamento in una direzione che non tiene conto degli interessi degli Italiani, o fallire proprio perché più “politico”, costretto a inserire al Governo parecchi politici coi soliti vizi, e a tener conto per avere la maggioranza di molti avversari in Parlamento e fuori, tra cui gli acerrimi ex-nemici Grillini, Comunisti e una metà dei Leghisti. Che lo voterebbero tra atroci dolori e pronti a tradirlo, dopo averlo osteggiato per anni come il “grande privatizzatore” del Ministero del Tesoro che aveva “svenduto” patrimoni economici dello Stato con “privatizzazioni” sbagliate (accusa, però, fatta anche da alcuni liberali), e poi come “uomo della grande Finanza e delle banche d’affari” (cominciò con la Goldman Sachs). Se fai l’interesse delle ultra-élites della ricchezza mondiale, dicevano i critici, non puoi fare Politica in democrazia liberale, che i conflitti d’interessi cerca d’evitare in ogni modo. Riuscirà a rassicurare gli alleati di comodo? Paradossalmente, a me liberale doc (non ho detto “liberista-doc”), molto impensierito dalla distruzione di ricchezza e di imprese che c’è stata in Italia per le pessime politiche economiche, liberalizzazioni e privatizzazioni comprese, di Sinistra e Destra, toccherà sperare nella coscienza del Draghi cattolico e anche nel Draghi allievo del grande Federico Caffè (docente universitario di economia, liberal-socialista), un uomo che ogni mattina vedevo affrettarsi a piedi proprio sotto la mia terrazza, unico nel suo vestito blu e nella sua statura minima, che sparì di colpa senza lasciare tracce, come Majorana. Forse Draghi, nonostante Goldman Sachs, a differenza di Monti, ha un’anima, un’idea ardita di libertà (di tutti, non solo delle grandi Agenzie e Corporations) unita a un senso di giustizia. Se fosse così, pur tra le ombre e i segreti, a noi pochi Liberali risorgimentali potrebbe anche piacere. Ma se così fosse, il suo intervento terapeutico sarebbe tardivo: non basterà a cancellare gli errori gravi degli ultimi vent’anni.

Mi riaggancio quindi col mio articolo su Federico Caffè, dove faccio il paio con un libro di uno scrittore che è stato anche un valentissimo e originale pittore, cui più di un’opera figura a tutto titolo tra le opere letterarie più importanti del XX secolo: sto parlando di Carlo Levi, e tra tali opere basta citare dei titoli come “Cristo si è fermato a Eboli” “Le parole sono pietre”,”il futuro ha un cuore antico” che immediatamente innescano nel nostro immaginario un posto di tutto rilievo; il libro di cui voglio parlare forse non ha lo stesso impatto a livello di fama e di immaginario collettivo, però lo ha fortissimo a livello individuale come per chi come me ha sempre avuto una sorta di attrazione, passione, quasi struggimento in quanto velato desiderio , di quel “mancato” che sottende un sequenziale e melanconico “avrebbe potuto essere…” Si tratta de “L’Orologio “ un libro che ha un incipit del tutto emozionale su l’impressione di una Roma che “non c’è piu’ : “ La notte a Roma….” , così comincia la narrazione “ ...sembra di sentire il ruggito di leoni” ed ecco che subito siamo trascinati ad una città che il traffico delle automobili non aveva ancora soffocato i suoi suoni, e con tutta probabilità era la ripresa della marce dei tramvai che si inerpicavano per le numerose salite degli antichi “Sette Colli” e di nuovi (si fa per dire) “monti”: Verde, Mario, Sacro, producevano quel sommesso rumore . Le pagine di descrizione di un mondo che non c’è più rimanda al mondo incantato dell’infanzia, quando un giorno durava mille anni e il sole su nel cielo sembrava non voler calare mai e quel mondo era là, sotto il balcone, che bastava allungare una mano per afferrarlo tutto quanto. L’infanzia quella che Freud ha definito il paradiso terrestre di tutti noi, una sorta di “intelligenza pietrificata” della natura, per dirla con Schelling, è descritta nel romanzo in maniera poetica e struggente, ma non è tutto! Il romanzo è ambientato nel primissimo dopoguerra, nell’atmosfera di grande, grandissima speranza del Governo Parri: nessun compromesso con l’orrido passato, piazza pulita con tutte le collusioni, niente “se” e niente “ma” : Ferruccio Parri veniva dal Partito d’Azione ed era stato il comandante ed uno dei più fulgidi eroi della Resistenza, antifascista da sempre era anche stato un valorosissimo combattente della Grande Guerra dove a soli 28 anni si era guadagnato il grado di Maggiore, la Croce di Savoia e una sfilza di medaglie al valore e non solo italiane, ma anche inglesi e francesi. Eppure tutto questo non era sufficiente ad accreditare tale splendida persona come traghettatore verso una nuova Italia: le pagine del libro di Levi, riportano con particolare crudezza, tutte la serie di operazioni messe in atto da una società, che temeva come la peste, proprio le istanze di cui Parri si faceva paladino: rinnovamento, ma anche riesamina del recente passato, senza indulgenze e senza patteggiamenti: una parola faceva soprattutto paura : Epurazione! Epurazione verso chi aveva favorito, appoggiato o anche solo tollerato il Fascismo, soprattutto chi ne aveva tratto benefici, vantaggi e fatto carriera; Ed ecco un qualcosa che il libro di Levi puntualmente registra : il fatto che si aveva subito assistito al tentativo di discredito del personaggio, l’epiteto di “fessuccio” storpiando il nome di battesimo Ferruccio, l’adamantina e integerrima onestà, comune a tutto il movimento di provenienza, il Partito d’Azione e quindi la sua indisponibilità a compromessi, quali perfino un uomo come Palmiro Togliatti si stava rivelando, per ragioni di stato, disponibile. Insomma per farla breve uno spaccato di quel “mancato” cui l’Italia di allora, stava appunto tessendo le fila, un mancato di assurgere a Nazione “corretta” che andava traendo sempre più sostenitori e “cavalier serventi”, con una stampa addomesticata alla ragion di stato, a quelli che avrebbero dovuto essere gli esecutori, dall’alto dirigente, al medio funzionario, fino all’ultimo usciere, che facevano in modo che ogni singola pratica si impantanasse, fino a scomparire del tutto, nei meandri di una burocrazia, che cominciava a rialzare la testa. Siamo nel periodo degli Aiuti del Piano Marshall, della scelta di campo tra occidente e oriente e ne vedremo il seguito, i prodromi della Guerra Fredda, De Gasperi e la Democrazia Cristiana, i comunisti fuori dal Governo, dopo aver fatto in modo che proprio loro (Togliatti Guardiasigilli) togliessero la patata dal fuoco della pacificazione nazionale, con quella passata alla storia come “amnistia Togliatti”, insomma un po’ l’Italia di sempre, quella che abbiamo sempre conosciuta. Un grande libro l’Orologio, un libro che quasi si ha paura a rileggere per non trovarsi troppo al cospetto di quel “mancato” di “quell’avrebbe potuto essere” e proprio in ultimo, così quasi come boutade, un’accezione molto soggettiva, molto personale, che investe l’antitesi uomo-macchina e che però giustifica il titolo dato al romanzo, dove l’autore è portato a ritenere che giustappunto si stabilisca una sorta di affiato o di ripulsa tra l’uomo e uno dei suoi oggetti apparentemente più neutrali, come un orologio: dalla città ancora coi suoi sommessi rumori notturni, tipo il peregrino ruggito di leoni, che rimanda anche a misteriose e interminabili carovane sotto la luna del deserto, si rientra alla cronaca e alle abitudini di quel lontano periodo, il Governo oramai condannato, addio a Parri, l’interno delle case con quell’inveterata abitudine di dare camere in affitto, un po’ come quasi “vendersi l’anima” dice l’autore del libro e in quelle camere, con i mobili “rimediati” l’odore di polvere la cui consistenza e’ resa manifesta da miliardi di granelli che un raggio di sole che filtra dalla spessa tenda fa animare in quello spicchio di stanza, le lancette del nostro “orologio” si fermano inesorabilmente. Chissà forse è venuto un inquilino che pensa che non è poi così importante raccordarsi con il tempo ad ogni istante, tutto sommato anche delle lancette ferme, indicheranno due volte al giorno l’ora giusta. Si insinua a questo punto un filo, quasi magico, diciamo di posposta sincronicità che correla il libro di Levi con un saggio del giornalista scrittore Ermanno Rea che è incentrato sul grande economista Federico Caffè e l’insoluto mistero della sua volontaria scomparsa nella notte tra il 14 e 15 aprile 1987. Il libro si chiama “L’ultima lezione” e fa appunto cenno alla lezione del giugno 1984, che il professor Caffè tenne di commiato dall’insegnamento all’Università e che, per l’autore rappresenterebbe la piena esplicazione della sua scomparsa . Fa da trait d’union sincronico dei due libri, giustappunto il titolo del primo che è anche uno degli oggetti da cui Caffè non si separava mai : L’Orologio. Orologio che invece fu ritrovato nel tavolino accanto al letto dopo la sua scomparsa assieme a chiavi di casa e documenti; come osserva giustamente Rea “ c’è qualcosa che più di un orologio sia dotato di forza simbolica? l’orologio scandisce il tempo della nostra giornata , delle nostre abitudini, delle nostre ansie : cosa può vuol dire il rinunciarvi. se non che uno ha deciso di rinunciare a tutte queste cose e quindi alla vita stessa? L’orologio abbandonato da Caffè si carica di rinuncia o forse proprio di quel mancato di cui si è fatto cenno parlando del romanzo di Levi : un mancato della storia nel primo, un mancato di tutta una vita nel secondo, che assume le valenze di rinuncia totale a somiglianza di una altrettanta famosa improvvisa e misteriosissima scomparsa, quella del fisico Ettore Majorana, nel 1938. L’orologio che titola il romanzo di Carlo Levi ha difatti un correlato storico ben preciso e un riferimento circostanziato a fatti e misfatti di quei 5 mesi del 1945 che riguarda l’atmosfera “mancata” di quei pochi mesi del governo Parri e che, guarda caso rappresenta l’unica partecipazione alla politica attiva di Caffè come capo di gabinetto del Ministero della Ricostruzione retto da Meuccio Ruini : col ruggito dei leoni a Roma provocato dai cambi di marcia dei tramvaji, il paradiso perduto dell’infanzia e l’atmosfera di una possibile ma resa impossibile rinascita d’Italia il libro di Levi ci consegna dei paradigmi di struggente rimpianto su quell’avrebbe potuto essere , quel “mancato “ alla storia, che diviene nel libro di Rea ultima e definitiva rinuncia, non alla storia, ma alla stessa vita tramite l’elisione dello specifico che si era scelto per referenziarla : la scienza dell’economia per Caffè, come parimenti era successo 50 anni prima la scienza della fisica per Majorana .

lunedì 1 febbraio 2021

...NON SIETE PIU' MASSENA ?

 

Ho sempre auto una grande propensione per personaggi non di primissimo piano della storia, famosi si, ma non protagonisti assoluti, tutti come ammantati da un velo di sotteso rimpianto “Ah se però avesse…. se solo…” ovvero sempre quel famoso “se” dove, come insegnano gli storici “non si fa la storia” Diciamo però che oggi che la menzogna, la manipolazione, il recitare una parte, hanno assunto una preponderanza così marchiana nel cosidetto “reale” quel famoso “se” si va a rivestire di tutt’altro significato e se si va ad approfondire non siamo poi così nel fantastico, diciamo che per somiglianza con il procedimento matematico, il momento che ci rendiamo conto che il famoso assioma Hegeliano “il reale è razionale e il razionale è reale” e’ solo una balla, siamo semmai nel netto contrario, e quindi dicevamo prendiamo ispirazione dalla matematica, ampliamo il referente della realtà numerica ammettendo la proiezione di numeri negativi quale ad esempio la radice quadrata ed ecco che perverremo ad un sottoinsieme quello dei numeri immaginari, con cui potremo librarci in ben altre congetture. Con l’insieme dei numeri immaginari ecco che quei citati “secondi” o comunque non personaggi protagonisti, possono benissimo assurgere all’attenzione, risaltare dallo sfondo e conquistare il primo piano. Mi propongo di scrivere una biografia più o meno immaginaria di qualcuno di tali personaggi, quelli che hanno più colpito la mia attenzione, o dovrei dire meglio la mia immaginazione, introducendo un ulteriore strumento oltre la matematica con magari un calcolo infinitesimale con limiti derivate e integrali più alla Liebniz che alla Newton, ovvero più emozionale, rifacendomi a quel mancato che appunto informa un altro scibile di conoscenza: la psicoanalisi di Sigmund Freud. Cosa si trova qui come necessario correlato del conscio, ovvero della parola espressa, apparentemente razionale , eh si proprio quell’irrazionale che spaventava tanto Hegel e che invece introdotto sotto l’aspetto meno inquietante del simbolico, composto sia dall’insieme del reale che da quello dell’immaginario, rientra anch’esso e a pieno titolo nel messaggio umano, la proiezione del negativo altro no è che quel mancato del discorso conscio per esaurire tutte le componenti di una comprensione, un mancato che come insiste ad affermare Freud, è sempre “un discorso riuscito” . Forte di tale duplice istanza (calcolo infinitesimale con numeri immaginari - psicoanalisi freudiana) mi accingo quindi a trattare del primo dei personaggi “mancati” e quindi simbolici, cui ho fatto cenno : ANDRE’ MASSENA. Diciamo subito che Massena , grande generale di Napoleone ha una prima caratterizzazione proprio dovuta al suo sempre superiore fin da quel marzo 1796 in Italia "Massena sei un ragazzino!" racconta l’anedottica quando appunto il neo nominato Comandante dell’Armee’ d’Italie Gen Napoleone Bonaparte (assurto a tale nomina solo per meriti di letto, in quanto aveva sposato la ingombrante e petulante amante di Barras, il più influente Membro del Direttorio e ne aveva avuto da questi in dono di nozze appunto l’Armata d’Italia) arrivò alla tenda dei tre comandanti in seconda Massena, Augereau e Serurier , e proprio Massena sollevo’ dei dubbi sulla prospettiva di attaccare gli austro/Piemontesi( l’episodio è magnificamente riportato nel film Napoleon di Abel Gance), c'era poi la scritta incisa sulla lama della sua sciabola VIVE LA REPUBBLIQUE che aveva conservato anche quand'era divenuto Maresciallo dell'Impero e insignito di altissimi titoli nobiliari guadagnatosi sul campo di battaglia , Principe di Rivoli, Duca di Essling: successivamente, proprio in tema di titoli si beccò sempre da Napoleone quel famoso "duca di Rivoli non siete più Massena " per il non adamantino portamento tenuto alla battaglia di Ebensberg, rifacendosi, e’ doveroso precisarlo, ad Aspern-Essling ove si guadagnò il suo secondo titolo nobiliare. Ma Massena era molto altro: ex sottufficiale del regno sabauda, si era avvalso dell'eccezionale opportunità offerta dalla Rivoluzione francese per ascendere ai più alti gradi dell'esercito e più d'uno lo considerava più che papabile ad assumere il comando dell'Armata d'Italia in quei primi mesi del 1796, quando invece arrivò quel generale di ventisette anni che doveva tale nomina a camarille di cortile e anche di letto, cui abbiamo fatto cenno , da cui il ben noto risentimento che lo aveva prima indotto assieme agli altri due generali in sottordine a non togliersi il cappello davanti a quel raccomandato superiore al suo ingresso nella tenda comando ) Si era beccato il "ragazzino" giusto da uno che aveva 15 anni meno di lui, ma poi nel corso della campagna, sul campo di battaglia aveva fatto faville recuperando delle situazioni parecchio compromesse dal non deciso portamento e scarsa perizia sia tattica che strategica del ventisettenne generale, così a Cairo Montenotte, a Ceva e anche a quel famoso Ponte di Lodi dove il Direttorio cominciò a far circolare la voce del generale invincibile novello Cesare. Stessa musica ad Arcole dove Napoleone fu tanto sgraziato da cadere in un fosso e per puro miracolo non venire fatto prigioniero, ancora nella Napoleone decisiva battaglia di Rivoli, lui Massena unitamente agli altri due Generali subalterni Augereau e Serurier aveva fatto meraviglie; anche nella seconda campagna d'Italia nel 1800, era tornato a fare grandi cose o meglio poco prima, a Zurigo e poi durante l'assedio di Genova, però a Marengo, la battaglia preferita di Napoleone, ma non certo la sua piu’ brillante , lui non c'era, ma ancora una volta, qualcuno aveva vinto per lui , un altro Generale che disubbidendo agli ordini era tornato indietro e si era presentato sul campo di battaglia con Napoleone irrimediabilmente sconfitto, tant’è che il generale Austriaco Melas, era smontato da cavallo e aveva lasciato il terreno per mandare dispacci a tutte le corti europee che la battaglia di Marengo era stata vinta dagli austriaci e napoleone sconfitto ….. "una battaglia è perduta c'è il tempo di vincerne un'altra" aveva detto il Gen. Desaix gettando le sue due divisioni in un feroce contrattacco e avendo altresi’ l'ottima idea (per Napoleone) di farsi beccare in pieno petto da una palla nemica, nel pieno dell’assalto, sicchè la strepitosa vittoria il fortunato Primo Console la doveva dividere con un morto Cominciano per Massena i grandi riconoscimenti, titoli nobiliari, il titolo di Maresciallo dell'Impero e quell'epiteto coniato sempre da Napoleone di "figlio prediletto della vittoria" . Nel corso della campagna del 1805, quella per intenderci di Austerliz, e Jena , Massena tornò a distinguersi in varie occasioni : a Essling, grandissimo anche a Wagram dove sebbene ferito continuò ad esercitare magistralmente le sue funzioni di comando. Fini però per impantanarsi nella sfortunata offensiva del Portogallo e perse quasi del tutto il favore di Napoleone, cosa che a posteriori, può anche ritenersi una fortuna, perchè gli permise di evitare il disastro della Russia e rimanere defilato durante le ultime fasi del potere napoleonico. Dopo i 100 giorni e il ritorno di Napoleone dall'Elba non si unì a lui e questa fu un ulteriore riprova di una certa fortuna, perchè gli evitò tutti i guai della restaurazione, e potè anche mantenere tutta la sua dignità rifiutando di partecipare all'atto di accusa contro Ney, che pure era un suo grande rivale. Quindi in tutto e per tutto : una gran bella figura di soldato e di uomo..

IL RISVEGLIO DELLA RAGIONE NEL FUTURO ANTERIORE

  Io un buon libro di di saggistica lo leggo mediamente dieci quindici volte, con punte di oltre cento e magari duecento, per saggi davvero ...